Milano, Palazzo Reale – Tiziano e l’immagine della donna – Le undici sezioni della mostra

Questa mostra parla della donna dipinta da Tiziano e dai suoi contemporanei: di bellezza, eleganza e sensualità, e del ruolo tutto particolare che la loro rappresentazione acquistò nella Venezia del Cinquecento.
(Sylvia Ferino)

Mostra promossa e prodotta dal Comune di Milano e Skira editore,
con il supporto di Fondazione Bracco, Main Partner

A cura di Sylvia Ferino

TIZIANO 
Venere Marte e Amore, 1550 circa
Olio su tela, 97×109 cm – Vienna, Kunsthistorisches Museum
LA MOSTRA

Le undici sezioni della mostra

  1. Premessa
  2. Ritratti
  3. Le “Belle veneziane”
  4. “Apri il cuore”
  5. Coppie
  6. Eroine e sante
  7. Letterati, polemisti, scrittori d’arte
  8. Donne erudite. Scrittrici, poetesse, cortigiane
  9. Venere e gli amori degli dei
  10. Allegorie
  11. Oltre il mito

A Venezia nel Cinquecento l’immagine della donna assume un ruolo unico e una importanza quale non si era mai vista prima nella storia della pittura. Da un lato vi è la presenza di Tiziano, con il suo interesse per la raffigurazione della donna nella sua tenera carnalità e sofisticata eleganza, e dall’altro il particolare status di cui le donne godevano nella società veneziana. Le spose veneziane esercitavano infatti diritti non comuni, quali il continuare a disporre della propria dote e il poterla distribuire tra i figli, dopo la morte del marito. Le donne non potevano partecipare alla vita politica o finanziaria, ma rivestivano certamente un ruolo importante nella presentazione dell’immagine legata al cerimoniale pubblico della sontuosa e potente Repubblica.

Contemporaneamente, si assiste a un grande incremento della letteratura sulla donna, con il rinnovato entusiasmo per il Canzoniere di Petrarca, per l’Arcadia di Jacopo Sannazzaro, per l’Orlando furioso di Ariosto da parte di importanti letterati come Pietro Aretino, Pietro Bembo, Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e Baldassarre Castiglione.

Nei loro scritti, letterati e poeti si concentrano sempre di più sulle donne e sul loro ruolo di vitale importanza per la famiglia e per la continuità del genere umano. Un altro fattore importante è la solida fiducia nel potere dell’amore, a cui vengono attribuiti i meriti di rafforzare il matrimonio e garantire figli di bell’aspetto, intelligenti e felici. Così, l’aspetto di una donna amata e desiderata inizia ad acquisire sempre maggiore importanza.

Una forte componente erotica nella pittura dell’epoca diventa soggetto per i poeti, in una sorta di accesa competizione tra pittura e poesia, vinta dalla pittura per l’immediatezza e il fascino delle immagini proposte.

Questa concentrata attenzione sulla donna probabilmente alzava la loro autostima e ispirava le più erudite a partecipare con loro scritti alle discussioni di genere nella famosa “querelle des femmes” che costituisce il più importante movimento “proto-femminista” prima della rivoluzione francese. Donne come Moderata Fonte con il suo sorprendentemente moderno dialogo Il merito delle donne, e poi Lucrezia Marinelli con il suo discorso su La nobiltà et l’eccellenza delle donne mettono in questione la superiorità dell’uomo.

A Venezia è nell’arte figurativa che il tema si impone, grazie alla figura magistrale di Tiziano, che pone la figura femminile al centro del suo mondo creativo.
Grazia, dolcezza, potere di seduzione, eleganza innata sono le componenti fondamentali delle immagini femminili della Scuola Veneta, che vede in Tiziano il protagonista indiscusso, grazie a lui lo scenario artistico dell’epoca muta completamente. Per Tiziano la bellezza artistica corrisponde a quella femminile: meno interessato al canone della bellezza esteriore rispetto alla personalità di una donna e alla femminilità in quanto tale, riesce a non sminuirne mai la dignità, indipendentemente dal contesto, dalla narrazione o dalla rappresentazione.

Le “belle veneziane” sono donne reali o presunte tali, ritratte a mezza figura e fortemente idealizzate. Grazie allo studio approfondito di testi fondamentali come ultimamente L’arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio (1616), una sorta di enciclopedia dei gesti, queste donne non vengono più considerate come cortigiane ma come spose. Con vesti spesso scollate, dove il mostrare il seno non è simbolo di spregiudicatezza sessuale, ma, al contrario, sta a significare l’apertura del cuore, un atteggiamento di sincerità e verità, atto consensuale della donna verso lo sposo per suggellare le nozze. Queste opere sostituiscono i ritratti reali di donne delle classi patrizie o borghesi, avversati dal sistema oligarchico di governo che rifiutava il culto della personalità individuale. Quando Tiziano ritrae donne reali si tratta di figure non veneziane, come Isabella d’Este, marchesa di Mantova, o sua figlia Eleonora Gonzaga, duchessa di Urbino. Le cortigiane erano spesso anche colte ed alcune di loro diventarono famose per i loro scritti, come per esempio Veronica Franco, che in una lettera ringrazia persino Tintoretto per averla ritratta. Tuttavia sino ad oggi esistono pochissimi ritratti identificabili con sicurezza con cortigiane individuali in dipinti a olio.

Ci sono poi le eroine come Lucrezia, Giuditta o Susanna che rappresentano l’onore, la castità, il coraggio e il sacrificio o Maria Maddalena nella sua fase spirituale di penitenza. E infine le figure mitologiche come Venere che nasce dal mare come Venezia e personifica la città. In tutte le donne dipinte Tiziano celebra le loro molteplici e diversificate qualità. Agli occhi di chi le guarda appaiono tutte come fortissime personalità, come divinità.

Tra i dipinti più importanti di Tiziano segnaliamo: Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere (1537 circa) da Firenze, Gallerie degli Uffizi; Madonna col Bambino (1510- 1511), Isabella d’Este in nero (1534-1536 circa), Venere, Marte e Amore (1550 circa) Danae (post 1554), Ritratto di donna (tradizionalmente identificata con Lavinia) (1565 circa), Lucrezia e suo marito (1515 circa) da Vienna, Kunsthistorisches Museum; Giovane donna con cappello piumato (1534-1536) da San Pietroburgo Ermitage; Ritratto di giovinetta (1545 circa) da Napoli, Museo di Capodimonte; Allegoria della Sapienza (1560 circa) da Venezia, Biblioteca Marciana.

Di Giorgione: “Laura” (1506), da Vienna, Kunsthistorisches Museum. Di Lotto: Giuditta (1512), da Roma, BNL Gruppo BNP Paribas. Di Tintoretto: La tentazione di Adamo ed Eva (1550-1553 circa), da Venezia, Gallerie dell’Accademia, che apre la mostra insieme alla Madonna col Bambino di Tiziano a rappresentare Eva e Maria Vergine, le due emblematiche figure femminili del Vecchio e Nuovo Testamento; Ritratto di donna in rosso (1555 circa) e Susanna e i vecchioni (1555-1556), da Vienna, Kunsthistorisches Museum; Leda e il cigno (1550-1560) da Firenze, Gallerie degli Uffizi. Di Palma il Vecchio: i due magnifici dipinti Giovane donna in abito blu e Giovane donna in abito verde (post 1514) e Ninfe al bagno (1525-1528) dal Kunsthistorisches Musem. Di Veronese: Lucrezia (1580-1583 circa), Giuditta (1580 circa), Venere e Adone (1586 circa) dal Kunsthistorisches Museum e Il ratto di Europa (1578 circa), da Venezia, Palazzo Ducale.

Altri dipinti di grande forza espressiva di Paris Bordon, Giovanni Cariani, Bernardino Licinio, Giovan Battista Moroni, Palma il Giovane, Alessandro Bonvicino detto il Moretto completano e arricchiscono questo affascinante itinerario nella pittura di soggetto femminile della Venezia cinquecentesca.


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Egon Schiele: “L’Arte non può essere moderna, l’Arte appartiene all’eternità”

di Sergio Bertolami

36/2 (Parte seconda) – I protagonisti

Con l’idea che non esista un’arte moderna, ma eterna, Egon Schiele dal 1909 entra a pieno titolo nella cerchia dei pittori di primo piano. Fa parte del “gruppo Klimt”. La Weiner Werkstatte stampa tre sue grafiche. Già nel 1911 gli è riservata una monografia scritta dall’amico Albert Paris von Gütersloh, uno degli artisti del suo stesso Neukunstgruppe. Nel medesimo anno, Arthur Roessler ne recensisce le opere per il mensile Bildende Künstler. A Vienna partecipa alla mostra collettiva della Galleria Miethke. In questo momento, Schiele si esprime con toni alquanto cupi e sottilmente sfumati, le cui forme s’ispirano in modo evidente a Klimt. Nondimeno, il suo è l’esempio dei mutamenti che concretizzano la formazione di uno stile espressionista anche in Austria e che segnano il definitivo superamento della Secessione. Schiele firma i suoi schizzi, ad acquerello o ad olio su carta, come vere e proprie opere d’arte. L’incompiutezza dei suoi lavori estemporanei caratterizza pienamente il processo artistico che utilizza anche nei dipinti ad olio. Rispetto a Klimt, elimina gli sfondi virtuosistici e concentra l’attenzione sui soggetti, il più delle volte appena abbozzati, con un disegno aspro dalle linee dure e sofferte. Rinuncia del tutto al gusto della decorazione ornamentale e preziosa, in totale contrasto con le morbidezze dell’Art Nouveau. Il confronto tra Schiele e Klimt è ricco di suggestioni e infervora gli stessi due artisti, raffinati ed espressivi. Ma ciò che marca la differenza, quasi antitetica, è la loro contrapposta visione dell’esistenza. In Klimt vive ancora la speranza di poter vincere il male, il dolore, con la forza purificatrice dell’arte – così come ne parlava Friedrich Nietzsche in Umano troppo umano – in Schiele, al contrario, domina un amaro pessimismo, nei confronti delle proprie fragilità di artista e di uomo, ma soprattutto nei confronti di una società arroccata in convinzioni conservatrici, da espugnare provocatoriamente. L’esempio più evidente lo troviamo nei ritratti che hanno per tema la donna. Per Schiele è come quando ci si guarda allo specchio e non si hanno occhi che per sé stessi. Allo specchio ha realizzato, non solo gli autoritratti, ma molti dei suoi nudi femminili, restituiti con lo sguardo di un amante che, dinanzi al corpo dell’innamorata, dimentica l’esistenza del mondo che lo circonda. Ecco perché riesce ad esprimere in questi nudi tutta la sua autenticità.

Egon Schiele disegna una modella nuda davanti a uno specchio, 1910

L’immagine che ha Klimt delle donne è l’esaltazione del corpo femminile come espressione della natura, anche quando viola il comune senso del pudore. Schiele, parte da qui, sfidando volutamente pudore e tabù sessuali del suo tempo. In contrapposizione con i disegni di nudo accademici, apparentemente neutri nelle loro rappresentazioni anatomiche, sempre alla ricerca di una sublimata perfezione, Schiele mostra esplicitamente corpi nel momento dell’eccitazione. Conosce perfettamente i segnali erotici che la società utilizza, ma non ritrae labbra carnose dipinte di rosso, occhi cerchiati di nero pesto. Schiele sciocca i suoi spettatori d’inizio secolo con immagini esplicite, difficili da esporre ancora oggi. Basti pensare a opere come Osservato in un sogno oppure L’ostia rossa, ambedue del 1911. Nel primo, il volto della modella è parzialmente coperto da un velo, al contrario delle sue intimità esibite senza riserbo; nel secondo – che è pure un autoritratto – anziché la bianca ostia del pane consacrato citata nel titolo, espone all’adorazione un enorme fallo eretto, ardente per le carezze dell’amante. Suonerebbe falso far finta d’ignorare che tali soggetti erotici erano acquistati riservatamente, e ad un prezzo maggiorato, da un pubblico amatoriale e che presto disegni ed acquerelli sarebbero stati ampiamente sostituiti da album fotografici. Oggi mostrare immagini forti come L’origine del mondo di Gustave Courbet o gli amplessi fra Jeff Koons e la moglie Cicciolina, fanno molto “intellettuale”: metabolizzate, non suscitano più scandalo. Non era, comunque, così all’epoca di Schiele, perché proprio a causa dei suoi ritratti, reputati spropositatamente spinti e indecenti, dovette patirne le conseguenze.

Egon Schiele, Ragazza con le calze grigie, 1917

«Vienna è piena di ombre, la città è nera – scrive nel suo diario – Voglio essere solo [nei] boschi boemi, ché non ho bisogno di sentire nulla di me stesso». Decide, quindi, di trasferirsi a Krumau, città natale di sua madre. Willy Lidl gli procura una casetta appartata, con giardino, nella quale impianta l’atelier. Aveva conosciuto l’amico Willy quando, con i compagni della colonia del Neukunstgruppe, una prima volta a Krumau aveva già trascorso un’estate. Gli facevano strada sua sorella Gerti e Anton Peschka, che più tardi la sposerà, e Erwin Osen con la fidanzata del momento, una danzatrice di nome Moa, che per gli artisti farà da modella. In quell’occasione Willy Lidl aveva confessato ad Egon la sua profonda tenerezza e lui lo ritrarrà nel 1910. A Krumau, questa volta, è accompagnato da Wally (Valerie Neuzil), il primo vero amore della sua vita. È una delle modelle che gli presta Klimt, del quale dicono che sia anche l’amante. Da questo momento sarà solo per Schiele. Si apre una fase creativa molto intensa. Vedute dei dintorni agresti o del borgo, ma soprattutto studi di nudo incentrati sulla convivenza erotica dei due giovani. Questa strana e illecita situazione – e quel gironzolare di ragazzini e ragazzine incuriositi, che spesso si prestano a fare da modelli – porta a dicerie che si trasformano in aperto conflitto. Tra la fine di luglio e primi d’agosto del 1911, Egon e Wally devono lasciare Krumau e si trasferiscono a Neulengbach, una cittadina vicino a Vienna. Nell’autunno del 1911 e nel primo trimestre dell’anno successivo Schiele crea opere di pittura rivoluzionarie, come la Città morta o il Municipio di Krumau, Paesaggio con corvi, Gli eremiti, Donna in lutto, Cardinale e suora e una serie di Alberi in autunno.

Egon Schiele, Wally, 1912

Vivere nel peccato con l’ancora minorenne Wally irrita la popolazione di una città di provincia come Neulengbach. La pensano diversamente i ragazzi che preferiscono oziare nello studio di Schiele. Il suo amico biografo Albert Paris von Gütersloh ha descritto l’atmosfera libertaria che vi si viveva: «Beh, hanno dormito, si sono ripresi dalle sberle dei genitori, hanno oziato pigramente, cosa che non era permesso fare a casa loro». Il colpo di scena avviene il 13 aprile 1912, quando Schiele a Neulengbach viene arrestato. Una quattordicenne, Tatjana von Mossig, scappata di casa ha trovato riparo da Egon. Il padre, alto dirigente del Ministero della Marina, lo ha denunciato per sequestro di persona e stupro. Non c’è da meravigliarsi che una preadolescente, sognatrice, si fosse invaghita di Schiele. Gütersloh lo descrive come «eccezionalmente bello», di aspetto curatissimo, sempre sbarbato ed elegante, dai modi raffinati. Esattamente il contrario di come amava ritrarsi: la fronte alta, gli occhi sbarrati e profondi che sbucano dalle orbite, espressione tormentata, corpo emaciato, mani ossute come quelle di uno scheletro. Nel suo Diario dal carcere, il 18 aprile 1912 scrive: «Devo vivere con i miei escrementi, respirarne l’esalazione velenosa e soffocante. Ho la barba incolta – non posso nemmeno lavarmi a modo. Eppure, sono un essere umano! Anche se carcerato. Nessuno ci pensa?». Carl Reininghausen, influente collezionista di Schiele, gli procura un avvocato, ma gli toglie il confidenziale “tu”. L’accusa principale di aver sedotto la ragazzina si rivela infondata, visto che da un accertamento risulta ancora illibata. Schiele è, però, condannato all’arresto, perché gli adolescenti hanno potuto vedere affissi al muro dei «disegni indecenti» e uno di quei nudi, servito come atto d’accusa, viene pubblicamente bruciato in aula a conclusione del processo. A St. Pölten, Schiele trascorre in custodia gli ultimi ventiquattro giorni che gli rimangono da scontare. Continua a lavorare lo stesso, anche senza strumenti: «Mi sono messo a dipingere per non impazzire del tutto. Servendomi delle macchie nell’intonaco ho creato paesaggi e teste sulle pareti della cella, poi osservavo il loro lento asciugarsi fino a impallidire e svanire nella profondità del muro, come fatti sparire dall’invisibile potenza di una mano incantata».

Egon Schiele, L’unico arancione era l’unica luce, 19.04.1912 , acquarello e matita su carta

Nel 1912, insieme al gruppo da lui fondato, espone col Der Blaue Reiter a Budapest, di nuovo a Monaco ed Essen. A novembre torna a Vienna e si trasferisce in un atelier nella Hiertzinger Hauptstrasse, da cui non si sposterà più. Klimt lo presenta al collezionista August Lederer, che gli chiede di impartire lezioni al figlio Erich. Franz Pfemfert pubblica poesie e disegni di Schiele sul periodico berlinese Die Aktion. Tre delle sue opere sono richieste per una mostra internazionale a Colonia e una litografia appare nel portfolio della casa editrice Delphin di Monaco di Baviera. Nel 1913 è ammesso alla Federazione degli artisti austriaci (Bund Österreichischer Künstler), di cui Gustav Klimt è presidente, e nel medesimo anno si reca a Monaco, dove espone in una collettiva alla Galerie Golz. Sembra che il motore abbia impresso tutta la sua spinta, ma il 28 luglio 1914 è ufficialmente dichiarata la guerra tra l’Impero Austro-Ungarico e la Serbia. Schiele commenta: «Viviamo nel periodo più violento che il mondo abbia mai visto. Centinaia di migliaia di persone moriranno miseramente, ognuno dovrà sopportare il proprio destino o vivendo o morendo. Siamo diventati duri e senza paura. Ciò che era prima del 1914 appartiene a un altro mondo». Nonostante tutto, Schiele tiene abilmente in mano le redini della sua carriera e continua imperterrito il lavoro. Come sosteneva in quegli stessi anni Kandinsky: «Il cavallo porta il cavaliere, ma è il cavaliere che guida il cavallo». È ormai un artista internazionale. Anton Josef Trèka lo fotografa in pose stravaganti da pantomima. Nel 1915 espone alla Galerie Arnot viennese una mostra esclusiva di sedici dipinti, acquerelli e disegni: tra questi, l’Autoritratto in cui si raffigura come un moderno San Sebastiano vittima delle frecciate dei suoi detrattori. Nel 1916 Die Aktion pubblica un Libretto Egon Schiele che, oltre alle riproduzioni dei suoi disegni, contiene una sua xilografia.

Egon Schiele, manifesto per la personale alla Galerie Arnot, 1915

L’arte s’intreccia sempre con la realtà della vita. Schiele è ritenuto idoneo e arruolato al “servizio per un anno” – concesso a chi possiede un titolo di studio – nel 75° reggimento fanteria imperiale e reale. Ne consegue che impedito nel suo lavoro creativo, a corto di denaro, dovrà chiudere lo studio. Non è possibile. Ha un’idea: di fronte all’atelier abitano i suoi padroni di casa, i coniugi Harms della media borghesia, che hanno due giovani figlie, Edith e Adele. Le ragazze, per vanità, si sono concesse al pittore come modelle, che ne ha approfittato per farsi pagare le prestazioni. Schiele propone a Edith, che è maggiorenne, di sposarlo. Edith, da lui affascinata, accetta, ma gli chiede di rompere la relazione con la sua modella. Il pittore, con freddezza, informa perciò Wally della sua decisione di unirsi in matrimonio con Edith, solo per interesse. Per lui è un matrimonio socialmente vantaggioso, per cui le propone il classico triangolo amoroso. Forse la sorte della ragazza sarebbe stata differente, se non si fosse trovata in questa sventurata situazione. Wally delusa entra nella Croce Rossa come infermiera volontaria e al fronte morirà nel 1917 affetta da scarlattina. Il capolavoro allegorico che Schiele dipinge racchiude tutto il senso tragico di questa vicenda. Al momento del distacco s’intitolava L’Uomo e la Ragazza. Prostrata si aggrappa all’innamorato, incapace di trattenere la sua fragile presa. Il lenzuolo bianco, che sembra avvolgere le due figure rannicchiate, ora appare come un sudario. Quando Schiele è informato della morte di Wally cambia il titolo, ricalcando il Quartetto in re minore di Franz Schubert, pubblicato postumo nel 1831. Questo è quanto dicono i critici d’arte, spesso dimentichi di cosa sia il dolore vero e non letterario. La Morte e la Fanciulla, rappresenta in realtà la presa di coscienza di Schiele di essere stato la causa di una decisione che, forse, poteva evitare.

Egon Schiele, La Morte e la Fanciulla, 1915

Il 17 giugno 1915, infatti, cinque giorni dopo il suo venticinquesimo compleanno, Schiele aveva sposato Edith Harms e immediatamente dopo era partito per il servizio militare in Boemia. Nel 1916 è recluso nel campo di prigionia russo situato a Mühlung vicino a Wieselburg. Liberato, un anno dopo, torna a Vienna per lavorare nel Museo dell’esercito. Potendo usufruire di congedi parentali, sua moglie gli fa da modella, ma quando rimane incinta Schiele riprende a cercare altrove delle figure esili. Nel 1918 sul suo taccuino sono registrate centodiciassette sessioni di posa con altre modelle. Disegna in continuazione, producendo studi e immagini per libri o riviste. Lavora per il periodico The Dawn. Il libraio viennese Richard Lanyi pubblica un portfolio con dodici collotipie. Scrive al cognato, incitandolo ad afferrare ogni momento libero dal servizio militare per disegnare: «Da quando ci ha colpito il sanguinoso terrore della guerra mondiale, alcuni probabilmente si saranno resi conto che l’arte è più di una semplice questione di lusso borghese».

Egon Schiele, La famiglia, 1918

Dopo l’inattesa morte di Klimt, su Schiele si concentra l’attenzione degli ambienti artistici viennesi. Alla 49a esposizione della Secessione, nel 1918, porta diciannove grandi dipinti e ventiquattro disegni. Franz Martin Haberditzl acquista per la Moderne Galerie il Ritratto di Edith. Chiede però una modifica, poiché l’ha trovata troppo indecente e Schiele lo accontenterà coprendola con una gonna. Sbaglia chi nella profusione di biografie insiste, in modo melenso, su di uno Schiele presago dell’imminente fine. Fra gli ultimi suoi dipinti c’è La Famiglia: la figura dell’uomo racchiude e protegge la donna, che, a sua volta, racchiude e protegge il bambino. Adele, la sorella di Edith, ricorda in uno scritto come il bambino di questo dipinto fosse stato ideato «come un mazzo di fiori». Sembra quasi che Schiele abbia raggiunto finalmente una stabilità interiore. Già immagina un atelier più grande, perché i locali in cui ha prodotto i lavori di questi ultimi anni li vede trasformati in una scuola. Ha in progetto un Centro d’arte dove fare coesistere varie discipline, dell’arte visiva alla musica e alla letteratura. I membri fondatori dovrebbero essere Schönberg, Klimt, Hofmann. La morte lo coglie il 31 ottobre, tre giorni dopo sua moglie e il figlio che porta in grembo. Tre giorni dopo ancora, il 3 novembre 1918, capitola anche l’impero Austro-Ungarico e tutta un’epoca.

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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay