Il Gruppo Klimt e le mostre d’arte 1908 e 1909 a Vienna

di Sergio Bertolami

36 – L’Espressionismo in Austria

Fino allo scoppio della Grande guerra, Vienna è senza dubbio uno dei centri più vivaci dell’arte moderna. Le eleganti suggestioni dell’Art Nouveau, avvalorate dagli artisti della Wiener Sezession, sono gli ultimi sprazzi della Bella époque mitteleuropea, caratterizzata da prosperità economica e da una vita spensierata e gioiosa. Perlomeno, riguardo alle classi elevate. Il personaggio cool dell’arte è Gustav Klimt; pur tuttavia, laddove si concentra una moltitudine di personalità e d’interessi, la frangia dei dissenzienti si accresce senza eccezione. Uno dei primi motivi di malanimo si rivela di fronte alla scelta delle opere da inviare oltre Oceano, all’Esposizione Universale di San Louis del 1904. Ecco così che nel 1906, dopo ripetuti screzi, considerata l’impossibilità di colmare la frattura fra i membri della Secessione, Klimt ed altri artisti a lui vicini danno vita alla “secessione dalla Secessione” e fondano un nuovo gruppo, denominato, va da sé, “Gruppo Klimt”, per il ruolo svolto dall’artista come esponente di primo piano. Ne scaturisce un comitato per realizzare una grande mostra d’esordio: la Kunstschau (Mostra d’arte).

Kunstschau Wien 1908, edificio principale. Cartolina disegnata da Emil Hoppe

Ciò nonostante, Vienna non possiede un edificio ritenuto idoneo all’esposizione, quindi si decide di eseguire il progetto di Josef Hoffmann, Otto Schonthal, Karl Breuer e Paul Roller. Viene individuata una vasta area libera nei pressi di Lothringenstrasse e si erige un palazzo con ampi belvederi, piazzali e giardini, un locale di ritrovo e 44 sale per mostre. All’esterno sono previsti spazi terrazzati, una caffetteria e un piccolo teatro all’aperto, dove allestire spettacoli nelle giornate estive. Hoffmann e Klimt, anche in questa occasione, vedono un’opportunità per creare la vagheggiata opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk). Mentre Josef Hoffmann e Koloman Moser fondano la Wiener Werkstätte (laboratorio viennese, 1907-1908) nell’estate del 1908 (dal 1° giugno al 16 novembre) è inaugurata finalmente la prima manifestazione ufficiale del nuovo gruppo, la Kunstschau Wien 1908, una mostra d’arte e artigianato, presieduta da Klimt.

Manifesto di Rudolf Kalvach, 1908

Moser è incaricato di allestire la Sala espressamente dedicata al maestro, per esporre sedici dei suoi capolavori. Hoffmann si occupa, invece, dello spazio per la presentazione dei prodotti della Wiener Werkstätte. Varie sale sono destinate alle opere d’arte: le sculture di Franz Metzner e i dipinti di Alfred Roller e Carl Otto Czeschka, Koloman Moser. Non mancano i giovani talenti come Oskar Kokoschka, Elena Luksch-Makowsky, Max Oppenheimer ed Heinrich Schröder. L’anno successivo, nel complesso edilizio di Hoffmann, la seconda esposizione ha a un taglio di più ampio respiro e prende il nome di Internationale Kunstschau (Mostra d’arte internazionale), con Klimt sempre presidente. Espongono artisti stranieri come lo scultore Barlach o pittori come Van Gogh, Gauguin, Munch, Amiet, i Nabis Bonnard, Vuillard e Denis, i Fauve Vlaminck e Matisse. Nonostante le due mostre riscuotano da parte della critica giudizi positivi, si rivelano un insuccesso economico e la terza edizione viene annullata. Quel che rende la decisione irrevocabile è che il 4 novembre 1909 il palazzo delle esposizioni è demolito ed oggi la medesima area è occupata della sala per concerti Wiener Konzerthaus.

Internationale Kunstschau, spazi degli allestimenti

A ben considerare, il Friedrich Nietzsche di Umano troppo umano (1886) che si sofferma sul grandissimo compito dell’arte, disatteso dalla cosiddetta “arte vera e propria delle opere d’arte”, si sarebbe appassionato – e forse avrebbe modificato qualche tratto del suo ragionamento – di fronte al prospettarsi dei nuovi orientamenti: dallo sviluppo delle idee portate dalla Secessione viennese alle nuove linee espressionistiche della Brücke e del Blaue Reiter che filtrano, in questi stessi anni, negli ambienti artistici dell’avanguardia. «L’arte – scrive Nietzsche – deve innanzitutto e in primo luogo abbellire la vita […] deve nascondere o reinterpretare il brutto, quelle cose sgradevoli, orribili e ripugnanti che, nonostante ogni sforzo, proromperanno sempre di nuovo conformemente all’origine della natura umana: così essa deve operare soprattutto nei confronti delle passioni e dei dolori e angosce dello spirito, e lasciar intravvedere l’elemento significativo di ciò che è inevitabilmente o irreparabilmente brutto». Ma l’arte della maggior parte di coloro che dispongono di tempo libero – riflette – di coloro cioè che credono di non poter vivere senza musica, teatro e visite alle gallerie, senza letture di romanzi e poesie, senza l’arte del “bello”, per intenderci, «è solo un accessorio […] Se cominciamo il pasto dal dessert e assaporiamo dolciumi su dolciumi, che c’è da stupirsi se ci guastiamo lo stomaco e persino l’appetito per il pranzo buono, sostanzioso e nutriente al quale l’arte ci invita!». È passata poco meno di una dozzina d’anni da quando il filosofo ha scritto queste annotazioni e l’arte, quella autentica e non edulcorata, sta cercando nuove vie di cambiamento. In Germania, come in Austria.

Oskar Kokoschka, Pietà, Manifesto per Murderer, Hope of Women, dramma,Internationale Kunstschau, Vienna, 1909

«La frase già citata di Nietzsche “l’arte deve prima di tutto abbellire la vita…” – scrive Lara-Vinca Masini – se può riferirsi all’Espressionismo della Brücke, non può essere citata per quanto concerne l’altro polo d’irradiazione dell’Espressionismo mitteleuropeo, Vienna. Personalità come quelle di Kubin, Schönberg, Eugen von Kahler, Gerstl, Kokoschka, Schiele, hanno in comune un pessimismo profondo, che non trova soluzione nell’espansione del colore acceso, o nell’aspirazione ad un ritorno alle radici primigenie della vita, sul modello delle arti primitive, africane o oceaniche. Perciò i colori sono in generali cupi, il ricorso al fantastico e all’immaginario è allucinato e quasi medianico; anche il rapporto con l’arte francese più mediato; i legami sono semmai più profondi con il Simbolismo francese; ma più direttamente gli ascendenti sono Redon per Alfred Kubin, Van Gogh per Gerstl e Kokoschka, lo Jugendstil per Schiele». In verità, i rapporti degli artisti austriaci più che con la Brücke si stringeranno, a partire dal secondo decennio del Novecento, soprattutto col Blaue Reiter, almeno per quanto riguarda Kubin e Schönberg. Il fatto è che eventi tragici si stanno per abbattere sulla Felix Austria e faranno crollare l’illusione di un Felice Impero, capace di unire pacificamente popoli di etnie differenti, così come auspicato dalla politica matrimoniale adottata nel regno, secondo l’antico detto «Bella gerant alii, tu felix Austria nube» (Le guerre le facciano gli altri, tu, Austria felice, sposati). Il primo tragico evento è il triste epilogo della Prima guerra mondiale e la conseguente caduta dell’Impero Austro-Ungarico. Calerà a seguito di ciò il sipario sul lungo XIX secolo (Long 19th Century), per usare un’espressione dello storico britannico Eric Hobsbawm. Il secondo tragico evento è il diffondersi in Europa dell’influenza spagnola, che ucciderà più persone della stessa guerra: giovani vite in età compresa fra i 20 e i 40 anni. Tra l’inizio e la fine del conflitto mondiale, si spegne in Austria la vivacità di ogni processo artistico, che si chiami Jugendstil o Espressionismo. Solo nel 1918 muoiono Otto Wagner, Koloman Moser, Gustav Klimt e il suo prediletto Egon Schiele. La cesura col primo ventennio del Novecento è netta, quanto non poteva neppure immaginarsi.


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