Cinzia Pierangelini – Il Professor Scelestus

Nel Collegio degli Ulivi, aristocratico istituto per ragazzi bene, tre amici e una ragazzina affrontano un’avventura fantastica: il loro buon maestro Lorenzini scompare improvvisamente e viene sostituito da un incredibile insegnante, il professor Scelestus. Il nuovo professore, orribile a vedersi e disgustoso nelle sue abitudini, nasconde un magico segreto. Riusciranno Pipo, Doc, Tyson e Camilla a scoprire cosa si cela dietro quella stramba figura? Tra magie, dottori premurosi, omini verdi e simpatici pappagalli, vivremo le esilaranti avventure dei quattro amici, sino all’imprevedibile finale. Sempre che Scelestus non intralci i nostri piani…

“Il professore puzza come un uovo marcio, non insegna nulla,
ha l’aspetto di un dinosauro carnivoro,
possiede un orologio strano, mangia insetti a colazione,
bisbiglia da solo guardandosi nelle tasche.”

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 



Francesco Vitale – Note su Jacques Derrida, architettura e decostruzione

«L’interesse per l’architettura occupa un lasso di tempo ben definito nell’opera di Jacques Derrida. Almeno ad un primo sguardo. Da Labirinth und Architextur del 1984 a Talking about Writing del1993, poco meno di dieci anni, nel corso dei quali però l’attività è molto intensa: Derrida è tra i promotori della collaborazione tra l’allora nascente Collège international de Philosophie e il Centre de création Industrielle di Parigi. Scrive per la presentazione del progetto generale di Bernard Tschumi per il parco di La Villette a Parigi, collabora con Peter Eisenman al progetto di un sito all’interno dello stesso parco. Dialoga con gli studenti di architettura della Columbia University e con teorici all’avanguardia quali Marc Wigley, Jeffrey Kipnis, Anthony Vidler. Nel 1991 interviene al Berlin Stadtforum, al grande simposio dedicato alla ristrutturazione urbanistica di Praga, alla presentazione del progetto di Daniel Libeskind per il Museo ebraico di Berlino. Partecipa ai primi due incontri organizzati da Anycorporation per l’architettura del terzo millennio, nel1991 a Los Angeles, nel 1992 a Yufuin in Giappone. Poi dal 1993 più niente. L’incontro di Derrida con l’architettura, avvenuto per caso, si interromperebbe dunque altrettanto casualmente. Almeno ad un primo sguardo». Chi scrive e approfondisce questo argomento con grande partecipazione è Francesco Vitale, che insegna “Storia delle dottrine estetiche” presso l’Università di Salerno. Vitale ha dedicato all’opera di Derrida, oltre che numerosi articoli, pubblicati in Italia e all’estero, il volume Spettrografie (Genova,2008). Di Derrida ha inoltre curato l’edizione italiana di Economimesis. Politiche del bello (Milano, 2004) e la prima raccolta di tutti gli scritti che il filosofo francese ha dedicato all’architettura: Adesso l’architettura (Milano,2008).

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL SAGGIO): Politiche della casa. Note su Jacques Derrida, architettura e decostruzione, in F. Filipuzzi e L. Taddio (a cura di), Costruire Abitare Pensare, Milano, Mimesis, 2010.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica tratta dalla copertina del volume

Messina Biblioteca Regionale: “Ho fatto un sogno sulla mia città…”

Lunedì 7 giugno 2021, alle ore 10, presso il Salone Eventi della Biblioteca Regionale “Giacomo Longo” si svolgerà, nel rispetto delle norme di contrasto epidemiologico al Covid, “Ho fatto un sogno sulla mia città…..Messina nell’immaginario degli studenti degli Istituti Superiori”, manifestazione conclusiva del Progetto Scuola 2019-2020.
La partecipazione è limitata alla presenza di quanti in rappresentanza della Biblioteca e degli Istituti scolastici, le Autorità invitate e i giornalisti.
Sarà postato, a decorrere da giorno 8 giugno p.v., sulla pagina Facebook d’Istituto il video completo della manifestazione conclusiva: https://www.facebook.com/bibliotecaregionaledimessina/?ref=bookmarks

Manifesto

IMMAGINE DI APERTURA – Il manifesto dell’evento.

Javier Cercas – La visione e il cammino

Che cos’è l’Europa? Un continente frammentato nei secoli dalle guerre, dai conflitti di confine e dalla diversità culturale. Come europei, non possediamo una lingua comune o una storia comune, ma abbiamo una comunanza: sono le nostre radici, esigenze e ambizioni. Queste somiglianze ci hanno portato a realizzare quella che, alla fine della Seconda guerra mondiale, avrebbe potuto essere definita un'”utopia ragionevole”: l’Unione europea. Lo scrittore spagnolo Javier Cercas esplora l’Europa e gli europei, il nostro passato, i conflitti, le ideologie e le persone che hanno forgiato l’Europa, così come la conosciamo oggi. Anche se non tutte le domande riescono a trovare una risposta definitiva, la conclusione sembra inevitabile: l’Europa sarà unificata, naturalmente, prima o poi, malgrado tutte le ostilità. Questo è l’undicesimo essay della serie Big Ideas creata dalla Banca europea per gli investimenti. Su invito della BEI, leader di fama internazionale hanno fornito il proprio contributo riguardo alle tematiche più rilevanti del nostro tempo. Gli essays testimoniano che un nuovo modo di pensare si è reso necessario per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente, eliminare le disuguaglianze e migliorare le vite delle persone intorno a noi.

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IMMAGINE DI APERTURA – Copertina del Libro 



Paola Ardizzola – Il viaggio strumento di conoscenza: Il Giappone di Bruno Taut

Il 3 maggio 1933, Taut arriva in Giappone, da Berlino, accusato di bolscevismo. Durante il viaggio prende nota di impressioni e schizzi che verranno pubblicati come Verso il Giappone e Taccuino di viaggio. Nell’estate del 1933 scrive il primo saggio Il Giappone visto con gli occhi europei, una panoramica critica dello sviluppo artistico del Giappone all’inizio del XX secolo, mentre le caratteristiche fondamentali dell’architettura giapponese enfatizzano i valori di semplicità e purezza dell’architettura del XVII secolo, come nella villa imperiale Katsura e nel santuario di Ise, punti di riferimento della moderna architettura giapponese. Infine, il corposo libro Houses and people of Japan è un reportage di viaggio all’interno dell’architettura tradizionale e dell’urbanistica storica, che si conclude con il report della visita a Katsura: nella semplicità e nella purezza delle sue proporzioni, Taut riconosce le matrici del Modernismo.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL SAGGIO): Il viaggio come strumento di conoscenza: il Giappone di Bruno Taut nei suoi appunti, saggi e disegni

IMMAGINE DI APERTURA – Copertina del volume

Artisti italiani uniti contro il Covid-19. Arthemisia approda al MAC USP di San Paolo in Brasile

Artisti italiani uniti contro il Covid-19.
Arthemisia approda al MAC USP di San Paolo in Brasile con un progetto del tutto inedito e dal respiro internazionale. Per la prima volta al mondo viene presentata la mostra
“Além de 2020. Arte italiana na pandemia”,
un’esposizione di reazione e di forte ispirazione sociale che presenta circa 40 opere di 30 artisti italiani e il racconto di 10 iniziative che hanno coinvolto centinaia di artisti

29 maggio – 22 agosto 2021
MAC USP Museu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo, Brasile

Abel Zeltman Así se baila el tango 2020
Carboncino acrilico su tela, 195×275
cm Courtesy Abel Zeltman

Una grande prima mondiale: dal 29 maggio al 22 agosto 2021 al MAC USPMuseu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo viene presentata la mostra Além de 2020. Arte italiana na pandemia, un progetto espositivo tutto italiano pensato per dar voce a un’arte che non si è mai fermata e che nella pandemia ha trovato nuova linfa.

Con nuove forme di espressione e di reazione al cambiamento, il mondo dell’Arte ha individuato nell’emergenza sanitaria un’occasione di riflessione, ispirazione, collaborazione e umanità. A livello mondiale, durante la pandemia sono stati infatti tantissimi gli artisti che hanno sentito un forte richiamo e, in prima persona, hanno voluto dare il loro sostegno alle comunità più colpite, talora mettendo all’asta le proprie opere, talora donandole o raccogliendo fondi che potessero fare da supporto economico alle più varie situazioni di emergenza.
Grande fermento, voglia di reazione e forte senso sociale sono stati soprattutto i motori di un fenomeno tutto italiano che ha smosso non solo gli artisti in prima persona ma anche molte realtà istituzionali che hanno dovuto adeguarsi e far fronte alle nuove necessità.
Da qui, l’idea di dar vita a un progetto che fornisse da una parte una panoramica sulla reazione creativa degli artisti alla pandemia e al lockdown, analizzando l’impatto che l’isolamento ha avuto sulla loro produzione; dall’altra il racconto di come le istituzioni protagoniste della scena contemporanea si siano attivate sia ideando nuovi linguaggi di fruizione e art-sharing sia promuovendo iniziative di fund-raising che hanno messo l’Arte al servizio dell’emergenza sanitaria.

Con circa 40 opere tra dipinti, sculture, fotografie, video, installazioni, fumetti e disegni, la mostra Além de 2020. Arte italiana na pandemia è organizzata da Arthemisia con il generoso supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di San Paolo e del Consolato Generale d’Italia di San Paolo ed è curata da Teresa Emanuele e Nicolas Ballario.

Além de 2020 fa il suo esordio a San Paolo, su impulso delle istituzioni italiane e non è un caso. Questa mostra che racconta l’arte contemporanea italiana, in particolare durante la pandemia, approda nella metropoli più grande dell’America Latina che è anche la città con più discendenti italiani al mondo (stimati nella sola città circa 5 milioni). È una scelta che intende sottolineare come anche nella fase della pandemia il legame indissolubile che unisce San Paolo all’Italia, che tanto ha dato alla città brasiliana anche a livello culturale e artistico (basti pensare alla figura dell’Architetta Lina Bo Bardi), si sia ulteriormente rinsaldato. Le migliaia di attestati di vicinanza e solidarietà, le lettere aperte, le offerte di volontariato registrate, con cui nei primi mesi del 2020 i paulisti hanno teso e non solo metaforicamente la loro mano all’Italia, hanno unito ulteriormente questi due mondi tra quelli più colpiti dalla pandemia. Além de 2020 intende celebrare tutto ciò.

Riccardo Beretta
Car nous sommes où nous ne sommes pas #03 2020
Ricami e velluti dipinti su tela di lino, 94×94 cm Courtesy Riccardo Beretta
Ph. Andrea Rossetti

LA MOSTRA

Alla base del progetto espositivo c’è una vera e propria “chiamata alle armi” rivolta agli artisti che sono stati invitati a condividere il frutto delle proprie riflessioni di questo ultimo anno attraverso il prestito di una o più opere che potessero raccontare il loro stato d’animo e la direzione della loro ricerca.
È anche interessante notare come alcuni di loro abbiano, con grande entusiasmo, affiancato ai propri e consueti mezzi espressivi dei media nuovi o comunque secondari, come Icaro che, “nonostante se stesso”, ha disegnato; o Bucchi che ha trasferito il suo segno dalla tela al monitor; o Di Fabio che, non potendo realizzare i suoi affreschi, ha lavorato a dei bozzetti utilizzando pacchi Amazon e pupazzetti Playmobil; o ancora Ventura, che non potendo fotografare si è dedicato al disegno, così come ha fatto lo scultore Savini; e infine Tvboy, street-artist, che ha trasferito uno dei suoi stencil su tela.

Altri artisti invece hanno elaborato il momento attraverso i propri canali espressivi, per scoprirsi talvolta al sicuro nella certezza della propria consapevolezza creativa, talaltra a riflettere su nuovi temi.

Altri ancora hanno investito gli interminabili giorni del lockdown lavorando al proprio archivio per scoprire, come nel caso di Jodice, come fotografie vecchie di decenni apparissero più che mai attuali; o per ritrovare, come Messina, motivazione e ispirazione per rielaborare una sua cella.

A questi si aggiungono Matteo BasiléRiccardo BerettaMaurizio CannavacciuoloTommaso CascellaBruno CeccobelliAron DemetzGianni DessíGiuseppe GalloEmilio LeofreddiGiovanni OzzolaBenedetto PietromarchiCristiano PintaldiFrancesca Romana PinzariDavide QuayolaReborPietro RuffoFabrizio SpucchesMarco TirelliGian Maria TosattiMassimo Vitali e Abel Zeltman.

La mostra si propone anche di offrire una panoramica su tutte quelle iniziative di art-sharing e fund-raising che hanno visto coinvolte tantissime personalità e realtà del mondo dell’arte a 360°, che hanno voluto dare il proprio personale contributo per alleviare le gravi conseguenze sistemiche causate dalla pandemia.
Tra le iniziative di condivisione quelle di Studio Azzurro, che ha reso disponibili online vecchi video dal proprio archivio; ExtraFlags, attraverso il quale il Centro Pecci di Prato ha commissionato a moltissimi artisti delle bandiere da issare fuori dal Museo; o Oliviero Toscani, che attraverso La Repubblica ha invitato la collettività alla condivisione di un proprio autoritratto; o 1 meter closer di Ater Balletto che dimostra come il distanziamento non possa fermare la danza.
Impulsi di fund-raisinig sono invece DaiUnSegno promosso dall’Accademia Nazionale di San LucaArt for Covid-19 della Fondazione PaoliniArte per la Vita in Val d’Aosta; 100 Fotografi per Bergamo di PerimetroL’abbraccio più forte di Valerio BerrutiCOme VIte Distanti di ARF e la vendita fund-raising di mascherine di Ai Wei Wei, grazie alle quali centinaia di artisti hanno donato il proprio lavoro raccogliendo centinaia di migliaia di Euro che sono poi state devolute a sostegno del sistema sanitario duramente messo alla prova dall’emergenza sanitaria.

In mostra è infine prevista la partecipazione del collettivo brasiliano Projetemos, nato durante la pandemia per dar voce alla collettività attraverso proiezioni su edifici pubblici e che allestirà lungo il percorso espositivo una sala dedicata a laboratori didattici performativi.

MAC USPMuseu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo
Il MAC USP nasce nel 1963, anno in cui viene ceduta all’Università di San Paolo l’intera collezione del Museo di Arte Moderna di San Paolo (MAM), composta innanzitutto dalla preziosa collezione del suo fondatore – nonché fondatore della Biennale di San Paolo – Ciccillo Matarazzo e di sua moglie Yolanda Penteado; negli anni successivi la collezione del museo si arricchisce con ulteriori donazioni.
Ubicato nel centro di San Paolo, all’interno dell’imponente complesso architettonico creato negli anni ‘50 dall’architetto Oscar Niemeyer, vanta ad oggi una collezione di circa 10.000 opere fra cui spiccano capolavori di Amedeo Modigliani, Pablo Picasso, Joan Miró, Alexander Calder, Wassily Kandinsky, Lucio Fontana, Henry Moore e Joseph Beuys.
È considerato un punto di riferimento nazionale ed internazionale per l’arte moderna e contemporanea.

Informazioni
Sede
MAC USP Museu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo
Avenida Pedro Álvares Cabral, 1301 – Ibirapuera
São Paulo – Brasil

Ingresso gratuito
Orario
Dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 21.00
(prenotazione obbligatoria)

Sito mostra
www.mac.usp.br
www.arthemisia.it

Link prenotazione
sympla.com.br/visitamacusp

Infoline
T. +55 11 2648.0254

Hashtag ufficiale
#AlemDe2020
#ArteItalianaNoBrasil
#Museuspelavida
Ufficio Stampa Arthemisia
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

St. Moritz (Svizzera) – Giovanni Segantini maestro del ritratto

Dal 1° giugno al 20 ottobre 2021, il Museo Segantini a St. Moritz (Svizzera) ospita la mostra Giovanni Segantini maestro del ritratto. L’esposizione, curata da Annie-Paule Quinsac, autrice del catalogo ragionato di Segantini, e Mirella Carbone, direttrice del museo engadinese, indaga per la prima volta la carriera di Giovanni Segantini come ritrattista. L’artista, eccellente autore di paesaggi e di scene di vita contadina, considerava il ritratto come il più nobile dei generi pittorici, in quanto, com’ebbe a dire “ha come obiettivo l’esplorazione del volto umano (…) Il ritratto è lo studio che colla maggior semplicità di mezzi racchiude la più efficace parola dell’Arte nell’espressione della forma viva”.

ST. MORITZ (SVIZZERA) | MUSEO SEGANTINI
1° GIUGNO – 20 OTTOBRE 2021
GIOVANNI SEGANTINI MAESTRO DEL RITRATTO
Per la prima volta, una mostra indaga, attraverso 22 opere (16 dipinti e 6 disegni), la carriera di ritrattista di Giovanni Segantini.
A cura di Annie-Paule Quinsac e Mirella Carbone

“Bisogna ammettere che il ritratto è il genere artistico e pittorico più impegnativo”
Giovanni Segantini

La rassegna presenta ventidue ritratti e autoritratti (16 dipinti e 6 disegni), provenienti da collezioni pubbliche e private internazionali, realizzati lungo tutta la carriera di Segantini, dagli esordi a Milano (1879) fino alla morte prematura in Alta Engadina (1899). Questi lavori permettono ai visitatori di seguire l’evoluzione della ritrattistica segantiniana da specchio a simbolo, cioè la graduale trasformazione del modo in cui l’artista ha inteso questo genere: partendo dalle opere giovanili, in cui persegue una resa più o meno fedele dei tratti fisionomici, giunge alla concezione del ritratto come veicolo per esprimere un’idea o un simbolo.

Il percorso espositivo si apre con alcune importanti opere del periodo giovanile milanese, come l’affascinante ritratto di Leopoldina Grubicy (1880), sorella di Vittore Grubicy de Dragon, mercante d’arte e amico dell’artista. All’epoca della posa la giovane donna era appena rimasta vedova con due bambini. Segantini ha saputo rendere con grande forza espressiva il volto di aristocratica eleganza del suo modello, in cui gli occhi, che concentrano l’attenzione, esprimono infinita tristezza.

Alle opere milanesi segue una scelta di lavori realizzati durante il soggiorno in Brianza (1881-1886), tra cui il toccante disegno del piccolo Gottardo (1885), il primogenito dell’artista, addormentato dopo aver subito un’operazione.

Al 1886 risale l’effige della contadina Maria Paredi che, grazie alla pennellata violenta, spessa e filamentosa, si potrebbe definire quasi espressionista. Subito dopo il trasferimento a Savognin, nel Cantone dei Grigioni, Segantini realizzò uno degli esempi più belli del suo talento come “esploratore del volto umano”. Si tratta del ritratto monumentale di Vittore Grubicy (1887), nel quale raffigura l’amico su un primo piano fortemente costruito, circondato da alcune tele appena coperte, nell’intento di definirne il lavoro di mercante d’arte. Il volto di Grubicy, raccontato in modo intimista, rilassato, colto durante una discussione con il pittore, rivela una personalità riservata e generosa.

Di appena tre anni più tarda è l’elegia simbolista Petalo di rosa(1890), l’ultima rappresentazione della compagna Bice Bugatti, un capolavoro della ritrattistica segantiniana, ridipinto sopra un’opera dal titolo Tisi galoppante (1881). Il pittore decise qui di cancellare il precedente, lugubre messaggio di malattia e morte, sostituendolo con un simbolo di vita, reso magistralmente anche grazie all’utilizzo di una sperimentazione tecnica, che affondava le proprie radici nel Rinascimento: essa prevede l’utilizzo della polvere e della foglia d’oro, per giungere a una valenza iconica, che coesiste con effetti morbidi di forte sensualità.

È attraverso gli autoritratti che si manifesta in modo ancora più inequivocabile la metamorfosi da specchio a simbolo; la rosa dei sei lavori esposti, i più noti della sua produzione, spazia dal 1879 al 1898, dal primo autoritratto, un’opera realista che rispecchia il fascino dei lineamenti del giovane artista ventenne, fino all’ultimo, che presenta un volto da profeta.

Di particolare effetto è quello del 1882, potentemente imperniato sul rapporto effigie/morte, immagine macabra in cui l’artista si dipinge con forte teatralità, allucinato, spada alla gola, pronto al sacrificio di chi si immola all’ideale di un nuovo culto. Anche la tavolozza si adegua a questo messaggio, con toni cupi, in contrasto con la luminosità accesa di altri ritratti coevi. 

Un ulteriore capolavoro è l’autoritratto del 1895, in cui il simbolismo trascende la resa mimetica della fisionomia verso sembianze bizantineggianti da Cristo Pantocratore, dominante sulla catena dei “suoi” monti. Grazie al grafismo monocromo, rotto solo da tocchi d’oro e gesso bianco, l’immagine si fa icona, mentre la fisicità del colore ne avrebbe intaccato il senso di sacralità.

Accompagna la mostra un catalogo bilingue (italiano e tedesco), pubblicato dalla casa editrice Hatje Cantz.

Tra le iniziative collaterali, si segnalano le visite guidate (in lingua tedesca), condotte da Mirella Carbone, che si terranno domenica 4 luglio, domenica 8 agosto e domenica 5 settembre, alle ore 17.00. Su richiesta sono possibili guide in italiano.

Giovanni Segantini, Autoritratto, 1895, carboncino e tracce di polvere d’oro su tela, proprietà del Museo Segantini a St. Moritz

Giovanni Segantini. Note biografiche

Segantini nacque il 15 gennaio 1858 ad Arco, in provincia di Trento, che allora faceva parte dell’Impero austro-ungarico. Frequentò l’Accademia di Brera a Milano e ottenne il suo primo successo con il dipinto “Il coro della chiesa di Sant’Antonio in Milano” (1879).

Nel 1881 Segantini lasciò Milano e si trasferì con la compagna Bice Bugatti in Brianza. L’allontanamento dalla città e dall’accademia con i suoi canoni e i soggetti mitologici e religiosi obbligati fu una scelta di principio. A quel tempo la Brianza era una regione rurale, Segantini concentrò il suo studio sulla vita quotidiana dei contadini e dei pastori. Nel 1882 nacque il primo figlio, Gottardo; seguirono Alberto, Mario e Bianca.

Nell’agosto 1886 il pittore, dopo un lungo viaggio esplorativo, si stabilì con la famiglia a Savognin, un villaggio di contadini di montagna nell’Oberhalbstein (cantone dei Grigioni). Nell’inverno del 1886/87 il suo mercante d’arte, Vittore Grubicy, gli fece visita e informò il suo protetto sulle tendenze artistiche più moderne in Francia. Fu però soprattutto il paesaggio montano con la sua luce intensa che portò Segantini ad un nuovo linguaggio pittorico. Con il passare del tempo questi arricchì di un contenuto simbolico i paesaggi alpini meticolosamente osservati, in modo da creare visioni allegoriche di rara luminosità. L’allontanamento dalla pittura realista di genere avvenne in una fase di crisi del realismo in tutta Europa.

Dopo otto anni di soggiorno a Savognin, Giovanni Segantini si trasferì in Engadina con la sua famiglia. Nel 1894 prese in affitto lo Chalet Kuoni a Maloja. Anche qui l’artista, i cui dipinti erano tra i più costosi dell’epoca, mantenne il lussuoso stile di vita dell’alta borghesia milanese, sperperando così in breve tempo i guadagni considerevoli. I mesi invernali li trascorreva a Soglio in Val Bregaglia.

All’età di 41 anni, Segantini morì inaspettatamente di peritonite il 28 settembre 1899 sul monte Schafberg sopra Pontresina, mentre stava lavorando al quadro centrale del suo Trittico della natura.

IMMAGINE DI APERTURA – Giovanni Segantini, Costume grigionese, (1887), olio su tela, 54.5 x 78.5 cm, deposito presso il Museo Segantini di St. Moritz, proprietà della Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung.