di Sergio Bertolami
34 – L’esoterismo di Rudolf Steiner influenza Kandinsky
Il Blaue Reiter durò il tempo di tre anni appena. A Monaco Kandinsky aveva soppiantato la Neue Künstlervereinigung (Nuova Società d’Artisti) e s’era portato via altri dissidenti come lui, cioè Franz Marc, Alfred Kubin e Gabriele Münter. Accomunati nelle idee, insieme hanno dato vita al primo nucleo del Blaue Reiter. L’esposizione iniziale si apre il 18 dicembre 1911 nella galleria Tannhäuser. Vengono esposte 43 opere di vari autori. Ci sono, naturalmente, Kandinsky, Franz Marc, Gabriele Münter, ed inoltre Albert Bloch, i fratelli David e Vladimir Burljuk, Heinrich Campendonk, August Macke. Anche i due francesi Robert Delaunay e Henri Rousseau sono invitati e non manca neppure Arnold Schoenberg, che tutti conoscono come musicista, ma che per l’occasione presenta due sue prove da pittore. La rassegna rimane aperta fino al 1° gennaio 1912, poi si trasferisce a Colonia, al Gereonsklub, per interessamento di Emmy Worringer, quindi dal 12 marzo 1912 al 10 aprile a Berlino nella galleria Der Sturm di Herwarth Walden, appena inaugurata. Ma non è l’unica mostra del Blaue Reiter, perché in contemporanea dal 12 febbraio al 2 aprile dello stesso anno 1912 i membri allestiscono una seconda mostra con 315 opere di grafica, intitolata Nero Bianco ed esposta nella libreria e galleria d’arte di Hans Gotz a Monaco. Nonostante l’intestazione sia la più consona per una rassegna del gruppo che raccoglie opere su carta, sono presenti anche composizioni a colori, disegni e acquerelli. Una settimana dopo la chiusura, la mostra riappare al Gereonsklub di Colonia e, seguendo il programma della prima mostra, a metà di marzo è presentata alla galleria Der Sturm di Berlino. A conti fatti una visibilità ben organizzata, in modo da toccare le principali città tedesche e fare conoscere al pubblico degli estimatori i pittori che si riconoscono nelle aspirazioni del nuovo gruppo artistico. Vi figurano 25 pittori che costituiscono gran parte dell’avanguardia europea. Sono francesi, spagnoli, tedeschi, danesi, russi, svizzeri, come Hans Arp, Georges Braque, André Derain, Maurice de Vlaminck, Pablo Picasso, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Paul Klee, Alfred Kubin, Gabriele Münter, Max Pechstein, Emil Nolde, Kazimir Malevič.
Il 1912 è un anno ricco di avvenimenti per il movimento: alla mostra del Sonderbund di Colonia sono esposte le opere di Kandinsky, Marc, Macke. Nel mese di aprile compare sulla rivista Der Sturm il saggio di Kandinsky Il linguaggio delle forme e dei colori; inoltre nelle librerie arriva la prima edizione del libro Lo Spirituale nell’arte (Über das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei). È forse l’opera più famosa di Kandinsky, sicuramente è quella più dirompente se ancora oggi viene continuamente ristampata. La tesi di fondo del libro, più che estetica o pittorica è quasi filosofica, anzi visionaria. È legata alla dottrina e al movimento teosofico nati nel secolo precedente. Difatti, nel 1909 Kandinsky assiste allo svolgersi a Monaco della seconda conferenza teosofica, presieduta da Rudolf Steiner, dopo la fondazione di un nuovo movimento di pensiero che si distingue, per alcuni versi, dalle lontane teorie spirituali della Società fondata a New York nel 1875 dall’esoterista russa Helena Petrovna Blavatsky e dall’avvocato americano colonnello Henry Steel Olcott. Si sostiene che ogni religione del mondo conserverebbe, fra i suoi insegnamenti, alcuni residui di un’antica verità divina che in epoche remote erano conosciuti soltanto da un ristretto numero di iniziati illuminati, i quali ne avrebbero diffuso solo gli aspetti adatti ad essere recepiti dal contesto culturale dell’epoca. Una teoria da iniziati, per intenderci, che mescola conoscenza mistica con indagine scientifica. Nel 1907 Olcott, che dichiara di seguire le istruzioni dei Maestri, nomina presidente della Società Annie Besant, una libera pensatrice, che sceglie come principale collaboratore Charles Webster Leadbeater. L’attività si diffonde nel mondo germanico a cavallo del primo conflitto mondiale. In un saggio dei due eminenti teosofi, Leadbeater e Besant, intitolato Le Forme-Pensiero, troviamo scritto che i pensieri sono realmente visibili sul “piano astrale” (ovvero la quarta dimensione); hanno forma, colore, suono, proprio come la realtà materiale. Rudolf Steiner, in contrasto con Annie Besant, nel 1913, esce della sezione tedesca della Società teosofica di cui è segretario generale per fondare la Società Antroposofica, con sede a Dornach, il cui esoterismo origina una sintesi fra religioni e culti d’Oriente e tradizione dello gnosticismo occidentale.
Kandinsky, per la verità, dette il suo assenso convinto alle teorie di Steiner, ma non aderì mai alla Teosofia. Ne rimase soltanto affascinato, al punto di porre quelle convinzioni alla base della sua concezione della vita e dell’arte. Nello stesso 1909, influenzato dalla conferenza teosofica, scrive Lo Spirituale nell’arte, anche se lo darà alle stampe solo due anni dopo. Kandinsky annuncia nel libro che, se da principio fu l’età del padre, espressa nell’antico testamento, poi quella del figlio, incarnata nei Vangeli, ora il mondo è pronto per una terza età, quella dello Spirito, che sconfiggerà il materialismo in nome della piena affermazione dei valori interiori e immateriali. In molti passi leggere Kandinsky o il suo maestro risulta indistinguibile. Per Steiner la natura dell’uomo ha tre aspetti: corpo, anima e spirito. Il corpo permette di relazionarsi con le cose, tranne con l’anima, che custodisce le sensazioni. Per vedere il mondo fisico è sufficiente il senso della vista, ma per conoscere il mondo interiore delle sensazioni occorre una particolare percezione soprasensibile che solo lo spirito può rivelare. Come per Steiner, anche per Kandinsky l’opposizione fra mondo fisico e mondo dello spirito sarà, dunque, superata acquisendo una superiore conoscenza. Di qui, nascono le considerazioni visibiliste sui colori e sul loro legame a particolari simbolismi. I colori che circondano una figura umana sono chiamati aura, percettibili solo da un veggente. In certe esperienze «toni di un giallo-rossiccio e di bruno attraversano l’aura in vari punti… con lo sviluppo dell’intelligenza i toni verdi si fanno sempre più frequenti […] In una condizione animica tranquilla, invece, i toni bluastri e rossastri si ritraggono e compaiono varie sfumature di verde […] I toni azzurri compaiono dove regna l’atteggiamento animico della devozione». Queste non sono parole del pittore, ma del filosofo. Il pittore trova, invece, nel filosofo il sostrato culturale delle sue teorie pittoriche. Un colore, considera ad esempio Kandinsky, può essere spiegato seguendo uno schema apparentemente semplice: può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Può essere caldo, come il giallo, oppure freddo, come il blu. Ricordate il concetto di sinestesia? Cioè l’associazione di due parole o due passaggi discorsivi che fanno riferimento a sfere sensoriali diverse? Questo è un esempio concreto. Infatti, dallo schema si possono ottenere quattro combinazioni principali: caldo-chiaro, caldo-scuro; freddo-chiaro, freddo-scuro. Se questa distinzione si applica su di una stessa superficie pittorica, il colore diventa però più materiale o più immateriale, originando veri e propri movimenti: un colore caldo come il giallo tenderà a un movimento centrifugo verso l’osservatore; uno freddo come il blu, al contrario, tenderà a un movimento centripeto, allontanandosi dall’osservatore. «Il giallo è il colore tipico della terra, non può avere troppa profondità […] La profondità la troviamo nel blu».
«Alla pittura – scrive Maurizio Calvesi – viene attribuito un valore trascendentale, e cioè la funzione di ricongiungere l’uomo all’essere unitario e misterioso che si rappresenta cosmicamente come natura e con cui l’artista può entrare in contatto per un acuirsi della sua tesa sensibilità spirituale. Il mito teosofico ottocentesco di una religione originaria e universale, di cui la natura è continua rivelazione, è al centro degli ideali mistici degli artisti del Blaue Reiter: particolarmente di Marc, che nella sua agitata visione simbolica fa precise allusioni figurative alla natura e al creato; mentre in Kandinskij la ricerca pittorica si presenta più pura, e guidata, nel suo binario astratto, da un sotterraneo ma lucido controllo dell’intelligenza sull’istinto». In effetti, la febbrile ricerca di questi anni, espressa fra sperimentazioni formali e scritti teorici, trova un punto di convergenza nell’Almanacco del Cavaliere Azzurro che vede la luce nel mese di maggio grazie all’editore Reinhard Piper. Un volume di grande formato, arricchito da immagini e stampe a colori, con molti testi critici concernenti la pittura e la musica contemporanea. «L’Almanacco – considera Will Grohmann – rimane un esempio unico nella letteratura artistica europea perché in nessun paese è apparsa mai un’opera come questa che riassumesse tutto il fermento e la tensione degli anni precedenti la prima guerra mondiale». Kandinsky, che traduce tutti gli articoli russi e raccoglie gran parte del materiale iconografico, è anche autore di tre contributi: un saggio dedicato alla pittura, Il problema delle forme, uno riguardante il teatro, Sulla composizione scenica, infine addirittura una sua sinestetica pièce teatrale, Il suono giallo.
Sfogliando il volume è evidente che le immagini relative alle opere figurative sono superiori a quelle astratte. Ciò che in realtà conta, chiarisce Kandinsky, non è scegliere fra realismo ed astrazione, ma provocare nel lettore/osservatore una risonanza che ne faccia percepire il contenuto spirituale: «Realismo ed astrazione si equivalgono, la diversità massima sul piano esteriore si trasforma in massima uguaglianza in quello interiore». Il problema delle forme costituisce una definizione sottile di alcuni argomenti già espressi nel libro Lo spirituale nell’arte: le forme adottate dal pittore, astratte o realistiche, non valgono per sé stesse. Per le forme astratte, come una linea, è importante che il pittore cancelli ogni possibile spiegazione sulla funzione pratica della rappresentazione e il pubblico sia predisposto a comprendere che ciò che si sta guardando non è un “oggetto” rappresentato attraverso una linea, ma la linea stessa. L’astrattismo non è dunque un sistema artistico assoluto, specchio dei tempi moderni, ma la ricerca di una lettura spirituale. Ecco perché non necessariamente l’arte deve essere orientata verso l’astrazione, quasi fosse una meta finale al lavoro del pittore, perché un simile errore finirebbe col negare all’artista ogni libertà: «La cosa più importante non è che la forma risulti personale, nazionale, ricca di stile, che corrisponda al movimento principale dello spirito del suo tempo, che sia affine a molte o a poche altre forme, che sussista o meno isolatamente; la cosa più importante riguardo al problema della forma è se la forma scaturisca o meno da una necessità interiore. In altre parole: non si deve fare della forma un’uniforme. Le opere d’arte non sono soldati». L’Almanacco del Cavaliere Azzurro è pubblicato nel 1912 in edizione normale, accompagnato da un’edizione di lusso di 50 esemplari rilegati in pelle – contenenti anche due xilografie, una di Kandinsky e l’altra di Marc – nonché un’edizione da museo in 10 esemplari. Per l’anno successivo, Kandinsky e Marc hanno in mente una seconda pubblicazione dell’Almanacco che non verrà tuttavia realizzata, pur avendo raccolto parecchi contributi appositamente richiesti agli autori. A questo proposito la moglie di Macke annota nei suoi ricordi: «È un tempo memorabile per noi tutti la nascita del Cavaliere Azzurro […] Erano ore indimenticabili in cui ognuno degli artisti elaborava il suo manoscritto, lo limava, lo cambiava […] Poi arrivavano gli articoli degli artisti invitati a collaborare, le proposte per le riproduzioni […] Lo stesso Kandinsky era un tipo molto strano, singolare, il vero animatore di tutti gli artisti che incappavano nel suo fascino: egli aveva qualcosa di singolarmente mistico e fantastico abbinato a una dogmatica e ad un pathos assolutamente rari».
Nel corso di quell’anno 1912 fervono iniziative e progetti, grazie soprattutto alla collaborazione del berlinese Herwarth Walden, forte della sua galleria Der Sturm e dell’omonima rivista d’arte. A luglio dello stesso anno Karl Ernst Osthaus ospita al Museo Folkwang di Essen la mostra del Blaue Reiter, che a settembre è riproposta alla galleria Goldschmidt di Francoforte. L’anno dopo è Herwarth Walden ad organizzare a Berlino la mostra più significativa del gruppo artistico ormai in ascesa. È allestita al Deutscher Herbstsalon, come dire il Salon d’Automne tedesco. Quando nel successivo 1914 scoppia il conflitto, ognuno pensa che si tratterà di una guerra lampo. Per il gruppo di Kandinsky sarà invece la rovina del progetto artistico. Aderente alla Triplice intesa, la Russia, come Regno Unito e Francia, è nemica dichiarata della Germania. Kandinsky, vista la sua nazionalità, nel giro di due giorni deve sloggiare in gran fretta. Si rifugia a Goldach in Svizzera. Con lui parte anche la sua famiglia “allargata”: la prima moglie Anja e la cognata, giunte casualmente in visita dalla Russia, così come Gabriele Münter e la governante bavarese da anni al servizio del pittore. A Goldach con l’intera famiglia lo raggiunge anche l’amico Paul Klee, il pittore svizzero col quale Kandinsky negli ultimi tempi ha intessuto a Monaco una stretta collaborazione artistica. È un momento di stasi pittorica, ma non d’inattività, perché comincia a mettere a punto le idee che sostanzieranno il famoso saggio degli anni Venti: Punto linea superficie. A novembre l’artista decide di rientrare in Russia, così dopo essersi chiusa la parentesi del Blaue Reiter, si chiude in sostanza anche il legame con Gabriele Münter, che torna in Germania. È vero, si ritroveranno a Stoccolma nella primavera del 1916, per esporre le loro opere, ma sarà l’ultimo incontro. Un acquerello astratto, dipinto quello stesso anno, testimonia il passaggio da una relazione sentimentale a quella successiva. S’intitola Una voce sconosciuta (1916), è la voce della giovane Nina von Andreevsky che un anno dopo diventerà sua moglie. È lei stessa a raccontare come, per un fatto del tutto fortuito, l’artista sia rimasto così colpito dalla sua voce al telefono da chiederle con insistentenza di conoscerla. I due si sposano a febbraio del 1917, qualche settimana prima che a Pietrogrado il popolo scenda in strada e dia inizio alla Rivoluzione Russa con la deposizione dello zar.
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay