Pordenone – Omaggio a Michelangelo Grigoletti

Pordenone, Museo Civico d’Arte – 08 Maggio 2021 – 25 Luglio 2021
Omaggio a Michelangelo Grigoletti (1801 – 1870)
Mostra a cura di Vania Gransinigh

Avviso. La situazione sanitaria è in continua evoluzione. Consigliamo di verificare le informazioni su giorni, orari e modalità di visita sul sito web della Mostra.

Michelangelo Grigoletti: La nobile Isabella Fossati con la figlia Maria Clorinda, il genero e le nipoti 1828-29(?)
Olio su tela 136×169 cm. Nobile Isabella Palumbo-Fossati

L’ 11 febbraio del 1870, moriva a Venezia, Michelangelo Grigoletti, il grande artista nato a Pordenone il 29 agosto del 1801. Nell’anniversario della sua scomparsa, il Comune di Pordenone può finalmente annunciare l’”Omaggio a Grigoletti” che era già stato programmato nella ricorrenza dei 150 anni ma che questi mesi di epidemia non hanno consentito di concretizzare. La mostra, sottolinea l’Assessore alla Cultura Pietro Tropeano, prosegue la riscoperta e la valorizzazione dei grandi artisti del nostro territorio iniziata con il Pordenone. Michelangelo Grigoletti, pordenonese di Roraigrande, ha saputo riempire con la sua individualità creativa uno dei periodi forse meno conosciuti dell’arte veneta. E’ stato un grande ritrattista della nuova “Accademia di Venezia” lasciandoci una ricca collezione di opere in parte presenti nel Museo Civico di Pordenone. La retrospettiva su Grigoletti, organizzata dall’Assessorato alla Cultura, sarà allestita nelle sale del Museo Civico d’arte dall’8 maggio al 25 luglio 2021 e offrirà a pordenonesi e turisti una sequenza notevole di opere del grande maestro.

Con questo “Omaggio a Michelangelo Grigoletti (1801-1870)” Vania Gransinigh, che ne è la curatrice, si è posta l’obiettivo di porre un punto fermo, analizzando senza pregiudiziali un artista che certo non è un semplice comprimario ma un sicuro protagonista dell’arte italiana del suo tempo. Interprete di primo piano di un periodo in cui a trionfare, per fasi successive, furono le poetiche neoclassiche sostituite ben presto da quelle romantiche, con un’apertura finale sul realismo di fine Ottocento. Il percorso espositivo si articolerà in tre precise sezioni: la prima dedicata alla pittura ai soggetti di ambito storico-romantico con una focalizzazione sul dipinto raffigurante Tancredi visita la salma di Clorinda, recentemente ricomparso in una collezione privata; la seconda ai dipinti di soggetto sacro e religioso con un approfondimento dedicato alle commissioni portate a compimento per le città ungheresi di Eger ed Esztergom, la terza si incentra sulla produzione ritrattistica che ricostruisce la ricezione novecentesca del lavoro di Grigoletti permettendo un nuovo confronto visivo tra le opere che vennero esposte da Barbantini nel 1923 a Venezia. E’ l’occasione anche per riproporre sotto nuova luce il Ritratto della famiglia Petich (1845), capolavoro della maturità dell’artista appartenente al museo pordenonese e da poco restaurato grazie ad un importante contributo di CoopAlleanza3.0 .

IMMAGINE DI APERTURAMichelangelo Grigoletti: Susanna e i Vecchioni Olio su tela 188×260 cm. Treviso, Museo Civico

Hermann Parzinger – Insieme. Un nuovo Patto per il patrimonio europeo

Il patrimonio culturale europeo è un mosaico composto da innumerevoli tessere multisfaccettate che, oltre a raccontare il nostro passato e il nostro presente indicano anche la direzione futura. È questa la nostra immensa eredità per le generazioni future e ognuno di noi ha il preciso dovere di difenderla in quanto complesso di beni preziosi ma fragili. La pandemia di coronavirus è la dimostrazione di come le nostre le vite possano cambiare da un giorno all’altro a seguito di un evento imprevisto. Ed è probabile che in futuro emergano nuove minacce in grado rimettere in discussione non solo la nostra sicurezza, la nostra salute e l’ambiente in cui viviamo, ma anche le strutture e i valori della nostra società, oltre che la sua capacità di competere sui mercati globali. Come può l’Europa tenere fede alla sua promessa se prima non si procede a una radicale trasformazione del progetto europeo partendo dalle sue fondamenta, trovando soluzioni innovative e coraggiose per un futuro sostenibile? C’è bisogno di un “New Heritage Deal for Europe”, un nuovo Patto per il patrimonio europeo, che porti avanti una trasformazione della società, dell’economia e dell’ambiente “a trazione culturale”. Hermann Parzinger è un archeologo, uno storico e un esperto di patrimonio culturale. Nel 2018 è stato nominato Presidente esecutivo di Europa Nostra, la federazione paneuropea per il patrimonio culturale che rappresenta le organizzazioni della società civile impegnate nella salvaguardia del patrimonio culturale e naturale europeo. Tra le principali attività condotte da Europa Nostra fin dal 2013 figura il Programma “I 7 più a rischio”, realizzato in collaborazione con l’Istituto Banca europea per gli investimenti (BEI). Questo è il quindicesimo essay della serie Big Ideas creata dalla Banca europea per gli investimenti.

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IMMAGINE DI APERTURA – Foto di ahlams da Pixabay 

Gustav Klimt – “Uno stile nuovo conquistato combattendo”

di Sergio Bertolami

16 – Dopo la Künstler-Compagnie il “periodo d’oro”.

Klimt non amava viaggiare, racconta il suo biografo Christian M. Nebehay. Gli bastava allontanarsi da casa per essere colto da un’eccessiva nostalgia. Adorava, però, l’Italia e ci venne ripetutamente, ma, per esempio, una volta rifiutò un lungo soggiorno a Firenze, proposto dallo scultore Max Klinger, che l’anno precedente aveva acquistato Villa Romana, immersa in 15.000 mq di parco. Su iniziativa del mecenate Harry Graf Kessler, Klinger aveva costituito nel 1903 – insieme ad Alfred Lichtwark , Max Liebermann , Lovis Corinth , Max Slevogt, Walter Leistikow – la Deutsche Künstlerbund, un’associazione di artisti tedeschi, con lo scopo di raggruppare le varie correnti sovranazionali in cui erano sfaccettate le Secessioni, così da promuoverne l’attività. Con i fondi messi a disposizione, fu acquistata questa bella villa neoclassica di 40 stanze, alla periferia di Firenze, per renderla disponibile come residenza ed atelier. Permetteva agli artisti vincitori dell’omonimo Premio Villa Romana (tutt’ora esistente) di soggiornare a Firenze, fruendo altresì di una borsa di studio. Da allora, ogni anno la villa ospitò, fra gli altri, Georg Kolbe (1905), Max Beckmann (1906), Käthe Kollwitz (1906) e Ernst Barlach (1908). Quattro vincitori del Premio l’anno, per un periodo di dieci mesi. Gustav Klimt, nel 1906, nonostante tutto rifiutò. Probabilmente non fu solo la nostalgia a pesare sull’animo dell’artista. Forse lo condizionò anche lo scioglimento della Künstler-Compagnie – lo studio di arti decorative aperto col fratello Ernst e Franz Matsch – e la malattia nervosa che seguì alle violente critiche che sfociarono nel rifiuto dei suoi dipinti allegorici per il soffitto dell’aula magna dell’Università di Vienna. Dipinti giudicati troppo carichi di pessimismo e di simbolismo erotico, per non dire addirittura pornografici. Klimt non parlava molto, ma era solito rispondere alle domande: «Chi vuole sapere di più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio». Tanti putiferi portarono comunque il pittore ad una reazione estrema: non accettare più commissioni pubbliche e lavorare soltanto per una ricca élite di committenti privati. Questa decisione incise sulla sua espressività artistica, perché i successivi dipinti murali furono caratterizzati da un disegno lineare e dall’uso audace di motivi decorativi, piatti nel colore. Il fregio di Beethoven (1902) e i mosaici per la sala da pranzo di palazzo Stoclet a Bruxelles (1905-1909), furono l’espressione diretta di questa nuova tendenza dell’artista.

L’ingresso a Villa Romana, 1914 (Studio Lois Held)

Incurante delle critiche al suo lavoro per l’Università, Klimt portò a termine in contemporanea anche il Fregio di Beethoven, realizzato per la 14ª mostra della Secessione viennese, che si svolse dal 15 aprile al 27 giugno del 1902. Fu allestita negli spazi espositivi del Palazzo della Secessione, trasformato in un tempio laico dedicato al grande compositore tedesco. Qui ebbe modo di lavorare con Max Klinger, che per il centro della grande sala espositiva aveva effigiato Beethoven, componendo una scultura in marmi policromi, alabastro, bronzo e avorio. Il fregio dipinto da Klimt, che adornava il fondo della sala adiacente, dal momento che era destinato soltanto alla mostra, fu realizzato direttamente sulle pareti. In fatto di allestimenti, l’artista aveva fatto esperienza con la Künstler-Compagnie, avendo decorato tramezzi, soffitti, sipari, con le tecniche artigianali che la tradizione consentiva. Per ottenere gli effetti visivi desiderati, sulla superficie pittorica a fresco, ricoperta da colori alla caseina, inserì frammenti di specchi, vetri policromi, pietre dure, madreperla, e persino chiodi da tappezziere. Stese, perciò, un intonaco su di un cannucciato di due metri d’altezza e ben ventiquattro di lunghezza. Una fortuna, perché dopo la mostra, il dipinto suddiviso in sette pannelli poté essere staccato, per entrare a far parte prima della collezione dell’industriale della birra Carl Reininghaus, quindi dal 1915 in quella di August Lederer, la seconda famiglia più ricca di Vienna, dopo i Rothschild, con un patrimonio accresciuto grazie a distillerie e amido. L’opera di Klimt rileggeva l’ultimo movimento della nona sinfonia di Beethoven e, con una visione simbolista, svolgeva a nastro il tema dell’eterna lotta tra bene e male alla ricerca della felicità. Le tre scene allegoriche rappresentavano il trionfo dell’arte sulle avversità – perché solo le arti conducono in un regno ideale – ma in modo del tutto differente, perché la tridimensionalità della pittura realizzata per i tre dipinti di Filosofia, Medicina e Giurisprudenza, non esisteva più. Klimt l’aveva sostituita con una pittura lineare e bidimensionale, un astratto richiamo all’arte vascolare greca e alla pittura egizia.

L’Omaggio a Beethoven, nell’angolo alto il Fregio di Gustav Klimt. Nella sala attigua la scultura di Max Klinger
Josef Hoffmann, pianta dell’allestimento dell’Omaggio a Beethoven (1902). Nella sala centrale la statua di Max Klinger, in quella di sinistra il Fregio di Gustav Klimt.

Klimt si richiamò al tema del fregio di Beethoven anche per le tre scene dipinte nella sala da pranzo di palazzo Stoclet. Nel 1904 l’architetto Joseph Hoffmann era stato incaricato dal ricco industriale Adolphe Stoclet di erigere l’imponente e sontuoso palazzo dell’Avenue de Tervueren a Bruxelles (dal 2009 inserito nel patrimonio mondiale dell’UNESCO). Stoclet, ingegnere, finanziere, collezionista d’arte, aveva dato a Hoffmann ampio mandato di edificare la propria villa di famiglia. Senza limiti di spesa. Dimostrazione questa, che spesso è l’apertura mentale e la disponibilità economica della committenza a far mettere in luce le qualità degli artefici; anche se vale il caso contrario, perché una ricca committenza (quella illuminata) non si rivolgerebbe mai a dei mediocri. Nel progetto Hoffmann interessò molti artisti e artigiani viennesi, con l’obiettivo di realizzare quella Gesamtkunstwerk, cioè l’opera d’arte totale, tanto teorizzata e divenuta, con questa opportunità unica nel suo genere, finalmente possibile a realizzarsi. Un’opera in cui arti applicate e figurative si fondevano con la spazialità propria dell’architettura vera, connessa al binomio invaso-involucro. Hoffmann eseguì il progetto in accordo con il committente. Alla Wiener Werkstätte fu affidata la progettazione artistica e Fritz Waerndorfer convenne con i soci fondatori dell’importante laboratorio d’arte – Koloman Moser e lo stesso Josef Hoffmann – di affidare a Gustav Klimt, il disegno di un fregio spettacolare che avrebbe decorato la sala da pranzo del palazzo. L’intervento previde l’apporto di molti artigiani e artisti qualificati come Michael Powolny, Franz Metzner, Bertold Löffler. In particolar modo, il laboratorio di mosaico della Wiener Mosaic-Werkstatte, diretto a Leopold Forstner, mise in opera gli esecutivi di Klimt, impegnando specialisti in metallo e oreficeria, ceramica e smalto. È probabile che Klimt abbia redatto nel 1905 il primo progetto, immaginando una scena paradisiaca con viticci d’oro, fiori, uccelli e personaggi. Ma è altrettanto probabile che, nel 1908, l’artista abbia richiesto significative modifiche di progetto prima dell’esecuzione del mosaico definitivo. L’opera realizzata a Vienna fu installata a Bruxelles nel 1911 alla presenza di Klimt. Il fregio si trova nella grande sala da pranzo di 6×12 metri, quindi un perfetto rapporto dimensionale di uno a due. Qui nulla è lasciato al caso e ancora oggi tutto è conservato com’era allora. Si accede da due porte contrapposte sui lati lunghi, sia dalla hall che dalla sala colazioni. Al centro c’è un tavolo da pranzo allungato e scuro, contornato da rigide sedie rivestite in pelle nera e oro goffrato. Il pavimento è concepito con piastrelle nere, bianche e giallastre, a scacchiera. Un grande tappeto decorato con ornamenti color oro copre l’area sotto il tavolo. Nei due lati lunghi sono disposti i buffet in marmo nero Portovenere e, sopra di questi, sono incastonati i due fregi musivi di Klimt. Ciascuno, alto due metri e lungo sette, è caratterizzato da una rappresentazione figurativa: da un lato una donna sola, dall’altro una coppia stretta in un abbraccio. Sebbene in molte pubblicazioni siano denominate Aspettativa e Realizzazione, lo stesso Gustav Klimt ha definito le due scene come Ballerina e Abbraccio. Il motivo fondamentale del fregio è un grande albero stilizzato con ramificazioni a spirale. Simboli della ciclicità della vita, di una coscienza che si evolve, progredisce, matura, ma riprodotta al contrario di una coscienza che degenera fino a fermarsi.

Fregio di palazzo Stoclet, pannello di sinistra, L’aspettativa (La ballerina) da Wikipedia
Fregio di palazzo Stoclet, pannello di destra, La realizzazione (L’abbraccio) da Wikipedia

Nell’agosto 1903, Klimt descriveva, in una lettera indirizzata a una sua amica, il programma delle sue giornate estive che ogni anno trascorreva all’Attersee, l’incantevole specchio d’acqua in Alta Austria: «È molto semplice e piuttosto regolare. Alla mattina presto, in genere alle 6, poco prima o poco dopo, mi alzo; se il tempo è bello, vado nel bosco vicino, lì dipingo un boschetto di faggi (al sole) mescolati a qualche conifera, vado avanti così fino alle 8, poi si fa colazione, e poi si fa un bagno nel lago, con ogni cautela; poi dipingo ancora un po’, un paesaggio lacustre col sole, oppure se il tempo è brutto un paesaggio ripreso dalla finestra della mia camera. A volte al mattino, anziché dipingere, studio i miei libri giapponesi all’aria aperta. Si fa mezzogiorno, dopo mangiato un pisolino o una lettura fino all’ora della merenda, e prima o dopo la merenda un secondo bagno nel lago, non sempre ma spesso. Dopo la merenda nuovamente dipingo (un grande pioppo al tramonto sotto l’infuriare di un temporale); oppure, a volte, faccio una partita a bocce in un posticino nelle vicinanze, ma di rado; cala il tramonto, si cena, e poi a letto presto, e poi di nuovo il giorno dopo giù dal letto di buon’ora. Qualche volta in questo programma riesco a infilare anche una rematina, per rinvigorire un po’ i muscoli». Qualche volta invece riesce ad “infilare” anche qualche viaggio all’estero. In Italia ad esempio. Proprio nella primavera del 1903 Klimt e compie un viaggio a Venezia, Firenze e Ravenna. Visitò due volte Ravenna, nello stesso anno, perché a primavera rimase fortemente colpito dai mosaici bizantini osservati in San Vitale. Rimase impressionato dall’uso semplificato dello spazio bidimensionale, da quegli sfondi dietro maestosi personaggi come Teodora, Giustiniano e la loro corte. Immagini rarefatte, irreali, restituite dalle superfici brillanti e dorate. Ecco perché a dicembre decise di tornare: voleva studiare in modo approfondito la tecnica musiva, e soprattutto le potenzialità espressive dell’oro. Prendono vita, così, alcuni dei capolavori noti a tutti, quando si parla di Klimt. Si identificano col cosiddetto “periodo d’oro”. Si era già servito di questo prezioso materiale in opere precedenti, d’altra parte per un’artista, figlio di un orafo incisore, l’oro è il ricordo dell’infanzia. Aveva adoperato l’oro, ad esempio nelle due versioni dell’Allegoria della musica (1895 e 1898) o in Pallade Athena (1898), in Nuda Veritas (1899) e in Giuditta I meglio noto col titolo di Salomè (1901), e nuovamente nel Fregio di Beethoven (1902). Dopo il viaggio in Italia Klimt, tuttavia, utilizzò l’oro in maniera sistematica, non solo applicato in foglia, ma anche nella struttura compositiva a incastro di tessere preziose, cha tanto ricordano i mosaici di San Marco a Venezia. Hanno lo scopo di separare i personaggi rappresentati da qualsiasi legame con il contesto oggettivo e proiettarli nella dimensione poetica.

Scrive Ludwig Hevesi: «Ero tornato dalla Sicilia solo da quattro giorni e avevo ancora addosso tutta l’ebbrezza dei mosaici […] questo mi venne in mente mentre ero davanti al dipinto di Klimt. Questo mi illuminò con il suo oro […] Uno stile nuovo conquistato combattendo, dopo tutte le orge pittoriche dell’ultimo decennio. Una forma e un colore più solenni e religiosi». In verità, di religioso i ritratti di Klimt hanno poco. Non di certo Pesci d’oro (1901-1902) che, per lo scalpore suscitato, Klimt sarcasticamente pensò di dedicare quelle nudità Ai miei critici. Neppure le due versioni di Giuditta: la prima con la testa di Oloferne (1901) esaltazione della femme fatale, ammaliatrice e vendicativa; la seconda (1909) dove più che la testa del decapitato sono messi in mostra i seni nudi della seduttrice. Non certamente Il bacio (1907-1908) dove i due innamorati sono ricoperti di simboli allusivi al sesso. Né tantomeno in Danae (1907-1908) fecondata nel sonno dalla pioggia d’oro di Zeus. Si capirà che la libertà provocatoria con la quale Klimt trattava i suoi soggetti non poteva che accendere polemiche. Il suo messaggio anticonformista era affidato all’eros, rappresentato da una immagine femminile depositaria della vita e della bellezza. Basti guardare alle Tre età della vita (1905). In primo piano, l’artista raffigurò una delicatissima scena di maternità: la bambina assopita serena tra le braccia della mamma, anche lei con un’espressione di felicità interiore. Ma è la terza figura della nonna, con il corpo marcato dagli anni, a restituire la sensazione del tempo che trascorre. Il dipinto vinse il premio all’Esposizione d’Arte Internazionale di Roma del 1911 e dall’anno successivo è ammirato nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Manco a dirlo, anche questo dipinto destò clamore.

Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, 1907, 138×138 cm, Neue Galerie, New York

Non fu esente da critiche neppure un altro dipinto mirabile, Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer (1907). È oggi uno dei quadri più preziosi al mondo, alla stregua di una moderna Monna Lisa. La donna, figlia di un ricco banchiere e moglie del proprietario di uno zuccherificio, è completamente immersa in uno sfondo decorativo, bidimensionale. Un quadro tutto giocato sul geometrismo, a cominciare dal perfetto formato quadrato della tela. Il contrasto fra eros e thanatos, che ne emana, è espresso simbolisticamente dalle mani intrecciate della protagonista, quasi a tentare di fermare la caducità della vita. Quanti occhi hanno guardato lo splendore giovanile di questa donna? Occhi rappresentati nel tessuto della veste, che si trasforma in uno spettacolare turbinio di forme geometriche, in combinazione fra loro, sullo sfondo dorato, nel quale, ancora una volta, campeggia la spirale dell’albero della vita. Beffarde furono le recensioni di stampa. L’avere impiegato, da parte di Klimt, quella profusione di lamine d’oro e argento, portò a coniare un graffiante calembour: «Mehr Blech als Bloch», come dire “Più lamiera che donna”, gioco di parole tra Blech (foglio di lamiera) e Bloch, il cognome dell’eterea Adele nel dipinto raffigurata.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Milano – ADELISA SELIMBAŠIĆ Non ci incontreremo mai così giovani

Milano – State of – 6 maggio/6 giugno 2020
ADELISA SELIMBAŠIĆ Non ci incontreremo mai così giovani

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L’esposizione, realizzata in collaborazione con IPERCUBO, presenta venticinque opere, alcune di grandi dimensioni, i cui soggetti sono esclusivamente personaggi femminili.

Adelisa Selimbašć, Non voglio le tue rose prive di emozioni,30x30cm, olio su tela, 2021

Dal 6 maggio al 6 giugno 2021, gli spazi di State Of a Milano, in via Seneca 4, nel quartiere di Porta Romana, presentano la prima personale di Adelisa Selimbašić (Karlsruhe, Germania, 1996), dal titolo Non ci incontreremo mai così giovani, ospitata presso lo spazio.

L’esposizione, curata da Luca Zuccala, e realizzata da IPERCUBO, propone venticinque opere, alcune di grandi dimensioni, i cui soggetti sono esclusivamente personaggi femminili.

Nei lavori di Adelisa Selimbašić, la rappresentazione della donna, còlta all’interno di situazioni quotidiane,è associata a dettagli onirici. Questa tensione è sottolineata dall’artista italo-bosniaca, ma che vive e lavora a Milano, attraverso un particolare uso del colore in cui i cromatismi vengono successivamente enfatizzati per conferire alle superfici una matericità quasi tridimensionale.

L’uso del colore è al servizio di uno degli interessi centrali della pittura di Selimbašić, ovveroquello di spostare la percezione del corpo femminile da una visione convenzionale verso un altro punto di vista: quello dello sguardo femminile, in cui la bellezza imperfetta delle donne nude in natura e l’erotismo che trasmettono, sfidano ciò che l’immaginario collettivo attribuisce all’esposizione pubblica del corpo femminile.

La presa di posizione di Adelisa Selimbašić non deve essere intesa come un’espressione di natura politica, ma finalizzata a generare consapevolezza su ciò che sono il mondo femminile e la sessualità. Come dichiara la stessa artista: “Non mi definisco una femminista, bensì un’artista che vuole finire, attraverso la pittura, con tutti quegli atti e atteggiamenti ripetuti nel tempo che ci hanno portato a produrre l’illusione di una identità di genere fissa e determinata, e del corpo come medium passivo segnato da essa”.

Il titolo, Non ci incontreremo mai così giovani, gioca con l’ironia e la sospensione del tempo in una sottile vena poetica, che genera una sorta di disorientamento e ambiguità, che induce lo spettatore-lettore a soffermarsi per una ulteriore riflessione. In alcuni dipinti, infatti, è possibile vedere ombre proiettate che seguono direzioni diverse e contrastanti come se ogni soggetto del quadro appartenesse a un luogo e tempo diverso, o come se dimensioni temporali differenti si sovrapposero.

Adelisa Selimbašć (Karlsruhe 1996. Vive e lavora a Milano) sta terminando il Biennio specialistico in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha partecipato, tra gli altri, ai premi Combat, Arte Laguna Prize, Contemporaneamenti, StArt e ShinglleJ22 Prize. Tra i suoi interventi in mostre internazionali si ricordano quello al Museo Nikola Tesla di Zagabria (HR) e alla Sunny Art Center Gallery di Londra (UK). Il suo lavoro è stato presentato alla mostra De Pictura alla Galleria Gare82, Brescia (BS).

Parallelamente ha preso parte a diverse iniziative e laboratori, tra cui una partecipazione all’Open Workshop di Carlo Di Raco a Forte Marghera e vari progetti artistici, tra cui una collaborazione per la realizzazione dell’opera “Montagne De Venise” di Yona Friedman con Jean BaptisteDecavéle.

Ha esposto in numerose mostre collettive presso il Museo Civico G. Fattori di Livorno; Arsenale di Venezia a cura di Igor Zanti; Arsenale di Iseo (BR), Museo Archeologico di Anzio (RO) e Galleria Renata Fabbri, Milano.

Inoltre, ha partecipato alla residenza artistica Fuori dal Vaso, presso la sede Vulcano a Mestre (VE), curata da Daniele Capra e Nico Covre, e d è in residenza attualmente in Via Farini (VIR), Milano.

State of è un nuovo spazio espositivo situato nella zona residenziale di Porta Romana e ospitato da Aretè Showroom, un vasto ambiente coordinato dal titolare e promotore del progetto, Gianluca Grilanda. State of si relaziona ad Aretè con la premessa di creare una piattaforma artistica e culturale multidisciplinare che, traendo linfa dall’approccio versatile che connota lo spazio ospitante, esplori i molteplici linguaggi dell’arte contemporanea, dalla pittura alla ricerca sperimentale emergente, rispecchiando lo studio e la formazione dei due coordinatori del progetto, Manuela Nobile e Luca Zuccala, a cui si aggiunge una ricerca sui linguaggi di espressione intersoggettivi e post-mediali del curatore interno dello spazio, Dario Moalli.

IMMAGINE DI APERTURA – Adelisa Selimbašć, Non ci sono pareti, 24x18cm olio su tela, 2021

Milano, Fabbrica del Vapore – Christian Tasso NESSUNO ESCLUSO

Milano, Fabbrica del Vapore – Dal 5 al 28 maggio 2021
Christian Tasso NESSUNO ESCLUSO
Un progetto di ART for The World – A cura di Adelina von Fürstenberg

Apre il 5 maggio a Milano alla Fabbrica del Vapore – Sala delle Colonne, NESSUNO ESCLUSO, la coinvolgente mostra di Christian Tasso, a cura di Adelina von Fürstenberg, prodotta da ART for The World, (www.artfortheworld.net) dove l’artista fa emergere, attraverso le sue fotografie, storie, situazioni e aspirazioni di persone con disabilità in varie parti del mondo. Le immagini non mettono in evidenza la loro “diversità”, ma il forte contributo che la loro inclusione porta alla società.

Christian Tasso (Macerata, 1986. Vive e lavora tra l’Italia e la Svizzera) è artista e regista, vincitore di premi internazionali. Sviluppa progetti a medio e lungo termine su temi come la comunità, i costumi e i rituali, la ricerca dell’identità attraverso e con gli altri, l’interazione tra umanità e natura e il rapporto tra memoria e territorio. La condivisione delle esperienze, la curiosità verso il genere umano, la ricerca del rapporto tra memoria e territorio, il legame con la natura, sono i tratti distintivi di Tasso. (www.christiantasso.com)

Con NESSUNO ESCLUSO l’artista presenta una serie di lavori fotografici di grande e medio formato – esclusivamente in pellicola sviluppata manualmente in camera oscura – che celebrano la diversità come risorsa per l’intera umanità. Con questo specifico lavoro, Christian Tasso ha voluto ispirarsi a situazioni e persone in diverse parti del mondo (Italia, Ecuador, Romania, Nepal, Germania, Albania, Cuba, Mongolia, India, Irlanda, Svizzera, Kenya, Cambogia, Paraguay ed Etiopia) che abbracciano la “diversità” come una risorsa integrata nel contesto sociale in cui vivono. Presentando al pubblico stralci di vita delle persone con disabilità, la mostra NESSUNO ESCLUSO è uno strumento di incontro e avvicinamento all’inclusione. Ogni immagine scattata da Christian Tasso riflette sulla storia personale del soggetto fotografato prima di tutto come individuo con la sua storia e con le sue ambizioni personali: la disabilità diventa così un elemento tra i tanti che costituiscono la sua identità. La serie fotografica cerca di liberare lo sguardo dell’osservatore da visioni basate sulla disinformazione e su idee oggi controverse riguardanti le persone con disabilità. Diversamente dalle fotografie estreme della grande fotografa americana Diane Arbus (New York, 1923-1971) sul mondo della diversità, Tasso porta alla luce l’aspetto sensibile e umano dei soggetti che fotografa, facendoci scoprire la loro vita quotidiana, il loro lavoro, il piacere di stare in famiglia e il piacere della vita.

NESSUNO ESCLUSO è a cura di Adelina von Fürstenberg, curatrice d’arte internazionale che ha riunito durante la sua carriera artistica i linguaggi di tutte le discipline, lavorando con artisti innovativi. Ha collaborato con musei e istituzioni culturali d’Europa-Asia-Americhe; ha parlato di donne, di cibo, di inquinamento, di religioni, di scienza e salute, attraverso mostre e grandi eventi. Membro dal 2020 del World Academy of Art and Science, nel 2016 ha ricevuto lo Swiss Grand Prix des Arts “Meret Oppenheim” conferito dall’Ufficio Federale della Cultura e nel 2015 il Leone d’Oro della 56. Biennale di Venezia per la “Migliore Partecipazione Nazionale” con il Padiglione Nazionale dell’Armenia. Nel 2008 la sua produzione di ventidue cortometraggi “Stories on Human Rights” ha ricevuto il riconoscimento per “Miglior Evento Culturale in Europa nel 2008” dal Consiglio d’Europa. La sua più recente produzione è il film “Interdependence”, premiato come migliore lungometraggio narrativo al London Eco Film Festival 2020-2021, e composto da undici cortometraggi sull’ambiente e il cambiamento climatico con registi internazionali tra cui Silvio Soldini, Daniela Thomas, Faouzi Bensaidi.

NESSUNO ESCLUSO è una produzione ART for The World (www.artfortheworld.net), ONG associata all’UNDPI delle Nazioni Unite, che trae ispirazione dall’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e che proclama: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici». Le iniziative promosse da ART for The World sono collegate fra loro dalla diffusione della cultura contemporanea e dalla difesa dei valori universali.

Il libro con le immagini della mostra, edito da Contrasto è consultabile in mostra e acquistabile sull’eshop
della casa editrice (www.contrastobooks.com).

Per visitare la mostra è necessaria la prenotazione online: www.eventbrite.it
La mostra resta aperta al pubblico dal 5 al 28 maggio, 2021.
L’ingresso è gratuito, dal lunedì al venerdì in orario 12-19.
Entrata contingentata con mascherina obbligatoria.

Christian Tasso

Christian Tasso (Macerata, 1986. Vive e lavora tra l’Italia e la Svizzera) è artista e regista, vincitore di premi internazionali. Sviluppa progetti a medio e lungo termine su temi come la comunità, i costumi e i rituali, la ricerca dell’identità attraverso e con gli altri, l’interazione tra umanità e natura e il rapporto tra memoria e territorio. La condivisione delle esperienze, la curiosità verso il genere umano, la ricerca del rapporto tra memoria e territorio, il legame con la natura, sono i tratti distintivi di Tasso. Nel 2007, con il primo progetto “The Last Drop” (vincitore del premio “Fotoleggendo”, Roma, nel 2008) condivide per sei mesi la casa e il lavoro di una famiglia di contadini marchigiani, per raccontarne la vita quotidiana. Nel 2009 comincia il progetto “Saharawi”, commissionato da una piccola realtà no profit, in cui documenta la vita delle persone con disabilità nel Sahara occidentale. Da questa esperienza nasce il progetto fotografico “Nothing and so be it”, vincitore del premio “The Aftermath Project” a Los Angeles nel 2011. Nel 2013 si trasferisce presso l’Hotel House di Porto Recanati, complesso edilizio che ospita persone appartenenti a 32 etnie diverse, spesso stigmatizzato dai media come luogo di illegalità e violenza. Qui realizza i ritratti dei suoi abitanti, raccontandone le storie con l’obiettivo di restituirne la dignità umana. Nel 2016 realizza il documentario “MadrEmilia”, commissionato dall’Università di Modena e Reggio- Emilia e focalizzzato sulla vita di Pier Vittorio Tondelli, distribuito dalla RAI l’anno successivo. A partire da questo momento, l’impostazione giornalistica lascia sempre più spazio ad una ricerca autoriale applicata alla fotografia. Nel 2014 dà vita al progetto “QuindiciPercento”, incentrato sulle esperienze di disabilità nel mondo (Italia, Ecuador, Romania, Nepal, Germania, Albania, Cuba, Mongolia, India, Irlanda, Svizzera, Kenya, Cambogia, Paraguay ed Etiopia) esposto in diversi luoghi, tra cui la sede delle Nazioni Unite a Ginevra, nel 2018. Ottanta foto di questo progetto sono pubblicate dalla casa editrice Contrasto, nel volume “NESSUNO ESCLUSO”, distribuito a partire dal 3 Dicembre 2020, giornata internazionale delle persone con disabilità.

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Adelina von Fürstenberg

Fondatrice del Centre d’Art Contemporain di Ginevra e ex-direttice del Centre National d’Art Contemporain e de Le Magasin, Scuola internazionale di Curatori, Adelina von Fürstenberg ha fondato le due associazioni ART for The World e ART for the World, Europa, associate all’UNDPI (Dipartimento d’Informazione Pubblica delle Nazioni Unite); cittadina svizzera di origini armene, è una curatrice d’arte internazionale e produttrice indipendente di cortometraggi, che lavora con artisti e registi di varie generazioni e di vari continenti. Pioniera in questo campo, le attività di von Fürstenberg si sforzano di dare un contesto più ampio alle arti creando dialoghi vivaci sulle questioni essenziali del nostro tempo.
Membro dal 2020 del World Academy of Art and Science, nel 2016 ha ricevuto lo Swiss Grand Prix des Arts «Meret Oppenheim» conferito dall’ Ufficio Federale della Cultura e nel 2015 il Leone d’Oro del 56. Biennale di Venezia per la «Migliore Partecipazione Nazionale» del Padiglione Nazionale dell’Armenia di cui ne é stata la curatice. Nel 2008 la sua produzione di 22 cortometraggi «Stories on Human Rights» ha ricevuto il riconoscimento per «Miglior Evento Culturale in Europa nel 2008» dal Consiglio d’Europa, mentre nel 1993 la «Menzione Speciale» della Giuria della 45.ma Biennale di Venezia per la Direzione della Scuola di Curatori di Magasin – Centre National d’Art Contemporain, Grenoble.
Tra le mostre più imporanti Donna, Donne, Palazzo Strozzi Firenze, 2005-2006, e le mostre itineranti FOOD, al SESC Pinhieros a Sao Paulo e al MuCem di Marsiglia, 2014-2015 e AQUA al Chateau de Penthes, Ginevra, SESC Belezhino, Sao Paulo, in Brasile e l’Isola dei Pescatori, Lago Maggiore, 2017 -2018-
Adelina von Fürstenberg ha prodotto con ART FOR THE WORLD in questi ultimi 10 anni, più di 45 cortometraggi con registi indipendenti noti per il loro talento artistico oltre che per il loro impegno rispetto ai temi relativi ai valori univerali, in particolare nel 2019 il lungometraggio Interdependence composto da 11 corti di registi provenienti dai 5 continenti sull’Ambiente e il Cambiamento Climatico premiato per il Best narrative Feature al LONDON ECO FILM FESTUVAL ;2021.. Ha curato recentemente « La ragione tra le mani » di Stefano Boccalini alla Maison Tavel/MAH, Ginevra, vincotore della 8. Edizione del Italian Council, Minstero della Cultura, prodotto insene con la Comuità Montana di Val Camonica e ART for The World Europa.

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IMMAGINE DI APERTURA – Chennai India 2017 ©Christian Tasso