ENIT, gli eroi di Ischia protagonisti del piano di rilancio

ENIT, I VIAGGIATORI STRANIERI SOTTO L’ALBERO SI REGALANO L’ITALIA

TRA NATALE E L’EPIFANIA OLTRE 274 MILA PRENOTAZIONI VERSO LA PENISOLA
RADDOPPIATE LE PRESENZE DI TURISTI DAGLI STATI UNITI

QUASI SOLD OUT LE STRUTTURE RICETTIVE: PER L’ULTIMO DELL’ANNO SOLO IL 30 PERCENTO DI DISPONIBILITA’

È QUASI TOTALMENTE TURISMO LEISURE DI CUI OLTRE 81 MILA COPPIE

29 Dicembre 2022

Parte da Ischia la campagna internazionale che porta in tour le bellezze italiane nel mondo. #ThisisIschia, la campagna di Ministero del Turismo e Enit che andrà da gennaio ad aprile 2022 nei principali hub italiani e internazionali con un’attenzione ai Paesi da cui proviene il maggior numero di turisti interessati all’Italia quali Germania, Uk, Usa, Francia, Spagna e Benelux, vede il coinvolgimento degli eroi locali, cittadini, soccorritori e operatori duramente colpiti dalla frana dello scorso novembre.   

Il messaggio centrale dell’iniziativa promozionale è che si può tornare a godere delle bellezze dell’isola verde che farà da apripista anche a campagne più ampie declinate in seguito anche su varie regioni nostrane per creare un fil rouge di promozione univoca della Penisola.  

Sarà una campagna attiva sia sui canali digital, che print nonché out of home e coinvolgerà proprio tutti gli appassionati dell’isola e dell’Italia. Inoltre influencer internazionali e guide turistiche racconteranno l’isola attraverso narrazioni della straordinaria quotidianità che si svolge sull’isola. 

Enit inoltre porterà Ischia nelle maggiori fiere internazionali insieme all’Agenzia nazionale del Turismo per rafforzare il brand dell’isola.   

Italiani e stranieri potranno condividere i propri scatti autografati dell’isola che saranno rilanciati con l’hashtag dedicato e gli strumenti messi a disposizione dalla campagna realizzata da Enit per il Ministero del Turismo.  

Inoltre una landing page dedicata consentirà di scegliere il proprio tour virtuale di Ischia in tempo reale e condividerla con utenti online. 

“Enit e il Ministero del Turismo ci sono. Abbiamo messo in piedi una campagna in tempi record nata dal confronto con gli operatori. In questo senso la presenza del ministro Daniela Santanché ad Ischia è stato un segnale di concretezza e vicinanza. Le cose belle, così come i luoghi belli, richiedono attenzione. Ci prenderemo cura dell’isola verde che non sarà lasciata a sé stessa. Enit farà la sua parte in termini di promozione nazionale e internazionale alimentando il desiderio di sperimentare una vacanza in una delle perle del golfo di Napoli amata in tutto il mondo. E’ fondamentale mantenere vivo il canale di comunicazione, supporto e valorizzazione e l’Agenzia Nazionale del Turismo lo farà anche attraverso le sue 28 sedi all’ estero per restituire l’immagine migliore e più fedele di un’isola che pulsa di meraviglie che vanno prima di tutto tutelate. Un modo anche per stimolare le istituzioni a non abbassare la guardia per rimarginare anche le ferite più profonde che hanno colpito l’isola” dichiara il Ceo Enit Ivana Jelinic.  

“Da oltre 100 anni Enit è vicina ai territori e quando – come ora – la mission si fa ancora più delicata, perché la promozione coinvolge località complesse, ci preme essere ancora più scientifici e straordinari nell’ approccio e nella programmazione” sostiene il Consigliere Enit Sandro Pappalardo. 


ENIT – AGENZIA NAZIONALE TURISMO ITALIANO
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Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca: FELICE CASORATI – La grande mostra alla Villa dei Capolavori 

Felice Casorati, Beethoven, 1928, Rovereto, MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto © Felice Casorati, by SIAE 2022

18 Marzo 2023 – 02 Luglio 2023

Mamiano di Traversetolo (Pr), Fondazione Magnani-Rocca

FELICE CASORATI

Mostra antologica a cura di Giorgina Bertolino, Daniela Ferrari, Stefano Roffi

La mostra, in programma dal 18 marzo al 2 luglio 2023, ripercorre l’intero arco della pittura di Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963), iscrivendone il percorso entro la storia dell’arte del Novecento. Ricostruisce l’itinerario dell’artista, dagli anni d’esordio alla maturità, con oltre sessanta opere – molti i capolavori assoluti – provenienti da istituzioni pubbliche e collezioni private. La Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma) prosegue così nell’approfondimento dei protagonisti della pittura italiana del secolo scorso.

La musica rappresenta la chiave d’ingresso delle opere di Felice Casorati nella Villa dei Capolavori di Luigi Magnani, la «casa della vita» del colto collezionista, storico dell’arte, musicologo, compositore, scrittore. Casorati entra idealmente nello spazio, fisico e mentale, di quello che lo stesso Magnani definiva il «mio museo immaginario», ovvero un insieme di opere vedute e amate, e di altre acquisite e possedute: opere che «abitano la mia mente come la mia casa», «tutte oggetto di uguale amore e degne della più devota contemplazione».

La musica è quindi uno dei temi che strutturano la concezione della mostra, richiamando la sensibilità musicale che ha contraddistinto la biografia, la cultura e la pittura di Casorati, con «le sue lente melopee di piani o di spazi», come ha colto precisamente Carlo Ludovico Ragghianti. Il tema serve d’altra parte a indagare la natura concertata e sorvegliata dell’arte casoratiana, la sua attitudine concettuale alla costruzione di una teatralità alimentata dall’invenzione.

Il percorso espositivo consentirà di conoscere l’opera di Casorati nella sua completezza e complessità, documentando ogni stagione della sua pittura e mostrando con opere-chiave le figure e i suoi temi prediletti. Si aprirà con i dipinti d’esordio: Ritratto della sorella Elvira, che segna il debutto alla VII Biennale di Venezia nel 1907, e Le ereditiere, esposto alla IX Biennale nel 1910: entrambi intrisi di equilibrio e pacata misura, sono prove che denotano la precoce e sofisticata cultura visiva di Casorati. Un’atmosfera diversa si respira nel capolavoro Le signorine, del 1912, opera cruciale che esprime una svolta nella sua pittura, per la tavolozza chiara e luminosa, per lo studio delle figure e del nudino centrale. In mostra si potrà cogliere con particolare efficacia la stagione casoratiana negli anni venti, quando il richiamo del ritorno all’ordine porta nell’arte europea una nuova classicità. Con l’esposizione di una serie di quadri del 1921 – Le due sorelleFanciulla col linoleumMaschere – si verrà proiettati in un’atmosfera sospesa e silenziosa, pervasa da misura, ordine, malinconia e mistero, in un teatro di infinite allusioni al mestiere, alla pratica della pittura, intesa come incessante studio e ricerca, confronto con la modella e con l’antico. Nel celeberrimo dipinto Silvana Cenni [1922], esplicito omaggio a Piero della Francesca, una silente immobilità permea ogni cosa, congelando la scena in un fermo immagine misterioso. Tutto è aderente al vero, nei più minuti dettagli, ma talmente realistico da tradursi in straniamento. Ricorrente nella pittura di Casorati è il tema della natura morta di uova, dalla forma perfetta e fragile consistenza che permettono all’artista una riflessione sul contrasto tra la precarietà e la solidità formale, oltre a un ulteriore rimando a Piero.

Felice Casorati, Silvana Cenni, 1922, tempera su tela, Torino, Collezione privata © Felice Casorati, by SIAE 2022

La relazione tra pittura e musica è resa esplicita in una serie di importanti dipinti in mostra che, nella cornice di una ipotetica vicinanza tra il collezionista Magnani e l’artista, pone in risalto le loro passioni comuni. In particolare, il dipinto di Casorati Beethoven, appartenente alla Collezione Vaf-Stiftung e conservato al Mart di Rovereto, presentato per la prima volta alla Biennale veneziana del 1928, rinvia alla predilezione di Magnani per il grande compositore tedesco. La relazione ideale prosegue articolandosi intorno all’amicizia con Alfredo Casella, maestro di composizione di Magnani a Roma e collezionista di importanti opere casoratiane, ritratto dal pittore nel 1926. L’intensa attività di Casorati scenografo teatrale viene documentata in mostra da un corpus di bozzetti e figurini della Fondazione Teatro alla Scala di Milano.

L’ordinamento cronologico, necessario a una lettura filologica della pittura casoratiana, sarà talvolta intercalato da accelerate temporali che anticipano gli esiti della ricerca su un medesimo tema o soggetto, al fine di comprendere l’essenza del «complicato intreccio formato dallo svolgersi della mia pittura», come direbbe l’artista stesso. I visitatori e le visitatrici della mostra potranno così cogliere, osservando lo studio delle architetture interne ai dipinti, il gioco degli spazi, la tavolozza attentamente composta nell’equilibrio dei valori tonali, cromatici e luminosi, la coerenza e, insieme, la magia che segnano la ricerca di Casorati anche nelle opere dei decenni successivi.

La mostra è organizzata dalla Fondazione Magnani-Rocca in collaborazione con il Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.


Felice Casorati
Fondazione Magnani-Rocca, via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).
Dal 18 marzo al 2 luglio 2023.
Aperto anche tutti i festivi.
Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18).
Aperto anche lunedì di Pasqua, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno.
Lunedì chiuso (aperto Lunedì di Pasqua, lunedì 24 aprile in quanto ponte e lunedì 1° maggio in quanto festivo).

Ingresso: € 12 valido anche per le raccolte permanenti – € 10 per gruppi di almeno quindici persone – € 5 per le scuole.

Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327/848148
info@magnanirocca.it  www.magnanirocca.it    
Il sabato ore 16.30 e la domenica e festivi ore 11.30, 16, 17, visita alla mostra con guida specializzata; è possibile prenotare via mail a segreteria@magnanirocca.it , oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 17 (ingresso e guida).   

Ufficio Stampa
Studio ESSECI, di Sergio Campagnolo
Referente, Simone Raddi
simone@studioesseci.net;  tel. 049.663499

Genova, Parchi e Musei di Pegli: Riapre il Museo di Archeologia Ligure

Museo di Archeologia Ligure

Museo di Archeologia Ligure, Tavola di Polcevera
VISITA IL MUSEO

A conclusione di un anno di eventi stimolanti, segnaliamo la riapertura del Museo Archeologico della Liguria da venerdì 30 dicembre 2022. Un Museo interessante con 18 sale su tre piani e 50.000 reperti (in particolare il Principe delle Arene Candide, reperto di un giovane cacciatore di 15 anni vissuto 24.000 anni fa). Le raccolte archeologiche raccontano i movimenti di Neanderthal e Sapiens, la vita dei cacciatori dell’era glaciale …

Il Museo di Archeologia Ligure di Genova riapre al pubblico venerdì 30 dicembre 2022, dopo un periodo di lavori di messa a norma. Il Museo si trova nello straordinario complesso storico-ambientale dei Parchi e Musei di Pegli, un importante quartiere nel Ponente della città, ed è ospitato all’interno di Villa Durazzo Pallavicini. L’antica dimora nobiliare fu donata al Comune di Genova nel 1928 dagli eredi dei Pallavicini con il vincolo di utilizzarla a scopi culturali: nasce così il più importante museo archeologico della Liguria, inaugurato nel 1936. 
Nelle 18 sale su tre piani, il pubblico potrà tornare a esplorare sfide, crisi e successi delle due specie umane vissute in Liguria, da cui noi europei discendiamo, durante 100mila anni. Le straordinarie raccolte archeologiche raccontano infatti i movimenti di Neanderthal e Sapiens, la vita dei cacciatori dell’era glaciale, l’arrivo dei primi pionieri marittimi mediterranei, le manifestazioni artistiche e spirituali, gli accampamenti in grotta, i primi villaggi, le strade e gli insediamenti più antichi della regione.
Si scoprirà anche la nascita di Genova 2500 anni fa e i suoi primi abitanti, le relazioni col Tirreno e il Mediterraneo, le lotte dei Liguri con Roma e la fondazione delle città della Liguria come provincia romana.

Lungo il percorso espositivo, allestimenti tradizionali, QRCode, attrezzi,  armi, materie prime e riproduzioni da manipolare e le storie di donne e uomini protagonisti di episodi cruciali mirano a coinvolgere visitatori diversi per interessi e caratteristiche. Nella “Grotta dell’Archeologia”, realizzata nell’area di accesso ad un rifugio antiaereo della Seconda Guerra Mondiale nelle vicinanze del Museo, il pubblico potrà rivivere momenti ed esperienze “quotidiane” della vita nelle grotte liguri oltre 6000 anni fa.

Museo di Archeologia Ligure, Sala Principe delle Arene Candide

La riapertura verrà celebrata giovedì 29 dicembre alle ore 12, con una festa organizzata dal Comune di Genova in collaborazione con associazioni e realtà economiche del Ponente cittadino.
Alle ore 12 sarà inaugurata la targa commemorativa dedicata all’archeologo siriano Khaled al-Asaad. La riapertura del Museo sarà festeggiata con momenti musicali a cura della Conte Brass Band e, nel pomeriggio, con attività e laboratori per bambini e ragazzi. Il Comune di Genova ringrazia la Scuola Musicale Conte e il CUP-Centro Universitario del Ponente.

Tra i 50.000 reperti conservati nello storico museo si ritrovano testimonianze delle vicende più significative della storia ligure: dai grandi cambiamenti climatici del paleolitico, alle origini di Genova, fino all’ascesa di Roma e alla nascita delle prime città romane in Liguria. La provenienza non solo da scavi archeologici, ma anche da alcune raccolte private, tra le quali spicca quella ottocentesca del Principe Odone di Savoia, consente spunti narrativi anche su questo peculiare capitolo di un collezionismo colto e raffinato.

Museo di Archeologia Ligure, Principe Arene Candide

Fra i reperti più importanti del museo: Il Principe delle Arene Candide. Scoperto a 6,70 m di profondità nella Caverna delle Arene Candide (Finale Ligure, Savona), questo giovane cacciatore di 15 anni vissuto 24.000 anni fa (datazione non calibrata), deve il soprannome di “Principe” allo straordinario corredo con cui è stato sepolto. È alto 1,70 m, ha braccia molto robuste, specie la destra adatta a scagliare lance durante la caccia e gambe allenate da sforzi continui e prolungati. Le analisi fatte sulle sue ossa indicano che mangiava molta carne di animali selvatici, ma anche pesci e molluschi. 
Il corpo adagiato sulla schiena è coperto di ocra rossa, il corredo è ricchissimo: un copricapo formato da centinaia di conchiglie marine forate, un lungo coltello in selce proveniente dall’odierna Francia meridionale stretto nella mano destra, un bracciale di conchiglie con ciondolo in avorio di mammut, quattro bastoni “di comando” ricavati da corna di alce, forati e decorati da linee e tacche incise e due “bottoni” in avorio di mammut accanto alle ginocchia.

La Tomba 30 della Necropoli di Via XX Settembre. È una delle tombe più ricche e interessanti dell’intera necropoli preromana di Genova. Appartiene ad una signora di alto rango, arrivata a Genova nel V secolo a.C. dall’area di Como e della Cultura di Golasecca, a seguito di un’alleanza matrimoniale. Il corredo comprende la splendida collana in ambra, importata dal Baltico, con elementi a forma di vaso portaprofumi, un ciondolo a forma di stivaletto, un disco fermapieghe in oro e alcune spille (fibule) in lega d’argento di diverse forme che si trovano anche nell’Etruria Padana.

Il Cerbero. Il gruppo scultoreo del Cerbero rappresenta un’opera straordinaria e unica realizzata a Genova nella prima età imperiale romana (I secolo a.C. – I secolo d.C.). Cerbero è un mostro della mitologia antica, un feroce cane con tre teste guardiano del regno dei morti. Nel nostro esemplare, che conserva solo due delle teste, è accovacciato sulle zampe posteriori mentre la sua zampa anteriore destra poggia con gli artigli su una testa umana mozzata.  Questa scultura in marmo apuano è stata ritrovata a Genova nella zona dell’attuale via Fieschi, in un’area di sepoltura prossima alla necropoli e lungo una via. Riunisce in sé elementi del mondo mediterraneo, come la figura mitologica del Cerbero, celto-liguri, come la testa umana mozzata e di ambito etrusco e italico come la coda a forma di serpente con cresta e bargigli.

La Tavola di Polcevera. È il più antico documento giuridico riguardante i Liguri e Genova. Questa importante epigrafe in bronzo fu rinvenuta nel 1506 nei pressi di Serra Riccò, in Valpolcevera, nell’entroterra di Genova. Riporta in lingua latina l’arbitrato emesso nel 117 a.C. da due magistrati romani, i fratelli Minucii, riguardante i territori sotto il controllo di Genova in Val Polcevera. Il testo riporta i confini e le attività agro-pastorali permesse ai Vituri Langensi, popolazioni liguri della Val Polcevera, e dà importanti informazioni anche sul tracciato della via Postumia che attraversava quel territorio collegando Genova alla Pianura Padana e poi verso est all’Adriatico.
Il documento è stato per molti anni simbolo delle antiche origini di Genova.


Melina Cavallaro
Uff. stampa & Promozione FREE TRADE Roma, Media Relations per la Città di Genova 

Giacomo Manzù, a Vercelli la grande mostra “La scultura è un raggio di luna”

GIACOMO MANZÙ.
“La scultura è un raggio di luna”

Vercelli, Arca ed ex Chiesa di San Vittore

10 marzo – 21 maggio 2023

Mostra a cura di Marta Concina, Daniele De Luca, Alberto Fiz

Sarà una grande retrospettiva riservata a Giacomo Manzù l’evento espositivo della primavera del 2023 (dal 10 marzo al 21 maggio) proposta a Vercelli. Ad annuncialo il Sindaco Avv. Andrea Corsaro, in un incontro pubblico accolto – non a caso – dall’Arca, ovvero da quella che sarà, insieme all’ex Chiesa di San Vittore, la sede della mostra realizzata dalla Città di Vercelli, Arcidiocesi di Vercelli, Studio Copernico in collaborazione con la Fondazione Manzù.

A curare l’esposizione sono Marta Concina, Daniele De Luca, Alberto Fiz. Proprio quest’ultimo ha voluto richiamare nel titolo della rassegna una  celebre citazione di Cesare Brandi “La scultura è un raggio di luna”.

Brandi che meglio di ogni altro si è fatto interprete del linguaggio di Manzù, scriveva nel 1983 “la scultura gira con tanti punti di vista autonomi e tutti confluenti in una forma che è aperta e chiusa, e nella sua statica è dinamica per come scorre in se stessa con una fluenza eraclitea in cui non ci si può bagnare due volte”. Il riferimento è alla serie di opere dedicate alla giovane modella Tebe, ma si può estendere all’intero corpus di Manzù che ha saputo coniugare la dimensione classica con quella naturalistica e fenomenologica trovando sin dagli anni Trenta una propria autonomia forza espressiva.

Giacomo Manzù: Grande Cardinale seduto, 1983,
bronzo, 221 x 148 x 113,5

La mostra proposta a Vercelli riunisce oltre trenta sculture, alcune monumentali, messe a disposizione dalla Fondazione Manzù, dallo Studio Copernico e da importanti collezionisti privati.

Il percorso spazia dagli anni Quaranta sino al 1990, un anno prima della sua scomparsa dove compare una testimonianza emblematica come la grande scultura di Ulisse, l’eterno simbolo della conoscenza.

La rassegna, allestita nelle due sedi, evidenzia l’attualità di un grande Maestro dell’arte plastica seguendo le differenti tematiche che ne caratterizzano la poetica. Così, la scelta delle opere consente di apprezzare i ritratti femminili, le nature morte (basti pensare a Sedia con aragosta del 1966) oltre ai celebri Cardinali, la sua serie più famosa iniziata negli anni Trenta. “La prima volta che vidi i Cardinali”, ha affermato Manzù, “fu in San Pietro nel 1934; mi impressionarono per le loro masse rigide, eppur vibranti di spiritualità complessa. Li vedevo come tante statue, una serie di cubi allineati e l’impulso a creare nelle sculture una mia versione di quella realtà ineffabile fu irresistibile”.

In mostra, accanto ad alcuni storici Cardinali in bronzo degli anni Quaranta, compare Grande Cardinale seduto, un’opera monumentale alta oltre due metri modellata nel 1983 da cui emerge la componente ieratica della figura all’interno di forme rigide e sintetiche assimilabili a piramidi.

Quest’opera, grazie alla disponibilità dello Studio Copernico, – precisa il Sindaco Avv. Andrea Corsaro – verrà offerta ai cittadini vercellesi e a tutti coloro che in questo periodo di feste visiteranno la nostra città, rimanendo fruibile nell’ex Chiesa di S. Vittore da oggi e fino al 21 maggio 2023.

La moglie Inge, conosciuta nel 1954 quando Manzù insegnava all’Accademia di Salisburgo e da allora sua musa, rappresenta una costante della sua ritrattistica e a Vercelli verrà esposto Busto di Inge, rara opera in marmo realizzata nel 1979 da cui emerge uno straordinario vitalismo rispetto a una composizione che assume una forma circolare dove le braccia si dispongono intorno al volto della donna. Dall’unione con Inge nascono i due figli Giulia e Mileto che diventano l’occasione per realizzare una serie di sculture sul tema del gioco e in mostra compare Giulia e Mileto in carrozza con il bozzetto in bronzo del 1967. Sono lavori che rientrano nel ciclo Spielerei dove Manzù propone liberamente una serie d’invenzioni plastiche che in questo caso gli danno modo di realizzare una carrozza arcaica dominata da una grande ruota.

La sperimentazione passa anche attraverso Donna che guarda, un’altra opera monumentale datata 1983 di 252 centimetri d’altezza scolpita in ebano un materiale che come afferma Manzù “è bello, durissimo, ha come il sangue nelle sue vene, si lavora come il ghiaccio ma è eterno”, opera presente in ARCA già al momento della presentazione della mostra.

In un viaggio così sfaccettato vanno citati anche Fauno modellato nel 1968 dove l’atteggiamento dell’uomo con le membra ripiegate esprime la potenza e l’energia del corpo, così come Il miracolo di San Biagio, un altorilievo fortemente intimista in cui fa la sua comparsa un Cardinale compassionevole.

“Dalla mostra di Vercelli dunque emergono – chiosa Alberto Fiz –  le diverse anime di uno scultore che, senza retorica, si è fatto interprete dell’umanità sapendo cogliere la sacralità profonda anche nel quotidiano: “Manzù”, scrive Brandi, “è nel suo tempo, fuori dal suo tempo, saldamento ancorato a quei valori eterni che non ha mai dimenticato”.


Giacomo Manzù (1908 – 1991)

Breve Biografia
(a cura di Alberto Fiz)

Giacomo Manzù, pseudonimo di Giacomo Manzoni, uno dei maggiori scultori del Novecento, nasce a Bergamo il 22 dicembre 1908, dodicesimo di quattordici fratelli.

La famiglia non ha possibilità economiche, il padre calzolaio, arrotonda le magre entrate con l’attività di sagrestano ed il piccolo Giacomo può frequentare la scuola fino alla seconda elementare.

Nelle botteghe degli artigiani dove il futuro scultore impara a scolpire e dorare il legno, prende confidenza con altri materiali come la pietra e l’argilla, mentre frequenta i corsi di Plastica Decorativa presso la scuola Fantoni di Bergamo.

Durante il servizio militare a Verona, ha l’occasione di ammirare e studiare le porte di San Zeno e si appassiona ai calchi dell’Accademia Cicognini.

Dopo un breve soggiorno a Parigi nel 1930 si stabilisce a Milano dove l’architetto Giovanni Muzio gli commissiona la decorazione della Cappella dell’Università Cattolica di Milano, lavoro che lo impegno per due anni.

Intanto realizza le sue prime opere in bronzo, si dedica al disegno, all’incisione, all’illustrazione e alla pittura.

Manzù comincia a modellare teste in cera e bronzo guardando a Medardo Rosso.

Nel 1932 prende parte a una mostra collettiva alla Galleria del Milione e nel 1933 espone una serie di busti alla Triennale

Nel 1934, alla Galleria della Cometa di Roma, tiene la sua prima grande mostra, insieme ad Aligi Sassu, con il quale divide lo studio.

Con l’opera Gesù e le Pie Donne vince il premio Grazioli dell’Accademia di Brera per lo sbalzo e il cesello.

Nel 1936 si reca a Parigi, con l’amico Sassu dove visita il Musée Rodin, conosce gli impressionisti e sviluppa i primi germi di ribellione che lo porteranno ad aderire al movimento di Corrente.

Considerato fra le personalità più significative della scultura italiana, nel 1939 inizia la serie dei Cardinali, ieratiche immagini in bronzo dalla schematica struttura piramidale avvolte nella massa semplice e potente della stola. Realizza poi il ciclo di bassorilievi in bronzo con le Deposizioni e le Crocifissioni in base a una poetica che si richiama a Donatello.

Negli anni Quaranta, come reazione alla violenza della guerra, Manzù riprende e riunisce sotto il titolo Cristo nella nostra umanità, le opere della Crocifissione e della Deposizione in cui il tema sacro viene utilizzato per simboleggiare prima la brutalità del regime fascista e poi gli orrori della guerra.

Nel 1941 Manzù ottiene la cattedra di scultura all’Accademia di Brera, dove insegna fino al 1954, quando si dimette per dissensi sul programma di studio.

Tra i molti riconoscimenti il suo nudo Francesca Blanc vince il Gran premio di scultura alla Quadriennale di Roma del 1942, mentre alla Biennale di Venezia del 1948, vince la medaglia d’oro per la serie dei Cardinali.

Nel 1945 si stabilisce a Milano e nel 1946 l’incontro con Alice Lampugnani è all’origine dell’importante opera Grande ritratto di signora e di un centinaio di disegni.

Nel 1947 Manzù illustra le Georgiche di Virgilio, e viene organizzata una grande mostra antologica dei suoi lavori al Palazzo Reale di Milano.

Nel 1954 prosegue l’attività d’insegnamento alla Sommerakademie di Salisburgo fino al 1960. A Salisburgo conosce Inge Schabel (1936-2018), che diventerà la sua compagna di vita e con cui avrà due figli, Giulia e Mileto. Lei e la sorella Sonja diventeranno da allora le modelle dei suoi ritratti.

In quel periodo inizia a lavorare  alla realizzazione della Porta della Morte per la basilica di San Pietro in Vaticano compiuta nel 1964. La porta vaticana, che lo impegna per diciassette anni, diviene l’epicentro di una poetica che, nel dialogare con la tradizione, ne rifiuta gli aspetti più strettamente accademici. Manzù realizza anche la Porta dell’Amore per il Duomo di Salisburgo (195 -1958), e la Porta della Pace e della Guerra per la chiesa di Saint Laurens a Rotterdam (1965-1968).

Ritorna poi alla figura a tutto tondo ed a temi più intimi come Passi di danza, Pattinatori Strip-tease e gli Amanti.

Nel 1964 si trasferisce in una villa nei pressi di Ardea, vicino Roma e nel 1969 viene inaugurato il Museo Amici di Manzù di Ardea.

Manzù si è occupato anche di teatro disegnando scenografie e costumi, tra cui quelli per l’ Oedipus rex di Igor Stravinskij nel 1965, per Tristano e Isotta di Richard Wagner nel 1971 e per il Macbeth di Giuseppe Verdi nel 1985.

Nel 1977 realizza a Bergamo il Monumento al partigiano e nel 1979 dona la sua intera collezione allo stato italiano. Del 1989 è la sua ultima grande opera, una scultura in bronzo alta sei metri posta di fronte alla sede dell’ONU a New York.

Giacomo Manzù muore a Roma il 17 gennaio 1991.


Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049 663499; www.studioesseci.net
referente Simone Raddi, simone@studioesseci.net

Treviso: I capolavori di Arturo Martini in mostra al Bailo  

ARTURO MARTINI. I capolavori

Treviso, Museo Luigi Bailo

31 marzo – 30 luglio 2023

Mostra a cura di Fabrizio Malachin e Nico Stringa

A 30 anni dall’ultima grande mostra trevigiana e a 75 dalla prima, il Bailo, con la curatela di Fabrizio Malachin e Nico Stringa, propone una nuova retrospettiva su Arturo Martini, dal titolo “Arturo Marini. I capolavori”: una mostra mai tentata prima che raduna quelle opere, per dirla con le parole di martini che “pesano tonnellate e sembrano leggere come una piuma”.

Per il pubblico sarà una imperdibile occasione per percorrere tutte le fasi della produzione artistica dello scultore trevigiano e per gli studiosi per formulare il nuovo punto sugli studi martiniani, evidenziando il ruolo e la modernità di Martini nella scultura europea del Novecento.

Martini è stabilmente protagonista al Bailo, grazie all’ampia collezione di sue opere patrimonio del Museo, che datano dalla produzione giovanile agli anni della maturità dell’artista.

Un’opera di Martini, l’Adamo ed Eva dalle dimensioni monumentali, funge da biglietto da visita del Bailo, grazie ad una parete finestrata che la lascia intravvedere, anche ai più distratti passanti sulla pubblica via.

È un capolavoro che Treviso si è conquistata grazie ad una pubblica sottoscrizione indetta nel 1993, giusto trent’anni fa. 

Arturo Martini, Ofelia

Cinque le sezioni in cui si articola questa grandiosa esposizione.

Il percorso prende il via dalla sezione permanente che il Bailo riserva allo scultore.  Qui ad essere ripercorsi sono gli anni dell’apprendistato, segnati dall’influsso di maestri come Giorgio Martini (padre del già celebre Alberto) e Antonio Carlini. Di lì a poco giungono le prime mostre a Treviso e a Venezia e i primi riconoscimenti. Poi la lunga permanenza a Monaco e l’influenza di Parigi. Alle sculture, con opere in gesso e in cemento come Maternità e Allegoria del mare e Allegoria della terra si affianca l’importante esperienza grafica e quella ceramica, per la quale appunto collabora con la fornace Gregorj.

Il proseguo della grande mostra è pensato per focus allo scopo di esaltare Martini attraverso i suoi grandi capolavori (seconda sezione).

Come nella mostra del 1967, saranno collocate in apertura il Leone di Monterosso – Chimera, e quel Figlio prodigo che fu scelto come manifesto della mostra. La conformazione fisica del museo consente di riservare ciascuna sala ad un preciso focus intorno ad un singolo capolavoro. Valga come esempio, la sala riservata alla Donna che nuota sott’acqua, di cui sarà dedicato un focus speciale. Per la prima volta sarà presentato, accanto al marmo, anche il bronzo ‘preparatorio’ mentre le tecnologie multimediali restituiranno l’illusione di entrare sott’acqua. Una sala coinvolgente e inattesa sarà dedicate al confronto tra La Pisana e Donna al sole. Due nudi di donna che sono una melodia armonica, il giorno e la notte, avvicinate per la prima volta in un allestimento. Due opera che sono una sublime espressione di quel vortice di sensualità e grazia, sfrontatezza e fascino, che tanto avevano conquistato e ammaliato Martini. E ancora Tobiolo, opera che ottenne per la prima volta unanimi consensi a Milano, Venezia, Parigi. Pubblicato sulla prima pagina del “Corriere della Sera” del 17 maggio 1935, segna una sorta di consacrazione nella carriera di Martini. Al Tobiolo che stringe nelle mani un pesce sarà accostato il più tardo Tobiolo “Gianquinto” che presenta una impostazione iconografica innovativa, in linea con gli esiti della Tuffatrice e il Pugile in riposo.

E ancora, la monumentale Sposa felice del 1930, presentata per la prima volta alla Quadriennale di Roma e da oltre 30 più esposta: un gesto di spontanea esultanza in un tripudio di forme, ornamenti, rigonfiamenti a sottolineare letizia e gaudio.

Altri ambienti saranno riservati ad altri capolavori monumentali, come Il bevitoreRagazzo seduto (alcune delle grandi terracotta di Martini, di rara potenza espressiva), La veglia eccetera.

Non mancheranno le novità, opere mai viste, come il mastodontico Sacro Cuore (3,20 m di altezza), la prima scultura su tema sacro eseguita dallo scultore. Il gesso, modellato nel 1929 quando si trovava a Monza per la chiesa di Vado Ligure, fu rifiutato perché ritenuto incongruo rispetto ai tradizionali canoni dell’arte sacra: gelosamente conservato dall’artista nella sua casa-museo sarà esposto in una mostra per la prima volta.

Altro gesso assicurato in mostra dalle grandi proporzioni (2,5 metri di altezza) ed esposta nella lontana mostra del 1967 è La Sposa Felice. Comparve per la prima volta alla I Quadriennale di Roma, quella vinta da Martini, è un tripudio di ornamenti, pizzi, rigonfiamento di tessuti. Celebre perché lo scultore stesso (ecco il genio e la pazzia assieme) scalpellò via il volto.

Quasi per celebrare l’ultima grande monografica, quella del 1967, ecco il celebre Tito Livio – il marmo è nell’atrio del Liviano a Padova – sarà in mostra grazie al calco realizzato per quella mostra trevigiana: il gesso recuperato e restaurato sarà affiancato per la prima volta dal suo bozzetto preparatorio.

Molti altri capolavori completeranno questa ampia sezione che occuperà tutto il piano terra del museo, un itinerario fisico sviluppato sugli spazi attorno ai due recuperati antichi chiostri rinascimentali.

La terza sezione sarà interamente riservata alle maioliche, sculture di piccolo formato che documentano la grandezza e la creatività di Martini. Opere minori solo in apparenza: esse esprimono tutta la tenacia e la curiosità con cui l’artista ha sperimentato ogni materiale possibile e fungono da laboratorio per rielaborazioni successive.  Una sezione nella sezione sarà dedicata ai pezzi unici modellati e maiolicati presso l’ILCA di Nervi ed esposti nella personale di Monza. È l’affermazione dello scultore-ceramista che realizza opere a sé, staccandosi dalla ‘dipendenza’ delle logiche industriali. ‘Piccoli’ capolavori dove non manca invenzione, armonia e anche ironia. Tra questi: Donna sdraiataLa fuga degli amantiL’esploratore, Visita al prigioniero, Briganti, fino alla serie di animali dove spiccano poche pennellate di contrasto.

Accanto alle commissioni monumentali Martini si applica, quasi per contrasto, alla creatività in opere di più piccolo formato. La riflessione sull’antico, dopo la visita a Napoli, lo portò a Blevio sul lago di Como a creare in poche settimane una serie di capolavori in gesso dove lo studio sulla costruzione e il movimento della figura portano a soluzioni antitetiche rispetto a quelle monumentali. Ricerche e sperimentazioni, in opere come Centomestrista, Morte di Saffo, Salomone, Laocoonte, Ratto delle Sabine, Susanna, Amazzoni spaventate eccetera, che nella terza sezione consentono di raccontare l’artista in costante ricerca, capace di ispirarsi continuamente e rielaborare in modo del tutto personale.

A Martini pittore è dedicata la quarta sezione. Ad evidenziare come disegno, grafica e pittura siano tracce di una ricerca parallela e complementare alla scultura, evidente nelle cheramografie (termine da lui inventato per stampe da matrici di “sfoglia” d’argilla) degli anni di Ca’ Pesaro e nella grafica “neomedievale” di soggetto religioso, a cui è dedicata anche una sezione della permanente, per l’occasione integrata da opere mai prima presentate in una mostra che riveleranno un aspetto inedito di Martini.

A concludere il percorso è la sezione quinta “La maturità nei capolavori del Bailo”, con una scelta di capolavori sorprendente ed eccezionale. Le prime sale sono dedicate a I bronzi degli anni ’20, piccola plastica e rilievi degli anni ’20, disegno, grafica e pittura. È alla luce del chiostro del Museo, in uno spazio silenzioso e sospeso, che si compie uno dei più poetici capolavori di Martini, La Venere dei porti, in una dimensione che ha a che fare col senso dell’attesa, della solitudine e della noia racchiusi nel malinconico nudo di una donna che aspetta “l’Amore”. Acquisita dal Comune nel 1933 (90 anni fa), è una delle grandi terrecotte create nel periodo compreso tra la fine degli anni Venti e i primissimi anni Trenta e che costituisce il periodo di più alta ispirazione dell’artista e in cui fonde insieme, in un unicum rivoluzionario, le forme classiche (dall’arte etrusca e greca a quella dei maestri del Duecento e del Trecento) con nuove concezioni plastiche.

Il percorso si conclude in quel chiostro che ospita Adamo ed Eva, l’opera simbolo del Museo e della mostra.


Ufficio Stampa:
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Tel. +39 049.663499 roberta@studioesseci.net (Roberta Barbaro)

Roma, Camera Frigo: il presepe in verticale di Dario Emilio Carli a cura di Donatella Giordano

Fino al 6 gennaio 2023 il presepe in verticale di Dario Emilio Carli

Presepe dal Cielo

a cura di Donatella Giordano

Camera Frigo
Via Filippo Re, 8 a – 00175 Roma

Dario Emilio Carli, Presepe dal Cielo, materiali d’allestimento, 2022

Fino al 6 gennaio 2023 è visitabile Presepe dal Cielo, l’installazione di Dario Emilio Carli, a cura di Donatella Giordano, ideata per Camera Frigo, ex Condotto C, spazio indipendente attivo nella zona del Quadraro. Un gruppo di statuine in terracotta dipinta del più piccolo presepe napoletano abbandona la classica ambientazione per collocarsi su un piano perpendicolare. Una migrazione che si ricompone in un grumo di colori imprecisi per celebrare il bambinello da un’altra prospettiva.

Dario Emilio Carli, Presepe dal Cielo

Le figure in assembramento, riunite attorno al loro centro nevralgico, compongono un rito rinnovabile, fermo per un tempo indefinito. Quello che somiglia ad uno sciame è in realtà un coacervo di umanità visto dall’alto, conforme alla visione aerea di un drone. Un salto di scala che colloca lo spettatore a mezz’aria, costretto a superare gli ostacoli del vedere fisiologico. Si rende esclusiva la celebrazione, affinché non proprio tutti si approprino visivamente del presepe per consumo e abuso. Secondo la personale visione dell’artista, fare il presepe è un atto di devozione e di adozione, un omaggio alla complessa storia culturale e ai valori diffusamente popolari e colti del presepio stesso. Un antidoto sincero allo sconforto, ben distinto dal politico e strategico ruolo di procurarsi l’opportunità di un adescamento propagandistico. 

L’opera resterà comunque visibile a spazio chiuso attraverso lo spioncino rettangolare del cancello, come prevede la formula di Camera Frigo.

Presepe dal Cielo è dedicato dall’autore a Concetta Francesca Panzera e Alfonso Frontanelli.


INFO

Dario Emilio Carli | Presepe dal Cielo
a cura di Donatella Giordano

Opening venerdì 16 dicembre 2022 | 18.00 – 22.30

Fino al 6 gennaio 2023

Orari: su appuntamento o allo spioncino

Camera Frigo
Via Filippo Re, 8 a – 00175 Roma

primobernardi@hotmail.com  + 39 3479257895
Ufficio stampa
Roberta Melasecca –
Melasecca PressOffice – Interno 14 next
tel 3494945612 – roberta.melasecca@gmail.com
cartella stampa su www.melaseccapressoffice.it

Ferrara, una città Rinascimentale attorno alla grande mostra ai Diamanti

Ai Diamanti la grande mostra su  
Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa.
E tutto intorno le meraviglie della Ferrara Rinascimentale

RINASCIMENTO A FERRARA
Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa

Ferrara, Palazzo dei Diamanti

18 febbraio – 19 giugno 2023

Mostra a cura di Vittorio Sgarbi e Michele Danieli

Promossa da Fondazione Ferrara Arte (direttore Pietro Di Natale) e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara

Vernice per la Stampa: giovedì 16 febbraio 2023, ore 11

Lorenzo Costa: Fuga degli Argonauti dalla Colchide, c. 1483 Tempera e olio su tavola, cm 35 x 26,5 Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza

Oltre 100 opere, molte che tornano per la prima volta a Ferrara da musei di mezzo mondo, riunite per indagare il primo Rinascimento Ferrarese. Ad accoglierle, dal 18 febbraio al 19 giugno 2023, un Palazzo dei Diamanti completamente rinnovato nei suoi spazi espositivi. La mostra inaugurale è dedicata a due grandi maestri ferraresi del Rinascimento: Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa, e costituisce prima tappa di un progetto più ampio e ambizioso intitolato Rinascimento a Ferrara 1471-1598 da Borso ad Alfonso II d’Este. Progetto destinato ad approfondire la vicenda storico-artistica del periodo compreso tra l’elevazione della città a ducato e il suo passaggio dalla dinastia estense al diretto controllo dello Stato Pontificio.

Le opere che si potranno ammirare in questa mostra, provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo, fanno di essa un’occasione unica, e forse irripetibile, per scoprire due grandi protagonisti del Rinascimento italiano, oltre che ferrarese.

Dopo aver ammirato le meraviglie così eccezionalmente riunite a Diamanti, diventa naturale voler scoprire il loro “terreno di coltura”, ovvero la Ferrara Rinascimentale: una meraviglia frutto di coltissimi e ambiziosi committenti, gli Este, di un grande architetto, Biagio Rossetti, e di Pellegrino Prisciani, l’astrologo di Corte. Ci sono loro dietro alla trasformazione di un borgo medievale in una delle capitali del Rinascimento italiano.

Il progetto, colossale, di rinnovo della capitale del Ducato, prese forma alla fine del ‘400 per iniziativa del duca Ercole I d’Este e si trattò di un intervento innovativo per estensione e organicità, che riuscì a fare di Ferrara, secondo Bruno Zevi la prima città moderna europea.

L’epicentro del rinnovamento fu il Castello Estense, la sede del potere ducale. Da trecentesca severa fortezza, nel corso dei due secoli, il Castello si evolve in fastosa dimora di una delle più splendide e celebri Corti d’Europa.

Le altezze delle sue inconfondibili quattro torri sovrastano tutto l’ambiente circostante e rivaleggiano soltanto con il campanile della Cattedrale.

Le pietre del Castello Estense di Ferrara risuonano ancora dei passi e delle voci dei suoi abitanti. Nelle prigioni, Ugo, figlio del Marchese Niccolò III, e Parisina, la giovane moglie del Marchese, morirono per essersi amati in segreto; e più tardi Giulio d’Este, fratellastro del duca Alfonso I, rimase imprigionato per 53 anni. Mentre, al piano nobile, Lucrezia Borgia, primadonna del Cinquecento, e il suo seguito celebravano i fasti di un’epoca in cui Ferrara era una delle corti più splendide d’Europa, cantata da Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso e dipinta dagli artisti della grande scuola ferrarese.

Fuori dal Castello la città doveva essere ampliata e rinnovata. Ecco l’invenzione della Addizione Erculea.

Con essa Ferrara muta la sua forma originale, preservando un eccezionale e armonioso equilibrio tra il nuovo che si stava creando e il preesistente nucleo medievale del vecchio centro urbano.

Un lungo viale viene progettato per congiungere il Castello con le mura della città. Su quello che era un terreno ancora agricolo, si traccia una delle più eleganti strade d’Europa. Ad affiancarla eleganti palazzi, in un crescendo che raggiunge i suo acme nel Quadrivio degli Angeli dove si fronteggiano Palazzo dei Diamanti e Palazzo Prosperi Sacrati. Il Corso prosegue poi verso la magnifica Certosa con il Tempio dedicato a San Cristoforo.

Poco più in là, Piazza Ariostea, la “piazza nuova” dove si affacciano i magnifici palazzi caratterizzati da ampi loggiati con arcate.

Lungo Corso Porta Mare, maestosi e preziosi palazzi. Come il complesso di Palazzo Massari (ora Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, con le raccolte di Giovanni Boldini e Filippo De Pisis (Museo in corso di riallestimento), sino ad affiancare Piazza Ariostea, dove svetta la statua recentemente restaurata del poeta Ludovico Ariosto. Da qui si può raggiungere il Tempio di San Cristoforo alla Certosa per rimanere incantati davanti alla sua mole incontrastata o svoltare per raggiungere la Casa che fu del poeta Ariosto.

A difendere la nuova Ferrara, una cerchia di mura, lunghe oltre 9 chilometri, funzionali al loro scopo ma anche di grande qualità architettonica.

Specchio de potere ma anche della magnificenza dei Duchi sono le Delizie Estensi, luoghi dello “star bene” innalzati ai margini della città e nel territorio circostante.

L’esempio più noto è quello di Palazzo Schifanoia, voluto da Alberto V d’Este nel 1385 come luogo di svago appartato dalla città per “schivar la noia”. Al piano nobile si ammira il celebre ciclo di affreschi del Salone dei Mesi, realizzato tra il 1469 e il 1470 dai maestri dell’Officina ferrarese, come Francesco del Cossa e Ercole de’ Roberti. Commissionato dal duca Borso d’Este per esaltare la sua attività di governo, il ciclo traduce in immagini le idee di Pellegrino Prisciani, astrologo di Corte, e rappresenta una delle più grandi testimonianze della cultura rinascimentale italiana.

Ispirati dai mesi dell’anno e dai segni zodiacali, sguardi, gesti e visi dei personaggi raccontano una storia vecchia di cinque secoli e mezzo. Il misterioso Vir Niger, l’uomo nero, l’ultimo decano del segno zodiacale dell’Ariete, accompagna nel mese di marzo Borso, duca di Ferrara dal 1471, e la sua corte, protetti da divinità dell’Olimpo sedute su carri celesti.

Poco discosta, la Palazzina Marfisa (visibile solo l’esterno, essendo in corso il restauro), magnifico esempio di residenza signorile costruita da Francesco d’Este, figlio del duca Alfonso I e di Lucrezia Borgia. Da non perdere sono Palazzo Roverella, Palazzo Bonacossi, Palazzo di Renata di Francia (visibile solo l’esterno)   e Palazzo Costabili, conosciuto anche come Palazzo di Ludovico il Moro.

In Palazzo Costabili meritano una visita i cicli affrescati ed in particolare il magnifico soffitto cinquecentesco affrescato dal Garofalo nella Sala Del Tesoro. Raffigura una finta balconata dalla quale si affacciano diversi personaggi che testimoniano il loro amore nei confronti della musica, dell’arte e della poesia.

In Casa dei Romei, la Sala delle Sibille e dei Profeti, i soffitti lignei, le volte affrescate e l'”Alcova” costituiscono un corpus artistico unico a Ferrara.

Posto a sé per Palazzo dei Diamanti, rinnovata sede che accoglie la grande mostra Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa, a cura di Vittorio Sgarbi e Michele Danieli.

Siamo davanti ad uno dei monumenti più celebri di Ferrara e del Umanesimo italiano, situato in corso Ercole I d’Este jr, nel Quadrivio degli Angeli, proprio al centro dell’Addizione Erculea. La sua caratteristica principale è il bugnato esterno a forma di punte di diamante, che danno il nome al palazzo. I circa 8.500 blocchi di marmo bianco venato di rosa creano pregevoli effetti prospettici grazie alla diversa conformazione delle punte, orientate diversamente a seconda della collocazione in modo da catturare al meglio la luce (ora verso terra, ora centralmente e verso l’alto nel risalire dalla parte inferiore del monumento). Celebri anche le candelabre e le decorazioni fitomorfe d’angolo tradizionalmente attribuite a Gabriele Frisoni un tagliapietre originario di Mantova, mentre la pilastra d’angolo sopra al balconcino, venne rifatta dallo scultore ferrarese Gaetano Davia.

Il piano nobile del Palazzo accoglie la Pinacoteca (Museo Nazionale) nelle sale comprendenti il magnifico salone d’onore e l’appartamento cinquecentesco di Virginia de’ Medici, offre una notevole rassegna di quadri rinascimentali. Alle opere di maestri come Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti e di altri artefici dell’Officina Ferrarese, si affiancano l’imponente Polittico Costabili, eseguito dal Garofalo e da Dosso Dossi, e i dipinti del Bastianino, con i quali si chiude l’epoca estense a Ferrara.

Una ulteriore tappa è d’obbligo per chi vuole approfondire la conoscenza della Ferrara Rinascimentale, quella al Museo della Cattedrale di Ferrara, nella ex Chiesa di San Romano. Qui, accanto a capolavori pittura e di scultura medievale (come le formelle raffiguranti i Mesi), si ammirano opere rinascimentali, a partire dalla Annunciazione e San Giorgio e il Drago, capolavoro assoluto di Cosmè Tura, capofila della scuola ferrarese quattrocentesca, e la Madonna della Melagrana, statua in marmo di Carrara dell’artista senese Jacopo della Quercia.


Informazioni
tel. 0532 244949 | diamanti@comune.fe.it
www.palazzodiamanti.it

Ufficio Stampa
Ufficio Stampa Fondazione Ferrara Arte
Anja Rossi
3404190867
comunicazione.ferrararte@comune.fe.it

In collaborazione con
Studio ESSECI – Sergio Campagnolo 
www.studioesseci.net tel. 049663499
rif. Simone Raddi simone@studioesseci.net 

MAMbo, Bologna – Yuri Ancarani. Atlantide 2017 – 2023

Yuri Ancarani
Atlantide 2017 – 2023

a cura di Lorenzo Balbi

MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Sala delle Ciminiere
2 febbraio – 7 maggio 2023
Opening mercoledì 1 febbraio 2022 h 18.00

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna trasforma ancora una volta lo spazio della Sala delle Ciminiere per accogliere il nuovo progetto espositivo di Yuri Ancarani (Ravenna, 1972): Atlantide 2017 – 2023La mostra, a cura di Lorenzo Balbi, è un main project di ART CITY Bologna 2023, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso da Comune di Bologna e BolognaFiere in occasione di Arte Fiera, inaugura mercoledì 1 febbraio 2023 alle h 18.00 e rimarrà aperta al pubblico dal 2 febbraio al 7 maggio 2023
Atlantide 2017 – 2023 si realizza con il sostegno del Trust per l’Arte Contemporanea, grazie al main sponsor Gruppo Hera, in partnership con il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e IWONDERFULL, in collaborazione con I Wonder PicturesDugong Films e Rai Cinema.

Yuri Ancarani, still da Atlantide, 2021, durata 104 min, courtesy Studio Ancarani

Il progetto pensato per il MAMbo da Ancarani, artista visivo e regista, si pone come un’ “esplosione” del film Atlantide, presentato in anteprima nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia nel 2021 e, a seguire, in numerosi festival internazionali: un viaggio all’interno del processo di ricerca e dei numerosi materiali prodotti nell’arco di circa sei anni, prima, durante e dopo la realizzazione del film, sui quali l’artista ha operato una selezione, dando loro una nuova formalizzazione.In un’atmosfera avvolgente e immersiva il pubblico potrà seguire una extra-narrazione che va oltre il lungometraggio, grazie a una serie di contenuti inediti prodotti per la mostra.

Il film – una produzione Dugong Films con Rai Cinema in coproduzione con Luxbox e Unbranded Pictures –  ha come protagonistaDaniele, un giovane di Sant’Erasmo, un’isola della laguna di Venezia. Vive di espedienti, ed è emarginato anche dal gruppo dei suoi coetanei, i quali condividono un’intensa vita di svago, che si esprime nella religione del barchino: un culto incentrato sulla elaborazione di motori sempre più potenti, che trasformano i piccoli motoscafi lagunari in pericolosi bolidi da competizione. Anche Daniele sogna un barchino da record, che lo porti in testa alla classifica. Ma tutto ciò che fa per realizzare il suo sogno e guadagnarsi il rispetto degli altri finisce per rivoltarglisi contro, tragicamente. Il degrado che intacca le relazioni, l’ambiente e le pratiche di una generazione alla deriva viene osservato attraverso gli occhi del paesaggio senza tempo di Venezia. Il punto di non ritorno è una balorda, residuale storia di iniziazione maschile, violenta e predestinata al fallimento, che esplode trascinando la città fantasma in un trip di naufragio psichedelico.
Atlantide è stato costruito e realizzato attraverso le relazioni che il regista ha sviluppato nel tempo con i ragazzi entrati a far parte del cast, quasi tutti non-attori, le loro vicende di vita, il rapporto con Venezia. Racconta Ancarani:
“Atlantide è un film nato senza sceneggiatura. I dialoghi sono rubati dalla vita reale, e la storia si è sviluppata in divenire durante un’osservazione di circa quattro anni, seguendo la vita dei ragazzi. Questo metodo di lavoro mi ha dato la possibilità di superare il limite di progettazione tradizionale nel cinema: prima la scrittura e poi la realizzazione. Così il film ha potuto registrare in maniera reattiva questo momento di grande cambiamento di Venezia e della laguna, da un punto di vista difficile da percepire, attento allo sguardo degli adolescenti. Il desiderio di vivere così da vicino le loro vite, dentro i loro barchini, ha reso possibile tutto il resto: il film si è lentamente costruito da solo” (L’Atlantide di Yuri Ancarani, su cinematografo.it, 2 settembre 2021).

Nel film, sebbene la narrazione ruoti intorno a Daniele e agli altri ragazzi, emerge come grande protagonista l’unicità della città lagunare. Così anche al MAMbo il fulcro è la Venezia-Atlantide ricreata dall’artista. Una città difficilmente definibile, soffocata dallo sfruttamento turistico, costantemente sotto minacce ambientali che interessano tutto il pianeta ma qui diventano particolarmente pregnanti. Un luogo i cui abitanti, ormai ridotti a meno di 50.000, vivono in bilico tra la necessità di lottare per non essere sommersi dalle acque lagunari e dalle ondate turistiche inarrestabili e la tentazione di abbandonare la lotta e lasciare la città al suo destino.
Al contempo, in un’ottica più ampia, la Venezia di Ancarani perde la sua connotazione geografica e urbana, diventa un simbolo, una rappresentazione ideale della decadenza del capitalismo, un luogo esemplare per raffigurare un problema globale. Alla fine del percorso ci si rende conto di come questi problemi, queste tematiche, non riguardino solo Venezia o i veneziani, ma ci coinvolgano tutti da vicino.

La disperazione dell’adolescenza, la decadenza di Venezia, il degrado dell’ambiente e delle relazioni sono i grandi temi che attraversano anche la mostra Atlantide 2017 – 2023, che può essere letta come un’unica opera corale: il film viene presentato in una sala del museo come tassello di un progetto più ampio che include una serie di nuovi lavori.Scrive Lorenzo Balbi sull’esposizione:
Nella Sala delle Ciminiere e attorno ad essa Ancarani ricrea un luogo irreale, forse emerso o forse sommerso, pervaso dall’oscurità, da nebbia e luci al laser. In questo non-luogo i visitatori entrano fisicamente in contatto con la Venezia-Atlantide dell’artista: un luogo immaginario o forse reale, fatto di immagini semplici ma spiazzanti: un prete che spazza inesorabilmente l’acqua sotto un portego con la scopa, un musicista improvvisato che strimpella con una fisarmonica su una fondamenta davanti ad un vaporetto in secca, due ragazzi sul barchino che si rivestono dopo aver consumato un rapporto in laguna, una ragazza che viene portata bendata a vedere l’adesivo con il proprio nome appena attaccato sul barchino del fidanzato. Sono immagini qualunque di vita veneziana, immagini apparentemente fuori dall’ordinario ma per questo ancora più reali ed efficaci“.

I materiali presentati sono vari e in alcuni casi si tratta di veri e propri cortometraggi, frutto anche del lavoro documentaristico svolto da Ancarani a Venezia (è il caso, ad esempio, delle riprese della manifestazione contro le grandi navi in laguna o del trasporto in barca di un elettrodomestico da Burano a Rialto, visto tramite i movimenti di una cimice sulle funi di fissaggio). Un passaggio particolarmente forte della mostra è la doppia video-installazione allestita al centro della Sala delle Ciminiere in cui il pubblico ritroverà il carattere psichedelico del finale di Atlantide, con scene inedite, fasci di luci colorate del barchino di Daniele che si proiettano sui palazzi veneziani e la musica di Sick Luke e Lorenzo Senni/Francesco Fantini che viene suonata in sincrono da un’orchestra sullo schermo di fronte.

In occasione di Atlantide 2017 – 2023 esce per Edizioni MAMbo la sceneggiatura inedita di Atlantide, adattata da Patrizia Pistagnesi, critica, docente, sceneggiatrice e creatrice di serie tv, che ha creato un testo successivo alla realizzazione del film, nato appunto senza sceneggiatura, con dialoghi spontanei. La pubblicazione è arricchita da un testo inedito di Lorenzo Balbi e da una selezione di still del film.

Yuri Anacarani sarà a Bologna anche ad Arte Fiera 2023: è lui infatti il protagonista della prima edizione di Led Wall Commission, che vedràla presenza all’ingresso di Piazza Costituzione di un mega-schermo di 5×9 metri su cui saranno visibili suoi contenuti video per chi attraversa la soglia del quartiere fieristico. Sempre nell’ambito del programma di incontri organizzati da Arte Fiera verrà presentata la sceneggiatura pubblicata da Edizioni MAMbo.
All’artista sarà infine dedicata una mostra antologica al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milanodal28 marzo all’11 giugno 2023, curata da Diego Sileo e Iolanda Ratti con catalogo edito da Silvana Editoriale, che sottolineerà il dialogo e la connessione tra le due esposizioni, bolognese e milanese.

Yuri Ancarani – Note biografiche

Yuri Ancarani, still da Atlantide, 2021, durata 104 min, courtesy Studio Ancarani

Yuri Ancarani (Ravenna, 1972) è un video artista e film-maker italiano. Le sue opere nascono da una continua commistione fra cinema documentario e arte contemporanea, e sono il risultato di una ricerca spesso tesa ad esplorare regioni poco visibili del quotidiano, realtà in cui l’artista si addentra in prima persona.
I suoi lavori sono stati presentati in numerose mostre e musei nazionali e internazionali, tra cui: Kunstverein Hannover (Germania); Castello di Rivoli (Rivoli Torino, Italia); Manifesta 12 (Palermo, Italia); Kunsthalle Basel (Basilea, Svizzera); Art Basel Unlimited (Basilea, Svizzera); 16° Quadriennale d’Arte Altri tempi, altri miti, Palazzo delle Esposizioni (Roma); 55° Esposizione d’Arte Internazionale, Il Palazzo Enciclopedico, La Biennale di Venezia (Italia); Beursschouwburg (Brussel, Belgio); CAC, Centre d’Art Contemporain Genève (Ginevra, Svizzera); Centre Pompidou (Parigi, Francia); Fondazione Sandretto, Re Rebaudengo (Torino); Hammer Museum (Los Angeles, California); AMACI, Museo del Novecento (Milano); MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (Roma); R. Solomon Guggenheim Museum (New York, USA); Palais de Tokyo (Parigi, Francia); RaebervonStenglin (Zurigo, Svizzera); Stiftung Insel Hombroich (Neuss, Germania).
E in numerosi Festival, tra cui: New York Film Festival (New York City, USA); Camden International Film Festival (Maine, USA); New Directors/New Films, MoMA (New York, USA); Desert Exhibition of Art (Palm Spring, California); True/False Film Festival (Columbia, Missouri); SXSW South by Southwest (Houston, Texas); Ann Arbor Film Festival (Michigan, USA); Hot Docs (Toronto, Canada); TIFF Toronto International Film Festival (Toronto, Canada); BIM Biennale dell’Immagine in Movimento, Centre d’Art Contemporain Genève (Ginevra, Svizzera); Locarno Film Festival (Locarno, Svizzera); Viennale (Vienna, Austria); 67° e 68°Festival del Cinema di Venezia (La Biennale di Venezia, Italia); IFFR International Film Festival Rotterdam (Rotterdam, Olanda); 23° IDFA International Documentary Film Festival Amsterdam (Amsterdam, Olanda); Cinéma du Réel (Centre Pompidou, Parigi Francia); CPH:DOX (Copenhagen, Danimarca); Festival International du Film de La Roche sur Yon (La Roche sur Yon, Francia); Beat Film Festival (Mosca, Russia); Taipei Film Festival (Taipei, Taiwan).
Ha inoltre ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui: “Premio speciale della giuria CINÉ+” Cineasti del presente, 69° Locarno Film Festival (Locarno, Svizzera); cinque nominations ai Cinema Eye Honors, Museum of Moving Image (New York, USA); “Grand Prix in Lab Competition”, Clermont Ferrand Film Festival (Clermont Ferrand, Francia).


SCHEDA TECNICA

Mostra:
Yuri Ancarani. Atlantide 2017 – 2023

A cura di:
Lorenzo Balbi

Promossa da:
Settore Musei Civici Bologna | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

Sede:
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Via Don Minzoni 14, Bologna

Periodo di apertura:
2 febbraio – 7 maggio 2023
Opening mercoledì 1 febbraio 2022 h 18.30

Orari di apertura:
martedì e mercoledì h 14-19; giovedì h 14 -20; venerdì, sabato, domenica e festivi h 10-19
chiuso lunedì non festivi

Orari speciali in occasione di ART CITY Bologna 2023 saranno disponibili sul sito www.mambo-bologna.org

Ingresso:
Intero 6 euro | ridotto 4 euro

Informazioni generali:
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Tel. +39 051 6496611
www.mambo-bologna.org
info@mambo-bologna.org
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Settore Musei Civici Bologna: tante mostre da visitare nel corso delle festività natalizie

Il periodo delle festività natalizie è tra i più propizi per dedicarsi all’arte e alla cultura. Per ampliare le possibilità di fruizione del ricco patrimonio storico-artistico, dal 24 dicembre 2022 al 6 gennaio 2023 le sedi dei musei civici si faranno ancora più accoglienti verso cittadini e turisti con aperture straordinarie in tutti i giorni i giorni festivi, ad eccezione di Natale.

I pittori di Pompei
A cura di Mario Grimaldi
Fino al 19 marzo 2023
Museo Civico Archeologico – via dell’Archiginnasio 2
Tel. 051 2757211
ipittoridipompei.it

I pittori di Pompei
Veduta di allestimento della mostra presso il Museo Civico Archeologico di Bologna, 2022-2023
Foto Roberto Serra. Courtesy MondoMostre

Fino al 19 marzo 2023 al Museo Civico Archeologico di Bologna è visibile la grande mostra I pittori di Pompei con alcuni capolavori provenienti da quella che è considerata la più grande pinacoteca dell’antichità al mondo: il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Attraverso oltre 100 splendidi affreschi che arricchivano le antiche domus romane di Pompei e delle altre città dell’area vesuviana, l’esposizione, curata da Mario Grimaldi e prodotta da MondoMostre, esplora la società del I secolo d.C. a partire dalla figura dei pictores, sul cui ruolo aleggia una nuvola di mistero ancora oggi non del tutto svelato, offrendo una prospettiva inedita per esplorare i gusti e i valori di un mondo che esercita ancora un fascino irresistibile ai nostri occhi.
Nel passare in rassegna le eccellenti creazioni con cui gli artisti dell’epoca decorarono domus come quelle del Poeta Tragico, dell’Amore punito a Pompei, o ville come quella di Fannio Sinistore a Boscoreale, così come nello scoprire gli strumenti del mestiere, dalle squadre al compasso, dai disegni preparatori alle coppe ancora ripiene di colori di duemila anni fa, la mostra racconta l’unicità di un mondo e le peculiarità di quei pictores la cui arte segna nel giro di pochi secoli una vera e propria rivoluzione, tanto da essere considerati, secondo le parole di Plinio il Vecchio, di “proprietà dell’universo”.
Il progetto espositivo ha infatti come principale missione quella di contestualizzare il ruolo e la condizione economica di questi artisti nella società del tempo, oltre a mettere in luce le tecniche, gli strumenti, i colori e i modelli.
L’importantissimo patrimonio di immagini che questi autori ci hanno lasciato – magnifici affreschi dai colori ancora vivaci, spesso di grandi dimensioni – restituisce infatti il riflesso dei gusti e i valori di una committenza variegata e ci consente di comprendere meglio i meccanismi sottesi al sistema di produzione delle botteghe.

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Verità e illusione. Figure in cera del Settecento bolognese
A cura di Massimo Medica, Mark Gregory D’Apuzzo, Ilaria Bianchi, Irene Graziani

Fino al 12 marzo 2023
Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini – Strada Maggiore 44
Tel. 051 236708
Museo di Palazzo Poggi – via Zamboni 33
Tel. 051 20 99610

www.museibologna.it/arteantica
sma.unibo.it/museopoggi

Nicola Toselli (Bologna 1705-1792), Ritratto del conte senatore Paolo Patrizio Zambeccari (1670-1756), post 1756
cera policroma, vetro, capelli, tessuto, h 85 cm; teca in legno con cornice intagliata e dorata, 130 × 90 × 50 cm
Collezione privata
Foto Roberto Serra. Courtesy Settore Musei Civici Bologna | Musei Civici d’Arte Antica

La mostra Verità e illusione. Figure in cera del Settecento bolognese, a cura di Massimo Medica, Mark Gregory D’Apuzzo, Ilaria Bianchi e Irene Graziani, si configura come primo evento espositivo organicamente incentrato sulla ritrattistica in cera realizzata in ambito bolognese durante il Settecento, secolo che conobbe il maggiore rilancio dell’arte antica e intrigante della ceroplastica già praticata nelle epoche classiche e medievali.
Promossa dai Musei Civici d’Arte Antica di Bologna in collaborazione con il Museo di Palazzo Poggi afferente al Sistema Museale di Ateneo | Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, l’esposizione intende far conoscere al pubblico e rivalutare in una giusta prospettiva l’indubbia qualità di quanto ancora sopravvive di una produzione che, secondo le fonti documentarie, fu assai ricca e vide impegnati abilissimi scultori. A ricondurre con piena dignità questo patrimonio nel clima della gloriosa civiltà figurativa del Settecento bolognese fu lo storico dell’arte Andrea Emiliani, alla cui memoria l’iniziativa è significativamente dedicata, autore nel 1960 di un fondamentale saggio, ora ripubblicato nel catalogo pubblicato da Silvana Editoriale che accompagna la mostra.
A partire dal nucleo di opere conservato al Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, il progetto espositivo traccia un ampio e dettagliato panorama dell’officina ceroplastica a Bologna riunendo per la prima volta 18 opere, di cui 16 figure in cera e 2 terrecotte, di notevole fattura presenti in raccolte museali ed edifici di culto cittadini, potendo inoltre godere del prestito straordinario di pezzi appartenenti a collezioni private e dunque raramente visibili.
Il rinnovato interesse che la ricognizione si propone di sollevare verso un capitolo della storia dell’arte poco conosciuto al pubblico costituisce dunque un importante momento di aggiornamento degli studi, anche grazie ai restauri conservativi operati in vista dell’evento espositivo, e di nuovi riposizionamenti attributivi in un ambito produttivo storicamente travagliato da incertezze interpretative.

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The Floating Collection
A cura di Lorenzo Balbi e Caterina Molteni
Fino all’8 gennaio 2023
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Sala delle Ciminiere – via Don Minzoni 14

Tel. 051 6496611
www.mambo-bologna.org

The Floating Collection
Veduta di allestimento, MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022-2023
Foto Ornella De Carlo. Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

La mostra collettiva The Floating Collection nasce dal desiderio di studiare le ricchissime collezioni dei musei bolognesi – del Settore Musei Civici Bologna e di altri sistemi museali cittadini – tramite lo sguardo di sei artiste e artisti: Alex Ayed (Strasburgo, 1989), Rä di Martino (Roma, 1975), Cevdet Erek (Istanbul, 1974), David Jablonowski (Bochum, 1982), Miao Ying (Shanghai, 1985), Alexandra Pirici (Bucarest, 1982).
In preparazione della mostra, tramite visite, incontri di approfondimento con il personale museale e derive spontanee, numerose collezioni e luoghi significativi della città sono stati trasformati in risorse, in una “piattaforma di ricerca” in grado di aprire traiettorie di indagine socio-culturale ed estetica.
L’esposizione, a cura di Lorenzo Balbi e Caterina Molteni, trae ispirazione dal dibattito e dai processi di decolonizzazione avviati nei musei etnografici e antropologici di tutto il mondo che, dagli anni Novanta, si sono impegnati in una revisione della storia dei propri patrimoni, sperimentando nuovi approcci di indagine sulle collezioni e di mediazione con il pubblico.
Inscrivendosi in tale contesto, la mostra pone attenzione sui linguaggi delle arti visive proponendoli come strumenti in grado di rileggere le storie della città, riattivarle e re-immaginarle con gli occhi sgombri dalle strutture narrative e dagli approcci metodologici consueti.
All’impostazione enciclopedica e catalogatoria che caratterizza il modello museale occidentale e moderno, la “collezione fluttuante” si contrappone muovendosi sui confini delle discipline senza delineare regole o letture unitarie ma ponendo domande, offrendo immaginari e tenendosi aperta a continue oscillazioni e variazioni.
Protagonisti del progetto non sono tanto gli oggetti delle collezioni dei musei bolognesi, quanto le idee e gli immaginari emersi da una loro riconsiderazione. Le artiste e gli artisti ci accompagnano così in una riflessione sulla museologia e sulle sue sovrastrutture, sulla storia socio-culturale del territorio, sulla natura evocativa di manufatti e altre curiositates, sulle potenzialità della creazione di mondi fittizi in grado di fare luce sul modo in cui a tutt’oggi organizziamo e valorizziamo le informazioni.
Soffermandosi sui metodi tramite cui le arti visive si rapportano allo studio della società, la mostra diventa anche un esempio della polifonia di stili, tecniche e approcci che caratterizzano le arti contemporanee più recenti.

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Non sono dove mi cercate. Porpora Marcasciano, il movimento, dall’underground al queer al MIT
A cura di Michele Bertolino
Fino all’8 gennaio 2023
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Project Room – via Don Minzoni 14

Tel. 051 6496611
www.mambo-bologna.org

Non sono dove mi cercate. Porpora Marcasciano, il movimento, dall’underground al queer al MIT
Veduta di allestimento, MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022-2023
Foto Ornella De Carlo. Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

La mostra, a cura di Michele Bertolino, visibile nella Project Room del MAMbo, presenta una selezione di disegni inediti, che Marcasciano realizza dagli inizi degli anni Settanta, quando per la prima volta scende le scale dello Studio Uno Underground, un centro sociale, sede politica e galleria d’arte gestita da alcuni hippies nel suo paese natale, San Bartolomeo in Galdo (Benevento). Prodotti tra il 1973-1977 e ancora dal 1981 alla metà del decennio, e dimenticati per diversi anni in soffitta, i disegni sono composizioni psichedeliche in cui gli immaginari di un’intera generazione prendono la forma di surreali paesaggi meccanici e formazioni stratificate in cui corpi alieni, mani e labbra, seni, vagine, falli e tubi si fondono l’uno nell’altro. La stessa tecnica riflette la porosità del contesto in cui le opere sono state eseguite: la carta è spesso lavorata con il diluente, o acqua ragia, che permette di trasferire colori e immagini da quotidiani o fotografie e giocare con macchie e sfumature, facendo emergere favole e incastri.
Le vicende del ’77 italiano, i convulsi anni del Movimento Frocio che conquista il Cassero di Porta Saragozza nel 1982, l’affermarsi politico dell’esperienza trans con l’approvazione della legge 164, che consente alle persone trans di vedere riconosciuto il proprio genere elettivo, sono passaggi importanti, iscritti nel significato e nell’iconografia dei disegni di Marcasciano. Tali fermenti e movimenti politici, di cui Bologna è uno dei principali laboratori, si lasciano intravedere nella Project Room del MAMbo, tramite una raccolta di materiali di archivio. Ritagli di giornali, fotografie, libri, comunicati stampa, documenti politici, flyer e copertine di dischi sono riprodotti su pannelli semitrasparenti che riconfigurano l’architettura della sala.
Le stesse atmosfere vengono attualizzate nell’installazione sonora Non siamo dove ci cercate realizzata per l’occasione da ALMARE, in cui testimonianze, canzoni, registrazioni e materiali di archivio ci proiettano nel mezzo di rumori e sogni tuttora attuali.
La mostra si realizza con la collaborazione di: MIT – Movimento Identità Trans, Divergenti – Festival internazionale di cinema trans, Archivio storico del MIT.
Si ringraziano inoltre: Centro di Documentazione “Aldo Mieli” e Centro di Documentazione “Flavia Madaschi” Cassero LGBTI+ Center.

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Giorgio Morandi. Opere dalla collezione Antonio e Matilde Catanese
A cura di Mariella Gnani
Fino al 26 febbraio 2023
Museo Morandi – via Don Minzoni 14
Tel. 051 6496611
www.mambo-bologna.org/museomorandi

Giorgio Morandi. Opere dalla collezione Antonio e Matilde Catanese
Veduta di allestimento, Museo Morandi, Bologna, 2022-2023
Foto Ornella De Carlo. Courtesy Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi

La mostra Giorgio Morandi. Opere dalla collezione Antonio e Matilde Catanese presenta 27 opere appartenenti a una raccolta nata dalla passione dei coniugi Catanese, che iniziano ad acquistare fin dagli anni Sessanta i primi Morandi, dando prova del loro gusto raffinato e lungimirante in una città come Milano, che nel Novecento ebbe un ruolo fondamentale nel mondo dell’arte e del collezionismo in particolare. L’esposizione, curata da Mariella Gnani, prende avvio dal desiderio della famiglia Catanese di rendere disponibile alla pubblica fruizione parte della propria collezione e dalla volontà dei figli di esprimere gratitudine verso i genitori per aver avuto la possibilità di crescere e affinare la propria sensibilità a contatto con capolavori.
La Collezione Catanese rappresenta “unmicrocosmo esemplare per decifrare e intendere l’attività di Morandicome evidenzia Maria Cristina Bandera, storica dell’arte, membro del Consiglio Direttivo e della Commissione Scientifica della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi. Ciò soprattutto grazie al numero di opere presenti nella raccolta, realizzate in un arco temporale che copre quasi tutti gli anni dell’attività del maestro bolognese e che affrontano tutti i temi e le tecniche da lui trattati, nonché per l’indubbia rilevanza dei pezzi che ne fanno parte.
Giorgio Morandi. Opere dalla collezione Antonio e Matilde Catanese
 è accompagnata da una pubblicazione edita da Silvana Editoriale, con testi critici di Mariella Gnani, Maria Cristina Bandera, Luca Cecchetto, Federica Bucolini, Paolo Triolo, Sabrina Burattini, Laura Valentini e le schede delle 90 opere appartenenti alla collezione Catanese a cura di Stella Seitun.
Per la realizzazione dell’esposizione si ringrazia l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo | Scuola di Conservazione e Restauro che ha affiancato la curatrice per il controllo delle opere durante il periodo espositivo e per alcune indagini legate alla caratterizzazione dei materiali, alla documentazione digitale e alla diagnostica non invasiva.

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L’ “Epoca” di Mario De Biasi. Morandi attraverso l’obiettivo
A cura di Lorenza Selleri e Silvia De Biasi
Fino al 5 febbraio 2023
Casa Morandi – via Fondazza 36
Tel. 051 300150

www.mambo-bologna.org/museomorandi

Mario De Biasi, Giorgio Morandi nel suo appartamento di via Fondazza, Bologna, aprile 1959

A Casa Morandi si consolida la programmazione di eventi espositivi dedicati ad artisti che, con il proprio lavoro, a vario titolo e attraverso media diversi, hanno stabilito una relazione con Giorgio Morandi. Fino al 5 febbraio, negli spazi di quella che fu la dimora-studio del maestro bolognese, è visibile L’ “Epoca””di Mario De Biasi. Morandi attraverso l’obiettivo, mostra fotografica che presenta una straordinaria serie di ritratti non posati dell’artista nel suo ambiente domestico, realizzati nel 1959 da Mario De Biasi, allora fotoreporter di “Epoca”. L’esposizione è curata da Lorenza Selleri e Silvia De Biasi, figlia del fotografo e responsabile dell’Archivio paterno.
È l’aprile del 1959 quando Mario De Biasi, inviato da Enzo Biagi, giovane direttore della rivista “Epoca”, si reca in via Fondazza 36 per realizzare un reportage su Giorgio Morandi. Noto per il carattere schivo e la ritrosia verso qualunque forma di esposizione della sua persona, l’artista accetta tuttavia di essere fotografato tra le mura di casa, nel salotto in cui si accoglievano gli ospiti, rigorosamente in giacca e cravatta.
Il servizio ci restituisce un Morandi non in posa, che non assume atteggiamenti innaturali o forzati, rientrando perfettamente in un genere che De Biasi aveva già sperimentato, quello dei ritratti di personaggi famosi colti nella loro quotidianità, per i quali aveva coniato la definizione: “ritratti in maniche di camicia”.

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Antologia della moto bolognese, 1920-1970
Fino al 28 maggio 2023

Museo del Patrimonio Industriale – via della Beverara 123
Tel. 051 6356611
www.museibologna.it/patrimonioindustriale

Antologia della moto bolognese, 1920-1970
Veduta di allestimento, Museo del Patrimonio Industriale, Bologna, 2022-2023
Foto V. Farina. Courtesy Settore Musei Civici Bologna | Museo del Patrimonio Industriale

Antologia della moto bolognese, 1920-1970 porta a compimento un ampio e importante lavoro di indagine condotto negli anni dal Museo del Patrimonio Industriale con l’obiettivo di realizzare una puntuale e completa ricognizione dell’industria motociclistica in area bolognese – terra di motori per eccellenza – dalla nascita negli anni Venti del Novecento fino agli anni Sessanta, contestualizzandone gli scenari di evoluzione tecnica, produttiva e aziendale.
La mostra Antologia della moto bolognese, 1920-1970, organizzata con il contributo dell’Associazione Amici del Patrimonio Industriale, ripercorre cinquant’anni di produzione motociclistica bolognese che si è distinta, fin dagli esordi, per l’inventiva e le capacità di numerosi tecnici che si sono cimentati, con diversa fortuna, nella realizzazione di veicoli sempre molto curati, non solo dal punto di vista costruttivo, ma anche estetico, imponendosi inoltre ai più alti livelli, con le versioni da competizione, in ambito nazionale ed estero.
Attraversando stagioni diverse e spesso difficoltose – la fase pionieristica, le ristrettezze e le distruzioni del periodo bellico, la ripresa ed il miracolo economico – le piccole e medie case costruttrici della città e del territorio circostante hanno sempre esposto nelle “vetrine” delle fiere del settore, e quindi offerto sul mercato, una gamma di motocicli unica per quantità, varietà e bellezza.
Il percorso espositivo presenta 32 motociclette realizzate dai più importanti marchi del cinquantennio ed è arricchito da una serie di materiali multimediali: sette contributi filmati provenienti dall’Istituto Luce, l’intera serie delle moto esposte nelle precedenti esposizioni e il filmato, prodotto dal museo, Italiani in motocicletta, basato sui cinegiornali dell’Istituto Luce (1930-1940).

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A ciascuno il suo giorno
A cura di Raffaella Salato
Fino al 12 febbraio 2023

Museo del Patrimonio Industriale – via della Beverara 123
Tel. 051 6356611
www.museibologna.it/patrimonioindustriale

Marco Angelini, Ex libris – la misura del tempo, 2022(dettaglio)
tecnica mista su tela, cm 80 x 60

La mostra, a cura di Raffaella Salato, porta al pubblico l’eredità della Longo S.p.A., una delle aziende che hanno fatto la storia dell’industria in Italia negli anni del boom economico e che dagli anni ’30 fino agli anni ’70 del secolo scorso sono state un’eccellenza nel mondo.
L’esposizione, organizzata da Ascanio Balbo di Vinadio, collezionista e nipote di Giorgio Longo, (1909-1973), ultimo presidente della Longo S.p.A., si sviluppa in un duplice registro, artistico e storico, dal momento che presenta, da un lato, la serie di quadri realizzati appositamente per la mostra da Marco Angelini e, dall’altro, le foto e i documenti d’epoca, compiendo un percorso inedito nella storia della fabbrica, che per decenni ha prodotto e distribuito cancelleria, inchiostri e materiale per l’ufficio in Italia.
Vengono esposte, così, opere che rileggono la storia e la filosofia dell’azienda Longo S.p.A., dandone un’interpretazione personale con l’uso all’interno delle opere di prodotti originali della fabbrica di cancelleria. Allo stesso tempo il percorso espositivo si snoda attraverso testimonianze storiche che ci riportano ai tempi in cui l’azienda consolidava il suo ruolo nel panorama dell’industria nazionale e internazionale, un caso esemplare di quanto fosse vitale e di successo lo slancio produttivo dell’Italia a cavallo e dopo il secondo conflitto mondiale.
La mostra espone 14 tele di diversi formati, a tecnica mista, grazie all’utilizzo di prodotti originali di cancelleria della Longo S.p.A., realizzati tra gli anni ’30 e gli anni ’70, in cui l’artista ne ripercorre idealmente la vicenda e la filosofia.
Gomme da cancellare, incluse quelle esagonali per eliminare i tratti di penna, pastelli a cera, cuscinetti di inchiostro per timbri, righelli e squadre, la carta-carbone che serviva a replicare in più copie i documenti sono al centro delle opere di Angelini e raccontano di un cambiamento epocale delle abitudini che ha investito la nostra società in tempi rapidissimi e che ha visto il digitale prendere il posto dell’analogico.
Il titolo della mostra sottolinea l’importanza dell’arte nel dare valore alla memoria, nel rileggere la storia per attribuirle significato, per consegnarla e renderla percepibile alle nuove generazioni, nonostante lo scorrere del tempo.

Si consiglia la prenotazione dei biglietti di ingresso sul sito Mida Ticket.


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