Pisa, Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi – Un pomeriggio d’inverno al Museo

UN POMERIGGIO D’INVERNO AL MUSEO
tra opere d’arte, carta e forbici

Attività per famiglie
Domenica 30 gennaio 2022, ore 16:00

Età consigliata: 6 – 11 anni

Perché non trascorrere una fredda domenica d’inverno in modo diverso dal solito?Vi aspettiamo al Museo per raccontarvi una storia “glaciale” e per divertirci a realizzaredelle originali opere d’arte a tema invernale per decorare le vostre case
Costo: 4 € – Partecipazione su prenotazione fino ad esaurimento dei posti disponibiliPrenotazioni all’indirizzo e-mail: educazione.museodellagrafica@sma.unipi.it
Scadenza prenotazioni

Venerdì 28 gennaio, ore 13:00 
È richiesta la presenza di un adulto accompagnatore per tutta la durata dell’attività



Per maggiori informazionihttps://museodellagrafica.sma.unipi.it/2022/01/un-pomeriggio-dinverno-al-museo-tra-opere-darte-carta-e-forbici-attivita-per-famiglie/

Email: educazione.museodellagrafica@sma.unipi.it – Telefono: 050 2216059/070  

Per accedere al Museo è necessaria la certificazione verde rafforzata COVID-19 per gli adulti accompagnatori

IMMAGINE DI APERTURA – Invito

Milano: GIAN BUTTURINI. Londra 1969 – Derry 1972. Un fotografo contro. Dalla Swinging London al Bloody Sunday

L’obiettivo di uno dei fotoreporter italiani più originali racconta, attraverso cinquanta fotografie, le contraddizioni della capitale inglese alla fine degli anni sessanta e le tensioni politiche e sociali nell’Irlanda del Nord nei primi anni del decennio successivo, a cinquant’anni dal Bloody Sunday.

Completa la rassegna, una serie di “fumetti situazionisti”, dove personaggi quali Batman o Nembo Kid si trasformano in eroi della controcultura.

MILANO
STILL FOTOGRAFIA
DAL 27 GENNAIO AL 6 MARZO 2022

GIAN BUTTURINI
LONDRA 1969 – DERRY 1972.
UN FOTOGRAFO CONTRO.
Dalla Swinging London al Bloody Sunday

Gian Butturini, Londra, 1969. Persone alla fermata di Earl’s Court © Photograph Gian Butturini

Dal 27 gennaio al 6 marzo 2022, STILL Fotografia a Milano (via Zamenhof 11) rende omaggio a Gian Butturini (1935-2006), uno dei fotoreporter italiani più originali e apprezzati a livello internazionale.

La rassegna, curata da Gigliola Foschi e Stefano Piantini, promossa dall’Associazione Gian Butturini, presenta cinquanta fotografie, tratte da due suoi lavori e suoi libri più famosi – London by Gian Butturini e Dall’Irlanda dopo Londonderry – che raccontano, da un lato, le contraddizioni di Londra alla fine degli anni sessanta, nel periodo passato alla storia come quello della Swinging London, quando cioè la capitale inglese era diventata un crogiuolo di nuove tendenze legate alla moda, alla musica, all’arte e alla cultura in genere, dall’altro, le tensioni politiche e sociali nell’Irlanda del Nord, seguiti al Bloody Sunday, la strage avvenuta a Derry il 30 gennaio 1972 quando l’esercito inglese fece fuoco sulla folla di manifestanti, uccidendone quattordici.

Butturini, che iniziò a scattare immagini sul conflitto nordirlandese una settimana dopo i fatti di Derry, testimonia la radicalizzazione della situazione politica e militare in quel paese.

Butturini non cerca di creare immagini volutamente forti, fissando azioni belliche o di protesta, quanto, da vero fotoreporter, far vedere e far capire ciò che sta accadendo. E lo fa con grande capacità di testimonianza, di composizione fotografica unite a una altrettanto notevole sensibilità politica e umana. Nelle atmosfere così cupe e minacciose, tra barricate, cavalli di frisia, fili spinati, soldati armati di mitragliatori, auto bruciate ai lati delle strade, Butturini ritrae i bambini, vittime innocenti in un drammatico conflitto.

La sezione dedicata a Londra racconta la capitale inglese da una prospettiva nuova, critica, non patinata e documenta le incursioni di Butturini tra le strade londinesi popolate da ragazze in minigonna, immigrati, junkie, emarginati, abitanti della City che sembrano vivere in un mondo a parte. È una Londra fuori dagli stereotipi quella che emerge dai suoi scatti, cogliendone tutte le contraddizioni con un occhio innovativo, dove indagine documentaria, interventi grafici e pagine scritte si coniugano a fini espressivi.

“Questa è una mostra – afferma Gigliola Foschi – in difesa della libertà di parola, immagine e pensiero. Una mostra contro una cancel culture che, senza confronto e senza discussione, nella liberale Inghilterra ha fatto ritirare dal commercio il libro London by Gian Butturini e infangato la figura di un uomo che per tutta la vita si era impegnato contro ogni forma di razzismo e d’ingiustizia”.

Fu infatti una doppia immagine con una donna di colore che vende i biglietti della metro chiusa dentro un bugigattolo e un gorilla in gabbia che, invece di suscitare indignazione nei confronti delle condizioni di due esseri viventi, entrambi giustamente intrappolati e discriminati, com’era nell’intento di Butturini, ha scatenato un’accusa di “razzismo conclamato”, costringendo l’editore a togliere il volume dalle librerie.

La mostra si chiude idealmente con una decina di gruppo di collage situazionisti, opere in cui Butturini, fotografo, ma anche grafico, interviene con colori e scritte graffianti su strisce di fumetti degli anni settanta. Batman o Nembo Kid, ad esempio, si trasformano in eroi della controcultura che rovesciano e stravolgono, in modo provocatorio, i significati proposti dalla cultura dominante.

Accompagna la mostra un libro edito STILL/Pazzini Editore con un testo di Gigliola Foschi.

Note biografiche

Gian Butturini (1935 – 2006), fotoreporter internazionale, poliedrico artista della comunicazione, si afferma da giovane a Brescia come designer e architetto d’interni. Nel 1969 pubblica London by Gian Butturini; nel 2017 esce il reprint del libro (Damiani editore) con prefazione di Martin Parr, successivamente ritirato dal commercio con l’accusa di “razzismo conclamato”, senza che questa potesse essere discussa. Ha realizzato quaranta libri fotografici, tra i quali Cuba 26 luglio, Dall’Irlanda dopo Londonderry, Tu Interni Io Libero con Franco Basaglia, C’era una volta il Muro; DONNE lo sguardo, le storie con introduzione di Carla Cerati e due volumi dedicati alla storia cilena. Nell’autobiografico DAIQUIRI (Edizioni Mimesis) ha narrato le cronache dei suoi reportage. Sue foto sono state esposte in Strange and Familiar al Barbican Centre di Londra, alla Manchester Art Gallery e alla Somerset House in occasione di PHOTO LONDON 2018. In qualità di regista ha prodotto documentari, tra i quali Crimini di Pace, con musiche di Luigi Nono, e Bologna, 10.15 strage. Ha inoltre realizzato il film Il Mondo degli Ultimi con Lino Capolicchio, premiato in vari festival internazionali. Il lascito culturale dell’autore è attualmente promosso dall’Associazione Gian Butturini. www.gianbutturini.com.


GIAN BUTTURINI. LONDRA 1969 – DERRY 1972. UN FOTOGRAFO CONTRO.
Dalla Swinging London al Bloody Sunday
Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11)
27 gennaio – 6 marzo 2022

Orari: martedì-venerdì, 10-18; giovedì, 10-19.30; sabato, 15-19

Informazioni: Tel. 02.36744528; info@stillfotografia.it; press@stillfotografia.it

Sito internet: www.stillfotografia.it/

Ufficio stampa
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Relatori e studenti di Messina e provincia ragionano insieme sulla Giornata della Memoria

È cominciata lunedì 24, e si concluderà venerdì 28 gennaio, la serie di incontri all’Istituto Tecnico “Verona-Trento” per ragionare insieme, relatori e studenti, sulla Giornata della Memoria. L’iniziativa è promossa dall’Istituto in collaborazione con l’Anpi messinese e ha visto lunedì alternarsi il prof. Giuseppe Martino, presidente provinciale dell’Associazione, e il prof. Giuseppe Restifo, che ha proposto il tema “Un internato messinese nei campi di concentramento”.

A seguire e alternandosi nei due turni delle 10.30 e delle 13, per le classi “seconde”, martedì 25 il prof. Daniele Pompejano ha parlato della “Globalizzazione senza diritti”.

Mercoledì 26 gennaio, il prof. Giuseppe Martino proporrà alle classi “terze” un intervento sulla “Libertà di espressione”, mentre il 27 – Giornata della Memoria – seguirà il prof. Beniamino Ginatempo con l’attualissimo tema “Costituzione uguaglianza e ambiente”.

Chiuderà la serie di incontri, venerdì 28, il prof. Federico Martino con un intervento su “Libertà economica e dignità della Persona nella Costituzione italiana”.

Su iniziativa della sezione Anpi “Ignazio Di Lena” di Capo d’Orlando si susseguiranno cinque giornate di attività didattiche, da lunedì 24 a venerdì 28, nella scuole medie ed elementari, a cura degli insegnanti aderenti di Cesarò e Naso. L’idea attribuita dall’Associazione partigiana orlandina alla Giornata della Memoria è “Contro tutte le discriminazioni”, quindi con il titolo “Stop persecuzioni” è stata organizzata un’esposizione nella sede dell’Anpi. La mostra, curata da Concetta Guerriero e Franca Sinagra Brisca, aprirà in via della Fonte 57/59 sabato 29 alle ore 15 e rimarrà visitabile secondo le norme anticovid anche domenica 30 gennaio, mercoledì 2 febbraio e nuovamente sabato 5 e domenica 6 febbraio, sempre fra le 15 e le 18.

L’ITIS “E. Torricelli” di S. Agata Militello organizza, giovedì 27 gennaio 2022, alle ore 10.00, nell’ambito delle attività di promozione della cittadinanza attiva e della cultura della legalità e della solidarietà, un seminario dal titolo “Insieme per non dimenticare”. Sarà un’occasione per riflettere sul genocidio degli ebrei e sui terribili eventi storici che hanno funestato la nostra nazione e tutta l’Europa e per mantenere sempre viva nelle nuove generazioni la memoria di ciò che è stato. Interverranno: Prof.ssa Antonietta Amoroso, Dirigente scolastico; Prof. Giuseppe Martino, Presidente Provinciale dell’ANPI di Messina; Prof. Giuseppe Restifo, Università degli Studi di Messina, C. I. Storia Moderna; Dott. Bruno Mancuso, Sindaco di Sant’Agata Militello.

Gli interventi saranno coordinati dalla prof.ssa Letizia Oriti, docente dell’ITIS Torricelli. In conclusione verrà proiettato un filmato dal titolo: “I superstiti italiani dell’Olocausto”, realizzato dalle studentesse e dagli studenti di IV A CH.

Per iniziativa della sezione Anpi “Eliana Giorli” di Milazzo e in connessione alla Giornata della Memoria ci sarà la presentazione del libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, “I militari italiani nei lager nazisti”. La storia degli IMI (internati militari italiani) è la storia dei circa 650.000 soldati che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, furono catturati e deportati dai tedeschi. L’offerta di aderire alle SS o alla repubblica di Salò ed essere rimpatriati fu accettata solo da una piccola parte; la massa scelse di rimanere prigioniera nei lager, come autentico atto di resistenza. Grazie a una ricchissima mole di diari, lettere e testimonianze dirette, edite e ancor più inedite, il libro ne racconta la vicenda complessiva, dalla cattura alla liberazione e al ritorno, scoprendo anche aspetti poco noti della violenza nei lager, nei campi di lavoro coatto e di punizione, del loro bagaglio di ideali e di umanità, del rapporto con la popolazione civile e con le donne. Una pagina a lungo trascurata e sottovalutata recuperata qui, attraverso le voci dei protagonisti, in un quadro vivido e dettagliato.

La presentazione si svolgerà giovedì 17 alle ore 18 online sulla pagina facebook della sezione Anpi di Milazzo; interverranno: Mario Avagliano, giornalista e storico, coautore del libro; Mariella Bottaro, presidente della sezione Sicilia Anei (associazione nazionale ex internati) e figlia di un ex Imi; Mariella Germanotta, figlia di un ex Imi (Internati militari italiani) e Giuseppe Restifo, vicepresidente dell’Anpi provinciale.

Padova, Museo Antoniano – Paolo Marcolongo: Messa in scena

È stata prorogata fino a domenica 27 marzo “Messa in scena”, la mostra personale dell’artista padovano Paolo Marcolongo ospitata nelle Salette e nelle teche del Museo Antoniano. Il pubblico potrà ammirare i vasi in vetro, i gioielli, gli “Astri Terrestri”, le “Geografie di carta” i “riquadri a geometria variabile” e le “Arature” realizzate dopo un lavoro di sperimentazione e ricerca che, unendo tradizione vetraria e arte orafa e utilizzando materiali e tecniche diverse, riesce a dare vita ad opere sempre nuove per stile e concezione.

Paolo Marcolongo: Messa in scena.

Prorogata al 27 marzo 2022 la personale dell’artista al Museo Antoniano di Padova

«La Veneranda Arca di S. Antonio ha promosso ed è lieta di presentare in questa mostra una serie di opere di Paolo Marcolongo, a cui si addice perfettamente lo spazio nitido, bianco e silente delle ‘salette’ del Museo Antoniano – racconta Giovanna Baldissin Molli, Presidente della Veneranda Arca di s. Antonio – Da alcuni anni difatti questi nuovi spazi hanno accolto esposizioni diverse, di tecniche tradizionali, passate indenni, come forme artistiche e materiali, attraverso i secoli, come la pittura, o di formulazione, pur ultracentenaria, più recente, come la riproduzione dell’immagine con mezzi meccanici e la più recente arte fotografica. Ora questa mostra disseminata negli spazi delle salette e del Museo presenta manufatti diversi della nostra contemporaneità, tra piano e tridimensionale, disegno, incisione, scultura, tecniche aurificiarie».

«Chimica e fisica intuite e trasvalutate poeticamente – sottolinea il professor Adone BradaliseI materiali che compongono questa esposizione, che si può leggere come una finestra sulle linee oggi prevalenti nella pratica artistica di Paolo Marcolongo, comunicano da subito allo spettatore una sensazione che porta molto in prossimità della sostanza più intima della ricerca artistica che li ha plasmati. È quella che invita a percepire la centralità che nel discorso in essi sviluppato assume la sperimentazione tecnica, e nel contempo a cogliere in questa sorprendente esplorazione delle potenzialità della materia e nell’elaborazione dei suoi trattamenti non solo l’operare di un’ingegnosa mobilitazione di mezzi, quanto piuttosto la scoperta di una loro intrinseca valenza simbolica».

«L’atelier di Paolo è un laboratorio-Wunderkammer di creazioni stupefacenti e peraltro sempre nuove» scrive Marcello Barison nell’introduzione al catalogo che accompagna la Mostra, Paolo Marcolongo «dà vita a opere sempre nuove per stile e concezione che, realizzate con materiali e tecniche diverse, danno luogo a serie elegantemente coerenti ciascuna delle quali, costruita su di un intimo criterio di affinità formale, potrebbe occupare una diversa stanza di museo. Che è poi quello che accade in questa esaustiva personale dell’artista, dove il ventaglio dei lavori esposti, raggruppati per tipologia, offre un’ampia prospettiva sugli ultimi anni di attività, documentando con precisione la varietà della sua produzione, dunque delle tecniche e dei motivi.».

Quella di Paolo Marcolongo è una ricerca artistica che lo ha portato all’ideazione di vasi in vetro, nella realizzazione dei quali l’artista ha impresso al procedimento – che viene realizzato nelle più prestigiose fornaci di Murano, sotto stretta supervisione – una serie di alterazioni rivoluzionarie quali l’intrusione, prima del raffreddamento, di filamenti ferrosi che, incorporati al materiale, conferiscono loro un’insospettata qualità organica capace di articolarsi in versatili inflorescenze vegetali che si mantengono però effimere, poiché comunque imprigionate nelle trasparenti alchimie del vetro.

Affini ai vasi, sono i gioielli, realizzati anch’essi da un radicale rinnovamento delle possibilità dell’arte vetraria. In occasione della mostra questi oggetti, concepiti dall’artista come minimali operazioni scultoree, sono esposti al Museo Antoniano nel soppalco che ospita le teche dove sono conservati i capolavori dell’oreficeria storica, mostrando come le più moderne creazioni possano abitare con delicata magnificenza gli spazi adibiti per ospitare le più antiche rinnovando la percezione di quei luoghi senza però tradirne lo spirito

L’arte del vetro di Murano agisce in stretta simbiosi con la pratica dell’artista anche nella realizzazione degli “Astri Terrestri”, pietre lunari in cui l’arte della sabbiatura e un massiccio ispessimento dell’involucro hanno conferito opaca e porosa gravezza. Simili ad una colata lavica ormai fossile, rimandano a un enigmatico universo minerale di forme e segni.

La sperimentazione sui materiali ha portato Marcolongo anche a confrontarsi con le mille potenzialità della carta e di sfruttarne tutte le possibilità formali.  Nascono da qui le “Geografie di carta” e le “Arature”, dove il materiale perde la sua caratteristica di bidimensionale tabula rasa per acquisire una prospera vitalità formale. La punta che la intarsia, come un vomere, riversa ai bordi eleganti rimasugli di cellulosa da riporto che, a sbalzo, tramutano il foglio in una minuta geografia di crinali e avvallamenti.

Regolando un incisore meccanico in concomitanza ad accuratissime modificazioni di spessori, Paolo Marcolongo ha ultimamente perfezionato una tecnica di lavorazione che permette, sempre intarsiando la carta, la produzione di piccoli riquadri a geometria variabile, ampiamente rappresentati nelle sale della mostra, dove vengono presentati raggruppati in sequenza, il che permette non solo di apprezzare il singolo “pezzo”, ma conferiscono anche all’insieme il carattere d’opera continua caratterizzata da una forte coerenza d’insieme.

«Nelle carte ‘graffiate’ si ripropone quella antica e significativa connessione tra manufatto e cornice. -conclude la professoressa Baldissin Molli -. Quest’ultima nei documenti tardomedievali è definita, come è noto, “ornamentum”, come quel principio di compiutezza e definizione che rende pienamente ricca di significato l’opera, che, senza di essa, rimarrebbe di percezione scempia. È dunque un’esposizione dove il linguaggio dell’oggi può richiamare molteplici suggestioni all’indietro e, crediamo, anche in avanti, per quello che verrà dopo».

La mostra, promossa dalla Veneranda Arca di S. Antonio con il Museo Antoniano, è realizzata con il contributo di Autoserenissima Jaguar Land Rover, Barco Teatro, EMME Servizi di consulenza e brokeraggio assicurativo, Italchimica, Sanitec.

Paolo Marcolongo

Nato a Padova nel 1956, studia all’Istituto d’Arte Pietro Selvatico e scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Dal 1984 al 1996 è professore all’ Istituto d’Arte P. Selvatico, dal 1996 è professore di Discipline Plastiche al Liceo Artistico Statale “Amedeo Modigliani “di Padova. Dal 1996 al 1998 è stato curatore e direttore della Galleria di gioielli contemporanei PD 362; dal 1998 al 2005 è stato curatore e direttore della “Galleria Marcolongo” specializzata in Arte Applicata. Dal 1999 al 2002 ha organizzato per l’associazione culturale “La Corte” di Sambruson –Dolo” vari Summer Workshop sul gioiello contemporaneo invitando artisti di fama internazionale, tra i quali Peter Skubic, Otto Kunzli e Giampaolo Babetto. Nel 2005 ha curato la mostra di Erico Nagai nello spazio museale dell’Oratorio di San Rocco. Nel 2005 ha organizzato e curato la mostra “PRO-GETTARE Architettura “presso il Museo Nazionale di Villa Pisani di STRA (Venezia). Nel 2006 ha curato la mostra di Ernst Gamperl “Un giro più del cerchio” nello spazio museale dell’Oratorio di San Rocco – Padova. Nel 2008/2009 è stato Cultore della materia in progettazione 3 presso il Dipartimento di Architettura della Facoltà di Ingegneria di Padova. Nel 2012 ha tenuto un laboratorio al Centro per l’Arte e la Comunicazione Visiva (ar.co) a Lisbona intitolato “The housing space”. Nel 2015 ha organizzato l’esibizione “170 Racconti in Bottiglia”, un’installazione che ripercorre i luoghi descritti nei racconti di “Danubio” di Claudio Magris, mostrata per la prima volta a Padova (Centro Culturale Altinate S. Gaetano) e poi in due ulteriori esposizioni a Barcellona (Galleria Lo Spazio) e Roma (Fondazione Pastificio Cerere) promosse dalla Nando And Elsa Peretti Foundation. Nel 2015 e stato insignito del Bayerischer Staatspreis 2015- Munchen.


Informazioni

Paolo Marcolongo
Messa in scena

5 novembre 2021- 27 marzo 2022
Museo Antoniano – Salette
Basilica del Santo,
Piazza del Santo 11, Padova

Orari di apertura
Da martedì a domenica
9.00 – 13.00/14.00 – 18.00
www.arcadelsanto.org

Ufficio stampa
Giuseppe Bettiol
349.1734262
comunicati@giuseppebettiol.it
www.giuseppebettiol.it

Leica Galerie Milano – JOEL MEYEROWITZ. Leica Hall of Fame 2016

Dal 25 gennaio al 2 aprile 2022 lo spazio milanese di Leica Galerie, in via Giuseppe Mengoni 4 (angolo piazza Duomo), ospita una mostra dedicata a Joel Meyerowitz, grande maestro della fotografia contemporanea, uno dei massimi protagonisti della street photography, tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio artistico negli anni sessanta e settanta del secolo scorso.

LEICA GALERIE MILANO
DAL 25 GENNAIO AL 2 APRILE 2022

JOEL MEYEROWITZ
Leica Hall of Fame 2016

© Joel Meyerowitz, Paris, France, 1967

L’esposizione, curata da Karin Rehn Kaufmann, con l’adattamento di Denis Curti e Maurizio Beucci, presenta cinquanta fotografie capaci di ripercorrere i periodi più decisivi della sua carriera, scattate in diversi paesi e in molte città. Dalle immagini catturate tra le strade di New York, ambiente perfetto per osservare la vita e le persone nella grande città, a quelle raccolte durante un viaggio di un anno attraverso l’Europa nel 1966/67, a quelle, ritornato negli stati Uniti, in cui il colore divenne per lui un elemento ancora più importante.


JOEL MEYEROWITZ

Leica Hall of Fame 2016
Leica Galerie Milano, (via Giuseppe Mengoni 4, ang. piazza Duomo)
25 gennaio – 2 aprile 2022

Informazioni:
T: +39 02 89095156
info@leicastore-milano.com
www.leicastore-milano.com

CLP Relazioni Pubbliche
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Kandinsky e Il Cavaliere Azzurro alla ricerca dell’armonia di colori e forme

di Sergio Bertolami

34 – L’esoterismo di Rudolf Steiner influenza Kandinsky

Il Blaue Reiter durò il tempo di tre anni appena. A Monaco Kandinsky aveva soppiantato la Neue Künstlervereinigung (Nuova Società d’Artisti) e s’era portato via altri dissidenti come lui, cioè Franz Marc, Alfred Kubin e Gabriele Münter. Accomunati nelle idee, insieme hanno dato vita al primo nucleo del Blaue Reiter. L’esposizione iniziale si apre il 18 dicembre 1911 nella galleria Tannhäuser. Vengono esposte 43 opere di vari autori. Ci sono, naturalmente, Kandinsky, Franz Marc, Gabriele Münter, ed inoltre Albert Bloch, i fratelli David e Vladimir Burljuk, Heinrich Campendonk, August Macke. Anche i due francesi Robert Delaunay e Henri Rousseau sono invitati e non manca neppure Arnold Schoenberg, che tutti conoscono come musicista, ma che per l’occasione presenta due sue prove da pittore. La rassegna rimane aperta fino al 1° gennaio 1912, poi si trasferisce a Colonia, al Gereonsklub, per interessamento di Emmy Worringer, quindi dal 12 marzo 1912 al 10 aprile a Berlino nella galleria Der Sturm di Herwarth Walden, appena inaugurata. Ma non è l’unica mostra del Blaue Reiter, perché in contemporanea dal 12 febbraio al 2 aprile dello stesso anno 1912 i membri allestiscono una seconda mostra con 315 opere di grafica, intitolata Nero Bianco ed esposta nella libreria e galleria d’arte di Hans Gotz a Monaco. Nonostante l’intestazione sia la più consona per una rassegna del gruppo che raccoglie opere su carta, sono presenti anche composizioni a colori, disegni e acquerelli. Una settimana dopo la chiusura, la mostra riappare al Gereonsklub di Colonia e, seguendo il programma della prima mostra, a metà di marzo è presentata alla galleria Der Sturm di Berlino. A conti fatti una visibilità ben organizzata, in modo da toccare le principali città tedesche e fare conoscere al pubblico degli estimatori i pittori che si riconoscono nelle aspirazioni del nuovo gruppo artistico. Vi figurano 25 pittori che costituiscono gran parte dell’avanguardia europea. Sono francesi, spagnoli, tedeschi, danesi, russi, svizzeri, come Hans Arp, Georges Braque, André Derain, Maurice de Vlaminck, Pablo Picasso, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Paul Klee, Alfred Kubin, Gabriele Münter, Max Pechstein, Emil Nolde, Kazimir Malevič.

Gabriele Münter, L’uomo seduto al tavolo (Ritratto di Kandinsky), 1911

Il 1912 è un anno ricco di avvenimenti per il movimento: alla mostra del Sonderbund di Colonia sono esposte le opere di Kandinsky, Marc, Macke. Nel mese di aprile compare sulla rivista Der Sturm il saggio di Kandinsky Il linguaggio delle forme e dei colori; inoltre nelle librerie arriva la prima edizione del libro Lo Spirituale nell’arte (Über das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei). È forse l’opera più famosa di Kandinsky, sicuramente è quella più dirompente se ancora oggi viene continuamente ristampata. La tesi di fondo del libro, più che estetica o pittorica è quasi filosofica, anzi visionaria. È legata alla dottrina e al movimento teosofico nati nel secolo precedente. Difatti, nel 1909 Kandinsky assiste allo svolgersi a Monaco della seconda conferenza teosofica, presieduta da Rudolf Steiner, dopo la fondazione di un nuovo movimento di pensiero che si distingue, per alcuni versi, dalle lontane teorie spirituali della Società fondata a New York nel 1875 dall’esoterista russa Helena Petrovna Blavatsky e dall’avvocato americano colonnello Henry Steel Olcott. Si sostiene che ogni religione del mondo conserverebbe, fra i suoi insegnamenti, alcuni residui di un’antica verità divina che in epoche remote erano conosciuti soltanto da un ristretto numero di iniziati illuminati, i quali ne avrebbero diffuso solo gli aspetti adatti ad essere recepiti dal contesto culturale dell’epoca. Una teoria da iniziati, per intenderci, che mescola conoscenza mistica con indagine scientifica. Nel 1907 Olcott, che dichiara di seguire le istruzioni dei Maestri, nomina presidente della Società Annie Besant, una libera pensatrice, che sceglie come principale collaboratore Charles Webster Leadbeater. L’attività si diffonde nel mondo germanico a cavallo del primo conflitto mondiale. In un saggio dei due eminenti teosofi, Leadbeater e Besant, intitolato Le Forme-Pensiero, troviamo scritto che i pensieri sono realmente visibili sul “piano astrale” (ovvero la quarta dimensione); hanno forma, colore, suono, proprio come la realtà materiale. Rudolf Steiner, in contrasto con Annie Besant, nel 1913, esce della sezione tedesca della Società teosofica di cui è segretario generale per fondare la Società Antroposofica, con sede a Dornach, il cui esoterismo origina una sintesi fra religioni e culti d’Oriente e tradizione dello gnosticismo occidentale.

Kandinsky, per la verità, dette il suo assenso convinto alle teorie di Steiner, ma non aderì mai alla Teosofia. Ne rimase soltanto affascinato, al punto di porre quelle convinzioni alla base della sua concezione della vita e dell’arte. Nello stesso 1909, influenzato dalla conferenza teosofica, scrive Lo Spirituale nell’arte, anche se lo darà alle stampe solo due anni dopo. Kandinsky annuncia nel libro che, se da principio fu l’età del padre, espressa nell’antico testamento, poi quella del figlio, incarnata nei Vangeli, ora il mondo è pronto per una terza età, quella dello Spirito, che sconfiggerà il materialismo in nome della piena affermazione dei valori interiori e immateriali. In molti passi leggere Kandinsky o il suo maestro risulta indistinguibile. Per Steiner la natura dell’uomo ha tre aspetti: corpo, anima e spirito. Il corpo permette di relazionarsi con le cose, tranne con l’anima, che custodisce le sensazioni. Per vedere il mondo fisico è sufficiente il senso della vista, ma per conoscere il mondo interiore delle sensazioni occorre una particolare percezione soprasensibile che solo lo spirito può rivelare. Come per Steiner, anche per Kandinsky l’opposizione fra mondo fisico e mondo dello spirito sarà, dunque, superata acquisendo una superiore conoscenza. Di qui, nascono le considerazioni visibiliste sui colori e sul loro legame a particolari simbolismi. I colori che circondano una figura umana sono chiamati aura, percettibili solo da un veggente. In certe esperienze «toni di un giallo-rossiccio e di bruno attraversano l’aura in vari punti… con lo sviluppo dell’intelligenza i toni verdi si fanno sempre più frequenti […] In una condizione animica tranquilla, invece, i toni bluastri e rossastri si ritraggono e compaiono varie sfumature di verde […] I toni azzurri compaiono dove regna l’atteggiamento animico della devozione». Queste non sono parole del pittore, ma del filosofo. Il pittore trova, invece, nel filosofo il sostrato culturale delle sue teorie pittoriche. Un colore, considera ad esempio Kandinsky, può essere spiegato seguendo uno schema apparentemente semplice: può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Può essere caldo, come il giallo, oppure freddo, come il blu. Ricordate il concetto di sinestesia? Cioè l’associazione di due parole o due passaggi discorsivi che fanno riferimento a sfere sensoriali diverse? Questo è un esempio concreto. Infatti, dallo schema si possono ottenere quattro combinazioni principali: caldo-chiaro, caldo-scuro; freddo-chiaro, freddo-scuro. Se questa distinzione si applica su di una stessa superficie pittorica, il colore diventa però più materiale o più immateriale, originando veri e propri movimenti: un colore caldo come il giallo tenderà a un movimento centrifugo verso l’osservatore; uno freddo come il blu, al contrario, tenderà a un movimento centripeto, allontanandosi dall’osservatore. «Il giallo è il colore tipico della terra, non può avere troppa profondità […] La profondità la troviamo nel blu».

Wassily Kandinsky, A proposito dello spirituale nell’arte, specialmente nella pittura (Über das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei) 1912

«Alla pittura – scrive Maurizio Calvesi – viene attribuito un valore trascendentale, e cioè la funzione di ricongiungere l’uomo all’essere unitario e misterioso che si rappresenta cosmicamente come natura e con cui l’artista può entrare in contatto per un acuirsi della sua tesa sensibilità spirituale. Il mito teosofico ottocentesco di una religione originaria e universale, di cui la natura è continua rivelazione, è al centro degli ideali mistici degli artisti del Blaue Reiter: particolarmente di Marc, che nella sua agitata visione simbolica fa precise allusioni figurative alla natura e al creato; mentre in Kandinskij la ricerca pittorica si presenta più pura, e guidata, nel suo binario astratto, da un sotterraneo ma lucido controllo dell’intelligenza sull’istinto». In effetti, la febbrile ricerca di questi anni, espressa fra sperimentazioni formali e scritti teorici, trova un punto di convergenza nell’Almanacco del Cavaliere Azzurro che vede la luce nel mese di maggio grazie all’editore Reinhard Piper. Un volume di grande formato, arricchito da immagini e stampe a colori, con molti testi critici concernenti la pittura e la musica contemporanea. «L’Almanacco – considera Will Grohmann – rimane un esempio unico nella letteratura artistica europea perché in nessun paese è apparsa mai un’opera come questa che riassumesse tutto il fermento e la tensione degli anni precedenti la prima guerra mondiale». Kandinsky, che traduce tutti gli articoli russi e raccoglie gran parte del materiale iconografico, è anche autore di tre contributi: un saggio dedicato alla pittura, Il problema delle forme, uno riguardante il teatro, Sulla composizione scenica, infine addirittura una sua sinestetica pièce teatrale, Il suono giallo.

Franz Marc e Wassily Kandinsky, dall’Almanacco del Cavaliere Azzurro, pubblicato da R. Piper & Co

Sfogliando il volume è evidente che le immagini relative alle opere figurative sono superiori a quelle astratte. Ciò che in realtà conta, chiarisce Kandinsky, non è scegliere fra realismo ed astrazione, ma provocare nel lettore/osservatore una risonanza che ne faccia percepire il contenuto spirituale: «Realismo ed astrazione si equivalgono, la diversità massima sul piano esteriore si trasforma in massima uguaglianza in quello interiore». Il problema delle forme costituisce una definizione sottile di alcuni argomenti già espressi nel libro Lo spirituale nell’arte: le forme adottate dal pittore, astratte o realistiche, non valgono per sé stesse. Per le forme astratte, come una linea, è importante che il pittore cancelli ogni possibile spiegazione sulla funzione pratica della rappresentazione e il pubblico sia predisposto a comprendere che ciò che si sta guardando non è un “oggetto” rappresentato attraverso una linea, ma la linea stessa. L’astrattismo non è dunque un sistema artistico assoluto, specchio dei tempi moderni, ma la ricerca di una lettura spirituale. Ecco perché non necessariamente l’arte deve essere orientata verso l’astrazione, quasi fosse una meta finale al lavoro del pittore, perché un simile errore finirebbe col negare all’artista ogni libertà: «La cosa più importante non è che la forma risulti personale, nazionale, ricca di stile, che corrisponda al movimento principale dello spirito del suo tempo, che sia affine a molte o a poche altre forme, che sussista o meno isolatamente; la cosa più importante riguardo al problema della forma è se la forma scaturisca o meno da una necessità interiore. In altre parole: non si deve fare della forma un’uniforme. Le opere d’arte non sono soldati». L’Almanacco del Cavaliere Azzurro è pubblicato nel 1912 in edizione normale, accompagnato da un’edizione di lusso di 50 esemplari rilegati in pelle – contenenti anche due xilografie, una di Kandinsky e l’altra di Marc – nonché un’edizione da museo in 10 esemplari. Per l’anno successivo, Kandinsky e Marc hanno in mente una seconda pubblicazione dell’Almanacco che non verrà tuttavia realizzata, pur avendo raccolto parecchi contributi appositamente richiesti agli autori. A questo proposito la moglie di Macke annota nei suoi ricordi: «È un tempo memorabile per noi tutti la nascita del Cavaliere Azzurro […] Erano ore indimenticabili in cui ognuno degli artisti elaborava il suo manoscritto, lo limava, lo cambiava […] Poi arrivavano gli articoli degli artisti invitati a collaborare, le proposte per le riproduzioni […] Lo stesso Kandinsky era un tipo molto strano, singolare, il vero animatore di tutti gli artisti che incappavano nel suo fascino: egli aveva qualcosa di singolarmente mistico e fantastico abbinato a una dogmatica e ad un pathos assolutamente rari».

Wassily Kandinsky, Una voce sconosciuta, 1916

Nel corso di quell’anno 1912 fervono iniziative e progetti, grazie soprattutto alla collaborazione del berlinese Herwarth Walden, forte della sua galleria Der Sturm e dell’omonima rivista d’arte. A luglio dello stesso anno Karl Ernst Osthaus ospita al Museo Folkwang di Essen la mostra del Blaue Reiter, che a settembre è riproposta alla galleria Goldschmidt di Francoforte. L’anno dopo è Herwarth Walden ad organizzare a Berlino la mostra più significativa del gruppo artistico ormai in ascesa. È allestita al Deutscher Herbstsalon, come dire il Salon d’Automne tedesco. Quando nel successivo 1914 scoppia il conflitto, ognuno pensa che si tratterà di una guerra lampo. Per il gruppo di Kandinsky sarà invece la rovina del progetto artistico. Aderente alla Triplice intesa, la Russia, come Regno Unito e Francia, è nemica dichiarata della Germania. Kandinsky, vista la sua nazionalità, nel giro di due giorni deve sloggiare in gran fretta. Si rifugia a Goldach in Svizzera. Con lui parte anche la sua famiglia “allargata”: la prima moglie Anja e la cognata, giunte casualmente in visita dalla Russia, così come Gabriele Münter e la governante bavarese da anni al servizio del pittore. A Goldach con l’intera famiglia lo raggiunge anche l’amico Paul Klee, il pittore svizzero col quale Kandinsky negli ultimi tempi ha intessuto a Monaco una stretta collaborazione artistica. È un momento di stasi pittorica, ma non d’inattività, perché comincia a mettere a punto le idee che sostanzieranno il famoso saggio degli anni Venti: Punto linea superficie. A novembre l’artista decide di rientrare in Russia, così dopo essersi chiusa la parentesi del Blaue Reiter, si chiude in sostanza anche il legame con Gabriele Münter, che torna in Germania. È vero, si ritroveranno a Stoccolma nella primavera del 1916, per esporre le loro opere, ma sarà l’ultimo incontro. Un acquerello astratto, dipinto quello stesso anno, testimonia il passaggio da una relazione sentimentale a quella successiva. S’intitola Una voce sconosciuta (1916), è la voce della giovane Nina von Andreevsky che un anno dopo diventerà sua moglie. È lei stessa a raccontare come, per un fatto del tutto fortuito, l’artista sia rimasto così colpito dalla sua voce al telefono da chiederle con insistentenza di conoscerla. I due si sposano a febbraio del 1917, qualche settimana prima che a Pietrogrado il popolo scenda in strada e dia inizio alla Rivoluzione Russa con la deposizione dello zar.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Rita Murgia – Dual Sim. Artemide e Marte si incontrarono a Milano

Un romanzo onesto “Dual SIM”, dove i personaggi si specchiano nella realtà riflettendo verità e introspezioni sincere, in una Milano frenetica e piena di vita. La stessa storia, raccontata da due punti diversi, proprio come fa la tecnologia di due SIM card nello stesso telefono, consentendone l’utilizzo contemporaneo. Una donna, Rita, intraprendente e sicura di sé che non esita a lasciar trapelare le sue fragilità e a mettersi in discussione: il lavoro, il rapporto con gli amici, a volte la solitudine. Un uomo, Numa, con una grande esperienza di vita, forte e complicato, a volte dolce quanto strafottente. Due parti di una stessa storia, perché l’amore li coinvolgerà quando meno se lo aspettano, in una danza appassionata e combattuta.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 

Ennio Morricone raccontato dal suo biografo Alessandro De Rosa

Si avvicina la data del 17 febbraio 2022, giorno in cui uscirà il documentario Ennio, di Giuseppe Tornatore, presentato fuori concorso alla scorsa Mostra di Venezia. Il lavoro rende omaggio al grande Maestro, costituendosi come un romanzo audiovisivo animato da una serie di testimonianze di persone a lui care. Tra queste, a dare un contributo importante, ci sarà Alessandro De Rosa, compositore e unico biografo di Morricone, che ha accettato con entusiasmo la partecipazione a tale progetto che celebra il grande mito.

Ho partecipato con entusiasmo a questa iniziativa poiché con forza Ennio Morricone lo ha voluto quando era ancora in vita, e perché anche Giuseppe Tornatore, che stimo molto, mi ha voluto come parte del suo racconto e del suo prestigioso cast nella figura di ciò che pure, con il lavoro, lo studio e la dedizione, sono diventato nel tempo: il biografo di Ennio Morricone” – Alessandro De Rosa

Alessandro De Rosa infatti è co-autore insieme a Ennio Morricone della sua autobiografia in conversazione “Ennio Morricone – Inseguendo quel suono. La mia musica, la mia vita. Conversazioni con Alessandro De Rosa” (Mondadori Libri, 2016, 2020, 2021), un libro che nasce da anni di incontri fra Ennio Morricone e il giovane compositore strutturato come un dialogo ricco e intenso nel quale si parla della vita, dell’opera musicale del Maestro e del modo in cui queste entrino continuamente in contatto influenzandosi a vicenda. In Italia il libro è già alla sua terza ristampa (la terza è avvenuta ad ottobre 2021) ed è stato tradotto in numerose lingue tra le più parlate al mondo, raccogliendo il plauso di svariate personalità italiane ed internazionali; a breve saranno pubblicate le edizioni in lingua araba, persiana, cinese, russa, coreana e giapponese. Guarda il video: https://www.youtube.com/watch?v=1nQvvKVDJo8&list=PLxGB0elUv1WYThnPI21fEKHa-D4g1xpYq

Ennio Morricone e Alessandro De Rosa in un momento di lavoro

Si tratta senza ombra di dubbio del miglior libro che mi riguarda, il più autentico, il più dettagliato e curato. Il più vero” – Ennio Morricone

Questo libro rivela la potente personalità alla base del suo brillante lavoro e sarà una lettura gratificante per chiunque sia interessato alla magia della musica nel cinema.”  – John Williams

Tale volume rappresenta il punto di arrivo di un’intensa amicizia e stima professionale reciproca nata tra Alessandro e il Maestro nel 2005, quando il giovane compositore, già grande appassionato dell’opera di Morricone, alla sola età di 19 anni riesce a consegnare al Maestro una lettera e un CD in cui gli presentava un suo lavoro musicale. Da lì non tardò la risposta di Morricone che ha da subito sostenuto il talento di Alessandro: “Devi studiare composizione. Non puoi fare altrimenti. Le capacità ci sono e forti“.

Con Tornatore c’è stata collaborazione, complicità e rispetto – afferma De Rosa – Il collante è stato l’amore per Ennio, per la sua opera, per la sua preziosa esperienza di vita. Quando penso che tutto sia andato così bene, che si sia creata questa cooperazione straordinaria e affatto scontata mi commuovo e mi riempio di gioia e speranza”.

Ennio Morricone – Conversazioni con Alessandro De Rosa
SFOGLIA E LEGGI

Dall’incontro con Morricone Alessandro De Rosa inizia una carriera ricca di traguardi e riconoscimenti professionali

Studia con Boris Porena e poi si diploma in Composizione al Conservatorio Reale dell’Aja. Tra il 2006 e il 2012 collabora come compositore e arrangiatore con Jon Anderson degli Yes con il quale mette in musica anche L’Alchimista di Paulo Coelho. 

Lavora come compositore di musica applicata per numerose agenzie e società tra cui Amadeus Music e Pastelle Music scrivendo per documentari, film e pubblicità. Proprio con Pastelle Music esercita anche il ruolo di Head of A\R and Talent Manager e Music Supervisor.
Tra i suoi brani da concerto Gravità ritrovata per orchestra, commissionato ed eseguito dalla Residentie Orkest in occasione del suo  110° anniversario nel 2014, Duetto per violini, e l’opera Trashmedy, composta per la 63° edizione della Biennale di Venezia Musica 2019.

Il rapporto tra De Rosa e Morricone si consolida negli anni e nel 2020, al libro fa seguito il podcast Io e Ennio Morricone (Amazon Audible, Febbraio 2020) dove il Grande Maestro ancora una volta si apre al microfono di Alessandro, raccontando la sua storia, i suoi dubbi e le sue tante conquiste in una conversazione che rappresenta un ulteriore momento di riflessione personale sulla sua illustre carriera così come sulla sua esperienza di vita e allo stesso tempo un raro e prezioso confronto generazionale. Un’occasione unica per ascoltare dalle parole dello stesso Morricone i suoi ricordi d’infanzia, gli anni di formazione al Conservatorio, gli esordi come arrangiatore nel mondo della canzone popolare fino ad arrivare alla sua musica assoluta e alle innumerevoli collaborazioni per il cinema con i più grandi registi italiani e internazionali.

Attualmente Alessandro De Rosa continua la sua attività musicale come libero professionista, lavorando parallelamente come autore e speaker radiofonico per la Radiotelevisione Svizzera di Lingua Italiana (RSI) e Amazon Audible.
Dal 2021 conduce anche la rubrica Ascoltare il cinema da lui ideata e curata sul canale RSI – Cult+ e LA1, dedicata alla musica e ai suoni del cinema. Guarda la puntata dedicata ad Indiana Jones: https://www.facebook.com/watch/?ref=external&v=289341812937935 

In uscita il 15 febbraio 2022 il suo nuovo disco Flesh and Soul (Pele e Alma) con la cantautrice brasiliana, performer, attivista, due volte disco di platino Fantine Tho

Alessandro De Rosa partecipa frequentemente ad eventi, seminari, conferenze e pubblicazioni divulgative di respiro internazionale, dove racconta e approfondisce il mito di Ennio Morricone e della musica del cinema. Tra i prestigiosi enti organizzatori: New York University, Istituto Enciclopedia Italiana Treccani, SAE Music Institute, FAMU di Praga, Budapest Metropolitan University, Crêuza de mä Film Festival, Codarts Rotterdam, Koninklijk Conservatorium Den Haag, Eger University, VIEW Conference di Torino, IULM, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, CISA di Locarno, Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Sardegna Film Commission, Mohole di Milano, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, INDIRE, Ministero della Cultura e Ministero dell’Interno.

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IMMAGINE DI APERTURA – Copertina del libro edito da Mondadori

Paolo Pantani e i suoi ospiti gustano l’Aglianico di Taurasi

Presentiamo una nuova puntata della trasmissione di Paolo Pantani, curata per l’emittente partenopea Canale 695. In particolare la nuova serie è dedicata agli incontri con l’Ateneo dei Vini Erranti. Ospiti fissi sono il professore Bruno de Concilis, che dell’Ateneo è il rettore e il professore Pasquale Persico, ordinario di Economia Politica e segretario dell’influente consesso.

Da sinistra: Paolo Pantani, Bruno de Concilis, Pasquale Persico

Paolo Pantani su Canale 695

IMMAGINE DI APERTURA – Illustrazione ArtTower da Pixabay 

Bolzano, Centro Trevi: Ugo La Pietra – Ovunque a casa propria. Film e video

Si aprirà il 10 febbraio 2022 il progetto Ovunque a casa propria, primo approfondimento espositivo sulla ricerca cinematografica e sulle sperimentazioni audiovisive di Ugo La Pietra, instancabile sperimentatore della percezione visiva. In mostra anche le videoinstallazioni contemporanee di Lucio La Pietra. Il progetto, a cura di Manuel Canelles, è promosso da Spazio5 artecontemporanea e realizzato in collaborazione con TreviLab, Unibz, Liceo Artistico Pascoli, Bolzano Officine Vispa, Vintola18 Centro di cultura giovanile Cineclub Bolzano, Spazio Macello – Meta, con il sostegno della Ripartizione cultura italiana della Provincia di Bolzano, del Comune di Bolzano e della Libera Università di Bolzano.

Ugo La Pietra
Ovunque a casa propria Film e video 1973/2015

A cura di Manuel Canelles

Inaugurazione 10 febbraio 2022 ore 18.00 Centro Trevi
Via dei Cappuccini 28 – Bolzano

Fino al 20 marzo 2022

Ugo La Pietra. La mia identità
TESTO CRITICO DI MANUEL CANELLES

Ironica, beffarda, anarchica, politicamente scorretta, la ricerca di Ugo La Pietra è presente in musei e in collezioni internazionali. Ugo La Pietra è stato uno dei maggiori protagonisti della stagione legata al cinema e video d’artista: con Cioni Carpi, Ugo Nespolo, Gianfranco Baruchello, Franco Vaccari, Luca Maria Patella, nel 1975 vince il Primo Premio al Festival del Cinema di Nancy con il film “La grande occasione”. Presente in molte manifestazioni nazionali e internazionali coordinate da Vittorio Fagone, nel 1978 presenta questa corrente artistica alla Biennale di Venezia. Con le sue ricerche dal 1960 ha attraversato diverse correnti artistiche: arte segnica, arte concettuale, arte ambientale, arte nel sociale, narrative art, cinema d’artista, nuova scrittura, extra media, neo-eclettismo, architettura e design radicale. Ha comunicato e divulgato il suo pensiero e le sue esperienze attraverso un’intensa attività didattica ed editoriale. Si è fatto promotore di gruppi di ricerca (Gruppo del Cenobio, Gruppo La Lepre Lunare, Global Tools, Cooperativa Maroncelli, Fabbrica di Comunicazione, Libero Laboratorio) e di attività espositive coinvolgendo un grandissimo numero di operatori (artisti, architetti, designer). Riconosciuto tra i protagonisti dell’architettura radicale, attraversa la controscuola della Global Tools che riuniva gruppi di artisti e architetti della cosiddetta “Architettura radicale”. Ha realizzato più di 900 mostre personali e collettive partecipando alla Biennale di Venezia nel 1970, 1978, 1980, alla Triennale di Milano nel 1968, 1972, 1979-80-81, 1993, 1996, 2007; ha esposto inoltre al Museum of Modern Art di New York, al Centro Pompidou di Parigi, al Museum of Contemporary Craft di New York, alla Galleria di Palazzo Galvani di Bologna, alla Neue Galerie di Graz, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, alla Fortezza da Basso a Firenze, alla Fondazione Ragghianti di Lucca, al Museé Departemental di Gap, al Museum Für Angewandre Kunst Colonia, al Museo Nordio Linz, al Museo della Permanente di Milano, al Royal College of Art di Londra, alla Biennale di Chateauroux, alla Biennale di Albisola, alla mostra “Masterpieces” – Palazzo Bricherasio, Torino, alla Fondazione Umberto Mastroianni di Arpino (FR), allo Spazio Oberdan (Cineteca Italiana), al Museo di Villa Croce a Genova, alla Fortezza da Basso a Firenze, alla Fondazione Orestiadi di Gibellina, alla Fondazione Mudima di Milano, al FRAC Centre di Orléans, al MIC di Faenza, Musée D’Art Modern di Saint-Etienne, al MIC di Faenza, al Museo MA*GA di Gallarate, al CCA Canadian Centre for Architecture di Montreal.

Il progetto Ovunque a casa propria a Bolzano assume la natura di evento di portata internazionale, considerata l’esclusività del progetto, prima antologica dei lavori cinematografici del grande artista. Il titolo del progetto è un omaggio a uno degli slogan più conosciuti e apprezzati di Ugo La Pietra, non a caso presente in uno dei suoi film più conosciuti, “La riappropriazione della città”. Nel film, diversi modi e luoghi – periferie urbane, stazione centrale, attrezzature urbane di Milano –riportano un’esplicita indicazione dello slogan che per anni ha caratterizzato buona parte delle ricerche di La Pietra: “Abitare è essere ovunque a casa propria”. Opere, film, foto, installazioni che l’artista ha prodotto in quel periodo miravano a rompere e decodificare questa realtà imposta. Le Immersioni, ad esempio, vogliono spezzare l’equilibrio acquisito dall’individuo mediante la perdita dei parametri di riferimento con ciò che lo circonda, e quindi anche della sicurezza.

Sarà, dunque, più un progetto/happening che un’esposizione vera e propria, con un focus particolare sull’esperienza sociale, il contatto con realtà marginali, sviluppi di comunità, con l’obiettivo di attivare un transito di comunicazione tra il linguaggio video e l’impegno sociale: quasi un ponte tra l’esperienza storica e le emergenze vive delle nuove generazioni e delle nuove povertà. Portare i video di La Pietra a Bolzano offre la possibilità alle realtà coinvolte nel progetto di rivisitare gli spazi di risulta della città, i luoghi intermedi, gli interstizi di sopravvivenza: dagli orti urbani, ai luoghi di scarto dei senza tetto, ai passaggi ferroviari in disuso, dove affiora una vita intermittente e sconvolta. Infatti, Spazio5 artecontemporanea, con la direzione curatoriale di Manuel Canelles, coinvolge nel progetto dedicato a La Pietra, spazi istituzionali (Centro Trevi, Università di Bolzano) e spazi alternativi insieme alle associazioni del territorio o collettivi impegnati in un’architettura di ritorno, sviluppi di comunità, centri giovanili, luoghi di didattica istituzionali (Liceo Artistico Pascoli) insieme a progetti indipendenti, al fine di riflettere sulla portata del tema della partecipazione e attivando al contempo laboratori, talk e performance artistiche.

Questo sviluppo capillare sulla città si pone l’obiettivo di problematizzare l’ontologia dell’azione collettiva e di lavorare in maniera concreta sull’idea stessa di spazio attivo e mobile, paradigma inquieto del nostro tempo; in virtù, aggiungiamo, anche del senso profondo e sotterraneo che collega le azioni artistica di Ugo La Pietra ai concetti di disequilibrio, accadimento e imprevisto, elementi esistenziali (ed emergenziali) della contemporaneità. Oggi ripensare alle azioni sociali di La Pietra permette di riconsiderare il nostro approccio alla manifestazione estetica, alla relazione con l’alterità, e ricalibrare quei fenomeni che sottendono all’idea di spazio come attesa, architettura e oggetto come emblemi di ascolto, senza i quali, ci piace pensare, non potrebbe esserci partecipazione. Dunque azione sociale o pensiero politico.

Il progetto è già stato avviato grazie alla preziosa collaborazione con la Libera Università di Bolzano. A dicembre, infatti, nel corridoio centrale, in occasione della chiusura del laboratorio “Passato Radical Futuro” elaborato e condotto da Kuno Prey, Hans Leo Höger e Manuel Canelles all’interno dello Studium Generale, ha inaugurato un’installazione video-sonora progettata da Kuno Prey con la collaborazione dello studente Rodrigo Luis Medina, proponendo alcuni video sperimentali di Ugo La Pietra tra cui alcuni film che hanno fatto la storia di quella corrente culturale passata alla storia come “Cinema d’artista” Tra le opere già esposte: Il video comunicatore;, Immersioni, Il monumentalismo, I propri itinerari.

Durante i mesi dell’esposizione, sono previsti eventi ed happening artistici che si relazioneranno con l’opera e la poetica di Ugo La Pietra: un intervento dell’artista Stefano Bernardi, un progetto fotografico di Christian Martinelli o progetti laboratoriali in collaborazione con il Liceo Pascoli e Macello / Teatro Pratiko / Vintola18. I laboratori partono dall’esperienza didattica e pedagogico- artistica legata alla dimensione sociale e periferica svolta dagli artisti radicali degli anni ’70 e in particolar modo dalle azioni video e performative di Ugo La Pietra, esploratore delle frontiere del design e dei bisogni degli utenti, che coniuga la tradizione artigianale con nuovi bisogni sociali. Questi progetti si trasformano in indagine artistica audiovisiva nell’ambito della quale il videomaker diventa viaggiatore dello spazio urbano, adottando una strategia di passaggio indeterminato che lo porta a muoversi in maniera casuale all’interno di più territori.

In mostra anche le suggestive videoinstallazioni di Lucio La Pietra, videomaker milanese che lavora e fa ricerca nel campo delle arti visive, in particolare nell’ambito delle produzioni video, collaborando con aziende, case di produzione, agenzie di comunicazione, studi di architettura, istituzioni, musei. L’interazione con le opere del padre è particolarmente significative in quanto dal dialogo intimo con le opere del padre è possibile interrogarsi sui concetti di tempo storico e tempo soggettivo, ma anche sulla necessità di accettare le differenze da cui può scaturire, persino, un’intima complicità.

Ugo La Pietra. La riappropriazione della città (1977)

INFO

Ugo La Pietra
Ovunque a casa propria
A cura di Manuel Canelles

Progetto promosso da
Spazio5 artecontemporanea
In collaborazione con
TreviLab, Unibz, Liceo Artistico Pascoli, Bolzano Officine Vispa,
Vintola18 Centro di cultura giovanile Cineclub Bolzano, Spazio Macello – Meta
Con il sostegno di
Ripartizione cultura italiana della Provincia di Bolzano, Comune di Bolzano, Libera Università di Bolzano Allestimento
Andrea Oradini / Manuel Canelles
Consulenza scientifica
Archivio Ugo La Pietra
Grafica
Sonia Galluzzo
Ufficio Stampa
Roberta Melasecca
Collaborazioni
Lucia Andergassen, Cristina Nicchiotti
Catalogo
Edizioni Archivio Ugo La Pietra
Progetto grafico
Ugo La Pietra, Simona Cesana
Redazione e ricerca iconografica
Simona Cesana

Inaugurazione 10 febbraio 2022
Fino al 20 marzo 2022
Orari:
9.00 – 20.00
Centro Trevi – Via dei Cappuccini, 28 – Bolzano
Tel. +39 0471 300980

Archivio Ugo La Pietra
Via Guercino 7 – Milano
Tel. +39 02 0236552825
www.ugolapietra.com

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca
Melasecca PressOffice – Interno 14 next
tel 3494945612
roberta.melasecca@gmail.com
www.melaseccapressoffice.it
www.interno14next.it

IMMAGINE DI APERTURA – Ugo La Pietra. La Grande Occasione (foto di copertina della mostra) Foto Aurelia Raffo