Bologna, The Rooom: Il cerchio spezzato

Inaugurazione: 19 gennaio 2022, ore 16.00-21.00
Apertura per Art City White Night: 22 gennaio 2022, ore 17.00 – 22.00
La mostra sarà visitabile fino al 1 aprile 2022

Il cerchio spezzato

a cura di Eleonora Frattarolo

The Rooom | Palazzo Aldrovandi Montanari | Via Galliera n. 8, Bologna
su appuntamento

Il 19 gennaio 2022, in occasione di Arte Fiera, a Bologna apre The Rooom, nell’affascinante cornice storica di Palazzo Aldrovandi Montanari (Via Galliera n. 8): una concept agency specializzata in tematiche legate alla sostenibilità ambientale, all’innovazione, alla creatività e alla responsabilità sociale che proporrà un ricco palinsesto di eventi ed iniziative legati a questi temi, dove l’arte sarà uno dei principali veicoli.

L’apertura segnerà l’avvio del percorso culturale e artistico interno ideato e diretto da Giorgia Sarti, partner and Cultural Curator di The Rooom, che proporrà la mostra Il cerchio spezzato curata da Eleonora Frattarolo. Il progetto espositivo, aperto al pubblico dal 19 gennaio al 1 aprile 2022, si articolerà in un percorso che vedrà coinvolti sette artisti (Rufoism, Paolo Migliazza, Angelo Maisto, Luciano Leonotti, Andrea Valsecchi, Silvia Zagni, Edoardo Sessa) su tematiche ambientali, con risvolti sociali e umani di urgente attualità. La mostra rientra nel circuito Art City White Night con apertura speciale sabato 22 gennaio 2022 dalle 17.00 alle 22.00.

The Rooomlo studio di comunicazione della sostenibilità, nasce dalla volontà di un team di quattro professionisti – Marco Tina, Monica Traversa, Giorgia Sarti, Elisabetta Tonali – che opera con l’obiettivo di diffondere e promuovere la cultura della sostenibilità. Questa nuova realtà accompagnerà le imprese del territorio nella creazione di piani di comunicazione e contenuti dedicati alla valorizzazione e promozione dei principi di sostenibilità e inclusione, attraverso la collaborazione con professionisti e talenti creativi che esprimono un chiaro impegno verso il raggiungimento di uno sviluppo equo e responsabile. Il team di The Rooom lavorerà per sviluppare strategie, idee e progetti per il raggiungimento degli obiettivi di carbon neutrality e social neutrality, nel rispetto delle diversità, delle pari opportunità e della solidarietà all’insegna dell’inclusione.

All’interno di The Rooom sarà presente anche uno spazio espositivo e culturale “The Rooom Lab” dove sarà possibile partecipare ad eventi ed iniziative di condivisione e d’incontro sui temi della sostenibilità, per promuoverla sia nelle aziende che tra le persone. Perno dell’attività culturale di The Rooom sarà l’arte contemporanea, un’efficace forma espressiva che apre prospettive e nuovi spunti di riflessione. È per questo che si è scelto di dare voce agli artisti all’interno di The Rooom: un luogo in cui avere accesso a chiavi di lettura nuove e diverse su tematiche urgenti all’interno di un ricco palinsesto di mostre e incontri.

Le tematiche ambientali e di sostenibilità sociale saranno al centro della mostra Il cerchio spezzato che inaugurerà il programma culturale di The Rooom: “Con l’avvento dell’Antropocene, il millenario e complesso sistema di relazioni biologiche della Terra subisce profonde alterazioni climatiche e geologiche, che ne mettono in pericolo la vita stessa. In contrasto con il basilare buon senso animale di sopravvivenza che tende a proteggere la propria casa, il proprio habitat, la propria specie, l’Uomo sfrutta ed erode le risorse del Pianeta in modo irreversibile seguendo modelli economici e culturali ormai insostenibili. Dalla metà degli anni ’60, in coincidenza con una più vasta diffusione dell’Ecologia, l’arte rappresenta con differenti linguaggi e sensibilità le mutazioni, le problematiche, le contraddizioni del rapporto tra Uomo e Natura, di cui egli tuttavia è parte, pur avendo la presunzione di credersi altro da essa” così afferma Eleonora Frattarolo, curatrice della mostra che prosegue: “In mostra le opere di sette artisti (Rufoism, Paolo Migliazza, Angelo Maisto, Luciano Leonotti, Andrea Valsecchi, Silvia Zagni, Edoardo Sessa) che rappresentano ciò che sta avvenendo nello spazio urbano, nel paesaggio rurale, nell’ambiente in cui viviamo, e che raccontano come tali avvenimenti si ripercuotano nella nostra mente e nella sfera affettiva e spirituale. Da tali rappresentazioni nasce un racconto per immagini che si articola in sculture, dipinti, disegni, installazioni, fotografie. Un racconto che attraversa scenari chiaramente percepibili e versanti interiori silenti e nascosti”.

“Penso che Bologna sia un importante centro propulsore per la cultura della sostenibilità poichè da sempre radicata nel territorio e tra la gente che lo vive. È stata, pertanto, una scelta naturale partire dalla nostra città”, dichiara Marco Tina, Founder and Managing Partner. “The Rooom nasce con la volontà di sostenere le aziende nel comunicare in maniera efficace i piccoli e grandi traguardi raggiunti durante il percorso di transizione verso la sostenibilità. Un percorso che genera valore anche per il territorio e la comunità: il ruolo della comunicazione è fondamentale per creare consapevolezza e partecipazione”.

Giorgia Sarti, partner and Cultural Curator, infine, afferma: “Il percorso culturale e artistico di The Rooom sarà finalizzato alla sensibilizzazione su tematiche sociali, ambientali ed economiche per la diffusione di valori etici e comportamentali e l’apertura ad un dialogo costruttivo tra persone, imprese, istituzioni e operatori culturali. Proporremo contenuti culturali attraverso il linguaggio, puntuale e trasversale dell’arte contemporanea che avrà un ruolo significativo nel promuovere valori e obiettivi. Collaboreremo con artisti che incentrano la loro ricerca sulla denuncia e sensibilizzazione di aspetti propri del vivere sociale e del rispetto per l’ambiente, al fine di innescare una nuova presa di coscienza nel pubblico che ci seguirà. A tal fine, creeremo un palinsesto di mostre, incontri, laboratori e iniziative volti a creare un network di persone che condividono propositi e finalità nell’interesse comune di diffondere e perseguire valori e comportamenti equi e solidali”.


Alla mostra Il Cerchio Spezzato si può accedere solo per appuntamento da riservare via email press@therooom.it oppure al numero 3458944121
Da lunedì 10 gennaio 2022, in seguito all’entrata in vigore del decreto legge 221/2021, per accedere alle mostre temporanee è obbligatorio essere in possesso del green pass “rafforzato” (c.d. super green pass), vale a dire di un green pass rilasciato a seguito di vaccinazione o di guarigione.
È inoltre obbligatorio indossare sempre una mascherina di tipo FFP2 e mantenere il distanziamento di almeno di un metro dalle altre persone.

INFORMAZIONI UTILI

TITOLO: Il cerchio spezzato
A CURA DI: Eleonora Frattarolo
INAUGURAZIONE: Mercoledì 19 gennaio 2022, ore 16.00- 21.00
DOVE: The Rooom – Palazzo Aldrovandi Montanari, Via Galliera n. 8, Bologna

ORARI D’APERTURA DURANTE ARTEFIERA:
Giov 20/1 – h 10.00-12.30/15.30-18
Ven 21/1 –  h 10-12.30/15.30-18
Sab 22/1 – h 17-22
Dom 23/1 –  h 16-22
Fino al 1 aprile su appuntamento

Apertura per Art City White Night: 22 gennaio 2022, ore 17.00 – 22.00
La mostra sarà visitabile fino al 1 aprile 2022, su appuntamento

CONTATTI:
3458944121
press@therooom.it
www.therooom.it

Culturalia

CULTURALIA DI NORMA WALTMANN
Agenzia di comunicazione e ufficio stampa

tel : +39-051-6569105 mob: +39-392-2527126
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Trieste, Museo Revoltella – Monet e gli Impressionisti in Normandia

Dal 4 febbraio arriva al Museo Revoltella di Trieste un eccezionale corpus di oltre 70 opere che racconta il movimento impressionista e i suoi stretti legami con la Normandia. Sul palcoscenico di questa terra, pittori come Monet, Renoir, Delacroix e Courbet – in mostra insieme a molti altri – colgono l’immediatezza e la vitalità del paesaggio imprimendo sulla tela gli umori del cielo, lo scintillio dell’acqua e le valli verdeggianti della Normandia, culla dell’Impressionismo.

Monet e gli Impressionisti in Normandia

4 febbraio – 5 giugno 2022 Museo Revoltella, Trieste

Jacques Villon
Sotto la tenda, sulla spiaggia, Blonville,
1906 ca. Olio su tela, 50×61 cm
Collection Association Peindre en Normandie, Caen
SEZIONI
DELLA MOSTRA

La mostra “Monet e gli impressionisti in Normandia” è incentrata soprattutto sul patrimonio della Collezione Peindre en Normandie – tra le collezioni più rappresentative del periodo impressionista – affiancata da prestiti provenienti da Musée Marmottan Monet di Parigi, dal Belvedere di Vienna, dal Musée Eugène-Boudin di Honfleur e da collezioni private e ripercorre le tappe salienti della corrente artistica: opere come Falesie a Dieppe (1834) di Delacroix, La spiaggia a Trouville (1865) di Courbet, Camille sulla spiaggia (1870) di Monet, Tramonto, veduta di Guernesey (1893) di Renoir – tra i capolavori presenti in mostra – raccontano gli scambi, i confronti e le collaborazioni tra i più grandi artisti dell’epoca che – immersi in una natura folgorante dai colori intensi e dai panorami scintillanti – hanno conferito alla Normandia l’immagine emblematica della felicità del dipingere.

Furono gli acquarellisti inglesi come Turner e Parkes che, attraversata la Manica per abbandonarsi allo studio di paesaggi, trasmisero la loro capacità di tradurre la verità e la vitalità naturale ai pittori francesi: gli inglesi parlano della Normandia, della sua luce, delle sue forme ricche che esaltano i sensi e l’esperienza visiva. Luoghi come Dieppe, l’estuario della Senna, Le Havre, la spiaggia di Trouville, il litorale da Honfleur a Deauville, il porto di Fécamp – rappresentati nelle opere in mostra al Museo Revoltella – diventano fonte di espressioni artistiche di grande potenza, dove i microcosmi generati dal vento, dal mare e dalla bruma possiedono una personalità fisica, intensa ed espressiva, che i pittori francesi giungono ad afferrare dipingendo en plein air dando il via così al movimento impressionista.

La mostra, promossa e organizzata dal Comune di Trieste – Assessorato alle politiche della cultura e del turismo con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau e PromoTurismo FVG, è prodotta da Arthemisia ed è curata da Alain Tapié.

In occasione della mostra sugli Impressionisti, inoltre, si potrà anche visitare con un unico biglietto d’ingresso lo stupendo Museo Revoltella, Galleria d’arte moderna di Trieste che vanta una prestigiosa collezione: a partire dal ricchissimo lascito dell’omonimo barone Pasquale Revoltella – che ne fece la sua dimora fino al 1869 – per giungere alle più recenti acquisizioni con opere di grandi artisti come Fattori, De Nittis, Sironi, Carrà, De Chirico, Fontana, Pomodoro, Hayez e molti altri importanti esponenti dell’arte moderna e contemporanea.

È prevista, inoltre, una proposta promozionale a favore dei turisti denominata “Trieste ti regala le Grandi Mostre”, l’iniziativa, sostenuta dal Trieste Convention and Visitors Bureau, che mira ad incentivare il turismo culturale in città, premiando i turisti con un meraviglioso regalo offerto grazie agli introiti dell’imposta di soggiorno (info su https://www.discover-trieste.it/Esperienze-e-pacchetti-turistici).


SEDE
Museo Revoltella
Via Armando Diaz, 27
34123 Trieste (TS)

INFORMAZIONI
T. +39 040 982831
www.arthemisia.it
www.triestecultura.it
www.discover-trieste.it

ORARI
Dal lunedì alla domenica e festivi 9:00 -19:00
Martedì chiuso
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Hashtag ufficiale
#ImpressionistiTrieste

UFFICIO STAMPA
Arthemisia
Salvatore Macaluso
sam@arthemisia.it | M. +39 392 4325883
press@arthemsia.it | T. +39 06 69308306

Karl Schmidt-Rottluff – “Obiettivo della Brücke è attirare a sé tutti gli elementi rivoluzionari e in fermento”

di Sergio Bertolami

32/4 – I protagonisti

Karl Schmidt-Rottluff (Rottluff 1884 – Berlin 1976). C’è un ritratto fatto da Ernst Kirchner, in cui compare anche Schmidt-Rottluff. Per essere precisi Kirchner affermava: «I miei dipinti sono allegorie, non ritratti». In questo dipinto del 1925, rappresenta I pittori della Brücke. Sono passati dodici anni dallo scioglimento; anni che riaffiorano nel ricordo di quella giovane ed eccitante comunità di artisti. Sono in quattro, ma al posto di Fritz Bleyl è raffigurato Otto Müller (seduto, mentre fuma la pipa). La presenza di Bleyl, rimasto nel gruppo per soli due anni, dev’essere stata percepita come una meteora. In piedi, invece, riconosciamo gli altri tre fondatori: Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Karl Schmidt-Rottluff. Allegoria, dunque, di quegli anni di certo difficili. Prima, l’affermazione delle nuove idee che ricordavano battaglie ed assalti Sturm und Drang. Poi, i contrasti per cercare di mantenere coeso un gruppo di spiccate individualità. Kirchner, tiene in mano un giornale: una critica negativa? I presenti appaiono perplessi. Schmidt-Rottluff, a destra col pizzetto, ha una mano in tasca come Heckel, che sta al centro: un atteggiamento che conferisce loro un’aria intellettuale irresistibile.

Ernst Ludwig Kirchner: I pittori della Brücke, 1925, Museum Ludwig. Da sinistra a destra: Müller (seduto), Kirchner, Heckel, Schmidt-Rottluff

Erich e Karl si erano conosciuti nel 1901 al liceo umanistico di Chemnitz (in Sassonia). Entrambi avevano preso a frequentare i dibattiti del circolo Vulkan, dove gli studenti delle scuole superiori di Chemnitz discutevano gli scritti d’attualità degli autori più autorevoli, come Friedrich Nietzsche, Fjodor Dostojewski, August Strindberg, Henrik Ibsen. Dopo il diploma del liceo, sempre insieme, si stabiliscono a Dresda nel 1905 per studiare architettura e dare vita, con Bleyl e Kirchner, al gruppo degli artisti della Brücke. Karl prende la decisione che da allora, per farsi distinguere dagli omonimi, si sarebbe fatto chiamare Karl Schmidt-Rottluff. In Germania, il cognome Schmidt è comune quanto Rossi in Italia. Così – come da noi abbiamo un Leonardo da Vinci, un Merisi da Caravaggio, un Antonello da Messina – Karl Schmidt pensò di affiancare, anche lui, il nome del luogo di nascita. Suo padre era il proprietario del mulino Friedrich Schmidt di Rottluff e Karl era nato proprio nella casa adiacente al mulino, a un tiro da Chemnitz. A Rottluff nel 1891 aveva cominciato le elementari, anche se per breve tempo frequenterà una scuola privata a Rabenstein. Dal 1897 è al liceo di Chemnitz, quindi dal 1905 finalmente è a Dresda, dove ha inizio la sua vita artistica.  

Ernst Ludwig Kirchner, Copertina del quarto annuario del gruppo artistico Die Brücke dedicato a Karl Schmidt-Rottluff, 1909

Pur essendo il più giovane fra i quattro fondatori del gruppo Die Brücke è dotato di una forte personalità. È lui che propone il nome del movimento e che ne definisce molte delle linee stilistiche. Come già Fritz Bleyl, anche Schmidt-Rottluff descrive le condizioni dello studio di Dresda in cui i quattro lavoravano e vivevano: «L’atelier era sotto il tetto. Abitare in questo spazio era vietato a causa delle restrizioni del codice antincendio, ma era consentito rimanere e lavorare lì. Dovevamo quindi evitare l’impressione che questi fossero i nostri alloggi. I mobili più necessari dovevano scomparire in soffitta durante il giorno. E così il posto era decorato esclusivamente con tende. Una tenda era appesa davanti alla porta d’ingresso, una seconda davanti al riscaldamento del forno […] una stanza attigua era nascosta da una tenda batik a fantasia astratta».

Karl Schmidt-Rottluff, Case sulla Gartenstrasse, 1906

Schmidt-Rottluff s’impegna anche ad allargare il gruppo, così per esempio scrive a Emil Nolde, a febbraio del 1906, insistendo perché partecipi alle loro esposizioni e si unisca a loro: «Per andare dritto al punto, il gruppo di artisti chiamato Die Brücke considererebbe un grande onore poterti accogliere come membro. Ovviamente saprai poco di Die Brücke come noi sapevamo poco di te prima della tua mostra alla galleria Arnold a Dresda. Uno degli obiettivi di Die Brücke è attirare a sé tutti gli elementi rivoluzionari e in fermento: questo è il significato del nome Brücke. Il gruppo organizza anche diverse mostre all’anno, che manda in tournée in Germania. Ora, caro Herr Nolde, pensa come ti pare e piace, speriamo che questa offerta sia il prezzo giusto per le tue tempeste di colore». Schmidt-Rottluff aveva conosciuto Emil Nolde a Dresda, visto che spesso accompagnava la moglie Ada per controlli medici in ospedale. Aveva trascorso l’estate sull’isola danese di Alsen nel Mar Baltico, ospite dei coniugi Nolde che possedevano una casa vicino al villaggio di Guderup, raffigurata in un quadro dai forti contrasti cromatici e dalle pennellate rapide e nervose, al limite dell’astrazione. Nell’anno successivo, in compagnia di Heckel e della pittrice di Oldenburg Emma Ritter, Schmidt-Rottluff trascorre per la prima volta i mesi estivi a Dangastermoor e Dangast e ci tornerà fino al 1909. Come ad Alsen, lavora sul ritmo e sulla direzione delle sue pennellate. Ora esegue marine e paesaggi, insistendo con ampie aree di colore stese direttamente sulla tela per mezzo di una spatola. Linee vibranti che ricordano quelle di Van Gogh. Non ha più dubbi: interrompe gli studi di architettura in quello stesso anno 1907, per dedicarsi interamente alla pittura. Sempre nel 1907 Heckel e Schmidt-Rottluff, inseparabili, divengono membri dell’Associazione degli artisti della Germania nord-occidentale. Recatosi ad Amburgo conosce l’avvocato e collezionista Gustav Schiefler e la storica dell’arte Rosa Schapire, della quale ha così grande stima da ritrarla ripetutamente nel 1911, 1915 e 1919. Pensa che i due possano far parte dei membri passivi della Brücke. L’affiatamento col gruppo è tale che la cartella di stampe del 1909, distribuita fra i membri passivi, è interamente dedicata alle sue opere e ha in copertina un suo ritratto eseguito da Kirchner.

Karl Schmidt-Rottluff, Bahndamm in inverno, 1905/06
Karl Schmidt-Rottluff, Deichbruchbruch, 1910

I primi quadri di Schmidt-Rottluff esprimono uno stile pittorico dettagliato e puntinista (Bahndamm in inverno, 1905/06), che con il tempo va cambiando carattere. Per tutto il periodo della Brücke a Dresda, come gli altri membri, Schmidt-Rottluff subisce l’influenza di Van Gogh e del neoimpressionismo che, dal 1908, lo fa orientare verso «la dialettica “linea-superficie” organizzando la sua composizione nel concorso di questi due elementi e in questo seguendo il medesimo processo di Kirchner e Heckel». (Ewald Rathke, L’Espressionismo). Come i suoi amici e compagni d’avventura, la sua pennellata energica crea nella scena un senso potente di movimento, quasi vertiginoso, che dal 1910 si trasforma in uno stile piatto, cromatico e ritmico, dalle forme appuntite, tratteggi nervosi e toni più tenui, dove si avverte l’influenza dei Fauves (Deichbruchbruch, 1910). Questo contribuisce fortemente alla monumentalità dell’insieme. Vale anche per le xilografie, realizzate in contemporanea, che mostrano nella loro semplice severità espressiva la sua attenzione rivolta alla scultura sviluppata dalle culture fuori d’Europa. Riguardo alle sue grafiche commenta: «A volte arrivavo ad esagerare certe forme, in violazione della proporzione scientifica, ma in accordo con l’equilibrio delle loro relazioni spirituali l’una con l’altra. Ho realizzato teste enormemente sovradimensionate rispetto ad altre parti del corpo, perché la testa è il punto di concentrazione di tutta la psiche, di tutta l’espressione». Nell’inverno del 1910, Schmidt-Rottluff soggiorna ad Amburgo e affitta qui un piccolo studio in un sottotetto. Dipinti e acquerelli, realizzati negli anni che precedono la Prima guerra mondiale, mostrano principalmente paesaggi dai colori forti, in cui deliberatamente utilizza una combinazione di forme semplici e poche linee espressive. (Abeti davanti alla casa bianca, 1911). Sono i frutti maturi dei suoi viaggi. Da aprile a giugno 1911 si ritira ancora una volta a Dangast; quindi, si reca a Lofthus in Norvegia per un mese, all’inizio di luglio, dove ammira le opere di Munch.

Karl Schmidt-Rottluff, Sole nella pineta, 1913

Alla fine di ottobre 1911, Schmidt-Rottluff decide di trasferirsi stabilmente da Dresda a Berlino. Intesse stretti contatti con il gruppo di artisti che si raccoglie attorno a Herwarth Walden. Sono, difatti, gli anni in cui Walden sviluppa la sua galleria d’arte e la rivista, che sotto il medesimo nome di Der Sturm fino agli anni Trenta del secolo divengono giustappunto il centro dell’Espressionismo, non solamente tedesco. Berlino è un cuore pulsante, piena di vita, una metropoli dinamica, che sa proporre le giuste stimolazioni che gli artisti vanno cercando. Nel 1912 conosce Franz Marc, anche lui a Berlino per selezionare opere da inserire nella seconda mostra del Blauer Reiter e le cerca pure fra gli artisti della Brücke. I contatti si moltiplicano: stringe rapporti con Else Lasker-Schüler, Alfred Mombert, Karl Sternheim. In questi mesi anche il tema del nudo, che in precedenza appariva specialmente in disegni e stampe, comincia a proporsi nella sua opera pittorica (Dopo il bagno, 1912). Con l’aiuto di contorni e strutture interne, i corpi sono modellati sulla tela (Ragazza alla toilette, 1912). Prende parte alla mostra Sonderbund di Colonia con tre dipinti: è qui che, impressionato dal lavoro di Pablo Picasso, gli elementi e le forme cubiste si riflettono nelle sue opere. Una tendenza che si fa strada ancora di più, quando conosce e comincia a frequentare assiduamente Lyonel Feininger, un pittore statunitense di origine tedesca, che gli fa apprezzare le aperture spaziali del Cubismo. Un esempio di questa influenza è Sole nella pineta, dipinto tra maggio e agosto del 1913. Infatti, proprio a maggio, dopo che la comunità degli artisti della Brücke ufficialmente viene sciolta, pensa di trascorrere l’estate con Pechstein a Niden, nella penisola di Neringa, una sottile striscia di terra di 98 chilometri che separa la laguna dei Curi dal Mar Baltico. Lontano da ogni civiltà, nascono nudi e paesaggi, dipinti, disegni, xilografie, in cui Schmidt-Rottluff può liberamente esprimere tutto il proprio stile personale, creando una grande sintesi tra espressione e forma. I nudi compaiono – a volte insolitamente proporzionati – nei grandi spazi aperti della natura (Tre nudi rossi, 1913). Sul finire del 1913 partecipa alla mostra della Nuova Secessione, a Berlino. Il suo amico Pechstein, proprio per le sue simpatie verso la Nuova Secessione e il Blauer Reiter era stato allontanato dalla Brücke. Ora ambedue sono liberi di intraprendere nuove strade.  

Karl Schmidt-Rottluff, Tre nudi rossi, 1913

Quando a marzo 1914 compare il primo articolo dedicato alla sua arte sulla rivista Kunst und Künstler siamo ormai alle porte della Grande guerra. Al deflagrare del conflitto Schmidt-Rottluff si ritira in privato, fino a quando non viene richiamato nel 1915 per svolgere il suo servizio militare in un battaglione di rinforzo nella Russia settentrionale. Prosegue, quando può farlo, le ricerche estetiche e si concentra sempre più sui temi figurativi, lasciando in secondo piano le rappresentazioni di paesaggi che tanto aveva prediletto nella sua pittura. Ora il paesaggio è solo quello sconvolto dalla guerra. Con l’uso persistente dei colori primari (blu, verde, rosso), in connessione con distorsioni di forme e stilizzazioni, crea la sua nuova visione del mondo. Lo possiamo percepire in Ragazza allo specchio (1915), tela che manifesta l’ansia e l’angoscia del pittore per la guerra. Un nudo che si riflette in un dualismo di linee diventate spigolose e irrequiete, che nulla hanno a che fare con le figure morbide e sensuali delle bagnanti dipinte negli anni precedenti. Un corpo smilzo e giallastro che si richiama alle sculture lignee africane ed oceaniche. Durante tutto il servizio militare, Schmidt-Rottluff intraprende, infatti, le sue prime opere scultoree, realizzando busti e maschere scolpite nel legno, nudi e figure vestite.

Karl Schmidt-Rottluff, Ragazza allo specchio, 1915
Karl Schmidt-Rottluff, Preghiera, bronzo, Musei Vaticani, 1918
Karl Schmidt-Rottluff, Christo e giuda, xilografia, Musei Vaticani, 1918

Nel 1917 i primi temi religiosi trovarono spazio nella sua opera (Adoranti, 1917). Esegue una serie di xilografie (I tre re, 1917) e prende a lavorare al portfolio Kristus, pubblicato a dicembre del 1918 da Kurt Wolff-Verlag, dopo che il pittore ha ottenuto finalmente il congedo dal servizio militare. Quando torna a Berlino, Schmidt-Rottluff è tra i firmatari del primo manifesto dell’Arbeitsrat für Kunst, il Consiglio dei lavoratori per l’arte, considerato un’anti-accademia di artisti tedeschi. Fra i membri trova molti dei suoi amici della Brücke: Erich Heckel, Otto Müller, Emil Nolde, Max Pechstein. Soprattutto, quando torna a Berlino, è intenzionato a mettere su famiglia, unendosi in matrimonio con la sua fidanzata di lunga data Emy Frisch.

Karl Schmidt-Rottluff, Progetto per un’aquila imperiale (Fonte DHM)

La strada che, a guerra finita, intravede per riprendere la propria attività pittorica quasi del tutto interrotta per quattro anni è quella di una religiosità pacata e maestosa, come dire una esplicita e solenne professione di fede. Naturalmente continua ad approfondire i temi delle sue composizioni e risponde ai bandi pubblici, rivolti agli artisti per ampie discussioni sul nuovo spirito della rinata Germania. Sono gli anni della cosiddetta Repubblica di Weimar (1918-1933), il sogno di stabilire una democrazia liberale, che non durerà a lungo, reso vano nel 1933 dall’ascesa al potere di Adolf Hitler e del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, che tutti conoscono come Partito nazista. Una proposta parlamentare di utilizzare nello stemma solo le iniziali “DR” per identificare la repubblica tedesca di Weimar, al posto dell’aquila imperiale, non è accettata. Così anche Schmidt-Rottluff risponde al bando per ridisegnare il simbolo dell’aquila. Non è affatto d’accordo, perché, come scrive, «l’opinione pubblica all’estero difficilmente perderebbe la buona occasione di utilizzare il disegno del nuovo stemma, in particolare la corpulenza invadente dell’animale araldico, per aprire ampie discussioni sullo spirito nuovo della nuova Germania». La xilografia di Schmidt-Rottluff non supera la selezione finale.

Karl Schmidt-Rottluff, Valle di dune con albero morto, 1937

Per tutti gli anni Venti, Schmidt-Rottluff passa le sue estati a Jershöft sulla costa baltica della Pomerania e i temi naturalistici tornano in primo piano: nei suoi dipinti compaiono operai, artigiani, contadini o pescatori, mostrati al lavoro (Fienagione, 1921). Fino al 1926 le forme si fanno più plastiche, poi la sua tavolozza di colori diviene più tenue e sommessa (Malve in casa, 1926). Espone in molte rassegne in Germania e all’estero. Viaggia in Francia e in Italia, dove viene nel 1923 con Georg Kolbe e Richard Scheibe. Nel 1930 trascorre un periodo a Roma come studente presso l’Accademia Tedesca a Villa Massimo. Il 1930, in particolare, è anche un anno drammatico, perché proprio nel periodo del suo maggior successo, le campagne diffamatorie dei nazionalsocialisti iniziano a diventare pesanti. Nonostante il fatto che nel 1931 sia nominato membro dell’Accademia Prussiana delle Arti, Schmidt-Rottluff preferisce lasciare la città e ritirarsi nel Mar Baltico. Tuttavia, l’oppressione politica, che si estende in Germania, irrimediabilmente tende a trasparire anche nelle tonalità di colore delle sue tele, che sempre più esprimono stati d’animo soffocanti (Valle di dune con albero morto, 1937) a testimonianza la sua solitudine. Dal 1933 tutto precipita: escluso dall’Accademia prussiana, radiato dall’unione arti e mestieri, 608 sue opere sono sequestrate dai musei tedeschi e ben 25 esibite al pubblico ludibrio nella mostra di Arte degenerata del 1937. Quattro anni dopo gli viene ingiunto di non dipingere, mentre dall’altra parte dell’Oceano, negli Stati Uniti, gli americani espongono i suoi lavori. Quando i dipinti il ​​20 marzo 1939 sono bruciati nel cortile della principale caserma dei vigili del fuoco di Berlino, anche molte delle sue opere vengono distrutte.

Per tutto il periodo del Secondo conflitto mondiale si ritira a Rottluff e Chemnitz, rinviando le sue creazioni a tempi migliori. Nel 1947 riceve la nomina a professore dell’Università di Belle Arti di Berlino, cosicché, tornata la voglia di spendere le proprie energie a favore dell’arte, riprende il lavoro sugli acquerelli di grande formato, per i quali Schmidt-Rottluff è conosciuto. Dà vita a numerosi quadri invernali in cui predominano stati d’animo sommessi (Paesaggio innevato, 1947, Luna e cancello del giardino, 1960). Dal 1964 circoscrive il suo raggio d’azione alle chine, agli acquerelli, ai pastelli, oltre a sviluppare un vasto lavoro grafico incentrato su xilografie e litografie. Non mancano disegni per mosaici, lavori su vetro, arazzi, oggetti di uso quotidiano e gioielli. Numerosi riconoscimenti e mostre hanno allietato i suoi ultimi anni e da parte sua ha ricambiato, compensando il mondo dell’arte con un lascito, nel 1964, per celebrare il gruppo di artisti con i quali ha condiviso la nascita dell’Espressionismo tedesco. La sua Fondazione Karl ed Emy Schmidt-Rottluff ha posto, difatti, le basi per l’apertura del Brücke Museum di Berlino, istituzione sotto la responsabilità del Dipartimento della Cultura. Solo tre anni dopo, il 15 settembre 1967, il museo ha trovato la sua sede stabile in un nuovo edificio progettato da Werner Düttmann nel quartiere berlinese di Dahlem.

Brücke-Museum di Berlino, nel quartiere di Dahlem. Il museo raccoglie una collezione di pittura espressionista tedesca del gruppo Die Brücke.
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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

MigraREport 2021. Flussi migratori nell’epoca postcoloniale

La quarta edizione del CIRMiB MigraREport presenta i dati relativi alla popolazione immigrata elaborati dal Centro di Iniziative e ricerche sulle migrazioni – Brescia di concerto con: Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Camera di Commercio di Brescia, Comune di Brescia, Prefettura di Brescia, Fondazione Ismu, e consultando le banche dati di UNHCR, Istat, Ministero dell’Interno, Miur e Banca d’Italia. La prima parte del libro riporta le statistiche sui residenti stranieri in provincia di Brescia prima e dopo la pandemia. La seconda presenta il tema delle rotte migratorie, con riguardo alle relazioni Italia-Libia e ai profughi in Bosnia. La terza prende in esame il pluralismo religioso a Brescia e le relazioni tra cristiani e musulmani dopo il Documento di Abu Dhabi (febbraio 2019). Nel Dossier monografico, i saggi di antropologia culturale sull’esperienza coloniale italiana in Eritrea portano l’attenzione sulla prospettiva postcoloniale, che oggi risulta quanto mai necessaria per comprendere i lasciti del colonialismo in Italia dal punto di vista culturale, simbolico e ideologico. Il CIRMiB nasce nel 1998 come O.P.I. (Osservatorio Provinciale Immigrazione), su iniziativa di alcuni docenti dell’Università Cattolica di Brescia dell’area socio-antropologica. Nel 2006 il Centro cambia denominazione e nel 2012 rinnova il proprio statuto divenendo CIRMiB (Centro di Iniziative e Ricerche sulle migrazioni – Brescia), centro di ricerca dell’Università Cattolica. Oltre al MigraREport, ha al proprio attivo la collana Quaderni Opi, la collana Annuario Immigrazione e contesti locali e la collana di monografie Quaderni CIRMiB Inside Migration. Maddalena Colombo è professoressa ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nell’Università Cattolica di Brescia, dove dirige il CIRMiB dal 2013 e il LaRIS (Laboratorio di Ricerche e Intervento Sociale) dal 2015. Studia i processi migratori, la socializzazione e le trasforma¬zioni del sistema scolastico-formativo. Ha pubblicato numerosi volumi e articoli in Italia e all’estero.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 



Catanzaro, Museo MARCA: ARON DEMETZ. Autarkeia II. Il richiamo della materia

Per Aron Demetz questa mostra, promossa dalla Fondazione Rocco Guglielmo, in collaborazione con la Provincia di Catanzaro al MARCA di Catanzaro dal 15 gennaio al 31 marzo prossimi, a cura di Alessandro Romanini, giunge in un momento perfetto. L’artista gardesano è nel vortice di una serie di esposizioni in molti musei internazionali e in altrettante prestigiose sedi italiane. Le sue sculture realizzate prevalentemente in legno, sono premiate dall’attenzione della critica e dei collezionisti di tutta Europa.

15 Gennaio 2022 – 31 Marzo 2022
Catanzaro, Museo MARCA

ARON DEMETZ.
Autarkeia II. Il richiamo della materia

Mostra a cura di Alessandro Romanini.
Promossa dalla Fondazione Rocco Guglielmo
in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Catanzaro

Aron Demetz: Testa; sequoia, 160x90x85 cm, 2017

“…essere invitato ad esporre al MARCA dalla Fondazione Rocco Guglielmo con un progetto site-specific…”, riconosce l’artista, “…mi risulta doppiamente stimolante. Innanzitutto perché il Marca è già stata sede di importanti mostre di scultura, sia perché per un artista, esporre le proprie opere scultoree a Catanzaro, in piena Magna Grecia, significa inevitabilmente confrontarsi con il Genius loci di una terra che affonda le sue radici nella tradizione artistico-culturale greco-romana…”
La riflessione che sottende a questa mostra, che va a continuare e approfondire il percorso di ricerca avviato dalla recente esposizione al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ruota intorno al concetto di “Autarchia”, derivato dal greco “Autarkeia” e declinato in una serie di soluzioni formali connesse semanticamente al concetto di “Autosufficienza”. Nell’accezione di Demetz “Autarkeia” non va intesa nel senso dell’ “accontentarsi”, bensì – come scrive Alessandro Romanini, curatore della mostra, “… come forma di conquista veicolata da una rigida autodisciplina, sostenuta dall’inesausta ricerca ed esercizio e alimentata da un continuo confronto con i capisaldi storici dell’arte plastica. E tra quest’ultimi la dimensione legata all’arte greca è al primo posto…”.
Ricerca e sperimentazione caratterizzano l’intero percorso di Demetz, discendente da una famiglia di scultori e originario della Val Gardena, terra di santi e di scultori di altari lignei che si possono ammirare nelle chiese di tutto il mondo.
Con Demetz le forme tradizionali divengono altro così come diventa altro il ruolo assunto dal materiale lavorato abilmente dall’artista; il legno diventa così autore di un racconto; le resine provenienti dagli alberi delle montagne di casa per effetto del fuoco corrodono e riplasmano l’oggettiva bellezza delle forme, creando piaghe sugli adolescenziali corpi nudi intagliati.
Progressivamente si assiste all’ingresso in scena di altri materiali: il bronzo, il gesso, il vetro, così come alla figura singola si affiancano gruppi di figure infine le installazioni.
“…Trent’anni di spirito di ricerca, di avventura…” – annota Romanini – “…vedono nella sperimentazione l’unica condizione possibile e nell’errore non il fallimento ma il motore e il fulcro di ogni nuova potenziale conquista linguistica, espressiva e tecnica…”.
La mostra al MARCA propone una serie di opere che sono testimoni del percorso di questa appassionata ricerca espressiva: opere figurali in legno, bronzo, in gesso e vetro, a conferma come in Demetz la scultura sia pensiero tradotto in forma, elaborazione filosofica tradotta in prassi plastica.
“…I materiali forzano l’artista ad ascoltare e affidarsi spesso alla contingenza (condizioni atmosferiche, fratture inaspettate e irregolarità..) e questo è alla base dell’autodisciplina dell’artista, dove l’Autarchia rende possibile la valorizzazione alla pari del processo e del prodotto artistico finale…”, ribadisce il Curatore.
Anche il disegno avrà un suo spazio nel percorso espositivo, per permettere allo spettatore di comprendere la valenza centrale dell’istanza grafica, come elemento progettuale e struttura in potenza dell’esito plastico finale.
Il disegno come tracciato dei percorsi elaborativi mentali e traccia sommaria dei vari possibili percorsi espressivi.
Il percorso espositivo sarà anche supportato da dettagliati apparati didattico-divulgativi e da un audio video che documenterà – per il pubblico, le varie componenti dello stile e delle tecniche dell’artista.
Un catalogo darà esaustivamente conto delle varie opere esposte attraverso un ricco corredo fotografico, integrato da interventi critici e da un ricco apparato bio-bibliografico.


ARON DEMETZ AUTARKEIA II RICHIAMO DELLA MATERIA
Museo MARCA, Catanzaro
15 gennaio 2022 – 31 marzo 2022
INAUGURAZIONE 15 gennaio 2022 ore 18.30
CONFERENZA STAMPA Sala Panoramica museo

PER INFORMAZIONI:
Museo MARCA
Via Alessandro Turco 63, 88100 Catanzaro
T. +39 0961 746797
info@museomarca.com
www.museomarca.info
Orari: 9.30-13.00 e 15.30-20.00, chiuso il lunedì
Ingresso intero Euro 4,00, ridotto Euro 3,00

Ufficio-stampa
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo – tel. 049.663499
Rif. Simone Raddi: simone@studioesseci.net

IMMAGINE DI APERTURA Aron Demetz: Iniziazione; legno di tiglio e colori acrilici,125 x 155 x 215 cm, 2004

Venezia: Giampaolo Babetto. Segno e luce

Giampaolo Babetto, artista di fama internazionale e creatore di gioielli (architetture da indossare) esposti in 42 musei del mondo e presenti nelle collezioni più raffinate, si confronta con il Sacro. Sceglie di farlo nella monumentale Basilica palladiana dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia, patrimonio storico-artistico della città lagunare e luogo indiscusso di culto e spiritualità.

14 Gennaio 2022 – 03 Aprile 2022
Venezia Basilica di San Giorgio Maggiore

GIAMPAOLO BABETTO
Segno e luce

Mostra a cura di Andrea Nante e Carmelo Grasso

Giampaolo Babetto, Segno e luce

Segno e luce ( 14 gennaio – 3 aprile, a cura di Andrea Nante e Carmelo Grasso) è una mostra che nasce dalla sensibilità dell’artista e su invito dell’abate Stefano Visintin o.s.b. e dei monaci benedettini che da anni, nell’ambito delle attività culturali della Benedicti Claustra, ramo onlus della comunità monastica, accolgono installazioni e interventi di arte contemporanea dei più noti artisti internazionali (Anish Kapoor, John Pawson, Jaume Plensa, Michelangelo Pistoletto, Sean Scully, Not Vital).

Nello splendido scenario del Coro Maggiore, realizzato dall’artista fiammingo Albert van den Brulle nel 1598, con il progetto Rivelazioni in Coro, i monaci focalizzano l’attenzione sulla preziosa relazione tra l’arte contemporanea e i luoghi di culto. Ne scaturisce un fecondo dialogo sul tema delle arti pensate da sempre in funzione della Gloria Dei.

Per l’edizione 2022, sul badalone del Coro Maggiore, il maestro padovano presenterà un’opera inedita che richiama con grande maestria alla genealogia di Gesù a partire da Jesse. Seguirà un percorso espositivo che eccezionalmente coinvolgerà anche la maestosa Sagrestia.

“Con questo progetto gli spazi sacri della Basilica si aprono a nuove sperimentazioni artistiche che, sulla scia di una tradizione secolare, da sempre hanno contraddistinto la vita liturgica della comunità benedettina. Non semplici oggetti ma espressioni che associate a gesti, trasmettono messaggi dal significato profondo e fanno vivere l’esperienza e l’incontro con il trascendente e l’immanente”, anticipa il direttore e curatore istituzionale della Benedicti Claustra onlus, Carmelo Grasso.

“La preziosità dei materiali, le geometrie delle forme di Giampaolo Babetto ben si legano a questo percorso, richiamando uno sguardo non più di sacralizzazione dell’oggetto ma di sacralizzazione della vita”, commenta Andrea Nante, storico dell’arte e Direttore del Museo Diocesano di Padova.

“Una notevole selezione di opere di produzione grafica e metallica consentono di seguire la riflessione spirituale dell’artista padovano e di restituire il suo fertile rapporto con la materia che si piega grazie al calore e all’uso dei suoi strumenti. Sono presenti le creazioni di ultima produzione, quelle in cui la trasparenza del vetro e del cristallo permettono di riflettere e far propria la luce da cui prendono forma”.

Giampaolo Babetto, (Padova, 1947), giunge a questa monografica – a lungo meditata – in un momento felice della sua carriera, che lo vede riconosciuto a livello internazionale per le sue creazioni orafe (protagoniste di un numero superiore al centinaio di monografiche proposte da musei e istituzioni di almeno 3 continenti). Con Il tema del Sacro l‘artista si è già confrontato, sempre con molta attenzione, quasi in punta di piedi e solo per sedi o committenze di notevole livello. Tra le creazioni destinate all’uso liturgico, il reliquiario del Sacro Cingolo della Madonna del Duomo di Prato, l’ostensorio della chiesa di Saint Michael (Monaco di Baviera), i candelabri e il calice per Saint Martin-in-the-Fields (Londra) che bene esprimono insieme la poetica dell’artista, il senso del sacro e la funzione liturgica. Per l’Abbazia di San Giorgio Maggiore, il maestro Babetto sta lavorando alla realizzazione di un prezioso reliquiario in onore di San Cosma, monaco eremita di Candia.



Organizzatori: Abbazia di San Giorgio – Benedici Claustra onlus,
con la collaborazione di Caterina Tognon arte contemporanea – vetro contemporaneo (Venezia)
Curatori: Andrea Nante (storico dell’arte e direttore Museo Diocesano di Padova)
e Carmelo Grasso (direttore e curatore istituzionale Benedicti Claustra onlus)
Catalogo: Edito da Abbazia di San Giorgio Maggiore Benedicti Claustra onlus
ingresso gratuito
Ufficio Stampa: Studio ESSECI-Sergio Campagnolo, Padova tel. 049.663499
simone@studioesseci.net (Simone Raddi)

IMMAGINE DI APERTURA Giampaolo Babetto, Segno e luce

Ercole Luigi Morselli – La Befana di Baciccia

In questo racconto la Befana non c’entra niente. È solo la ricorrenza in cui avviene un fatto. Come sono solo ricorrenze le Feste dell’anno: ad alcuni butta bene e ad altri meno. Questa è una storia di emigrazione di altri tempi, quando erano gli italiani che partivano per terre lontane a cercare fortuna. Un figlio “bastardo”, dopo avere ritrovato la madre, migrata in Francia, proprio nel giorno della Befana ritrova anche il padre che lo ha messo al mondo e non lo ha mai conosciuto.

Il padre di Baciccia non era morto affatto – come sempre gli avevano fatto credere – ma era vivo e vegeto, ed anche ricco e senza figli. Aveva delle fattorie nell’America del Sud e una bella casa in città, a La Plata.

Baciccia, che per mestiere fa il marinaio, dopo sessantotto giorni di navigazione, vede la sua nave entrare finalmente in porto, proprio il sei di gennaio. Chissà che questo non sia il segno del destino.

«Era il giorno dell’Epifania, il cuore dell’estate australe, e sembrava che il sole fosse cascato sulla coperta per il caldo che faceva; e dal cassero, quell’aborto di metropoli che è la città di La Plata, tremava tutto ai nostri occhi, rovente nella fiamma del sole, disteso sull’orlo della Pampa bruciata, dove da trent’anni sta, aspettando che i suoi atenei, i suoi osservatori, le sue biblioteche, i suoi palazzi, e soprattutto il suo immenso porto, vanto di costruttori italiani, gli servano a qualche cosa».

Per tutto il tempo del viaggio Baciccia non ha fatto altro che fantasticare l’incontro e parlarne con tutti a bordo.

«Non c’è dubbio! Questa è la Befana che vi vuol bene, e ha preparato tutto in modo e maniera…!», gli dice il capitano. Ma la Befana a Baciccia non ha mai portato niente, neanche quand’era bambino.
«Vi porterà tutto in una volta», gli tuona il capitano.

L’epilogo – insolito quando s’immagina il giorno della Befana – lo lascia bene intendere Ercole Luigi Morselli, nel titolo del libro che raccoglie i suoi otto racconti: Storie da ridere… e da piangere (Milano, 1918).  

IMMAGINE DI APERTURA di Comfreak da Pixabay

Santi Centineo – Architettura degli interni, uomo, cultura, società

Il progetto degli interni dell’abitazione dell’uomo ha sempre rappresentato il tentativo di conferire una veste architettonica a quello splendido racconto che è la vita dei popoli, fatta come di sogni, aspirazioni, ideali e disillusioni, costituendo un percorso documentario sull’evoluzione dell’interiorità e dell’intimità domestica. A partire dallo studio dell’opera dei Grandi Maestri e dal ruolo cardine del movimento moderno nell’evoluzione del progetto di interni, dalle origini ai nostri giorni, si dipanano numerosi interrogativi. Verso quale ricerca (o quale immagine) di interiorità si muove l’ambito attuale? Come si sta autorappresentando l’uomo contemporaneo nel progetto della propria casa? Questi interrogativi allargano oggi il campo di interessi dell’architettura degli interni, estendendolo all’interazione con processi multiculturali di grande attualità e di determinante importanza.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE ESEGUI IL DOWNLOAD): Interno Interiore Intimo – Architettura degli interni, uomo, cultura, società

IMMAGINE DI APERTURA tratta dall’interno del volume

Santi Centineo
Interno Interiore Intimo
Architettura degli interni, uomo, cultura, società

Vercelli: FRANCESCO MESSINA. Prodigi di bellezza – 120 opere a 120 anni dalla nascita

Vercelli. Tre sedi (ARCA, Palazzo Arcivescovile, ex Chiesa di San Vittore), 120 opere, non poche di dimensioni rilevanti, per celebrare, a 120 anni dalla nascita, Francesco Messina (Linguaglossa, Catania 1900 – Milano 1995), scultore certamente tra i maggiori dell’ultimo secolo. A promuovere questa grandiosa retrospettiva sono il Comune e l’Arcidiocesi di Vercelli con la collaborazione della Fondazione Messina e di Nicola Loi Studio Copernico, Milano. Le tre sedi accolgono grandi marmi, molti bronzi e ritratti di amici e colleghi – memorabili, tra i tanti, quelli di Lucio Fontana, Salvatore Quasimodo, Riccardo Bacchelli (con il monocolo), Alfonso Gatto, Arturo Tosi, Eugenio D’Ors, mentre tra le figure femminili, in particolare danzatrici, il ritratto di Carla Fracci, Luciana Savignano e Aida Accolla. Non mancano opere dipinte di fascino assoluto, Lia Ranza, Isabella Ostini e Vittoria Leone. Tra le opere presenti nell’ARCA una sezione è dedicata ai cavalli, che ci ricordano immediatamente l’immagine del grande cavallo morente modellato nel 1966 per il Palazzo della Rai di Roma.

19 Dicembre 2021 – 27 Febbraio 2022
Vercelli, Arca, Palazzo Arcivescovile ed Ex Chiesa Di San Vittore

FRANCESCO MESSINA
PRODIGI DI BELLEZZA
120 opere a 120 anni dalla nascita

Mostra a cura di Marta Concina, Daniele De Luca e Sandro Parmiggiani

Francesco Messina: Quadriga con coda mozza, 1941, bronzo, courtesy Studio Copernico

Nel Palazzo Arcivescovile e nell’ex chiesa di San Vittore trovano naturale collocazione (in ambienti di particolare suggestione, soprattutto la sede del vescovo di Vercelli dove nel salone è esposta la cronotassi dei ritratti di tutti i Vescovi appartenuti alla storia della Diocesi) le opere di carattere religioso, come uno dei bozzetti in bronzo della grande statua di Pio XII (San Pietro in Vaticano) e quello di San Filippo Neri, il Giobbe ignudo e inginocchiato del 1933, con l’umile corda che gli cinge i fianchi, o l’Adamo e Eva del 1956, fragili pur nella maestosa possanza dei corpi, che si stringono l’uno all’altra con lo sguardo interrogativo rivolto nella lontananza. Molte altre sono le opere a carattere religioso, come il cardinale Schuster, la deposizione memore della Pietà Rondanini, le bellissime formelle (bozzetto) in bronzo dorato per la Santa Caterina collocate sugli spalti di Castel Sant’Angelo a Roma.

La mostra conferma e svela una volta di più la maestria scultorea di Francesco Messina, non casualmente presente alle Biennali di Venezia del 1922, 1928, 1930, 1932, 1942 (sala personale, vincitore del premio internazionale di scultura), 1956 (sala personale). A Messina sono state dedicate importanti mostre personali (quella di esordio si tiene alla galleria Milano del 1929, presentata da Carlo Carrà) e collettive in tutti i continenti.

Francesco Messina in laboratorio durante la realizzazione di Adamo ed Eva in granito rosso

“Francesco Messina – annota Sandro Parmiggiani, autore del saggio in catalogo – si colloca nella linea italiana della grande scultura del Novecento che, come scrive Antonio Paolucci, si dipana da Wildt, attraverso Arturo Martini, Marino Marini, Giacomo Manzù, Messina stesso, fino a Giuliano Vangi. Salvatore Quasimodo, amico di una vita, lo definì “spirito apollineo e meditativo”. Messina ha innestato tutta la sua opera sulla tradizione, da quella egizia, greco-romana e rinascimentale, arrivando all’Ottocento e ai suoi contemporanei. Nella sua opera si riscontra la fedeltà ad un rigore antico, ai suoi esiti più alti, e in questo sta anche la sua modernità. Questa fascinazione per le opere del passato può essere letta in filigrana in molte sculture della mostra e ci appare del tutto esemplare ciò che scrisse De Chirico nel 1938, nella presentazione dell’esposizione personale alla Galleria ‘La Cometa’ di Roma: ‘Le sculture di Francesco Messina, ovunque si trovino, fanno piacere a guardare, vivono con gli uomini e li consolano con la loro presenza’”.

L’esposizione è accompagnata da un prestigioso catalogo – monografia in coedizione tra Polistampa Firenze e Studio Copernico Milano.


Info:
Vercelli, 18 dicembre 2021 – 27 febbraio 2022

ARCA, piazzetta S. Marco 1:
orari di visita: giovedì-domenica dalle ore 10.00 alle ore 19

Palazzo Vescovile, piazza Alessandro d’Angennes, 5;
orari di visita: giovedì-domenica dalle ore 14.00 alle ore 18

Ex Chiesa di San Vittore, largo d’Azzo: vista dall’esterno

L’ingresso alla mostra è gratuito.
Prenotazione obbligatoria, scrivendo una e-mail all’indirizzo di posta elettronica: prenotazioni.vercelli.mostre@gmail.com
oppure rivolgendosi al numero 3383473682, contattabile dalle 10 alle 19 dal giovedì alla domenica.
Prenotazione anche in ARCA negli stessi orari.
Green pass obbligatorio

Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049 663499; www.studioesseci.net
referente Simone Raddi, simone@studioesseci.net

IMMAGINE DI APERTURA Francesco Messina: Estate (Summertime), 1989, marmo – cm 96 x 140 x 66 – courtesy Studio Copernico.

Su Sky Arte IL MIO NOME È LEGGENDA. Sesto episodio: Conte Vlad III di Valacchia – Dracula

Sky Arte presenta

IL MIO NOME È LEGGENDA

Sesto e ultimo episodio: Conte Vlad III di Valacchia – Dracula
“Sangue del mio sangue“

In onda martedì 4 gennaio 2022 alle ore 21:15 su Sky Arte
Disponibile anche On demand e in streaming su NOW

Sesto e ultimo episodio: Conte Vlad III di Valacchia – Dracula

Prosegue l’appuntamento settimanale di Sky Arte con Il mio nome è Leggenda, la produzione con Matilda De Angelis ideata e realizzata da Bottega Finzioni. Il sesto e ultimo episodio andrà in onda martedì 4 gennaio 2022 alle ore 21:15 su Sky Arte – disponibile on demand e in streaming su NOW – e approfondirà la storia del Conte Vlad III di Valacchia, oscuro personaggio dal quale prende origine il mito di Dracula.

Nelle foreste della Transilvania nel freddo novembre del 1431 nasce il figlio del condottiero Vlad II Dracul, un impavido militare appartenente all’Ordine del Drago.

Al tempo del suo primo vagito nessuno può sapere che il bambino, il cui nome è Vlad III di Valacchia, sarà uno dei più feroci esseri umani della Storia. Nel corso della sua carriera militare, infatti, sarò noto come Vlad Țepeș, che in rumeno significa “Vlad l’Impalatore”. Perché è proprio tramite l’impalamento che Vlad amava giustiziare gli ottomani, ovvero i nemici del Cristianesimo di cui era protettore.

Ho ucciso contadini, donne, vecchi e giovani che vivevano a Oblucitza e Novoselo (…). Abbiamo ucciso 23.884 turchi senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o quelli le cui teste sono state tagliate dai nostri ufficiali…”. Sono le parole di un condottiero fiero e inarrestabile, che, malgrado abbia mietuto un numero sconfinato di vite umane con efferata spietatezza, non poteva nemmeno lontanamente immaginare che la sua sete di sangue, da metaforica che era, sarebbe divenuta effettiva, se non nella realtà, almeno nella finzione di uno dei romanzi più famosi di tutti i tempi. Perché, 420 anni dopo la morte di Vlad l’Impalatore, vede la luce il romanzo epistolare dello scrittore irlandese Bram Stoker Dracula, la storia del terrore gotica che, a partire dal personaggio dell’antico condottiero rumeno, reinventa una figura mitologica antichissima, trasformando una creatura priva di intelletto in un mostro intelligente, romantico e destinato a cambiare per sempre il concetto stesso di essere sovrannaturale, divenendone l’archetipo: il vampiro.

La sesta e ultima puntata de Il mio nome è Leggenda vedrà la partecipazione del mass-mediologo Roberto Grandi e della storica Elena Pirazzoli.

Il mio nome è Leggenda è una produzione originale Sky Arte, ideata e realizzata da Bottega Finzioni. Un programma di Michele Cogo, Giuseppe Cassaro, Gianmarco Guazzo e Antonio Monti, scritto da Michele Cogo e dagli ex-allievi di Bottega Finzioni Gianmarco Guazzo, Alberta Lepri e Silvia Pelati, con la produzione esecutiva di Giuseppe Cassaro e la regia di Antonio Monti. Hanno partecipato in forma di partnership il Comune di Bologna e Bologna Welcome, mettendo a disposizione una delle location più suggestive della città: il Salone del Podestà a Palazzo Re Enzo.

“Sangue del mio sangue“ – testi di Michele Cogo, Alberta Lepri Silvia Pelati.

Note delle autrici:

“Sangue del mio sangue” racconta di Vlad III Draculea, principe rumeno e condottiero assetato di sangue che ha ispirato Dracula di Bram Stoker. La sua è soprattutto la storia umana di un legame con un fratello amato con cui ha condiviso per anni la prigionia presso i Turchi, che diventa poi il suo nemico giurato fino alla morte (Alberta Lepri).

“Sangue del mio sangue”, la storia di Vlad III non ha davvero nulla da invidiare a quella di Dracula. È stato appassionante conoscere e raccontare la vita di un uomo le cui prodezze s’intrecciano a una storia più grande, fatta di popoli in conflitto tra loro, battaglie sanguinarie e terre da conquistare (Silvia Pelati).


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IMMAGINE DI APERTURA dal programma di Sky Arte con Matilda De Angelis