Tutti pazzi per Klimt! Boom di visitatori e di prenotazioni per la mostra a Palazzo Braschi

Grandissimo successo di pubblico per la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia che, dalla sua apertura lo scorso 27 ottobre, ha visto un’affluenza totale di oltre 30mila visitatori amanti del grande pittore austriaco che con le sue opere ha scritto una delle pagine più significative del Novecento europeo.

KLIMT.
La Secessione e l’Italia

27 ottobre 2021 – 27 marzo 2022
Museo di Roma a Palazzo Braschi

Gustav Klimt
La Sposa, 1917-18
Olio su tela, 165×191 cm
Klimt Foundation, Vienna © Klimt Foundation, Vienna

È un chiaro segnale di ripartenza per il Museo di Roma a Palazzo Braschi e per tutte le iniziative culturali ed espositive nella Capitale ma anche un termometro della forte voglia di partecipazione da parte del pubblico e la prova del potere che ha l’arte di riempire di contenuto il tempo libero.

Dei 32.549 ingressi registrati fino a domenica 14 novembre, sono stati 162 gli alunni e 485 le famiglie, con picchi di 2.277 visitatori nei singoli giorni del weekend di Ognissanti per un totale di 6.831 ingressi tra 30-31 ottobre e 1 novembre e tantissime visite del pubblico straniero, sintomatiche di una effettiva ripartenza anche dei flussi turistici internazionali verso la Capitale.

Si aggiungono, naturalmente, le migliaia di prenotazioni pervenute fino al periodo conclusivo della mostra con soldout soprattutto nei giorni dei fine settimana.

Al successo della mostra stanno contribuendo da un lato il fortissimo coinvolgimento dei visitatori su tutte le piattaforme social e sull’hashtag ufficiale #KlimtRoma, dall’altro il grande apprezzamento di stampa e critica per l’alto livello dell’esposizione dal punto di vista sia scientifico sia allestitivo.

Gustav Klimt
Amalie Zuckerkandl, 1917-1918
Olio su tela, 128×128 cm
Belvedere, Vienna
© Belvedere, Vienna
Photo: Johannes Stoll

Klimt. La Secessione e l’Italia è una mostra promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, co-prodotta da Arthemisia che ne cura anche l’organizzazione con Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con il Belvedere Museum e in cooperazione con Klimt Foundation, a cura di Franz Smola, curatore del Belvedere, Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali e Sandra Tretter, vicedirettore della Klimt Foundation di Vienna.

La mostra vede come main sponsor Acea, special partner Julius Meinl e Ricola, partner Catellani & Smith, radio partner Dimensione Suono Soft ed è consigliata da Sky Arte.


Sede
Museo di Roma a Palazzo Braschi
Piazza San Pantaleo, 10 – 00186 Roma

Informazioni e prenotazioni
T. +39 060608 tutti i giorni ore 9.00 – 21.00
SISTEMA MUSEI DI ROMA CAPITALE

Siti internet
www.museodiroma.it
www.museiincomuneroma.it
www.arthemisia.it

Social e Hashtag ufficiale
@MuseodiRoma
@MuseiInComuneRoma
#KlimtRoma

Uffici Stampa
Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
T. +39 06 69380306

Zètema Progetto Cultura
Patrizia Morici | p.morici@zetema.it
Chiara Sanginiti | c.sanginiti@zetema.it
Lorenzo Vincenti | l.vincenti@zetema.it
T. +39 06 82077 – 371/386/230

Al Salone degli Incanti di Trieste arriva VIDEOGAMES! la mostra internazionale sul mondo dei videogiochi

A partire dal 26 novembre, al Salone degli Incanti di Trieste verrà presentata per la prima volta al mondo la più grande mostra sui videogiochi. Il nuovo progetto di casa Arthemisia, realizzato in collaborazione con il Comune di Trieste, racconta la storia del videogioco dagli anni ’50 a oggi tramite l’esposizione di oltre 200 dispositivi tra consolle, cabinati e giochi vari, ma anche sale immersive, moltissime stazioni interattive per giocare, aneddoti ed esperimenti che hanno reso il videogame uno dei maggiori fenomeni globali di ogni tempo.

Dal 26 novembre, al Salone degli Incanti di Trieste arriva

VIDEOGAMES!

La prima grande mostra internazionale sul mondo dei videogiochi

Aperte le prevendite:
https://www.ticket.it/videogames

Visitatori di tutte le età interessati alla mostra

VIDEOGAMES!, il nuovo progetto a firma di Arthemisia, vuole raccontare la nascita e l’evoluzione dei videogiochi, dai primissimi esperimenti degli anni ’50 fino alle realizzazioni più attuali, consentendo al pubblico di prendere parte attiva alla mostra, giocando con la maggior parte dei dispositivi, vecchi e nuovi.

Spesso guardato con sospetto – nonostante la sua popolarità e le sue notevoli potenzialità comunicative e narrative – il videogioco ha una storia di oltre mezzo secolo durante il quale sviluppo e innovazione lo hanno portato a diventare un importante settore dell’industria dell’intrattenimento e uno dei linguaggi principali della società, diventando fenomeno di massa.

Videogiochi vintage ma anche la storia del design e dello sviluppo tecnologico degli ultimi 70 anni: una mostra pensata per un pubblico di tutte le età che – attraverso percorsi didattici, approfondimenti, curiosità, filmati interattivi, interviste e demo, dispositivi e foto dell’epoca – sarà guidato dalle voci ormai iconiche dei protagonisti dei giochi più famosi.

Nintendo Famicom (in foto).
La console che risollevò l’industria dei videogiochi dalla grande crisi del 1983

Videogames!” è una mostra promossa e organizzata dal Comune di Trieste, Assessorato alle politiche della cultura e del turismo e da Arthemisia, con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau e PromoTurismo FVG ed è curata da Lorenzo Banci e Damiano Bordoni.

È prevista, inoltre, una proposta promozionale a favore dei turisti denominata “Trieste ti regala le Grandi Mostre”: tutti coloro che prenoteranno almeno due notti negli alberghi della città aderenti all’iniziativa riceveranno il biglietto gratuito per la mostra; l’iniziativa, sostenuta dal Trieste Convention and Visitors Bureau, mira ad incentivare il turismo culturale in città, premiando i turisti con un meraviglioso regalo offerto grazie agli introiti dell’imposta di soggiorno.

Info su DISCOVER TRIESTE


Informazioni e prenotazioni

T. +39 040 982831
www.arthemisia.it
www.triestecultura.it
www.discover-trieste.it

Orario apertura

Tutti i giorni dalle ore 16.00 alle ore 22.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Apertura straordinaria la mattina riservata ai gruppi scuola (solo su prenotazione obbligatoria)

Biglietti
Intero
€ 15,00 Ridotto € 12,00

Hashtag ufficiale
#VideogamesTrieste

Ufficio Stampa
Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306

Orani, Museo Nivola – ALTERAZIONI VIDEO. Appunti per un parco incompiuto

Il Museo Nivola è lieto di presentare la mostra Appunti per un parco incompiuto, l’ultimo progetto di Alterazioni Video. Dal 2006 il collettivo Alterazioni Video lavora a Incompiuto, un progetto incentrato, nella sua prima fase, sulla mappatura e geolocalizzazione di 696 opere incompiute sparse sul suolo italiano, strutture architettoniche iniziate e mai completate, sovvenzionate con fondi pubblici.
Incompiuto entra ora nella seconda fase, che prevede una serie di cambiamenti di destinazione d’uso delle architetture. Lasciate strutturalmente inalterate come monumenti del presente, queste dovrebbero diventare luoghi polifunzionali di aggregazione della cittadinanza per attività culturali e sportive all’aperto, come parchi, giardini, auditorium, teatri.

30 Ottobre 2021 – 13 Febbraio 2022
Orani, Museo Nivola

ALTERAZIONI VIDEO.
Appunti per un parco incompiuto

A cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Concettina Ghis

https://museonivola.it/

È il Palasport di Nuoro, scenografica rovina persa nella campagna, oltre le ultime propaggini urbane, il protagonista della mostra al Museo Nivola. Partito alla fine degli anni Novanta, appaltato nel 2012, il progetto è stato definitivamente archiviato nel 2017: quello che ne rimane è una foresta di piloni mozzi in cemento armato, una mastodontica porta d’ingresso, una spianata arida circondata da mucchi di detriti e vegetazione spontanea. Alterazioni Video propone di ribaltare in positivo il fallimento, trasformando in parco il cantiere abbandonato. Ci invita a “baciare il rospo”, a riappropriarci della rovina sgraziata e negletta accettandola e utilizzandola.
Il collettivo celebra l’incompiuta in un film – centro dell’intervento al Museo Nivola – che si sviluppa su due piani narrativi paralleli: quello dell’incontro tra i personaggi all’interno della finzione cinematografica, a tratti surreale e magica, in cui il tempo sembra essersi fermato, e quello delle riprese sul set teatro di questi incontri, che riporta a una realtà e a un presente in divenire.
Nel Palasport si muovono vari personaggi: il visionario guardiano di un campeggio che ha scoperto come viaggiare nello spazio-tempo, una giovane tiktoker persa tra i rovi, due turisti musicisti americani e un geometra rabdomante, insieme ad altre comparse (i ragazzi del paese, un pastore, le forze dell’ordine). Ogni personaggio incarna alcuni dei caratteri descritti da Alterazioni Video nel Manifesto dell’Incompiuto: bellezza e terribilità (la tiktoker e il guardiano), il passato impacciato e corrotto che smarrisce la diritta via (il geometra rabdomante), il pubblico che, come il coro nelle tragedie greche, diviene parte attiva del processo di trasformazione del luogo (i turisti musicisti che suonano tra le rovine), la comunità locale (i ragazzi del bar).
La porta d’ingresso del Palasport, unico spazio coperto del sito, che i personaggi attraversano per viaggiare nello spazio-tempo, diventa la soglia multidimensionale che collega tra loro i vari incompiuti sparsi per l’Italia, come in un unico grande parco archeologico dell’incompiuto, espressione del pensiero visionario e magico dei progettisti.
Con questo film Alterazioni Video racconta l’Incompiuto attraverso una nuova chiave interpretativa. Il fenomeno è esplorato nella sua complessità per mezzo di una pluralità di registri, da quello epico (le gesta eroiche della bella contro la bestia) a quello fiabesco (il Palasport vuole diventare parco come il burattino aspira a diventare bambino), a quello realistico-documentaristico (the making of Palasport Nuoro).
Il linguaggio cinematografico mescola i classici (La tempesta di Shakespeare, con il Palasport/isola che trova il suo Calibano nella figura del guardiano), il Pasolini tragicomico de La Ricotta (i doppi piani narrativi, la finzione e le riprese sul set reale, ma anche la tiktoker che mangia le scorte di cibo del guardiano), il neorealismo alla Youtube che incontra gli stereotipi dello spaghetti western e della fantascienza.
Le sonorità ricavate dal ferro delle armature di cemento del Palasport formano la colonna sonora del film, realizzata in collaborazione con Travis McCoy Fuller e Rudi Fischerlehner.

Accompagna il progetto al Museo Nivola un’installazione realizzata da Alterazioni Video nell’aeroporto di Olbia, visibile nell’area arrivi fino al febbraio 2022.

Alterazioni Video
Alterazioni Video (Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu e Giacomo Porfiri) è un collettivo di artisti nato a Milano nel 2004, un network internazionale autore di corto e lungometraggi, video arte, installazioni, performance e, recentemente, NFT. Il percorso di ricerca del gruppo è focalizzato sulla disinformazione e il rapporto verità/rappresentazione, legalità/illegalità, libertà/censura, in cui l’arte si intreccia fortemente con l’attivismo politico. Presente alla 52a edizione della Biennale di Venezia, alla Prague Biennale 4, a Manifesta 7, Alterazioni Video espone in gallerie e istituzioni internazionali.

Museo Nivola
Il Museo Nivola di Orani (Nuoro), sito al centro di un parco nel cuore della Sardegna, è dedicato all’opera di Costantino Nivola (Orani, 1911 – East Hampton, 1988), figura importante del contesto internazionale incentrato sulla “sintesi delle arti”, l’integrazione tra arti visive e architettura, e personaggio attivo nel quadro degli scambi culturali tra Italia e Stati Uniti del secondo Novecento. Il museo possiede una collezione permanente di circa trecento sculture, dipinti e disegni di Nivola e organizza mostre temporanee incentrate in prevalenza sul rapporto fra l’arte, l’architettura e il paesaggio.


Sponsor istituzionale: Regione Autonoma della Sardegna
Main sponsor: Fondazione di Sardegna
Con il supporto di: Provincia di Nuoro
Fondazione Sardegna Film Commission
Con il patrocinio di: Comune di Nuoro

Crediti mostra:
Assistente curatore: Luca Cheri
Allestimento: Alessandro Floris
Realizzazione allestimento: Luca Pinna
Stampe: Sardigna Print
Ufficio stampa: Studio Esseci

Crediti film:
Interpreti: Ivan Flore, Ugne Gelgotaite, Filippo Anniballi
Musiche: Alterazioni Video in collaborazione con Travis McCoy Fuller e Rudi Fischerlehner
Costumi: Silvio Betterelli
Location manager: Fabrizio Loddo

Ringraziamenti:
Maurizio Coccia e Roberto Follesa, direttori artistici del Contemporary Festival di Arte e Avanguardia di Donori (Ca)
Alberto Varone, senior scientist e direttore del Comitato Scientifico
Chiara Manca, Mancaspazio, Nuoro

Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049 663499; www.studioesseci.net;
simone@studioesseci.net, referente Simone Raddi

IMMAGINE DI APERTURA Appunti per un parco incompiuto, Palasport di Nuoro

Al PALP di Pontedera in 141 opere il percorso professionale di Andy Warhol con i suoi capolavori

Al PALP Palazzo Pretorio di Pontedera – dal 10 novembre 2021 al 20 marzo 2022 141 opere di Andy Warhol raccontano la storia del più pungente interprete della società di massa, testimone variopinto delle icone del suo tempo: Andy Warhol. ICONS!

Andy Warhol
Flowers, 1970
Serigrafia su carta, 91,4×91,4 cm
Collezione privata
© The Andy Warhol Foundation for the
Visual Arts Inc. by SIAE 2021 per A. Warhol

La mostra espone tutto il suo percorso professionale presentandone i capolavori di ogni periodo: partendo dalla coloratissima Liz (1964), arrivando all’immancabile Marilyn (dal 1985 al 1988). E ancora, tre splendide Cow (dal 1966 al 1976), accanto ad altre super icone: Brillo Box (1970), Flowers (1970), Eletric Chair (1971), senza dimenticare le Campbell’s Soup (1968).

La mostra, allestita in cinque sezioni, è capace di approfondire e narrare i diversi aspetti di Andy Warhol. Il percorso espositivo permette di scoprire la vita di questo straordinario personaggio partendo dai suoi primi lavori fino a quelli della fine degli anni Ottanta. Andy Warhol. ICONS! è il racconto dell’incredibile vita di un uomo, personaggio e artista, che ha cambiato i connotati del mondo dell’arte, ma anche della musica, del cinema e della moda, che ha stravolto radicalmente ogni definizione estetica precedente.

Prima sezione – Fame
Questa è la sezione che non solo ci svela gli aspetti più significativi del lavoro di Warhol, ma anche quella che ci parla della sua infanzia: Andy Warhol era un bambino riservato e sempre solo, che passava il tempo a collezionare le fotografie dei grandi divi di Hollywood che trova sui giornali: Humphrey Bogart, Cary Grant, Clark Gable… Sono questi i compagni di gioco di Andy, che a causa di una malattia della pelle viene preso di mira dai compagni ed è per questo che sviluppa una vera e propria idolatria nei confronti della madre. Da qui, da molto lontano dunque, arriva la fissazione di Warhol per le celebrità e questa sezione tratterà questo aspetto fondamentale, che andrà dai miti di Warhol fino ai frequentatori più celebri della factory. Da Liz Taylor a Marilyn Monroe, da Valentino a Mohammed Alì, sono molti i ritratti di celebrità, divi di Hollywood, grandi imprenditori e creativi che potremo avere in mostra, celebrando così l’aspetto più peculiare di Wharol, quello più pubblico e allo stesso tempo più intimo e personale: in questa sezione, infatti, sarà presentato anche il ritratto della madre. Inoltre, anche alcuni luoghi vengono trattati da Warhol come fossero grandi divi e per questo nella sezione saranno mostrate le opere raffiguranti la factory, ma anche quella del Washington Monument.

Seconda sezione – Daily
Warhol in poco tempo si afferma professionalmente e diventa un punto di riferimento per il mondo della creatività newyorchese. Fonda la Andy Warhol Enterprises Inc: ecco un altro aspetto rivoluzionario, Warhol diventa il primo artista/impresa. E se i grandi divi rincorrono Warhol, ecco che chiunque voleva seguirli ed entrare nel magico mondo di Andy, chiunque è disposto a mettersi in coda per essere trasportato nella sua dimensione. Warhol ci dice che la fede religiosa è credere in qualcosa che non si vede e che ha una trasposizione figurativa, proprio come i divi. Nessuno li ha mai visti in carne e ossa, ma fanno parte della nostra quotidianità: ed è ovvio che a quel punto, come fosse una sorta di escamotage per diventare idoli di una religione laica, chiunque cercava di farsi ritrarre da Warhol, perché essere un suo soggetto garantiva uno status. È anche così, con i tanti ritratti su commissione, che Warhol diventa uno degli artisti più pagati di sempre. In questa sezione trovate persone comuni e potenti, amici di un giorno o frequentatori assidui della Factory: Warhol riesce nella magia di rendere tutti superstar allo stesso modo.

Terza sezione – Still life
Nel 1962 Warhol inizia a usare la serigrafia e crea la serie di Campbell’s Soup, minestre in scatola che dagli scaffali dei supermercati, Warhol trasformava in opere costosissime. Ecco il cortocircuito, ecco la tempesta perfetta. Infatti, c’è la riconoscibilità dell’oggetto, che viene esaltato in quanto fulcro della contemporaneità, ma c’è anche un pesante e intelligentissimo ammiccamento alla storia dell’arte, perché con quelle latte Warhol non fa nient’altro che attualizzare il concetto di natura morta, cosa che poi negli anni ripeterà usando come oggetto il denaro, biglietti di grandi eventi, o più banalmente frutta dal sapore psichedelico.

Quarta sezione – World’s Life
Non dimentichiamo i politici: nel 1972 il primo soggetto a divenire contemporaneamente un quadro e una grafica di Warhol, è Mao. Un’altra intuizione folle e visionaria, usare le icone della politica alla stregua delle dive di Hollywood e questo succederà anche con altri soggetti (Kennedy, per esempio). Ed è proprio con il suo Vesuvio che Warhol comincia ad avvicinarsi alla questione ambientale, alla forza della natura.
Ma la politica interessa Warhol anche sotto un altro aspetto: nel 1983 realizza una serie che sembra discostarsi dal mondo provocatoriamente amorale che ha abbracciato fino a quel momento, dieci serigrafie che rappresentano altrettanti animali in via d’estinzione, e dice che non ci può essere opera d’arte più grande che l’azione di preservare la Terra. Non era la prima volta che Warhol dipingeva animali, infatti aveva già realizzato molti dipinti della serie Cow, tra il 66’ e il 76’, e non era la prima volta che si avvicinava alla natura, come nella serie dei fiori. In questa ricca sezione, oltre ai ritratti dei politici, dei fiori e la serie cow, andrà anche l’opera raffigurante il Vesuvio. Perché? Eccolo spiegato: nel 1975 compie il primo di una lunga serie di viaggi a Napoli, su invito del grande gallerista Lucio Amelio: a Warhol Napoli ricorda tanto la sua New York, stesso fermento, stessa vivacità culturale (è in quell’ambito che, nelle sue tante celebri frequentazioni di quegli anni, inizia un rapporto di forte amicizia con joseph Beuys, che è da considerare quasi l’antitesi di Warhol artisticamente parlando). Lo storico e regista Mario Franco ricorderà così quel periodo: «Warhol amava Napoli, il fuoco creativo che ha nelle viscere, il convivere fatalistico con la morte. Non c’è una Parigi, una Londra di Warhol, c’è la Napoli Warhol, col suo sterminator Vesuvio, la cui immagine replica ossessivamente in colori diversi». Ed è proprio con il suo Vesuvio che Warhol comincia ad avvicinarsi alla questione ambientale, alla forza della natura. In questa sezione andranno anche le immagini della sedia elettrica e quella delle lotte e proteste di strada.

Quinta sezione – Music
Anche le collaborazioni con il mondo della musica sono moltissime: una su tutte, basti citare il fatto che divenne il manager dei Velvet Undergruound, e realizzò anche la celebre copertina con una banana sbucciabile, il cui interno è rosa e lasciamo che ognuno possa immaginare da sé a cosa possa fare riferimento questa particolare scelta cromatica. Anche questa sezione sarà ricca: copertine di dischi, memorabilia, oggetti e ritratti dei tanti musicisti che popolano il mondo di Warhol.

Giuseppe Di Benedetto – Parole e concetti dell’architettura

Parole, concetti dell’architettura, appunto. L’uso di specifiche parole, con il loro intimo significato, con la loro natura etimologica, specialmente in architettura, non ha mai un valore secondario. Spesso si assiste, soprattutto in architettura, a un uso disinvolto e ambiguo dei termini che denota una scarsa attitudine per la semantica linguistica. Di fronte ad alcuni concetti come “carattere”, “tipologia” e “morfologia” non possiamo esimerci dal ragionare intorno al loro significato, spinti oltretutto dal fascino che questi termini esercitano per il loro sapore squisitamente accademico, anche se essi possono apparire perfino termini desueti e stantii. Non occorre sottolineare in quanti oggi ritengano superate le nozioni teoriche di tipologia e di morfologia, e la loro applicazione a livello progettuale.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE ESEGUI IL DOWNLOAD): G. Di Benedetto, Parole e concetti dell’architettura. Note sui caratteri tipologici e morfologici

IMMAGINE DI APERTURA tratta dalla copertina del volume

Giuseppe Di Benedetto
Parole e concetti dell’architettura.
Note sui caratteri tipologici e morfologici

“Brutte Storie”: il nuovo corso di scrittura di Fondazione Bottega Finzioni

L’isolamento aumenta l’aggressività, come ha ben raccontato Konrad Lorenz e come ci sta dimostrando la pandemia: autolesionismi e comportamenti violenti hanno colpito gli adulti e, soprattutto, i minori.
Raccontare la rabbia e l’aggressività per elaborarle e liberarsene è l’idea alla base di “Brutte Storie”, il nuovo progetto di Fondazione Bottega Finzioni destinato ai bambini delle quinte elementari delle scuole bolognesi. Una fase di passaggio e soglia tra la prima infanzia e la pre-adolescenza, quando è particolarmente importante saper elaborare e saper gestire gli istinti aggressivi.

Il percorso coinvolgerà tre scuole primarie bolognesi Mario Longhena, Raffaello Sanzio, Don Minzoni e 60 studenti ed è realizzato e finanziato da Fondazione Bottega Finzioni, con il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e il sostegno di Banca di Bologna e di FAAC.

Obiettivo principale del progetto, che terminerà a giugno 2022, sarà la trasformazione in racconto delle pulsioni di rabbia e aggressività. Attraverso un percorso strutturato in tre tappe – il giallo, le arti visive, la tragedia – si guideranno i giovani autori nella sublimazione dei sentimenti, a partire dalla conoscenza di tre diverse forme di narrazione. In questo modo, da un lato, l’oggetto della negatività verrà spostato dal piano del reale a quello della finzione e, da un altro lato, verranno acquisite le tecniche di lettura e scrittura dei tre generi.

La pulsione all’aggressività è presente in tutti gli esseri umani, di ogni età, come risposta alla frustrazione causata da un evento esterno, da un’altra persona o da un gruppo, al mancato sfogo di alcuni impulsi istintivi, alla povertà di contatto con i propri simili. La pandemia che stiamo attraversando ha dimostrato con grande evidenza quanto, soprattutto nell’isolamento e nell’impossibilità della relazione con i nostri simili, si esasperino i sentimenti di aggressività, rabbia, incapacità di mediazione razionale, soprattutto nei bambini.

I bambini, infatti, sono meno propensi degli adulti a sublimare e razionalizzare e necessitano di strumenti e filtri differenti che favoriscano l’elaborazione costruttiva dei sentimenti negativi.

L’idea portante di “Brutte Storie” è proprio quella di “raccontare per non fare”, di sfruttare la pulsione aggressiva, ri-direzionandola su oggetti positivi che diventino fonte di apprendimento. Stimolando la curiosità degli studenti, aiutandoli a comprendere e replicare le caratteristiche di testi o immagini di finzione che ritraggono conflitto, guerra, dramma, si sposterà la spinta aggressiva verso oggetti di soddisfazione più divertenti e formativi.

Articolazione del progetto “Brutte Storie”

Il percorso si articolerà in 20 ore complessive per ogni quinta elementare. Le 20 ore saranno così suddivise:

  • Narrativa: il giallo: i giovani autori impareranno a scrivere un racconto giallo o noir, che preveda un crimine, un’indagine e la soluzione del caso.
  • Arti visive: la guerra e la violenza nelle immagini: i giovani critici impareranno a rintracciare gli elementi che rimandano alla violenza e alla guerra in alcune opere d’arte figurativa.
  • Teatro: la tragedia: i giovani drammaturghi si cimenteranno nella scrittura di un finale alternativo – ironico, grottesco, lieto – per il Romeo e Giulietta shakespeariano. Alla fine del percorso stesso, i testi dei giovani autori verranno raccolti in un libro a cura dei docenti che potrà rimanere negli archivi delle scuole coinvolte, essere regalato alle famiglie degli studenti di ogni classe, essere diffuso (gratuitamente) durante gli eventi a cura della Fondazione, unitamente al montaggio dei materiali audiovisivi prodotti.

A Bologna la V Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro: 10 esposizioni nel centro storico e una al MAST

A Bologna dal 14 ottobre al 28 novembre 2021 si tiene la quinta edizione della Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro promossa e organizzata da Fondazione MAST con 10 esposizioni nel centro storico e una al MAST.

La Fondazione MAST presenta la quinta edizione di Foto/Industria, la prima Biennale al mondo dedicata alla fotografia dell’Industria e del Lavoro, che si svolgerà a Bologna dal 14 ottobre al 28 novembre, con la direzione artistica di Francesco Zanot: 10 mostre in sedi storiche del centro cittadino e una al MAST.

www.fotoindustria.it


JAN GROOVER, Senza titolo / Untitled, 1985
© Musée de l’Elysée, Lausanne – Jan Groover Archives

Titolo di Foto/Industria 2021 è FOOD, un tema di fondamentale importanza per il suo inscindibile legame con macroscopiche questioni di ordine filosofico e biologico, storico e scientifico, politico ed economico.
Al centro della Biennale si trova il soggetto dell’industria alimentare: il bisogno primario del cibo si sovrappone a quello delle immagini in un percorso che si sviluppa all’interno di una materia insieme senza tempo e di stringente attualità. Un settore in rapido sviluppo che risponde alle più importanti trasformazioni in atto su scala globale: la questione demografica, il cambiamento climatico e la sostenibilità. Fotografia e gastronomia si fondono dalla teoria alla pratica innescando una serie di riflessioni sulla complessità della “questione alimentare”.

“Il cibo è un fondamentale indicatore per analizzare e comprendere intere civiltà – scrive nel testo introduttivo del Photo book / Ricettario della Biennale il direttore artistico Francesco Zanot -. Le modalità attraverso cui gli alimenti vengono prodotti, distribuiti, venduti, acquistati e consumati sono in costante cambiamento e racchiudono pertanto alcuni caratteri distintivi di un’epoca, un periodo storico o un ambito culturale e sociale… Il cibo è linguaggio. Come la fotografia, gli alimenti incorporano e diffondono messaggi. Il risultato è un cortocircuito: qualsiasi fotografia di cibo è il frutto di un processo di ri-mediazione. Inoltre, fotografia e cibo hanno un legame speciale con la tecnologia. La fotografia nasce come tecnica. Camera oscura, pellicola e obiettivo sono conquiste dell’ingegno umano messe al servizio della scienza, dell’arte, della memoria e della trasmissione di informazioni. Per quanto riguarda il cibo, il punto di svolta è costituito dalla comparsa dell’agricoltura, che conduce dal nomadismo alla coltivazione e all’allevamento stanziali attraverso una serie di profonde innovazioni tecniche”.

Tra i principali argomenti oggetto delle 11 mostre che ripercorrono un secolo di storia dagli anni Venti ad oggi, figurano: l’industria alimentare e il suo impatto sul territorio; il rapporto tra alimentazione e geografia; la meccanizzazione della coltivazione e dell’allevamento; la questione del grano; l’alimentazione organica e naturale; i mercati e le tradizioni locali; la pesca nei mari e nei fiumi.

ANDO GILARDI
Giovani donne portano zucche sulla testa. “Le zucche, d’estate sono mangime, d’inverno cibo”. Quando il gallo canta a Qualiano, ampia fotoinchiesta di Gilardi sulla sindacalizzazione dei braccianti agricoli, in questo paese particolarmente sentita. Qualiano (Napoli), ottobre 1954.
© Fototeca Gilardi
HERBERT LIST
Grandi tranci di tonno vengono puliti a mano e inscatolati, Favignana, Italia / The big tuna steaks are trimmed by hand and placed into big tins, Favignana, Italy, 1951
Collezione MAST. Courtesy of The Herbert List Estate / Magnum Photos

Undici fotografi tutti di caratura internazionale.


Tre artisti italiani: Ando Gilardi
, tra le figure più eclettiche e originali della storia della fotografia italiana, è il protagonista della mostra “Fototeca” al MAST con una combinazione di reportage fotografici e materiali estratti dal pioneristico archivio iconografico che ha fondato nel 1959 (la mostra proseguirà fino al 2 gennaio 2022); Maurizio Montagna ha realizzato “Fisheye” appositamente per questa Biennale, progetto dedicato al fiume Sesia e alla sua valle (Collezione di Zoologia del Sistema Museale di Ateneo – Università di Bologna); Lorenzo Vitturi in “Money Must Be Made” fotografa Balogun, il mercato di strada di Lagos in Nigeria, uno dei più grandi del mondo (Palazzo Pepoli Campogrande – Pinacoteca Nazionale di Bologna).

Otto artisti stranieri: Hans Finsler, considerato tra i padri della fotografia oggettiva degli anni ’30, ha realizzato nel 1928 la serie “Schokoladenfabrik” su commissione dell’azienda dolciaria Most (Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna Genus Bononiae – San Giorgio in Poggiale); Herbert List, fotografo tedesco membro della Magnum Photos. Nella mostra “Favignana” sono esposte 41 immagini sulla mattanza dei tonni avvenuta nell’isola nel 1951 (Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna Genus Bononiae – Palazzo Fava, salone “Mito di Giasone e Medea”); il francese Bernard Plossu ha fotografato spezzoni di vita in tutto il mondo e ritratti legati a persone e cibo nella quotidianità in “Factory of Original Desires” (Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna Genus Bononiae – Palazzo Fava, sale “Le avventure di Enea”); Mishka Henner, “In the Belly of the Beast” è un’esposizione sul rapporto tra uomo, animali e tecnologia in un processo incessante fatto di consumo, digestione e scarto (Palazzo Zambeccari – Spazio Carbonesi); il giapponese Takashi Homma nella mostra “M + Trails” da un lato raccoglie e mette a confronto le facciate dei negozi di McDonald’s nel mondo soffermandosi su differenze e analogie, dall’altro immortala le tracce di sangue lasciate dai cacciatori di cervi in Giappone (Padiglione dell’Esprit Nouveau); l’olandese Henk Wildschut con “Food” si concentra sulle più avanzate tecnologie dell’industria alimentare sviluppate per aumentare il volume della produzione (Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna – Palazzo Paltroni); l’artista americana Jan Groover, nota per le sue nature morte, con “Laboratory of forms“ è oggetto di una retrospettiva a partire dalle celebri nature morte riprese nella cucina della sua abitazione, che dialogano con le opere del pittore bolognese Giorgio Morandi custodite nelle sale del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna (la mostra proseguirà fino al 2 gennaio 2022); la ricercatrice e attivista palestinese Vivien Sansour presente “Palestine Heirloom Seed Library”, un progetto per salvaguardare antiche varietà di semi e per proteggere la biodiversità (Palazzo Boncompagni).

Il Photo Book / Ricettario.

La Biennale Foto/Industria 2021 è accompagnata da una pubblicazione a metà tra fotografia e libro di ricette pensate dallo chef e scrittore Tommaso Melilli, che interpreta le immagini e i temi di ogni mostra attraverso una ricetta originale. “Questo volume – afferma Francesco Zanot – è anch’esso un ibrido. Serve a mettere insieme una cena speciale per gli ospiti, ma anche per esplorare, a partire dalle immagini proposte, il passato e il presente di una materia che ci riguarda tutti i giorni della nostra vita”.

Programma eventi.

La Biennale è come di consueto accompagnata da un programma di eventi con ingresso gratuito su prenotazione: visite guidate con gli artisti, talk, workshop di fotografia, performance, proiezioni, tavole rotonde e attività didattiche. I mediatori culturali presenti nelle sedi delle mostre sono studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, che collabora da anni con la Fondazione MAST.

Foto/Industria, promossa e prodotta dalla Fondazione MAST, nasce nel 2013 con l’intento di sostenere e diffondere la cultura della fotografia e condividere con la città la missione culturale della Fondazione, ente non profit internazionale legato al gruppo industriale Coesia, concepita come tramite tra l’impresa e la comunità.

Il MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) è un luogo di condivisione e collaborazione che ospita diverse attività, tra cui la PhotoGallery che con la propria collezione di fotografia industriale e del lavoro curata da Urs Stahel e con l’allestimento di mostre temporanee, è oggi l’unica istituzione al mondo dedicata alla fotografia del lavoro.


FOTO/INDUSTRIA 2021
V BIENNALE DI FOTOGRAFIA DELL’INDUSTRIA E DEL LAVORO
FOOD
14 ottobre – 28 novembre 2021
www.fotoindustria.it

Ingresso gratuito

Ufficio Stampa:
press@fondazionemast.org – T. 051 6474212 – C. 333 2114486
Lucia Crespi – lucia@luciacrespi.it – T. 02 89415532

Alla Biblioteca Regionale di Messina: Claudio D’Angelo – Gli Shekelesh e la rivoluzione dei Popoli del Mare

Sabato 13 p.v., alle ore 17, la Biblioteca Regionale di Messina presenterà, nel rispetto di ogni misura anti-Covid e previa esibizione del Green Pass, l’ultima pubblicazione del ricercatore e saggista Claudio D’Angelo: “Gli Shekelesh e la rivoluzione dei Popoli del Mare”. Una disquisizione alla scoperta delle nostre radici siciliane, attraverso teorie del tutto nuove, sarà poi motivo di dibattito e confronto.

Post dell’evento sono già presenti sulle pagine social della Biblioteca:
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Chi non potrà prenderne parte in presenza, potrà scrivere sui social commenti e domande da rivolgere all’Autore durante l’incontro.

Nei giorni a seguire sarà disponibile il video.

Ufficio Relazioni con il PubblicoIl
Funzionario Direttivo: Maria Rita Morgana 
urpbibliome@regione.sicilia.it
tel.090674564 

IMMAGINE DI APERTURA – Locandina

Pierre-Auguste Renoir – La Grenouillère, 1869

Galleria d’arte sotto forma di puzzle.
A cura di Laura Gentile

Una differente versione del medesimo tema, sempre realizzata da Pierre-Auguste Renoir nel 1869, oggi conservata nella Oskar Reinhart Collection a Winterthur

La Grenouillère e Bain à la Grenouillère sono due quadri dipinti quasi contemporaneamente e nello stesso luogo nel 1869 da Pierre-Auguste Renoir e Claude Monet, rispettivamente due pittori francesi. Entrambi sono annoverati tra le prime opere in cui i principi dell’impressionismo furono pienamente applicati. Il dipinto di Renoir può ora essere ammirato al Museo Nazionale di Stoccolma, quello di Monet al Museum of Modern Art di New York.

Intorno al 1870, il concetto di svago iniziò ad assumere un nuovo significato tra la borghesia parigina, soprattutto la domenica. Molti andavano “fuori” a passeggiare lungo la Senna, in cerca di luce e aria fresca. La costruzione di nuove ferrovie e altre forme di trasporto lo rendevano sempre più possibile.

Una delle destinazioni più popolari dei parigini era “La Grenouillère” (letteralmente: lo stagno delle rane), uno stagno vicino a Bougival. Si trovava sulla Senna, appena a monte di Le Port-Marly, vicino a Louveciennes, dove Renoir soggiornava allora con i suoi genitori, e alla frazione di Saint-Michel, dove Monet era andato a vivere alla fine del 1868. La Grenouillère era così popolare che anche Napoleone III e l’imperatrice Eugenia ogni tanto vi si recavano. Di solito, tuttavia, il pubblico era composto da visitatori più giovani e distaccati della borghesia benestante, che cercavano il loro intrattenimento lontano dalle preoccupazioni della vita quotidiana. La Grenouillère era regolarmente oggetto di vignette sulle riviste, spesso raffigurata come un luogo in cui la moralità civica era rilassata e dove si poteva amoreggiare.

Nell’estate e prima dell’autunno del 1869, gli amici Monet e Renoir sistemano regolarmente i loro cavalletti a La Grenouillère per dipingere, attratti dall’atmosfera rilassata e dalla luce solare. Entrambi i pittori realizzarono diversi quadri a seconda del tema, di solito seduti appena fuori dal trambusto, a volte cambiando leggermente posizione, in modo che più opere affiancate formassero quasi una sorta di panorama. Le opere qui discusse, con la rappresentazione centrale del pontone, il ristorante che si estende sul fiume a destra e il noleggio di barche in primo piano (i bagni a sinistra sono fuori vista), sono i più noti e sono considerati quelli di maggior successo dal punto di vista artistico.

I due dipinti risalgono a un periodo in cui l’Impressionismo, di cui Renoir e Monet furono importanti esponenti, stava appena iniziando ad assumere il suo carattere definitivo. Le peculiarità erano quasi tutte presenti in queste opere: l’attenzione all’atmosfera e all’impressione passeggera, la pennellata spontanea e sciolta, gli spessi strati di pittura, la pittura en plein air e soprattutto: una particolare attenzione agli effetti della luce solare. Colpisce anche la tecnica del “taglio” sui lati e sulle barche davanti, influenzata dalla fotografia e dall’incisione giapponese, che ha dato alle opere un tocco di modernità.

Le due scene sono inequivocabilmente simili, non solo per il soggetto, dipinto da punti di vista quasi identici, ma anche in termini di stile. Tuttavia, c’erano già chiare differenze che si sarebbero rivelate esemplari per rivelare la cifra stilistica tra Renoir e Monet.

In termini compositivi, ad esempio, Monet sembra chiaramente prestare maggiore attenzione a ciò che si vede intorno al pontone, in particolare al gioco atmosferico tra luci e ombre. Le sue figure appaiono come accenti nel paesaggio circostante, in contrasto con le miscele sottilmente tenui della sua tavolozza. Il suo stile disinvolto e abbozzato fornisce l’idea del movimento e la sensazione di vicinanza. Con la sua pennellata più ampia è in grado di rappresentare i riflessi increspati della luce del sole nell’acqua meglio del suo amico Renoir. A volte queste spazzate astratte sembrano giacere quasi liberamente sull’acqua, il che crea anche un’idea di spaziosità.

Renoir presta chiaramente maggiore attenzione agli eventi sociali e all’interazione tra le persone, come aspetto della vita moderna. Disegna anche le sue figure in modo più preciso e delicato, con le quali riesce giustamente a toccare l’atmosfera animata della compagnia. È anche più forte nella composizione dei colori, un aspetto che diventerà poi il suo marchio di fabbrica.

Tuttavia, le differenze tra le due opere sono velate dalle somiglianze. Il modo in cui Monet e Renoir dipingevano le loro opere a Grenouillère, con potenti spruzzi di colore, si adattava perfettamente alla rumorosa turbolenza di una folla rumorosa e al gioco di riflessi di luce colorata sulla superficie inquieta dell’acqua. Il concetto di “impressione” ha trovato qui il suo decisivo equivalente. “Nei quadri di La Grenouillère – scrive lo storico dell’arte Peter Feist – nasce quello che cinque anni dopo prese il nome di Impressionismo.

LEGGI SU WIKIPEDIA: La Grenouillère



La nuova produzione originale Sky Arte dedicata ai personaggi che hanno ispirato i grandi miti

IL MIO NOME È LEGGENDA
La nuova produzione originale Sky Arte con Matilda De Angelis
dedicata ai personaggi che hanno ispirato i grandi miti,
da Indiana Jones a Frankenstein, da Zorro a Betty Boop

DAL 7 DICEMBRE SU SKY ARTE E IN STREAMING SU NOW

Rilasciate le prime foto dal set de IL MIO NOME È LEGGENDA, la nuova produzione originale Sky Arte, ideata e realizzata da Bottega Finzioni con Matilda De Angelis,in collaborazione con il Comune di Bologna e Bologna Welcome.

La serie, grazie alle parole e alla narrazione dell’attrice bolognese Matilda De Angelis, esplora le storie vere di illustri sconosciuti dai quali sono nati alcuni dei personaggi più noti dell’immaginario collettivo contemporaneo.

A chi si è ispirato George Lucas quando ha creato Indiana Jones?
E Mary Shelley dove ha tratto ispirazione per la figura del dottor Frankenstein?
O ancora: da quale strano angolo di mondo è sbucato un personaggio come Zorro?

Matilda De Angelis, nuova stella del cinema italiano, è la compagna ideale per raccontare questo viaggio e, con un sottile gioco meta-cinematografico, l’origine di questi “miti d’oggi”, che saranno approfonditi dagli interventi del mass-mediologo Roberto Grandi.

IL MIO NOME È LEGGENDA, è una serie in 6 puntate in onda in prima serata su Sky Arte a partire dal 7 dicembre. Il format è stato scritto da Michele Cogo e dagli ex-allievi di Bottega Finzioni Gianmarco Guazzo, Alberta Lepri e Silvia Pelati, con la produzione esecutiva di Giuseppe Cassaro e la regia di Antonio Monti.

I PROTAGONISTI DELLE PUNTATE saranno:

– Frankenstein – Giovanni Aldini – 7 dicembre 2021
– Betty Boop – Helen Kane – 7 dicembre 2021
– Zorro – Joaquin Murrieta – 14 dicembre 2021
– Pippi Calzelunghe – Astrid Lindgren – 21 dicembre 2021
– Indiana Jones – Giovanni Battista Belzoni – 28 dicembre 2021
– Dracula – Conte Vlad III di Valacchia – 4 gennaio 2022

Matilda De Angelis ha affermato: “Il mio nome è leggenda è la mia prima esperienza come narratrice e interprete di un programma televisivo solo mio. Era una cosa nuova, che un po’ mi spaventava. Ho deciso di provare perché le storie vere che stanno alle radici di personaggi come Frankenstein, Betty Boop o Indiana Jones, sono storie bellissime, incredibili, e mi hanno fatto venir voglia fin da subito di raccontarle a tutti. Per me che sono attrice, e sono abituata a emozionare con la recitazione, è stato un po’ strano provare a farlo quasi solo con le parole, con il racconto, senza avere nessun altro in scena oltre a me. Spero di esserci riuscita, questo ditelo voi, io intanto sono già contenta di averci provato”.

Roberto Pisoni, Director Entertainment Channels di Sky Italia, ha dichiarato: “Siamo davvero orgogliosi di aver prodotto e poter finalmente lanciare su Sky Arte Il mio nome è leggenda, un progetto che abbiamo sostenuto fin dalla prima idea e che pensiamo verrà molto apprezzato dal nostro pubblico. Il talento narrativo di Matilda De Angelis ha impreziosito e dato una grande forza evocativa a queste ‘incredibili‘ storie vere, biografie di uomini e donne poco illustri, che sono all’origine di miti e leggende del nostro immaginario”.

L’autore e capo-progetto Michele Cogo di Bottega Finzioni ha spiegato: “Il mio nome è leggenda è un progetto nato per caso, come accade spesso con le cose belle. Ero al lavoro su un documentario per Sky Arte quando mi sono imbattuto nella bellissima storia di Giovan Battista Belzoni, l’archeologo Padovano che ha ispirato la nascita di Indiana Jones. Ecco, da quel momento, dialogando con Roberto Pisoni è nata l’idea di cercare altre storie di personaggi realmente esistiti che hanno dato origini a miti d’oggi come Frankenstein, Dracula, Betty Boop e tanti altri. Un lavoro che ci porta a entrare in contatto con storie meravigliose”.

Per quanto riguarda gli aspetti produttivi, il responsabile Giuseppe Cassaro racconta che: “Bottega Finzioni ha seguito “da zero a cento” la nascita e lo sviluppo del format: dalla scrittura delle sceneggiature al coordinamento dei reparti di sviluppo, dall’affiancamento della regia nella definizione degli elementi che compongono il racconto fino al coordinamento dei reparti artistici e tecnici, dal coinvolgimento dei partner al monitoraggio di tutte le fasi di post-produzione. Bottega Finzioni ha inoltre definito tutti gli aspetti relativi ai materiali di repertorio ed il contributo delle musiche originali”.

Il regista Antonio Monti ha infine dichiarato: “Il mio nome è leggenda è uno strano essere a cavallo fra i linguaggi, che procede mescolando i generi: non è un monologo teatrale, non è uno studio tv, non è una location e non è un film. Al contempo è tutti questi elementi assieme che hanno il compito di evocare le leggende e gli elementi di realtà che le hanno ispirate”

IL MIO NOME È LEGGENDA è una produzione originale Sky Arte realizzata da Bottega Finzioni e arriverà in prima assoluta dal 7 dicembre su Sky Arte, On Demand e in streaming su NOW.
Bottega Finzioni Produzioni è una casa di produzione cinematografica che opera dal 2015, gestita da Fondazione Bottega Finzioni con sede a Bologna, realtà attiva da oltre dieci anni che conta al suo attivo anche una scuola di narrazione e uno studio professionale.
Hanno partecipato in forma di partnership il Comune di Bologna e Bologna Welcome, mettendo a disposizione una delle location più suggestive della città: il Salone del Podestà a Palazzo Re Enzo.


UFFICIO STAMPA SKY
Fabiana Troiani fabiana.troiani@skytv.it 3351858947

UFFICIO STAMPA BOTTEGA FINZIONI

CULTURALIA DI NORMA WALTMANN

051 6569105 – 392 2527126                               

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IMMAGINE DI APERTURA Matilda De Angelis, Il mio nome è leggenda, Credit Camilla Cattabriga