Egon Schiele: “Fanno un sacco di pubblicità con i miei disegni proibiti”

di Sergio Bertolami

36/2 (Parte prima) – I protagonisti

Non soltanto la guerra, ma anche la pandemia d’influenza spagnola, falcidiarono milioni di vittime. «La guerra è finita e devo andare – scrive Egon Schiele ansioso di riprendere a pieno ritmo il suo lavoro d’artista – I miei dipinti saranno esposti in tutti i musei del mondo». In quell’anno 1918 arriva la tanto sognata svolta con la 49ª mostra della Secessione. Schiele espone 19 tele ad olio e una trentina fra disegni ed acquerelli: vende ben cinque dipinti. La Österreichische Galerie Belvedere acquisisce il Ritratto di Edith, sua moglie: è il primo acquisto di una sua opera da parte di un museo austriaco. È lui che disegna il manifesto dell’importante mostra: una specie di tavola rotonda dell’avanguardia austriaca. Schiele siede a capotavola, gli altri personaggi rimangono indistinti, sono artisti e ammiratori del suo lavoro: Georg Merkel, Willi Novak, Felix Harta, forse Otto Wagner. Dicono che la sedia vuota in primo piano era nei disegni preparatori occupata dalla figura di Klimt. Al momento di andare in stampa il maestro era già morto e quindi, nella versione finale, Schiele lasciò la sedia vuota. L’influenza spagnola già impazzava anche a Vienna e Gustav Klimt era stato una delle prime vittime. Colpito da ictus l’11 gennaio 1918, al rientro da un viaggio in Romania, è ricoverato d’urgenza e in ospedale si contagia, morendo per infezione polmonare provocata dal virus, il 6 febbraio, a soli 56 anni.

Egon Schiele, manifesto per la 49ª mostra della Secessione, 1918

La medesima sorte tocca in autunno allo stesso Schiele, il prediletto di Klimt. E dire che, per ironia, per scongiuro o, davvero, presago di una presumibile e imminente fine a causa della pandemia, in quello stesso anno Schiele aveva progettato un mausoleo per sé e per sua moglie. In una fotografia dell’artista sul letto di morte (ritratto da Martha Fein) ha la testa appoggiata sul braccio piegato come se dormisse, in una delle pose da pantomima raffigurate nei disegni che lo hanno reso celebre. Si è spento il 31 ottobre 1918, tre giorni dopo sua moglie, Edith Harms, incinta di sei mesi. Per evitare l’infezione, chi veniva a fargli visita comunicava con lui attraverso uno specchio, posto sulla soglia tra la stanza da letto e l’atelier. Lo stesso specchio che usava per ritrarre le modelle. Durante la sua esistenza brevissima, conclusa a 28 anni – di cui poco più che una decina dedicati all’arte – ha prodotto 334 dipinti ad olio e 2.503 disegni. Carattere insofferente ma vitale, elegantissimo dandy, dall’abilità grafica straordinaria, ha ottenuto consensi sin dall’inizio del suo promettente lavoro di studente. Tra il 1906 e il 1909, quando ancora frequenta l’Accademia di Vienna, è accolto con entusiasmo nella cerchia sofisticata ed estetizzante di Klimt e di Hofmann, semplicemente esibendo l’album dei suoi lavori. Per gli intellettuali ed artisti che lo elogiano rappresenta il senso concreto di quel clima innovativo e lineare dello stile Jugend. Raffigura ritratti di amici ed autoritratti, nature morte e paesaggi di case, ma soprattutto un’infinità di nudi. Terribilmente non convenzionali. Così mentre Sigmund Freud mette in evidenza le turbe represse della società viennese, Schiele scruta le intimità delle sue giovanissime modelle, smascherando la celata sessualità di un pubblico ipocrita.

Egon Schiele in un ritratto fotografico di Anton Josef Trcka (Antios), 1914

Unico figlio maschio di Adolf Schiele e Marie Soukup, Egon Schiele è nato il 12 giugno 1890 a Tulln, sulle rive del Danubio, a una trentina di chilometri a nord di Vienna. Passa l’infanzia in un appartamento di servizio al primo piano dell’edificio dello scalo ferroviario, dal momento che suo padre è il capostazione di Tulln. Come spesso accade, in famiglia tutti sono convinti che “da grande” sarà un eccellente ingegnere ferroviario, come il nonno Karl, a suo tempo impegnato nel progetto per la costruzione della linea ferroviaria di collegamento fra Praga e la Baviera. Lo zio, Leopold Czihaczek, marito di una sorella del padre, è impiegato nelle ferrovie come ispettore capo e anche il nonno materno, Johann Soukup, da giovane lavorava su di una linea della Boemia meridionale. Così Egon sviluppa da bambino una innata passione: installa i binari dei suoi trenini a molla e gioca con locomotive e vagoni in miniatura. Già dall’età di dieci anni, ispirandosi agli schizzi del padre, disegna stazioni e convogli passeggeri. Se questa storia fosse continuata assecondando le attitudini infantili, avremmo perso uno dei maggiori esponenti della pittura espressionista. Per fortuna Egon cambiò idea, forse dopo uno scatto d’ira di suo padre, che un giorno gli bruciò uno dei quadernini da disegno. Per la verità, il padre ogni tanto trascendeva oltre misura, non per carattere, ma per malattia: una volta tentò di gettarsi dalla finestra e un’altra scaraventò nel fuoco i titoli azionari delle Ferrovie di Stato austriache, mandando in cenere la sua modesta fortuna. Una fortuna che avrebbe garantito finanziariamente la famiglia, quando la sifilide peggiorò la sua salute, rendendolo paralitico. Si raccontava in famiglia di avere contratta la malattia durante il viaggio di nozze, quando sua moglie, la prima notte, era fuggita dalla camera da letto e il marito ebbe la pessima idea di far visita a un bordello di Trieste e s’infettò. A Capodanno del 1905, la paralisi progressiva se lo portò definitivamente via a 55 anni.

Treno disegnato da Egon bambino intorno al 1900, grafite su carta, coll. 
privato (dettaglio)

Una morte che colpisce profondamente il giovane Schiele, già scosso della precedente scomparsa, a undici anni, della sorella maggiore Elvira, forse causata della medesima malattia ereditata dal padre, trasmessa alla madre, e che probabilmente aveva in precedenza ucciso in culla anche altri due maschietti nati prima di Egon. Queste tragedie familiari non sono prive di riflessi sul carattere e l’opera dell’artista, perché causate dal contorto e intransigente moralismo dei suoi tempi. Sono una reazione a tutto questo anche le intese e proibitive sessioni di nudo svolte con la sorella Gerti, che gli fa da modella, dove l’artista mostra, con un interesse distaccato, le intimità sovreccitate della disinibita dodicenne. Gerti, pelle lentigginosa, occhi verdi e capelli rossi, è il prototipo di tutte le successive donne e modelle di Schiele. Quando si trattò di commentare la prima grande mostra dedicata Schiele, a Londra nel 1964, Oskar Kokoschka la giudicò espressamente come “pornografica”. Un’idea ancora oggi radicata, se nel 2018, sempre a Londra, nei manifesti della metropolitana che pubblicizzavano la rassegna “Egon Schiele, espressionismo e lirismo”, esposta al Leopold Museum, le “parti intime” dei soggetti raffigurati da Schiele sono state coperte dalla scritta «Sorry, 100 years old but still daring today», come dire “Scusate, sono state dipinte cent’anni fa, ma sono ancora troppo audaci”. È una trovata di marketing. Norbert Kettner, quale amministratore delegato dell’ente turistico viennese ha così commentato: «Vogliamo mostrare alle persone quanto in anticipo sui tempi fossero questi grandi artisti attivi a Vienna più di un secolo fa. Oltre a questo, vogliamo incoraggiare il pubblico a notare quanto poco aperte e moderne siano rimaste le nostre società». Anche lo stesso Schiele si lamentava che i giornali censuravano i suoi lavori per vendere più copie. In una lettera scrive: «Fanno un sacco di pubblicità con i miei disegni proibiti». e continua citando cinque importanti organi di stampa che indecorosamente si riferivano a lui.

Egon Schiele, Giovane seminuda sdraiata, 1911, matita, guazzo e acquarello su carta

Dopo aver frequentato, prima il Realgymnasium a Krems, poi a Klosterneuburg, nell’ottobre 1906 Schiele supera al primo tentativo l’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti ed entra nella classe di pittura di Christian Griepenkerl. Un colpo di fortuna al quale nessuno sperava, perché fino ad allora Egon era stato sempre uno studente negligente e demotivato. Lo zio Leopold Czihaczek, divenuto tutore del ragazzo, aveva sperato per lui in un lavoro di fotografo a Vienna, ma ora l’Accademia poteva rappresentare una soluzione. Già nel 1907 Egon fa di tutto per conoscere personalmente Gustav Klimt e ci riesce. Da quel momento ricopre per lui la figura paterna per eccellenza. Lo sostiene generosamente, lo incita artisticamente, e lo farà per il resto della vita. Si scambiano disegni. Accetta persino di posare per questo giovane talento.

Egon Schiele, Gustav Klimt nella sua camicia blu per dipingere (1913)

Schiele si trasferisce in un proprio studio a Vienna e nel 1908 espone per la prima volta dieci opere in una mostra pubblica nella Sala Imperiale del Monastero di Klosterneuburg. Sono paesaggi di piccola scala dipinti fra l’estate e l’autunno. All’accademia dura solo tre anni, trascorsi senza piacere né emozioni artistiche. Non frequenta le lezioni, è presente solo alle sessioni di disegno per usufruire gratuitamente dei modelli. Non può assolutamente conciliare il suo spirito innovativo con l’orientamento storicista di Griepenkerl, il quale a sua volta ha divergenze anche con un altro studente: Richard Gerstl. Così si convince che questi due bizzarri allievi li abbia mandati nella sua classe il diavolo fatto persona. Alla fine, Schiele riesce a strappare un mezzo attestato e abbandona l’Accademia ad aprile del 1909, seguito da numerosi colleghi, tra cui Anton Peschka, Anton Faistauer, Rudolf Kalvach e Franz Wiegele. Con loro fonda il Neukunstgruppe, ovvero il Nuovo gruppo artistico. Poco dopo, Albert Paris Gütersloh e Hans Böhler si uniscono a loro. Come d’uso Schiele stende anche il manifesto programmatico del nuovo gruppo: «L’arte resta sempre la stessa, non c’è arte nuova. Ci sono solo nuovi artisti […] Il nuovo artista è, e deve essere necessariamente, sé stesso. Deve essere un creatore e deve, senza intermediari, senza utilizzare l’eredità del passato, costruire le sue fondamenta assolutamente da solo. Allora soltanto sarà un nuovo artista. Ognuno di noi sia sé stesso».

Ritratto di Poldi Lodzinsky, 1910

Schiele è intraprendente e riesce a fare inserire quattro delle sue opere nella Internationale Kunstschau Wien del 1909, il cui comitato espositivo è diretto proprio dal suo amico Gustav Klimt e dove espongono ufficialmente di Gauguin, Van Gogh, Munch, Vallotton, Bonnard, Matisse, Vlaminck. Le tele di Schiele passano inosservate alla critica, ma è questa l’occasione per conoscere persone e farsi conoscere da un pubblico ampio. Entra in contatto con la Wiener Werkstätte e per il tramite dell’architetto Josef Hoffmann otterrà presto delle commesse: gli è richiesto un bozzetto per una vetrata di palazzo Stoclet che Hofmann sta realizzando ed arredando a Bruxelles. Si tratta del Ritratto di Poldi Lodzinsky, una ragazza fragile, che posa seduta con le mani in grembo, veste un camice scuro ed è avvolta da una coperta a quadri colorata. La modella è la figlia di un autista di autobus di Krumau, la città natale della madre di Schiele. È un gioco di geometrie coloristiche ispirate a Klimt; ma è anche il tentativo di inserire nella casa di un ricco signore l’idea della fame e dalla miseria dei derelitti. Manco a dirlo, nonostante i vari schizzi, di cui una versione ad olio, la vetrata non fu mai realizzata.

A dicembre del 1909 il Neukunstgruppe allestisce la sua prima mostra alla Kunstsalon Pisko e, in questa circostanza, Arthur Roessler, critico d’arte del quotidiano socialdemocratico Arbeiter-Zeitung, scopre le doti del giovane pittore. Attraverso la mediazione di Roessler, Schiele incontra i collezionisti d’arte Carl Reininghaus e Oskar Reichel, che finanziariamente gli permettono un dignitoso ingresso nell’ambiente artistico viennese assicurandogli molte opere su commissione. Influente mecenate è il collezionista d’arte Franz Hauer, ma c’è anche l’editore Edouard Kosmack al quale Schiele dedicherà uno dei suoi ritratti più espressivi. Quel che più conta è la stretta amicizia che nasce con Klimt. Lo aiuta, lo consiglia, gli paga le modelle. Tuttavia, a differenza di Klimt, Schiele preferisce cercare per strada i soggetti dei suoi lavori. Sono ragazze del proletariato oppure prostitute. Ama i corpi smilzi e asciutti, giovani donne che ricordano il fisico acerbo di sua sorella, con la quale aveva cominciato a disegnare, soprattutto modelle che si diversificano per la loro appartenenza ad una classe subalterna, così differenti dalle signore abbienti, procaci e ben nutrite, strette nei loro traboccanti corsetti. Un’idea che non mancherà di suscitare le obiezioni dei benpensanti.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay