Lecce, Fondazione Biscozzi | Rimbaud – Salvatore Sava. L’altra scultura

La Fondazione Biscozzi | Rimbaud dedica la propria seconda mostra, dopo quella inaugurale su Angelo Savelli, a Salvatore Sava, classe 1966, scultore salentino tra i più significativi della propria generazione in Italia.

Due sue opere – Sentieri interrotti del 1998 e Rosa selvatica del 1999 – sono già presenti nell’allestimento permanente della sede museale della nuova Fondazione leccese, in virtù dell’ammirazione nutrita per lui, fin dagli esordi, dalla coppia di collezionisti costituita da Luigi Biscozzi (scomparso nel settembre del 2018) e dalla moglie Dominique Rimbaud, attuale presidente della Fondazione.

Salvatore Sava. L’altra scultura

Lecce, Fondazione Biscozzi | Rimbaud
6 febbraio – 25 settembre 2022

Salvatore Sava, Trappola per il vento, 1998, resina, fibra di vetro e smalto, 50 × 60 × 14 cm

La mostra comprende circa trenta lavori, che coprono un ampio arco della produzione dell’artista, oggetto delle acute investigazioni critiche, tra gli altri, di Luciano Caramel e di Giuseppe Appella. L’intento del curatore, il direttore scientifico Paolo Bolpagni, è di esporre anche diverse opere – di datazione fra gli anni Novanta e oggi – rimaste finora inedite, che svelano aspetti e ricerche di Sava restati in ombra, ma meritevoli di grande attenzione. Ormai proverbiale è infatti il ricorso, nelle sue sculture, al ferro, alla pietra leccese, all’acciaio, più di recente ai colori fluorescenti, ma in realtà l’universo creativo di questo originale artista comprende anche materiali e media differenti. In particolare, saranno per la prima volta presentati i cicli dei “neri” polimaterici, dei lavori in legno, in resina, in fibra di vetro e smalto, dei collages metallici su cartone, che rivelano un volto diverso dell’artista, la cui potenza espressiva sarà una sorpresa sia per quanti già lo conoscono, sia per chi si accosterà senza precognizioni alla sua produzione.

Come scrive Bolpagni: «centrale è e resta comunque il tema della natura, che però non è rappresentata, ma emblematizzata in forme pure e talvolta rudi, vissuta con la consapevolezza appassionata di chi ha le proprie radici in una terra profondamente “sentita”, quella del Salento, cui Sava è voluto rimanere fedele. Perciò anche il dramma della xylella, il batterio che ha distrutto una grande parte dei secolari ulivi, non è evocato in termini retorici, né tanto meno politici, bensì vissuto, per così dire, dal di dentro, in maniera autentica e sofferta, interiorizzata. Càpita che alcune delle recenti sculture di Salvatore Sava ricordino arbusti disseccati, nei quali la natura vegetale è stata sostituita dal metallo e dalla pietra, come a seguito di una metamorfosi dovuta ai disastri ambientali che ci minacciano. Il pensiero corre a un celebre episodio del film Sogni di Akira Kurosawa, ma tutta l’opera di Sava possiede una forza singolare e personalissima, che rende arduo l’accostamento a modelli e l’istituzione di parallelismi».

La Fondazione Biscozzi | Rimbaud, aperta a Lecce dal marzo del 2021 in piazzetta Baglivi in un palazzetto storico ristrutturato nel rispetto dell’architettura locale e accolta con entusiasmo e partecipazione dal pubblico e dalla critica, pur nell’alternanza di aperture e chiusure dovute alla pandemia, annovera opere importanti di grandi nomi italiani e internazionali dell’arte del Novecento (Filippo de Pisis, Arturo Martini, Enrico Prampolini, Josef Albers, Alberto Magnelli, Luigi Veronesi), con particolare riferimento agli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta: Fausto Melotti, Alberto Burri, Piero Dorazio, Renato Birolli, Tancredi, Emilio Scanavino, Pietro Consagra, Kengiro Azuma, Dadamaino, Agostino Bonalumi, Angelo Savelli, Mario Schifano e molti altri.

La bella mostra di Sava rappresenta dunque un’occasione per vedere anche la collezione permanente.

BIOGRAFIA SALVATORE SAVA

Ritratto di Salvatore Sava (2021)

Salvatore Sava è nato nel 1966 a Surbo (Lecce), dove attualmente vive e lavora.
La sua formazione è avvenuta tra la città d’origine, Roma e ripetuti soggiorni all’estero.
Dal 1990 insegna all’Accademia di Belle Arti di Lecce.
La sua prima mostra personale risale al 1983. Nell’attività più recente ha privilegiato il lavoro nelle tre dimensioni, ma si dedica anche alla grafica, alla pittura e alla fotografia, affrontando spesso temi di natura ecologica.
Tra le personali: 1996, Magica Luna, a cura di Luciano Caramel, Castello Carlo V, Lecce; 1999, Tramontana, a cura di Luciano Caramel, Galleria San Carlo, Milano; 2001, Salvatore Sava. Opere 1994-2001, a cura di Luciano Caramel, Castello Carlo V, Lecce; 2009, Eliomorfosi, a cura di Luciano Caramel, Galleria San Carlo, Milano; 2010-2011, Il candido presepe di Salvatore Sava, a cura di Giuseppe Appella, Duomo di Orvieto; 2011, Le radici della speranza, a cura di Massimo Guastella, MAP – Museo della Scultura Contemporanea, Brindisi; 2014, Follie barocche, a cura di Letizia Gaeta e Massimo Guastella, Università del Salento e Monastero degli Olivetani, Lecce; 2019, Salvatore Sava. Echi di natura in giallo fluo, a cura di Rosella Ghezzi, Galleria San Carlo, Milano; 2021, Estate in Accademia, Accademia di Belle Arti, Lecce.
Nel 2005 ha partecipato alla XIV Quadriennale d’Arte di Roma. Nel 2006 ha vinto il Premio internazionale di scultura “Terzo Millennio” a Erbusco (Brescia) e ha partecipato alla mostra Scultura internazionale ad Agliè presso il Castello di Agliè (Torino). Nel 2008 ha vinto il Premio Mastroianni nell’ambito della sesta Biennale Internazionale di Scultura della Regione Piemonte, a Torino. Nel 2010 ha esposto nella mostra Gualtiero Marchesi e la grande cucina italiana al Castello Sforzesco di Milano ed è stato presente alla Biennale d’Arte Sacra del Gran Sasso. Nel 2012 ha vinto il Premio Limen Arte per la scultura a Vibo Valentia; nel 2017 ha partecipato alla collettiva L’arte e il suo calore, a cura di Flaminio Gualdoni, nel Museo Civico di San Cesario di Lecce.
Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private di importanti istituzioni italiane: la Banca Nazionale del Lavoro di Roma, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea di Matera, il MIG – Museo Internazionale della Grafica di Castronuovo di Sant’Andrea, la Fondazione Ragghianti di Lucca, la Fondazione Biscozzi | Rimbaud di Lecce.

Ufficio-stampa: Lucia Crespi, tel. 02 89415532 – 02 89401645, lucia@luciacrespi.it

IMMAGINE DI APERTURA – Salvatore Sava, Lifting eurobarocco, 2002 cemento, pietra leccese, smalto e rame, 60 (diametro) × 20 cm

Roma, MICRO Arti Visive: Marcello Grottesi. Vita e arte sul filo della memoria

Giovedì 24 febbraio 2022, negli spazi di Micro Arti Visive di Paola Valori a Roma, si inaugura alle 18.30 la mostra “Marcello Grottesi. Vita e arte sul filo della memoria”, occasione per riaprire un capitolo degli irripetibili anni ’70 e per mettere a fuoco il protagonismo di uno dei suoi migliori interpreti. Eccentrico, disallineato, artista tra i più versatili (regista, pittore, scultore, attore, performer), Marcello Grottesi è un personaggio chiave della Romadi quegli anni, quando la città, dopo Parigi e New York, torna ad essere uno dei più importanti centri di sperimentazione dell’arte contemporanea in Italia.

Marcello Grottesi.
Vita e arte sul filo della memoria

a cura di Pier Paolo Grottesi e Clarissa Grottesi
in collaborazione con Paola Valori

Inaugurazione 24 febbraio 2022 ore 18.30

MICRO Arti Visive
Viale Mazzini 1 Roma

Fino al 3 marzo 2022

LA BIOGRAFIA

L’esposizione, che pone l’accento sulla linea poetica di Grottesi, è stata fortemente voluta dai figli Pier Paolo e Clarissa per ripercorrere i momenti salienti dell’evoluzione artistica del padre, raccogliendone l’insegnamento e riorganizzando l’Archivio con puntigliosa precisione, presso la casa del Maestro nel quartiere Prati a Roma.

Un grande periodo di fermento e idee rivoluzionarie – scrive Paola Valori in catalogo- che con questa mostra si intende approfondire per tentare di collocare al giusto posto il valore del Laboratorio ‘70 che Grottesi, assieme a Gianfranco Notargiacomo e Paolo Matteucci hanno contribuito a forgiare”.

È il 1968 quando Grottesi riunisce Gianfranco Notargiacomo e Paolo Matteucci in via Brunetti: da lì, da ciò che nel tempo diventerà il Laboratorio ‘70, poi Gruppo di via Brunetti – di cui fece parte inizialmente anche Gino De Dominicis – prenderanno le mosse una serie di attività fuori dagli schemi, con performance in strada e i primi veri e propri “blitz” urbani, eventi che si svolgevano nelle pubbliche piazze con l’intento di scardinare le regole del sistema dell’arte e di una Roma papalina che reggeva il potere delle coscienze.

Non a caso, si svolge nell’area del Vaticanola prima “azione”: nel momento in cui il Papato sta per opporsi all’uso della pillola anticoncezionale, Grottesi insieme a Notargiacomo e Matteucci installano in Piazza San Pietro delle gigantesche pillole in legno dipinto di giallo, arrecanti la scritta PINCUS: il subbuglio tra passanti e il traffico è assicurato. Questo evento performativo e gli altri che verranno sono meticolosamente ripresi dal regista Mario Carbone, che realizza una sorta di documentario sul gruppo (Zoomtrack).

Dal 24 febbraio, dunque, si riavvolge il nastro per tornare indietro negli anni in cui Roma metteva in campo i suoi migliori talenti, artisti ma anche galleristi, curatori, critici e intellettuali. Sono gli anni di Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, della galleria l’Attico di Fabio Sargentini, e dei film di Federico Fellini: una “dolce vita” che non sarà più replicabile ma di cui se ne insegue costantemente l’esempio.


INFO

“Marcello Grottesi. Vita e arte sul filo della memoria”
a cura di Pier Paolo Grottesi e Clarissa Grottesi
in collaborazione con Paola Valori

Inaugurazione 24 febbraio 2022 ore 18.30

Fino al 3 marzo 2022
Orari: dal lunedì al sabato 15.30 -19.30 – domenica chiuso

MICRO | Arti Visive
Viale Mazzini 1 – Roma
www.microartivisive.it
info@microartivisive.it
tel. +39 347.0900625

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca
Melasecca PressOffice – Interno 14 next
tel 3494945612
roberta.melasecca@gmail.com
www.melaseccapressoffice.it
www.interno14next.it

IMMAGINE DI APERTURA – Invito

Roma, Seminario Vision & Global Trends – Neutralità e neutralità armata

Seminario

Neutralità e neutralità armata

L’opzione negata/dimenticata

Giovedì 24 febbraio 2022
Orario: 14:30 – 19:00
Sala delle Conferenze di Palazzo Theodoli, Piazza del Parlamento 19 – Roma
Ingresso a partire dalle 14:00

Per accedere alla Sala è richiesto abbigliamento formale, per gli uomini giacca e cravatta
L’ingresso è consentito soltanto ai partecipanti muniti di Super Green Pass

14:30 – Saluti istituzionali

On. Pino Cabras – Vicepresidente Commissione Esteri, Camera dei deputati
Dott. Tiberio Graziani – Vision & Global Trends, Società Italiana di Geopolitica

Relazioni

Prof. Giuliano Luongo – – United Nations UniPace – Vision & Global Trends
Neutralità, neutralità armata e cooperazione internazionale

Prof. Filippo Ruschi – Università degli Studi di Firenze
Neutralità e diritto internazionale. Un itinerario genealogico

Prof. Virgilio Ilari, Presidente della Società italiana di Storia militare
La guerra economica come “guerra ai neutrali”

Pof. Alessandro Colombo – Università degli Studi di Milano
Alla ricerca di una nuova identità geopolitica. L’Europa dopo la fine della centralità europea

Prof. Emidio Diodato – Università per Stranieri di Perugia
Neutralità a media potenza. L’Italia e la politica internazionale

Dott. Maurizio Vezzosi – analista geopolitico
Venti di guerra: la polveriera ucraina e l’instabilità nell’Europa di mezzo

Prof. Pejman Abdolmohammadi – Università degli Studi di Trento
Il Medio Oriente e le prospettive di neutralità nel nuovo equilibrio di potenza: Ankara, Il Cairo, Riad e Teheran

Per adesioni, registrarsi – entro venerdì 18 febbraio – scrivendo a: info@vision-gt.eu
Ingresso a partire dalle ore 14:00

Per accedere alla Sala è richiesto abbigliamento formale, per gli uomini giacca e cravatta
L’ingresso è consentito soltanto ai partecipanti muniti di Super Green Pass – Vige l’obbligo di indossare la mascherina

Nel corso del seminario saranno discusse le tesi del volume Neutralità e neutralità armata. Evoluzione di teoria e prassi (a cura di Giuliano Luongo – prefazione di Fabio Mini) – Collana “Giano – Affari Internazionali” diretta da Tiberio Graziani – Avatar Editions

con il patrocinio di

IMMAGINE DI APERTURA – Invito

Il Gruppo Klimt e le mostre d’arte 1908 e 1909 a Vienna

di Sergio Bertolami

36 – L’Espressionismo in Austria

Fino allo scoppio della Grande guerra, Vienna è senza dubbio uno dei centri più vivaci dell’arte moderna. Le eleganti suggestioni dell’Art Nouveau, avvalorate dagli artisti della Wiener Sezession, sono gli ultimi sprazzi della Bella époque mitteleuropea, caratterizzata da prosperità economica e da una vita spensierata e gioiosa. Perlomeno, riguardo alle classi elevate. Il personaggio cool dell’arte è Gustav Klimt; pur tuttavia, laddove si concentra una moltitudine di personalità e d’interessi, la frangia dei dissenzienti si accresce senza eccezione. Uno dei primi motivi di malanimo si rivela di fronte alla scelta delle opere da inviare oltre Oceano, all’Esposizione Universale di San Louis del 1904. Ecco così che nel 1906, dopo ripetuti screzi, considerata l’impossibilità di colmare la frattura fra i membri della Secessione, Klimt ed altri artisti a lui vicini danno vita alla “secessione dalla Secessione” e fondano un nuovo gruppo, denominato, va da sé, “Gruppo Klimt”, per il ruolo svolto dall’artista come esponente di primo piano. Ne scaturisce un comitato per realizzare una grande mostra d’esordio: la Kunstschau (Mostra d’arte).

Kunstschau Wien 1908, edificio principale. Cartolina disegnata da Emil Hoppe

Ciò nonostante, Vienna non possiede un edificio ritenuto idoneo all’esposizione, quindi si decide di eseguire il progetto di Josef Hoffmann, Otto Schonthal, Karl Breuer e Paul Roller. Viene individuata una vasta area libera nei pressi di Lothringenstrasse e si erige un palazzo con ampi belvederi, piazzali e giardini, un locale di ritrovo e 44 sale per mostre. All’esterno sono previsti spazi terrazzati, una caffetteria e un piccolo teatro all’aperto, dove allestire spettacoli nelle giornate estive. Hoffmann e Klimt, anche in questa occasione, vedono un’opportunità per creare la vagheggiata opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk). Mentre Josef Hoffmann e Koloman Moser fondano la Wiener Werkstätte (laboratorio viennese, 1907-1908) nell’estate del 1908 (dal 1° giugno al 16 novembre) è inaugurata finalmente la prima manifestazione ufficiale del nuovo gruppo, la Kunstschau Wien 1908, una mostra d’arte e artigianato, presieduta da Klimt.

Manifesto di Rudolf Kalvach, 1908

Moser è incaricato di allestire la Sala espressamente dedicata al maestro, per esporre sedici dei suoi capolavori. Hoffmann si occupa, invece, dello spazio per la presentazione dei prodotti della Wiener Werkstätte. Varie sale sono destinate alle opere d’arte: le sculture di Franz Metzner e i dipinti di Alfred Roller e Carl Otto Czeschka, Koloman Moser. Non mancano i giovani talenti come Oskar Kokoschka, Elena Luksch-Makowsky, Max Oppenheimer ed Heinrich Schröder. L’anno successivo, nel complesso edilizio di Hoffmann, la seconda esposizione ha a un taglio di più ampio respiro e prende il nome di Internationale Kunstschau (Mostra d’arte internazionale), con Klimt sempre presidente. Espongono artisti stranieri come lo scultore Barlach o pittori come Van Gogh, Gauguin, Munch, Amiet, i Nabis Bonnard, Vuillard e Denis, i Fauve Vlaminck e Matisse. Nonostante le due mostre riscuotano da parte della critica giudizi positivi, si rivelano un insuccesso economico e la terza edizione viene annullata. Quel che rende la decisione irrevocabile è che il 4 novembre 1909 il palazzo delle esposizioni è demolito ed oggi la medesima area è occupata della sala per concerti Wiener Konzerthaus.

Internationale Kunstschau, spazi degli allestimenti

A ben considerare, il Friedrich Nietzsche di Umano troppo umano (1886) che si sofferma sul grandissimo compito dell’arte, disatteso dalla cosiddetta “arte vera e propria delle opere d’arte”, si sarebbe appassionato – e forse avrebbe modificato qualche tratto del suo ragionamento – di fronte al prospettarsi dei nuovi orientamenti: dallo sviluppo delle idee portate dalla Secessione viennese alle nuove linee espressionistiche della Brücke e del Blaue Reiter che filtrano, in questi stessi anni, negli ambienti artistici dell’avanguardia. «L’arte – scrive Nietzsche – deve innanzitutto e in primo luogo abbellire la vita […] deve nascondere o reinterpretare il brutto, quelle cose sgradevoli, orribili e ripugnanti che, nonostante ogni sforzo, proromperanno sempre di nuovo conformemente all’origine della natura umana: così essa deve operare soprattutto nei confronti delle passioni e dei dolori e angosce dello spirito, e lasciar intravvedere l’elemento significativo di ciò che è inevitabilmente o irreparabilmente brutto». Ma l’arte della maggior parte di coloro che dispongono di tempo libero – riflette – di coloro cioè che credono di non poter vivere senza musica, teatro e visite alle gallerie, senza letture di romanzi e poesie, senza l’arte del “bello”, per intenderci, «è solo un accessorio […] Se cominciamo il pasto dal dessert e assaporiamo dolciumi su dolciumi, che c’è da stupirsi se ci guastiamo lo stomaco e persino l’appetito per il pranzo buono, sostanzioso e nutriente al quale l’arte ci invita!». È passata poco meno di una dozzina d’anni da quando il filosofo ha scritto queste annotazioni e l’arte, quella autentica e non edulcorata, sta cercando nuove vie di cambiamento. In Germania, come in Austria.

Oskar Kokoschka, Pietà, Manifesto per Murderer, Hope of Women, dramma,Internationale Kunstschau, Vienna, 1909

«La frase già citata di Nietzsche “l’arte deve prima di tutto abbellire la vita…” – scrive Lara-Vinca Masini – se può riferirsi all’Espressionismo della Brücke, non può essere citata per quanto concerne l’altro polo d’irradiazione dell’Espressionismo mitteleuropeo, Vienna. Personalità come quelle di Kubin, Schönberg, Eugen von Kahler, Gerstl, Kokoschka, Schiele, hanno in comune un pessimismo profondo, che non trova soluzione nell’espansione del colore acceso, o nell’aspirazione ad un ritorno alle radici primigenie della vita, sul modello delle arti primitive, africane o oceaniche. Perciò i colori sono in generali cupi, il ricorso al fantastico e all’immaginario è allucinato e quasi medianico; anche il rapporto con l’arte francese più mediato; i legami sono semmai più profondi con il Simbolismo francese; ma più direttamente gli ascendenti sono Redon per Alfred Kubin, Van Gogh per Gerstl e Kokoschka, lo Jugendstil per Schiele». In verità, i rapporti degli artisti austriaci più che con la Brücke si stringeranno, a partire dal secondo decennio del Novecento, soprattutto col Blaue Reiter, almeno per quanto riguarda Kubin e Schönberg. Il fatto è che eventi tragici si stanno per abbattere sulla Felix Austria e faranno crollare l’illusione di un Felice Impero, capace di unire pacificamente popoli di etnie differenti, così come auspicato dalla politica matrimoniale adottata nel regno, secondo l’antico detto «Bella gerant alii, tu felix Austria nube» (Le guerre le facciano gli altri, tu, Austria felice, sposati). Il primo tragico evento è il triste epilogo della Prima guerra mondiale e la conseguente caduta dell’Impero Austro-Ungarico. Calerà a seguito di ciò il sipario sul lungo XIX secolo (Long 19th Century), per usare un’espressione dello storico britannico Eric Hobsbawm. Il secondo tragico evento è il diffondersi in Europa dell’influenza spagnola, che ucciderà più persone della stessa guerra: giovani vite in età compresa fra i 20 e i 40 anni. Tra l’inizio e la fine del conflitto mondiale, si spegne in Austria la vivacità di ogni processo artistico, che si chiami Jugendstil o Espressionismo. Solo nel 1918 muoiono Otto Wagner, Koloman Moser, Gustav Klimt e il suo prediletto Egon Schiele. La cesura col primo ventennio del Novecento è netta, quanto non poteva neppure immaginarsi.


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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Roma, Seminario Vision & Global Trends – L’Europa, l’Italia e l’Asia Centrale

Seminario

L’Europa, l’Italia e l’Asia Centrale

Scenari geopolitici e panorama geoeconomico

Lunedì 21 febbraio 2022

Orario: 10:00 – 14:00

Sala delle Conferenze – Palazzo Theodoli – Roma

Ingresso a partire dalle 09:30 – Piazza del Parlamento, 19

L’ingresso è consentito soltanto ai partecipanti muniti di Super Green Pass – Vige l’obbligo di indossare la mascherina

L’odierna Asia centrale spicca nel panorama mondiale per l’ampiezza e la profondità delle trasformazioni che sta vivendo. La regione è divenuta uno snodo fondamentale per le infrastrutture logistiche promosse dalla Cina nel quadro della “Belt and Road Initiative” (BRI o Nuova Via della seta), destinate a farne un ponte da e verso il Mediterraneo ed il Vicino e Medio Oriente. Le grandi prospettive aperte da tali progetti sono tuttavia bilanciate dalla volontà della Russia di non perdere le proprie posizioni nella regione e dalle incertezze derivanti dalla politica statunitense volte a contenere le possibilità delle due potenze rivali in questo scacchiere strategico. Sullo sfondo permane l’indeterminatezza dell’Afghanistan.

All’interno della regione centroasiatica, il nuovo corso di apertura verso i vicini, inaugurato dall’Uzbekistan dal 2017 in poi, continua a dischiudere nuove ed inaspettate prospettive di cooperazione regionale ed internazionale. Al tempo stesso, il Kazakhstan, motore dell’economia centroasiatica con le sue ricchezze energetiche e il suo precipuo approccio multivettoriale alle questioni internazionali e globali, vive una delicata fase di transizione politica interna i cui esiti saranno fondamentali per il futuro dell’intera regione e, di conseguenza, delle relazioni centroasiatiche con il resto del mondo.

Spinta dalle relazioni economiche intessute in particolare da Francia, Germania ed Italia, l’Europa ambisce a giocare un ruolo all’interno di questa estesa e complessa arena in via di definizione.

Questo seminario – organizzato da Vision & Global Trends. International Institute for Global Analyses – si propone di proseguire ed ampliare le iniziative volte a rafforzare la comprensione reciproca fra Centro Asiatici ed Europei.

Programma

10:00 – Saluti istituzionali

On. Edmondo Cirielli – Camera dei Deputati, Questore
Dott. Tiberio Graziani – Vision & Global Trends, Società Italiana di Geopolitica
Dott. Massimo Pronio – Rappresentanza in Italia della Commissione Europea
Amb. Yerbolat Sembayev – Ambasciata della Repubblica del Kazakhstan in Italia
Amb. Otabek Akbarov – Ambasciata della Repubblica dell’Uzbekistan in Italia

Relazioni

Dott. Federico Porto – EEAS, Unione Europea, Responsabile per il Tajikistan e il Kirghisistan
La Nuova strategia dell’Unione Europea in Asia Centrale

Dott. Fabrizio Vielmini – Westminster University (Uzbekistan), OACC, Vision & Global Trends
Prospettive dell’adesione dell’Uzbekistan all’EAEU

Dott. Sandro Furlan – Vision & Global Trends. International Institute for Global Analyses
La gopolitica come strumento di analisi: una metodologia alla prova dei fatti. Il caso dell’Asia Centrale

Prof. Alessandra Schettino – International University for Peace ONU, Vice Presidente
L’iniziativa BRI in Asia Centrale

Dott. Federico De Renzi – Vision & Global Trends. International Institute for Global Analyses
Il cuore dell’Eurasia- Rapporti e interazioni tra Asia Centrale e l’Italia ieri ed oggi

Dott. Martino Castellani – Ufficio ICE di Almaty, Direttore (in video conferenza)
Le relazioni commerciali tra l’Italia e l’area centroasiatica

D.ssa Orietta Moscatelli, Caporedattore esteri AskaNews, collaboratore Limes
Le politiche della Federazione russa in Asia Centrale

Dott. Maurizio Vezzosi – Analista geeopolitico
Il Grande Gioco dell’Asia Centrale dopo il ritiro occidentale dall’Afghanistan

Per adesioni, registrarsi – entro mercoledì 16 febbraio – scrivendo a: info@vision-gt.eu
Ingresso a partire dalle ore 09:30 – Piazza del Parlamento, 19 – Roma

L’ingresso è consentito soltanto ai partecipanti muniti di Super Green Pass –
Vige l’obbligo di indossare la mascherina

Per accedere alla Sala è richiesto abbigliamento formale, per gli uomini giacca e cravatta

www.vision-gt.eu

Patrocini

Rappresentanza in Italia della Commissione Europea

Media Partner

IMMAGINE DI APERTURA – Invito

Abacus Abernath – Il Compendio degli eroi, degli avventurieri e degli altri intrepidi viaggiatori

QUESTO EBOOK CONTIENE IL PRIMO CAPITOLO DI “LINCOLN HIGHWAY”, IL NUOVO ROMANZO DI AMOR TOWLES Emmet e Billy Watson , i due protagnosti del romanzo Lincoln Highway di Amor Towels – sono due fratelli, orfani di padre, che decidono di intraprendere un viaggio on the road lungo la Lincoln Highway per ritrovare la madre a San Francisco. Emmett è il maggiore dei due, ma Billy, il minore, è un piccolo genio, bravissimo in matematica e geografia, grande lettore, soprattutto del Il Compendio degli eroi, degli avventurieri e degli altri intrepidi viaggiatori del professor Abacus Abernathe che riassume le prodezze dei più grandi eroi, reali e immaginari, di tutti i tempi. Il Compendio per Billy rappresenta anche una fonte di ispirazione per superare le avversità della vita e del viaggio che stanno per intraprendere. Dantés, Ercole, Ismaele, Napoleone, Re Artù, Robin Hood, Zorro, sono solo alcuni dei grandi eroi che le cui gesta sono raccontate in questo Compendio. Sono in tutto 25 le biografie descritte dal professor Abacus Abernath. Resta solo una pagina bianca tutta da scrivere, un intero capitolo dedicato a te, al racconto della tua vita e delle tue gesta eroiche.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 

MAMbo, Museo d’Arte Moderna di Bologna – Presentati gli interventi realizzati grazie al sostegno del Trust per l’Arte Contemporanea

Bologna, 4 febbraio 2022 – Si è svolta stamane alle ore 11.00, presso il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, la presentazione degli interventi realizzati grazie al sostegno del Trust per l’Arte Contemporanea, istituito nel 2020, che ha come attuali disponenti BolognaFiere,Fondazione Cassa di Risparmio in BolognaFondazione del Monte di Bologna e Ravenna e come donatore principale Gruppo Unipol:
•la nuova sezione nella collezione permanente dal titolo Rilevamenti d’archivio. Le Settimane Internazionali della Performance e gli anni ’60 e ’70 a Bologna e in Emilia Romagna, curata da Uliana Zanetti;
•le nuove opere di Lisetta CarmiLuca Francesconi e Valentina Furian, che entrano a far parte del patrimonio del museo.

Istituzione Bologna Musei | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

Trust per l’Arte Contemporanea

Presentazione delle attività realizzate:
• Rilevamenti d’archivio. Le Settimane Internazionali della Performance e gli anni ’60 e ’70 a Bologna e in Emilia Romagna, a cura di Uliana Zanetti
• Acquisizioni 2021 per collezione permanente MAMbo

MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, vedute di allestimento. Foto Ornella De Carlo. Courtesy Istituzione Bologna Musei
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, vedute di allestimento. Foto Ornella De Carlo. Courtesy Istituzione Bologna Musei

Il Trust per l’Arte Contemporanea, primo esempio realizzato in Italia in questo ambito, costituisce e gestisce un fondo dedicato all’arte del presente, rappresentato dalle risorse messe a disposizione dai tre disponenti. Ad esso possono inoltre aderire ulteriori donatori che intendono impegnarsi direttamente per sostenere e valorizzare ulteriormente i suoi scopi.
Finalità del Trust è quella di contribuire al posizionamento della città di Bologna come una delle capitali del contemporaneo inteso in tutte le sue diverse espressioni, rafforzando, in questo caso, il ruolo del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e dell’Area Arte Moderna e Contemporanea dell’Istituzione Bologna Musei.

Le azioni di valorizzazione realizzate sono coerenti con due dei principali obiettivi del Trust:
• rendere note le esperienze storico-artistiche del territorio,per contribuire alla conoscenza e contestualizzazione dei fenomeni del contemporaneo;
• consolidare e valorizzare le collezioni bolognesi pubbliche di opere di arte italiana dagli anni ’50 a oggi, affinché il sistema dell’arte cittadino dimostri un costante interessamento all’ampliamento e aggiornamento della propria collezione a disposizione del pubblico, valutando acquisizioni che riguardino artisti trattati da rassegne presenti e passate.

«A due anni dalla costituzione del Trust per l’Arte Contemporanea, oggi presentiamo le prime azioni di valorizzazione delle collezioni di MAMbo – 
dichiara il Sindaco di Bologna Matteo Lepore . Grazie al fondo per l’arte contemporanea, messo a disposizione dalla generosità dei disponenti fondatori, oggi festeggiamo sia l’arrivo di nuove acquisizioni per la collezione permanente MAMbo, sia la realizzazione di una nuova sezione della collezione permanente. Quest’ultima in particolare mette a disposizione di pubblico, studiosi e studiose, materiali documentari di una esperienza unica che pose la Galleria d’Arte Moderna di Bologna all’attenzione di tutto il mondo dell’arte. Bologna è città antica che ambisce ad un ruolo centrale come capitale del contemporaneo, in tutte le sue diverse manifestazioni espressive. Riusciremo a raggiungere questo obiettivo anche unendo gli sforzi tra pubblico e privato, sperimentando, come nel caso del Trust, modalità innovative di fundraising per garantire ai donatori la massima certezza e trasparenza sull’utilizzo delle loro donazioni».

«Siamo orgogliosi di essere fra i promotori di questa iniziativa, non comune a livello nazionale, a sostegno dell’arte contemporanea nelle sue differenti espressioni – aggiunge Gianpiero Calzolari, Presidente BolognaFiere -. Come organizzatori di Arte Fiera, la più longeva fiera dedicata all’arte moderna e contemporanea italiana, è stato naturale promuovere e sostenere questo progetto che rafforza ulteriormente il ruolo di Bologna quale polo del contemporaneo. La nostra è una città per tradizione aperta alle nuove tendenze, alle sperimentazioni e alle contaminazioni culturali. Il Trust per l’Arte Contemporanea è un importante progetto culturale e sociale che, ci auguriamo, avvicinerà ulteriormente i cittadini all’arte contemporanea nei bellissimi luoghi che la città offre».

«La conferenza stampa rappresenta un’occasione importante per far conoscere gli obiettivi del Trust per l’Arte Contemporanea, valorizzandone le enormi potenzialità come strumento per consolidare il ruolo della città di Bologna e dei suoi musei negli sviluppi dell’arte contemporanea – commenta Carlo Cipolli, Presidente Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna –La formula innovativa del Trust consente ai privati, oltre che agli enti pubblici, di contribuire pleno jure all’interazione tra le numerose realtà museali di Bologna e di sostenerle nel processo di ulteriore qualificazione nel contesto internazionale dell’arte contemporanea. Lo stabile posizionamento in questo contesto richiede che Bologna sia adeguatamente attrezzata non solo per ospitare grandi mostre ed eventi culturali importanti, come quelli di un recente passato, ma anche per valorizzare le esperienze artistiche autoctone così come di quelle maturate da artisti e operatori culturali esterni alla città, ma attenti ai suoi processi culturali e sociali più significativi».

«Bologna con i suoi musei, con i suoi teatri, con i suoi concerti, con le sue accademie e con la sua università è, per antica vocazione, la città della cultura. La Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna ha sempre favorito l’espressione degli artisti visivi, nelle forme più diverse della contemporaneità – evidenzia la PresidenteGiusella Finocchiaro.Gli artisti interpretano il mondo, sollecitano il pensiero, nutrono il nostro immaginario e sono, al pari dei poeti e dei musicisti, fonte di ispirazione per l’essere umano. Il progetto del Trust ha il merito di mettere in rete le istituzioni e le risorse della città per fare crescere Bologna e renderla un riferimento internazionale».

«Un Trust di arte contemporanea, innovativo nel panorama culturale istituzionale, intende, proprio dalla definizione stessa, dare fiducia ad un comparto che da sempre produce e condivide cultura e conoscenza per la collettività – afferma Vittorio Verdone, Direttore Corporate Communication e Media Relations del Gruppo Unipol –. Il nostro sostegno è anche un segnale oggi più che mai importante di ripresa e di attenzione all’arte che, nelle sue espressioni contemporanee, vede il Gruppo Unipol attento alla sperimentazione, ai nuovi linguaggi e alla valorizzazione dei patrimoni artistici».

Rilevamenti d’archivio. Le Settimane Internazionali della Performance e gli anni ’60 e ’70 a Bologna e in Emilia Romagna, sezione completamente nuova all’interno del percorso delle collezioni del MAMbo, è la prima iniziativa a carattere espositivo realizzata con il contributo finanziario e operativo del Trust per l’Arte Contemporanea. La mostra si inserisce in un programma di riallestimento “a tappe” delle collezioni del MAMbo, il cui filo conduttore è l’individuazione di specifiche congiunture geografico-temporali, riferite all’arte italiana degli ultimi decenni, delle quali il museo conserva significative testimonianze.

La nuova sezione si sviluppa come una sorta di regesto illustrato, volto a contestualizzare le Settimane Internazionali della Performance che si tennero tra il 1977 e il 1982 all’interno del ricco panorama di fenomeni creativi che caratterizzò l’intera Emilia-Romagna tra gli anni ’60 e ’70, coprendo un arco temporale che va dal 1967 al 1982.
Integrando la propria documentazione con immagini, documenti, filmati provenienti dagli archivi di altre istituzioni pubbliche e da raccolte private, il MAMbo tenta una prima articolata ricognizione delle connessioni intercorrenti tra diversi fenomeni coevi e tra manifestazioni culturali indipendenti ed eventi di natura istituzionale, con un progetto che si sviluppa attraverso 18 capitoli, ciascuno dedicato a un episodio significativo dell’evoluzione della Performance in Emilia-Romagna.

Pur rispettando una sequenza cronologica, la rassegna, intesa come una piattaforma aperta a ulteriori approfondimenti e aggiunte, consente al visitatore di cogliere, scorrendo tra i moduli dell’allestimento appositamente elaborato dallo Studio Pierluigi Molteni Architetti in collaborazione con D+ Studio, i molti rimandi possibili tra le varie vicende presentate. L’allestimento è infatti concepito come un dispositivo estetico-tecnologico-funzionale, flessibile ed estensibile, in grado di accogliere un racconto complesso composto con materiali eterogenei.
Prendendo le mosse dalle sperimentazioni di Pier Paolo e Lamberto CalzolariLuigi OntaniGianni Castagnoli ed altri artisti attivi negli studi di Palazzo Bentivoglio alla fine degli anni ’60 del XX secolo, la rassegna documenta altri episodi rilevanti di quegli anni, come Parole sui muri, manifestazione che si svolse a Fiumalbo nel 1967 e nel 1968, e la mostra Gennaio 70, prima rassegna italiana in cui comparvero video-opere e video-performance appositamente realizzate.
Vengono poi illustrate le partecipazioni di Gino De Dominicis e Franco Vaccari alla Biennale di Venezia del 1972, la presenza della performance nelle gallerie private bolognesi e le prime performance, rispettivamente di Fabio Mauri e di Gina Pane, eseguite alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1975 e nel 1976.
A un capitolo dedicato allo stand di Rosanna Chiessi e Peppe Morra ad Arte Fiera 1976 e all’attività di Rosanna Chiessi a Cavriago seguono le tappe dedicate alle attività didattiche di Giuliano Scabia e Gianni Celati al DAMS e al ’77 a Bologna.
Su questo sfondo si colloca la presentazione delle sei edizioni delle Settimane Internazionali della Performance curate da Renato Barilli, Francesca Alinovi e Roberto Daolio, con un ulteriore capitolo dedicato all’evento Alla Ricerca del silenzio perduto. Il treno di John Cageche il compositore americano creò a Bologna nel 1978.

Le Settimane suscitarono fin da subito uno straordinario interesse e sono tra le manifestazioni più conosciute e studiate fra quelle realizzate al museo, sia per la presenza di artisti già famosi o destinati ad avere un’ampia notorietà internazionale in seguito, sia per le reazioni suscitate da alcune delle performance realizzate. Tra i 49 artisti che presero parte alla prima edizione del 1977 vi erano, tra gli altri: Marina Abramović e Ulay, Laurie Anderson, Vincenzo Agnetti, Renate Bertlmann, Giuseppe Chiari, Robert Kushner, Suzanne Lacy, Fabio Mauri, Hermann Nitsch, Luigi Ontani, Luca Patella, Vettor Pisani, Fabrizio Plessi e Christina Kubisch, Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, Michele Sambin, Franco Vaccari.
In uno spazio contiguo alla nuova sezione, trasformato in sala video, è infine possibile vedere l’intera serie dei filmati realizzati da Mario Carbone per documentare sette performance della prima Settimana – quelle di Marina Abramović, Vincenzo Agnetti, Renate Bertlmann, Giordano Falzoni, Geoffrey Hendricks e Brian Buczak, Robert Kushner, Hermann Nitsch – e due documentari di Emanuele Angiuli sulla Bologna degli anni ’70.

Oltre a rendere conto di eventi ed opere di carattere effimero, l’esposizione ha lo scopo di rendere intelligibili i documenti conservati presso il museo nella loro funzione sia di rappresentazioni immediate di opere estetiche immateriali, la cui trasmissione è resa possibile dai mezzi forniti dalla tecnologia, sia di fonti per la ricerca storica. In questo senso la mostra si propone anche come un contributo alla riflessione sulla natura peculiare degli archivi museali, che a tutti gli effetti costituiscono un patrimonio essenziale non solo per la memoria istituzionale degli enti produttori, ma anche come riferimenti imprescindibili per gli studi storico-artistici.
Gran parte della documentazione visiva presentata in mostra è stata eseguita da fotografi e registi che spesso prendevano autonomamente l’iniziativa di riprendere questi eventi, realizzando a loro volta opere di rilevante interesse estetico. Tra gli autori presenti nella rassegna compaiono Cesare BastelliGiuseppe CannistràMario CarboneBarbara Berti CeroniGiovanni GiovannettiCarlo GajaniSilvia LelliAntonio MasottiRoberto MasottiNino MiglioriEnrico Scuro.

Si ringraziano le istituzioni che hanno concesso la presentazione di opere e materiali di loro proprietà:
ASAC – Archivio Storico della Biennale di VeneziaBiblioteca Panizzi (Reggio Emilia), Fondazione Modena Arti VisiveGallerie d’Arte Moderna e Contemporanea (Ferrara), Musei Civici d’Arte Antica | Istituzione Bologna Musei.

Uno degli impegni assunti dal Trust è inoltre quello di garantire sostegno continuativo verso una politica di incremento del patrimonio artistico contemporaneo conservato nelle istituzioni culturali cittadine, con particolare riferimento al MAMbo, per consentirne uno sviluppo coerente con le linee guida e la vocazione storica.
Dal momento della sua istituzione, il Trust ha finora provveduto all’acquisto di sei opere destinate al museo, che arricchiscono e rinnovano in modo significativo le proposte espositive della collezione permanente a disposizione del pubblico: quattro opere fotografiche di Lisetta Carmi (Genova, 1924), una scultura di Luca Francesconi (Mantova, 1979) e un video di Valentina Furian (Dolo, 1989). Espressione di generazioni e linguaggi differenti, le acquisizioni sono state selezionate con una prospettiva di documentazione di alcune delle testimonianze più interessanti dell’arte italiana attuale.

Nel caso di Lisetta Carmi, si tratta di opere appartenenti al nucleo di fotografie realizzate tra il 1965 e il 1972, durante il periodo di frequentazione della comunità di travestiti abitante nell’ex ghetto ebraico di Genova, riprodotte nel volume I travestiti, pubblicato nel 1972, destinato a diventare un documento fondamentale nella storia della fotografia italiana. Carmi è tra i primissimi autori ad occuparsi dell’identità di genere, in un periodo storico di manifesta e diffusa ostilità. Dopo anni di oblio, solo recentemente l’eccezionale lavoro di attenta indagine e osservazione delle marginalità sociali compiuto dalla fotografa genovese è stato rivalutato e valorizzato. La crescente attenzione da parte del mondo istituzionale è testimoniata dalle molteplici iniziative espositive organizzate in anni recenti da diversi musei italiani, che contribuiscono a riconoscere Lisetta Carmi tra i massimi interpreti della fotografia sociale in Italia nella seconda metà del Novecento.

Luca Francesconi 
Valentina Furian sono autori di due dei percorsi di ricerca più coesi e apprezzati dalla critica, tra quelli emersi negli ultimi anni in Italia.
L’indagine di Francesconi riflette sulla tradizione agricola e, più recentemente, sulla produzione alimentare strettamente legata ai concetti della coltivazione, suggerendo nuove prospettive sulla situazione critica della società dei consumi globalizzata. L’artista ha preso parte alla mostra AGAINandAGAINandAGAINand, collettiva a cura di Lorenzo Balbi, che si è tenuta al MAMbo nel 2020.
La pratica di Furian si concentra principalmente sulla progettazione di opere site-specific che trovano nel luogo la loro ragion d’essere, ma che al contempo vi si inseriscono silenziosamente creando nuove chiavi di senso. Fondamentale nella sua ricerca artistica il contesto per cui l’opera viene creata e dove continuerà a vivere. Il viaggio e la ripetizione sono altri focus del suo percorso artistico: il viaggio come racconto da testimoniare tramite l’opera d’arte; la ripetizione come esigenza di registrare la realtà di minime parti che prendono corpo all’unisono. Ultimamente la sua ricerca è entrata in rapporto con i fenomeni naturali da cui l’artista è attratta.
Valentina Furian ha partecipato alla mostra collettiva curata da Lorenzo Balbi That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine, allestita al MAMbo dal 22 giugno 2018 al 6 gennaio 2019. Realizzata negli spazi espositivi del museo proprio in occasione di quel progetto espositivo, l’opera video Presente di Valentina Furian fa così ritorno al MAMbo, entrando a far parte della collezione permanente.


Informazioni generali:
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IMMAGINE DI APERTURA Acquisizioni 2021 – Veduta di allestimento presso MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022 – Foto Ornella De Carlo Courtesy Istituzione Bologna Musei

Trieste, Museo Revoltella – Monet e gli Impressionisti in Normandia

Dal 4 febbraio arriva al Museo Revoltella di Trieste un eccezionale corpus di oltre 70 opere che racconta il movimento impressionista e i suoi stretti legami con la Normandia. Sul palcoscenico di questa terra, pittori come Monet, Renoir, Delacroix e Courbet – in mostra insieme a molti altri – colgono l’immediatezza e la vitalità del paesaggio imprimendo sulla tela gli umori del cielo, lo scintillio dell’acqua e le valli verdeggianti della Normandia, culla dell’Impressionismo.

4 febbraio – 5 giugno 2022
Museo Revoltella, Trieste

ORGANIZZAZIONE
DELLA MOSTRA

L’esposizione racconta l’”irresistibile attrazione” degli artisti per la Normandia, regione francese divenuta nell’Ottocento un vero e proprio laboratorio di idee per i grandi artisti impressionisti.
Le relazioni tra la Normandia e la pittura sono ormai celebri. Grazie ai progressi della ferrovia nel corso dell’Ottocento, la regione diventa luogo d’incontro degli artisti parigini e partecipa alla nascita dell’Impressionismo e alla sua evoluzione, che continua fino alla metà del Novecento. Luoghi come Dieppe, l’estuario della Senna, Le Havre, la spiaggia di Trouville, il litorale da Honfleur a Deauville, il porto di Fécamp – tutti rappresentati nelle opere in mostra – diventano fonte di espressioni artistiche di grande potenza, dove i microcosmi generati dal vento, dal mare e dalla bruma possiedono una personalità fisica, intensa ed espressiva, che i pittori giungono ad afferrare dipingendo en plein air, dando il via così al movimento impressionista.

Accanto ai numerosi pittori illustri (Monet, Corot, Courbet, Boudin, Marquet, Géricault, Jongkind), altri artisti meno noti (Noël, Lepic) celebrano il matrimonio tra la luce e il cielo normanno nutriti del lirismo naturale dei loro paesi. Questi – e molti altri – sono gli autori delle tele provenienti dalla prestigiosa raccolta dell’Association Peindre en Normandie di Caen. La collezione, creata nel 1992 su iniziativa del Consiglio Regionale della Bassa Normandia e di partners privati, riunisce in modo unico celebri artisti e altri autori meno noti che hanno rappresentato il paesaggio normanno dalla metà dell’Ottocento fino all’inizio del XX secolo.

Claude Monet
Paesaggio campestre al tramonto, 1863 o 1864
Olio su tela, 59×80 cm
Roma, Banca d’Italia

Il percorso di visita si articola in cinque sezioni: “La Fattoria Saint-Siméon”, “In riva al mare: svago e villeggiatura”, “In riva al mare: il lavoro, Terra normanna”, “Lungo la Senna”.

Prima sezione – La fattoria Saint-Siméon
Tanti luoghi della costa normanna, da Honfleur a Langrune, hanno forgiato, attraverso l’incontro tra i pittori, il naturalismo del paesaggio i cui quadri, accumulati anno dopo anno tra il 1830 e il 1870, hanno scritto la parte più significativa della storia dell’Impressionismo.
Tra le numerose oasi di pace, nel cuore di una natura rigogliosa ma al contempo selvaggia, la fattoria Saint-Siméon situata sulla Côte de Grâce ebbe un ruolo capitale perché favorì l’amalgama di una natura sublime, ma anche dura e cupa, con i suoi abitanti ritratti nella loro fatica quotidiana e i suoi turisti còlti nella loro oziosità. Lontani dal clima accademico dei Salon, i pittori trovavano i loro soggetti nella campagna circostante o allontanandosi verso le spiagge. Charles Daubigny è l’artista che saprà render maggiormente in pittura ciò che il territorio gli offriva. Ma accanto a lui vi erano, fra i tanti, Boudin, Jongkind, Courbet, Dubourg, il giovane Monet, Cals, Pécrus, ma vi erano già stati Isabey, Corot, Troyon. Eugène Boudin frequenta la fattoria dal 1854 e lo si ritrova nel 1859 in compagnia di Courbet, che lo inizia all’audacia e alla ruvidezza delle tonalità. In quello stesso anno i due artisti sono al fianco di Charles Baudelaire, che condivide il loro amore per i cieli e le nuvole ed elogia i lavori di Boudin nel suo scritto Salon de 1859, ritrovando nelle “bellezze meteorologiche” del pittore il meglio dello spirito di Saint-Siméon. Essendo originario di Honfleur, Boudin era il più adatto a trasmettere agli amici Jongkind e Monet questo spirito di fusione tra atmosfera e soggetto, rispettoso delle armonie dei mezzi toni, dei riflessi madreperlacei, ma animato dalla pennellata materica e decisa suggerita da Courbet.

Eugène Boudin
Persone davanti alla tenda del casinò di Trouville, 1884 ca.
Olio su tela, 22,2×42,2 cm
Honfleur, Musée Eugène Boudin, Lascito Eugène Boudin, 1899

Seconda sezione – In riva al mare: svago, villeggiatura
Dei pittori di Parigi sono venuti a chiedere alle belle falesie di Étretat ispirazioni e punti di vista che, riprodotti sulla tela, esposti nei nostri musei, comprati da questi troppo rari mecenati che scambiano volentieri il loro oro con le opere d’arte, hanno portato lontano la fama di queste naturali e splendide illustrazioni” (J. Morlent, 1853).
Nella stessa epoca anche Monet dipingeva in riva al mare. Per tradurre questa vitalità, egli aveva trovato soluzioni opposte alla prospettiva convenzionale utilizzata da Boudin: trattava gli sfondi liberamente, come delle quinte di teatro nelle quali figure sparse creavano un effetto di profondità su di un campo uniformemente piatto, ingentilito da alcune variazioni cromatiche.
Monet penetra nel soggetto sociale, come i suoi predecessori avevano fatto con la fisica degli elementi. Nel 1870 egli fa di Camille Doncieux, entrata da qualche anno nella sua vita, una villeggiante che posa

tra la buona società in riva al mare, atteggiamento artificioso, ma pienamente nutrito d’ombra e di luce. Nello stesso anno, nella sua ricerca di immagini e di svaghi eleganti, Monet rende protagonisti i lussuosi alberghi in riva al mare e le promenades turistiche. Egli via via abbandona i soggetti convenzionali, e, al contrario, sceglie fra i suoi interlocutori Turner, Courbet, il mare e tutte le forme degne di nota. Volge le spalle al realismo parigino per sfruttare il naturalismo del paesaggio, la cui esecuzione non si associa più a null’altro se non alla sua struttura, alla cattura misurata della luce, alla vibrazione dei volumi al di là della loro massa e della loro opacità. Si ha la conferma, con Monet, che la modernità non risiede nel soggetto ma nel comportamento del pittore nei suoi confronti.

Il naturalismo di Monet è, come quello dei suoi maestri Boudin e Courbet, una sorta di coinvolgimento fisico che conferisce uno spessore del tutto diverso agli accenti romantici del suo ideale. Maupassant ne ha dato un’immagine celebre: “Un’altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era davvero pioggia quella che aveva dipinto, nient’altro che la pioggia che penetrava le onde, le rocce e il cielo appena individuabili sotto quel diluvio”.

Terza sezione – In riva al mare: il lavoro
Pervasi di nostalgia per aver conosciuto un mondo che si allontana dalla realtà come quello dei turisti, gli artisti volgono ora lo sguardo alle lavandaie e ai pescatori, mentre già molti abitanti delle coste si convertono ai piccoli mestieri offerti dal turismo emergente: organizzare gite in barca, spostare le cabine sulla spiaggia, pescare per sfamare i turisti che arrivano giorno dopo giorno. La costa si trasforma e si modifica: alberghi, stabilimenti balneari, casinò. I villeggianti sono sempre più morbosamente attratti dalle celebrità dell’aristocrazia e dello spettacolo che vivono in sfarzose dimore.
Le regate riempiono l’orizzonte e le corse sostituiscono in un nuovo immaginario l’arrivo della diligenza e il ritorno dal lavoro nei campi. Questi temi permangono nella visione degli artisti, ma sono ormai avulsi dal loro contesto, percepiti più come soggetti curiosi dalle caratteristiche particolari e suggestive.
Claude Monet è il pittore che meglio vive questa contraddizione, lui che ha costruito la propria arte dipingendo i paesaggi della Manica, ispirato da cieli, vento, porti, spiagge e falesie. Al mondo di marinai e pescatori – a cui si aggiunge la nuova dimensione turistica, avida non solo di svago e bagni in mare, ma proprio di quelle rappresentazioni delle marine che vengono acquistate e portate a casa perché capaci di ricordare, lontano dall’attimo vissuto, momenti e luoghi – si aggiungono, come se questo non fosse abbastanza, le suggestive atmosfere inglesi che permeano profondamente tanto le alture di Sainte-Adresse come le spiagge di Trouville. Grazie a questi elementi, nella pittura di Monet matura un gesto tanto libero quanto efficace, una disposizione rapida, quasi brusca, una composizione capace di coniugare il mare, la pesca, le regate, i vaporetti e la mondanità.

Quarta sezione – Terra normanna
Fin dal XVIII secolo la letteratura ha offerto della terra normanna un’immagine di abbondanza. La morfologia dei luoghi entra con forza nella descrizione letteraria e, con essa, i motivi iconografici stereotipati del frutteto e del meleto. Gli elementi che compongono la natura si fanno oggetti e diventano degni di nota nelle loro combinazioni di forma o di colore. La Normandia è la terra pittoresca per eccellenza, pur non avendo lo statuto eroico attribuito di norma alle montagne; tuttavia essa saprà essere immortalata molto bene dalle innumerevoli rappresentazioni della costa, il cui aspetto rimane selvaggio, spesso ostile, indomabile, lontano dalle spiagge e dall’entusiasmo per la vita di mare. Come dice Stendhal a proposito della penisola del Cotentin: “Da Saint-Malo a Avranches, Caen e Cherbourg, questo paese è anche quello più ricco di alberi e con le colline più belle di Francia. Il paesaggio sarebbe senz’altro degno di ammirazione se ci fossero delle grandi montagne o almeno degli alberi secolari”; per Maupassant, a proposito della regione di Caux: “Sentieri scavati ombreggiati dai grandi alberi cresciuti sulle scarpate. Casupole racchiuse nelle loro cinture di faggi slanciati”.
La fattoria Saint-Siméon dava rifugio, soprattutto, a desideri di lidi e di fughe lontane tra gli alberi. Come dice Armand Frémont in “Normandie sensible”, la vera ricchezza della regione stava nelle sue “piccole pianure dolcemente ondulate, altipiani inclinati, vallate incassate e spesso asimmetriche, collinette e bacini, lunghi versanti convessi, bocage che paiono parchi all’inglese distribuiti su vasti appezzamenti di terreno, folti boschetti, addossati gli uni agli altri come dei ripari, sentieri scavati e in parte nascosti. I pittori non hanno dovuto fare altro che portare alla luce questa trama antica della Normandia contadina”.

Quinta sezione – Lungo la Senna
La Senna veicola un immaginario che partecipa alla nascita della modernità grazie ad alcuni acquarelli di Turner, che realizza un inventario di luoghi pittoreschi, di monumenti e di rovine; una cultura colta, vitale per lo sviluppo di una coscienza del patrimonio, che si coniuga con le trasformazioni violente dei tempi moderni, che i pittori amano e sanno fare proprie grazie alla loro capacità di trascendere l’istante e di esacerbare i sensi.
Se Honfleur e Le Havre possiedono un’identità spiccatamente marittima, l’entroterra, non appena il mare sparisce dietro l’angolo di una strada, volta la schiena al mondo delle alte e delle basse maree, della pesca e delle regate. Per questo bisogna ritrovare, intorno a Rouen e al suo ambiente eccezionale, l’altro momento forte del sincretismo normanno, costruito attorno all’aria e all’acqua, ai grandi monumenti gotici e, infine, alle stradine pittoresche.
Dal 1865 Renoir, Monet e Bazille scoprono e diffondono quel che la Senna diventerà per gli artisti; la scoperta dell’acqua da parte degli Impressionisti inizierà progressivamente da qui. Dopo Rouen, prima di incontrare quei luoghi in cui la modernità ancora non è penetrata – i villaggi della periferia parigini come Argenteuil – si incontrano, sparsi in poche decine di chilometri, alcuni paesi che hanno nomi evocativi: Giverny, Bennecourt, Vétheuil. Di Giverny si innamora Monet che si trasferisce lì nel 1883 con le sue due famiglie, i figli Jean e Michel avuti da Camille e i sei bambini di Alice Hoscedé. A Giverny regnano sovrani l’acqua, il cielo, le colline coperte di verde erba. La natura è appagante senza essere pesante, le imbarcazioni sfiorano la Senna. Con il suo atelier/battello Monet può arrivare a carpire più profondamente i paesaggi. Nel cuore del giardino, negli ultimi anni della sua vita, lo stagno delle ninfee sarà per l’artista occasione per imparare a comprendere e conoscere la natura come spazio che può essere ricostruito mentalmente.


SEDE
Museo Revoltella
Via Armando Diaz, 27
34123 Trieste (TS)

INFORMAZIONI
T. +39 040 982831
www.arthemisia.it
www.triestecultura.it
www.discover-trieste.it

ORARI
Dal lunedì alla domenica e festivi 9:00 -19:00
Martedì chiuso
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Hashtag ufficiale
#ImpressionistiTrieste

UFFICIO STAMPA
Arthemisia
Salvatore Macaluso
sam@arthemisia.it | M. +39 392 4325883
press@arthemsia.it | T. +39 06 69308306

Monza, Orangerie della Villa Reale: ANTONIO LIGABUE. L’uomo, l’artista

Novanta opere, tra dipinti, sculture, incisioni e disegni, ripercorrono la vicenda umana e creativa di uno degli autori più geniali e originali del Novecento italiano

REGGIA DI MONZA – ORANGERIE
DALL’11 FEBBRAIO AL 1° MAGGIO 2022

ANTONIO LIGABUE.
L’uomo, l’artista

Testa di tigre, 1957-1958, olio su faesite, 60 x 55 cm,
collezione privata courtesy Galleria Centro Steccata, Parma

Dall’11 febbraio al 1° maggio 2022, la Reggia di Monza sarà animata dalle figure, dai colori e dalle coinvolgenti suggestioni, di uno degli artisti più geniali e originali del Novecento, Antonio Ligabue.

L’Orangerie ospiterà un’antologica dal titolo “Antonio Ligabue. L’uomo, l’artista”, curata da Sandro Parmiggiani, prodotta e organizzata da ViDi in collaborazione con il Comune di Monza e il Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, che celebra il genio dell’artista nato a Zurigo nel 1899 e scomparso a Gualtieri (Reggio Emilia) nel 1965. 90 opere, tra dipinti, sculture, disegni e incisioni ripercorrono la sua vicenda umana e creativa, lungo un arco cronologico che dagli anni venti del secolo scorso giunge fino al 1962, quando una paresi pose di fatto fine alla sua attività.

La mostra propone alcuni dei dipinti considerati tra i suoi capolavori, come Caccia grossa (1929), Circo (1941-42 ca.), Tigre reale, opera realizzata nel 1941 durante il secondo ricovero dell’artista nell’Ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, Leopardo con serpente (1955-56), Testa di tigre (1957-58), Volpe con rapace (nibbio) 1959-60, Crocifissione (primi anni ’60). Non mancano gli autoritratti, specchio di un disagio esistenziale e della volontà di riaffermare la propria identità: Autoritratto con cavalletto (1954-55), Autoritratto con mosche (1956-57), Autoritratto con spaventapasseri (1957-58), il dolente Autoritratto (1957).

L’esposizione si snoda attraverso i due poli principali lungo i quali si è sviluppato il suo percorso artistico: gli animali, selvaggi e domestici, e i ritratti di sé, senza dimenticare altri soggetti come le scene di vita agreste o i paesaggi padani, nei quali irrompono, come un flusso di coscienza, le raffigurazioni dei castelli, delle chiese, delle guglie e delle case con le bandiere al vento sui tetti ripidi della natia Svizzera, dov’era nato e dove aveva vissuto fino all’espulsione nel  1919 – la memoria della patria perduta.

Ligabue rappresenta sia animali domestici, colti in un’atmosfera rurale, sia gli animali selvatici – tigri, leoni, leopardi, gorilla, volpi, aquile – di cui conosceva molto bene l’anatomia, spesso raffigurati nel momento in cui stanno per piombare sulla preda, con un’esasperazione di carattere espressionista, sia nella forma sia nel colore, e con un’attenzione quasi spasmodica per la reiterazione di elementi decorativi.

Gli autoritratti costituiscono un filone di altissima e amarissima poesia nell’arte di Ligabue. In essi, il pittore si colloca in primo piano, quasi a occupare tutto lo spazio della scena, sullo sfondo di un paesaggio che pare quasi sempre, salvo rare eccezioni, un dettaglio del tutto ininfluente. I suoi ritratti di sé compendiano una perenne e costante condizione umana di angoscia, di desolazione e di smarrimento, un lento cammino verso l’esito finale; il suo volto esprime dolore, fatica, sgomento, male di vivere; ogni relazione con il mondo pare essere stata per sempre recisa, quasi che l’artista potesse ormai solo raccontare, per un’ultima volta, la tragedia di un volto e di uno sguardo, che non si cura di vedere le cose intorno a sé, ma che chiede, almeno per una volta, di essere guardato.

“Questi autoritratti – afferma Sandro Parmiggiani – dicono tutta la sofferenza dell’artista; ne sentiamo quasi il muto grido nel silenzio della natura e nella sordità delle persone che lo circondano. Quando perduta è ogni speranza, ormai fattasi cenere, il volto non può che avere questo colore scuro, fangoso, questa sorta di pietrificazione dei tratti che il dolore ha recato con sé e vi ha impresso”.

La rassegna monzese riserverà particolare attenzione alla sua produzione plastica, con un nucleo di oltre venti sculture in bronzo, soprattutto di animali.

L’esposizione costituisce un ulteriore capitolo per riportare il lavoro di Ligabue a una corretta valutazione critica e storica: un’occasione per riaffermare, al di là delle fuorvianti definizioni di naïf o di artista segnato dalla follia, il fascino di questo “espressionista tragico” di valore europeo, che fonde esasperazione visionaria e gusto decorativo.

“Proponiamo ai visitatori le opere di un artista straordinario e del tutto singolare – spiega il Sindaco Dario Allevi, Presidente del Consorzio Villa Reale e Parco di Monza – Una mostra che coniuga talento e bellezza con la storia travagliata di Antonio Ligabue: l’Orangerie della Villa, con il suo fascino, è pronta a spalancare le porte ancora una volta all’Arte in tutte le sue forme”.

“Questa mostra è un’opportunità culturale straordinaria per Monza – spiega l’Assessore alla Cultura Massimiliano Longo – Ma è anche un’occasione per sfruttare il potenziale attrattivo di Antonio Ligabue a vantaggio della città: per attrarre visitatori, anche da fuori città e fuori regione, per tornare a mostrare l’arte e il bello in presenza, per far scoprire o riscoprire la straordinaria bellezza della nostra Villa Reale e per dare ossigeno all’indotto e all’economia locale. Per tutti questi motivi abbiamo creduto e scommesso su questa mostra che, ne siamo certi, consentirà al visitatore di apprezzare la forza naturale e istintiva del genio di Antonio Ligabue e di condividere un percorso artistico fuori dal comune.

Accompagna la mostra un catalogo Skira con testi di Sandro Parmiggiani, Alberto Manguel, Luciano Manicardi (priore della Comunità di Bose) e un’ampia sezione, ricca di immagini, dedicata alla ricostruzione del suo “mito”, a partire dai rotocalchi degli anni cinquanta e allo sceneggiato televisivo di Salvatore Nocita nel 1977 fino ai lavori a lui dedicati: la trilogia teatrale Progetto Ligabue di Mario Perrotta e il film Volevo nascondermi di Giorgio Diritti.

Per tutta la durata della rassegna, è in programma una serie di attività didattiche, incontri e visite guidate gratuite per bambini e adulti.

Una mostra family friendly, con un percorso creato ad hoc per i bambini, un kit didattico in omaggio da ritirare in biglietteria appositamente studiato per la visita dei più piccoli. Un’opera ad “altezza bambino” attenderà i giovani visitatori per un’esperienza immersiva a loro dedicata.

Giaguaro con gazzella e serpente, 1948, olio su tavola di compensato, 45 x 71 cm, collezione privata, Reggio Emilia

Antonio Ligabue. Note biografiche

La triste odissea di Antonio Ligabue ha inizio il 18 dicembre 1899 a Zurigo e si conclude il 27 maggio 1965 a Gualtieri, dove era approdato il 9 agosto 1919, espulso dalla Svizzera, dopo un’infanzia e un’adolescenza segnate dall’emarginazione (a soli nove mesi di età fu affidato dalla madre a un’altra famiglia) e dall’insofferenza verso il mondo che lo circondava – a scuola, tuttavia, già si erano rivelati la sua passione e il suo talento per il disegno. A Gualtieri la sua vita resta durissima, soprattutto nei primi anni, in cui, per riuscire a vivere, fa lo scariolante sulle rive del Po. Inizia a dipingere alla fine degli anni venti, apprezzato da rari estimatori, tra i quali Marino Mazzacurati. Nel 1955 tiene la prima mostra personale a Gonzaga, in occasione della Fiera millenaria; nel 1961 un’esposizione a Roma, alla Galleria La Barcaccia, ne segna la consacrazione nazionale (“il caso Ligabue”), dopo un’intensa attività artistica, spesso incompresa e addirittura derisa, che nel tempo susciterà tuttavia l’ammirazione e l’interesse di collezionisti, critici e storici dell’arte. Tra le antologiche più recenti, si ricordano quella, con quasi duecento opere, tenuta nel 2005 a Palazzo Magnani di Reggio Emilia e a Palazzo Bentivoglio di Gualtieri, in occasione del quarantesimo anniversario della sua scomparsa, e la successiva mostra, sempre a Gualtieri, nel 2015, a cinquant’anni dalla morte.


ANTONIO LIGABUE. L’UOMO, L’ARTISTA
Monza, Orangerie della Villa Reale (viale Brianza 1)
11 febbraio – 1° maggio 2022

Biglietti

Intero 12€

Ridotto 10€
(ragazzi dai 13 anni ai 18 anni, over 65, possessori del biglietto dei Musei Civici di Monza – Casa degli Umiliati)

Bambini 5€
(dai 7 ai 12 anni)

Gratuito: visitatori disabili muniti di certificazione attestante una invalidità superiore al 74%, 1 accompagnatore visitatore disabile solo in caso di non autosufficienza, giornalisti con tessera in corso di validità, bambini fino ai 6 anni, accompagnatore scolaresche (2 per gruppo), accompagnatore gruppi adulti (1 per gruppo), possessori abbonamenti Musei Lombardia Milano.

Orari

Lunedì e martedì chiuso
Mercoledì e giovedì 10.00 – 13.00/ 14.00 – 19.00
Venerdì, sabato e domenica 10.00 – 20.00

La mostra si svolge nel rispetto delle misure anticontagio da Covid-19.

Per informazioni
mostraligabuemonza@gmail.com
www.vidicultural.com

Ufficio stampa Comune di Monza
Marta Caratti
Tel. 039/2372301 – 2221
relazioniesterne@comune.monza.it

Ufficio stampa mostra
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | tel. 02.36755700 | clara.cervia@clp1968.it | www.clp1968.it

IMMAGINE DI APERTURA – Autoritratto, 1957, olio su faesite, 88 x 70 cm, collezione privata, Reggio Emilia

Alessandro Dalla Caneva – Esempi di architettura. Manuale per lo studente

La motivazione che ha spinto alla realizzazione di questo testo origina principalmente da due ragioni. La prima, la volontà di proseguire il percorso di ricerca orientato verso il tema della rappresentazione in architettura. Ovvero l’idea che le forme siano portatrici di significato e che esse sono propriamente belle se riescono a comunicare il significato per cui sono state concepite. La seconda, il desiderio, attraverso esempi concreti e un linguaggio semplice, di rendere partecipe lo studente delle questioni che riguardano la ricerca della qualità dello spazio, il luogo reputato alla manifestazione del significato. Accade spesso che la bellezza (dello spazio) non sia frutto di un pensiero consapevole, ma di una moda imperante, quella delle riviste, che indirizza verso risultati formali che si affidano alle lusinghe della tecnica e dei materiali usati indifferentemente senza alcun rapporto di appropriatezza con il tema d’architettura affrontato. Un significato che nel tema d’architettura non dipende dal fine particolare, la funzione e la tecnica, ma risiede nella rappresentazione di un fine più generale, la natura dell’opera, di cui la funzione e la tecnica costituiscono l’aspetto contingente o particolare. Il testo è pensato per lo studente. Inteso come un piccolo manuale di estetica pratica, dal carattere didattico, racconta alcune esperienze di architettura esemplari in quanto esito della ricerca di autori del contemporaneo. Maestri che hanno sempre considerato l’architettura non solo come una scienza ma, sopratutto un’arte. Quella che intende il carattere, la qualità dello spazio, momento decisivo nel concepire il prodotto di architettura.

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IMMAGINE DI APERTURA tratta dall’interno del volume

Alessandro Dalla Caneva
Esempi di architettura.
Manuale per lo studente