A-HEAD Project indice il Premio Internazionale “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”

Call for Artists

Premio Internazionale
“Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”

Prima edizione

Premio alla ricerca artistica – Under 35

Scadenza candidature 2 maggio 2022

A-HEAD Project, progetto promosso da Angelo Azzurro ONLUS, indice la prima edizione del Premio Internazionale Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”, dedicato alla memoria di Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti, due figure centrali che hanno contribuito in modo determinante alla connessione tra la ONLUS dedicata alla lotta contro lo stigma dei disturbi mentali e il settore dell’arte, con la successiva nascita del progetto A-HEAD. Infatti Angelo Azzurro, attraverso il citato progetto, promuove l’arte contemporanea sviluppando un percorso ermeneutico e conoscitivo delle malattie mentali sostenendo le ricerche artistiche in tutte loro le declinazioni.

Il Premio Internazionale “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti” vuole, in particolare modo, sostenere gli artisti emergenti: si rivolge, infatti, agli artisti under 35 e prenderà in considerazione non una singola opera dell’artista ma tutta produzione artistica degli ultimi cinque anni.

La partecipazione è gratuita e aperta a tutti i cittadini residenti in Italia o all’estero, a partire dal 18° anno di età fino al compimento del 35° anno di età (alla data di pubblicazione del presente bando), senza limiti di nazionalità, sesso, etnia o religione.

È possibile inviare la propria candidatura entro il giorno 2 maggio 2022 ore 23.59.

Il bando prevede l’assegnazione del Premio Giovan Battista Calapai”, avente valore netto di € 1000,00 e comprensivo di una pubblicazione A-HEAD Edizioni dedicata alla ricerca artistica del vincitore e della “Menzione Speciale Theodora van Mierlo Benedetti” del valore netto di € 500,00 e comprensiva di una pubblicazione A-HEAD Edizioni dedicata alla ricerca artistica del vincitore.

La Giuria è costituita da Lorenzo Benedetti – Curatore e Storico dell’arte; Laura Cionci – Artista ; Mario De Candia – Giornalista e Curatore; Piero Gagliardi – Curatore e Storico dell’arte; Fabio Mongelli – Direttore RUFA – Rome University of Fine Arts; Francesco Nucci – Presidente Fondazione VOLUME!; Filomena Rosiello – Psicoanalista junghiana e Arteterapeuta; e sarà coordinata da Roberta Melasecca – Architetto e Curatrice.

Le decisioni della Giuria saranno rese note il 30 maggio 2022, mentre la premiazione avverrà in luogo e data che saranno successivamente comunicati.

Tutti i dettagli per la partecipazione sono disponibili all’interno del bando. Per informazioni: premiocalapai@gmail.com – 3494945612.

Il progetto A-HEAD nasce nel 2017 per volere delle famiglie Calapai e Lo Giudice per la lotta allo stigma dei disturbi mentali e dalla collaborazione tra l’Associazione Angelo Azzurro ONLUS ed artisti e dj di respiro internazionale: infatti con il progetto A-HEAD Angelo Azzurro mira a sviluppare un percorso ermeneutico e conoscitivo delle malattie mentali attraverso l’arte, sostenendo in maniera attiva l’arte contemporanea e gli artisti che collaborano ai vari laboratori che da anni l’associazione svolge accanto alle attività di psicoterapia più tradizionali. Data la natura benefica del progetto, con A-HEAD la cultura, nell’accezione più ampia del termine, diviene un motore generatore di sanità, nella misura in cui i ricavati sono devoluti a favore di progetti riabilitativi della Onlus Angelo Azzurro, legati alla creatività, intesa come caratteristica prettamente umana, fondamentale per lo sviluppo di una sana interiorità. Lo scopo globale del progetto è quello di aiutare i giovani che hanno attraversato un periodo di difficoltà a reintegrarsi a pieno nella società, attraverso lo sviluppo di nuove capacità lavorative e creative.

SCARICA IL MODULO DI PARTECIPAZIONE PREMIO INTERNAZIONALE
“GIOVAN BATTISTA CALAPAI E THEODORA VAN MIERLO BENEDETTI”


INFO

Call for Artists
Premio Internazionale “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”
Prima edizione
Premio alla ricerca artistica – Under 35

Scadenza candidature 2 maggio 2022

Segreteria organizzativa
Roberta Melasecca
premiocalapai@gmail.com
tel. 3494945612

Angelo Azzurro ONLUS
infoangeloazzurro@gmail.com
tel. 3386757976
https://associazioneangeloazzurro.org

Ufficio Stampa Angelo Azzurro
Barbara Specabarbaraspeca@libero.it

Ufficio stampa A-HEAD
Roberta Melasecca_Interno 14 next – Melasecca PressOffice
roberta.melasecca@gmail.com
tel. 3494945612
cartella stampa su
www.melaseccapressoffice.it

Roma – HOSTIA. PIER PAOLO PASOLINI. Una mostra di Nicola Verlato

Hostia. Pier Paolo Pasolini è il progetto espositivo ideato dall’artista Nicola Verlato e curato da Lorenzo Canova, con la partecipazione, tra gli altri, di Vittorio Sgarbi, Umberto Croppi e Miguel Gotor, prodotto e organizzato da Associazione MetaMorfosi e Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano con il sostegno di Intesa Sanpaolo, in occasione del centenario della nascita dell’artista, nato a Bologna il 5 marzo 1922 e morto a Roma nel 1975.

HOSTIA. PIER PAOLO PASOLINI
una mostra di Nicola Verlato

Associazione MetaMorfosi
 e Museo Nazionale Romano -Terme di Diocleziano
dal 13 aprile al 12 giugno 2022

Nicola Verlato, Scultura, 410×300

Ispirata dalla tragica morte di Pier Paolo Pasolini l’esposizione, che fa parte  di PPP100 Roma racconta Pasolini programma di iniziative culturali promosse da Roma Capitale in occasione del centenario della nascita dell’artista e intellettuale italiano, è pensata come un omaggio che si articola in una serie di declinazioni artistiche, dipinti, sculture, disegni, progetti architettonici, musiche e video realizzati da Nicola Verlato in dialogo con le grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma.

La mostra si origina da un grande dipinto che, come un’antica pala d’altare, rappresenta il corpo di Pasolini mentre attraversa a ritroso la propria vita. Altre opere pittoriche di grandi dimensioni approfondiscono ulteriori aspetti connessi alla rappresentazione del dipinto principale. Un fregio lungo oltre undici metri, una scultura a dimensioni reali che ritrae in modo estremamente realistico Pasolini e alcune teste scolpite completano l’esposizione che si avvale anche di proiezioni video e che è accompagnata, lungo tutto il percorso, da musiche sinfoniche. La mostra si arricchisce di una selezione di fotografie tratte dall’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo che ritraggono Pasolini in occasione di eventi pubblici (conferenze, presentazioni, partecipazione a festival) documentati dall’agenzia fotografica fra 1959 e 1968.

Le Terme di Diocleziano, una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano e uno dei monumenti più rappresentativi della città, accolgono le opere negli spazi monumentali e straordinari di un complesso architettonico che nei secoli ha mantenuto con la città un rapporto vivo e viscerale, attraversandone tutte le profonde trasformazioni, dall’epoca romana a quella rinascimentale, fino alla stagione dei grandi interventi urbanistici che le hanno impresso le attuali fattezze di capitale. Un rapporto vivo e viscerale che anche Pasolini, intellettuale finissimo, ha articolato negli anni nei confronti di Roma, dove si trasferì nel 1950. Profondo conoscitore e interprete della città, capace di viverne e interpretarne anche il tessuto sociale più complesso e difficile, a partire da quelle periferie che tanto emergono dalle sue opere letterarie e cinematografiche, non romano di nascita ma per scelta e affinità, Pasolini infatti fu capace di trasformarla nella vera protagonista di un viaggio di ricerca e di scoperta, che lo accompagnerà fino alla tragica fine.

«Il Museo Nazionale Romano è lieto di essere parte di un evento così importante per la commemorazione di Pier Paolo Pasolini – chiosa Stéphane Verger Direttore del Museo Nazionale Romano. Le Terme di Diocleziano, uno dei luoghi simbolo della città di Roma così legata alla storia di Pasolini, sono nella loro monumentalità perfette ad accogliere le opere di Nicola Verlato nelle quali sono così pregnanti i riferimenti all’architettura e alle arti visive antiche».

«Più che un poeta, un cineasta o uno scrittore, Pasolini è un corpo che vive nella dimensione del mito, in quanto è riuscito a incarnare un destino non solo tragico ma addirittura universale – spiega Nicola Verlato che nel 2015 ha scelto il quartiere periferico di Torpignattara per ambientare “Hostia”, il suo murale alto 10 metri e largo quasi 6 che già rappresentava la morte dell’intellettuale italiano. – Le opere in mostra narrano la progressiva eliminazione dell’arte dalla vita e l’immensa disperazione che Pasolini esprime nelle sue ultime opere, associando il mondo a un inferno che ha perso ogni occasione di salvezza, perché l’arte, che dava senso alle cose, è stata eliminata».

Come scrive Lorenzo Canova: «Nicola Verlato si serve in modo magistrale del linguaggio figurativo caro a Pasolini per dare vita a una grande opera d’arte totale. Sulla scia del grande scrittore e regista, Verlato dialoga senza subalternità con la pittura del passato, con quella tradizione che Pasolini rivendicava come fondamento delle sue sperimentazioni letterarie e cinematografiche. Nel grande complesso monumentale di Hostia le arti visive si legano così all’architettura e alla musica in un’elegia monumentale e metafisica dove la morte di Pier Paolo Pasolini supera il brutale dato di cronaca per trasformarsi in un evento tragico che penetra e supera la storia». 

La mostra di Nicola Verlato si fonda su un’ipotesi che è anche un desiderio: costruire un complesso monumentale a Ostia, luogo della morte di Pasolini. In mostra, dunque, sarà presente anche un modellino architettonico aperto che, all’interno, mostrerà tutte le opere presenti in mostra nella collocazione definitiva che idealmente troverebbero nell’edificio una volta costruito.

Pietro Folena Presidente di MetaMorfosi ricorda che «nel 1985, a dieci anni dalla morte, ho organizzato a Castel Sant’Angelo il primo grande evento giovanile in memoria di Pasolini (“Una disperata passione di essere nel mondo”). Per me oggi è un’emozione particolare ritornare sulla figura di questo gigante del Novecento attraverso l’estetica e la poetica di un artista straordinario come Nicola Verlato, con le sue opere e il suo progetto in dialogo con il classico».

Nicola Verlato, Studio per il fregio

L’artista Nicola Verlato

Nicola Verlato, pittore scultore architetto musicista e videomaker, è noto per i suoi dipinti e sculture socialmente impegnati che utilizzano la forza e la capacità dell’arte figurativa di coinvolgere emotivamente lo spettatore.

Per potenziare ulteriormente le sue immagini, utilizza un processo articolato che combina tecniche classiche e tecnologie moderne come i programmi di modellazione 3D Maya e Zbrush.

Verlato ha esposto i suoi dipinti, disegni e sculture negli Stati Uniti e in prestigiose sedi internazionali – tra cui il White Columns di New York, il Museum of Modern Art di Arnhem, le Biennali di Praga – e ha realizzato un’installazione esposta alla Biennale di Venezia del 2009 nel Padiglione Italiano.

Verlato ha esposto accanto ad artisti come Erwin Olaf, Santiago Sierra, Shepard Fairey, Kehinde Wiley, Ronald Ophuis, José Lerma, Mark Ryden e Robert Williams. Il suo lavoro è presente in diverse collezioni pubbliche e private in USA, Argentina, Italia, Spagna, Olanda, Danimarca, Norvegia, Cina e Filippine. Il suo lavoro è stato pubblicato su Art in America, Flash Art, Juxtapoz, Hi Fructose, Vogue Italia, Art Pulse, LoDown Magazine e altri. Nato nel 1965 a Verona, risiede a Roma dopo quattordici anni a New York e Los Angeles.


La mostra
HOSTIA. PIER PAOLO PASOLINI
Terme di Diocleziano
Via Enrico De Nicola 78 – Roma

Dal 13 aprile al 12 giugno 2022
Orari: da martedì a domenica dalle ore 11,00 alle ore 18,00; chiuso il lunedì.
Ultimo ingresso: ore 17,00

Biglietti
Biglietto ordinario per l’accesso a una sola sede del Museo Nazionale Romano: Intero € 11
Biglietto combinato per l’accesso a tutte le sedi del Museo Nazionale Romano: Intero € 15
(+2 euro di prevendita in caso di acquisto on line)

Acquisto biglietti on line: https://museonazionaleromano.beniculturali.it/orari-e-biglietti/

Informazioni mostra
Tel. +39 06 684851
mn-rm@beniculturali.it
museonazionaleromano.beniculturali.it

Ufficio Stampa MetaMorfosi
Maria Grazia Filippi
mariagraziafilippi@associazionemetamorfosi.com
M. +39 333 2075323

Oskar Kokoschka: “Non esiste un Espressionismo ma solo giovani che cercano di orientarsi nel mondo”

di Sergio Bertolami

36/3 – I protagonisti

Oskar Kokoschka (Pöchlarn 1886 – Montreux 1980). Nasce, nella periferia di una cittadina austriaca del sud, dalla modesta famiglia di un commesso viaggiatore e gli inizi sono abbastanza difficili. Le biografie, invece, tendono sempre all’esaltazione e fanno di suo padre un orafo cecoslovacco, mestiere praticato in realtà dai suoi antenati. La famiglia nel 1887 si trasferisce a Vienna e qui comincia la storia di un ragazzino capace di attirare l’attenzione come uno studente straordinariamente ricco di talento, ma poco incline alle regole ferree. Frequenta la KK Staatsrealschule Währing ed è accettato nella classe di Carl Otto Czeschka, designer di spicco della Wiener Werkstätte, che individua subito le qualità pittoriche del suo allievo. Così, dal 1905 al 1909, eccolo alla Kunstgewerbeschule di Vienna, la Scuola di arti decorative, architettura e arti applicate. Pittore preferito? Immancabilmente Vincent van Gogh. Nel prestigioso istituto, al quale ha potuto iscriversi usufruendo di una borsa di studio, insegnano anche i professori Josef Hoffmann e Koloman Moser. Non può meravigliare, dunque, se le sue prime commesse come artista free-lance gli vengono proprio dalla Wiener Werkstätte. Disegna manifesti, cartoline, dipinge ventagli per signora, e collabora all’allestimento del Cabaret Fledermaus, il locale alla moda che mette in scena vizi e virtù della società viennese. Nei primi anni, Oskar Kokoschka è ben accolto da chi circonda Gustav Klimt e Carl Moll e, grazie a questi, espone con il Gruppo Klimt alle due mostre d’arte del 1908 e 1909. Il plauso, gli viene anche da un intellettuale come l’architetto Adolf Loos, talmente lontano dallo stile Art Nouveau, prevalente all’epoca, che Kokoschka ne rimarrà sempre più influenzato. Loos lo introduce nei circoli dell’avanguardia che fanno riferimento a Karl Kraus, Peter Altenberg e Arnold Schönberg.

Vista aerea di onde che si infrangono sulla spiaggia.
Vista aerea di onde che si infrangono sulla spiaggia.
Oskar Kokoschka, I ragazzi che sognano, ristampa del 1917

Da subito, il giovane gode del successo ottenuto con il suo libro di fiabe. Nel 1907 Fritz Waerndofer, finanziatore della Wiener Werkstätte, aveva infatti commissionato a Kokoschka, ancora studente alla Kunstgewerbeschule, un racconto illustrato per i suoi figli. Gli promette che le tavole originali a colori del libro per bambini sarebbero state esposte alla mostra Kunstschau del 1908. Il giovane, perspicace, coglie l’occasione per elaborare delle immagini che interpretano una sua poesia scritta un anno prima, Die träumenden Knaben (I ragazzi che sognano). Kokoschka confeziona un libro d’artista composto da alcune pagine introduttive con due litografie in bianco e nero e da otto pagine di immagini e testo nelle quali descrive il risveglio della sessualità adolescenziale connesso con la paura di dover lasciare il paradiso dell’infanzia. Le immagini ambientate in isole esotiche richiamano alla memoria Gauguin, mentre il testo allude sia alla letteratura classica di Goethe, sia a quella contemporanea del viennese Altenberg. Nell’autobiografia, apparsa nel 1971, Kokoschka ha spiegato le origini della poesia, nata dalla sua esperienza personale di studente, innamorato della sua compagna di classe svedese Lilith. Quando propone questa sua fantasia adolescenziale autobiografica, l’opera naturalmente appare inappropriata per un pubblico infantile. L’editore, che avrebbe dovuto dare alle stampe il libro, da includere in una serie per bambini, dopo aver visto le bozze di Kokoschka, decide di ritirare la propria offerta. Il libro viene ugualmente pubblicato, ma direttamente dalla Wiener Werkstätte ed è tirato in 500 copie, che saranno vendute con non poche difficoltà. Tuttavia, nel 1917, il volume sarà ristampato, in altri 275 esemplari numerati, dall’editore Kurt Wolff amico dell’artista. L’opera dedicata dall’autore a Klimt, dal quale ha ripreso il formato quadrato, è oggi celebrata dalla critica come il passaggio di Kokoschka dallo Jugendstil all’Espressionismo.

Oskar Kokoschka,
Assassino, speranza delle donne, 1909

Tra il 1908 e il 1909 Kokoschka compone due opere teatrali – Uomo di paglia e sfinge, nonché Assassino, speranza delle donne – ritenute tra le prime sperimentazioni dell’Espressionismo letterario austriaco. L’epiteto di Oberwildling (Super selvaggio), come viene presto soprannominato dalla stampa, Kokoschka se lo guadagna allorché inscena all’Internationale Kunstschau proprio il dramma Assassino, speranza delle donne (Mörder, Hoffnung der Frauen). Ha solo ventidue anni, ma lo scossone che provoca rappresenta l’inizio promettente di una carriera artistica sfolgorante. Un anno dopo pubblica il copione sulla Rivista berlinese Der Sturm di Herwarth Walden, che non riproduce l’autentico testo recitato a Vienna, visto che l’autore ha distribuito agli attori soltanto fogli volanti di appunti. È, insomma, un rifacimento in progress che riunisce ben quattro redazioni diverse dell’opera, scritta fra il 1907 e il 1910. La rappresentazione teatrale, nondimeno, scatena a Vienna un vero scandalo, tanto da creare a Kokoschka problemi anche all’interno della stessa Scuola di Arti Applicate, dove prenderà presto a lavorare come assistente. Persino l’arciduca erede al trono, raccapricciato, inveisce che dovrebbero «rompere tutte le ossa» che ha in corpo all’autore che ha composto quel repellente dramma e uno dei critici più in vista dell’epoca, Ludwig Hevesi, non manca di chiosare: «Il nome dell’Oberwildling è Kokoschka», ma in questo caso quello di Hevesi va colto come un complimento. L’agitazione del pubblico nasce perché alla rappresentazione scenica si assomma anche il tema orrido del manifesto che lo pubblicizza. Una donna pallida tiene fra le braccia il suo uomo grondante di sangue, apparentemente morto. Sullo sfondo compaiono Sole e Luna simboli della battaglia fra sesso maschile e sesso femminile. In breve, alla prima del 4 luglio 1909, l’opera espressionistica suscita l’ira tra gli spettatori.

Oskar Kokoschka con la testa rasata, 1909

Per sottolineare come l’ostracismo del pubblico lo avesse colpito, Kokoschka si fa ritrarre in una foto per Der Sturm con la testa rasata. Non ha tutti i torti, dal momento che i viennesi per molto tempo non lo capiranno affatto, pur precipitandosi alle sue esposizioni, così «da ridere a crepapelle», come ricorderà Loos. I due anni della mostra Kunstschau, contribuiscono tuttavia a far conoscere il nome di Kokoschka, il quale sdegnato volge le spalle alla metropoli del Danubio e si orienta verso la Germania della rivista di Walden o della Brücke e del Blaue Reiter. Espone con Wassily Kandinsky e Franz Marc. Nel 1910, lo stesso anno in cui è fondata la Neue Secession, Kokoschka si trasferisce a Berlino. Il mercante d’arte Paul Cassirer lancia l’artista nell’ambiente internazionale e, solo nel primo anno di attività, Herwarth Walden, editore e critico d’ arte al quale Kokoschka è presentato da Loos, lo incarica di realizzare ben ventotto disegni per la rivista Der Sturm.

Oskar Kokoschka, La bella pattinatrice a rotelle,
frontespizio del periodico Der Sturm Settimanale della cultura e dell’arte, vol. 1, n° 37 (10 novembre 1910)

L’incomprensione da parte del pubblico, in effetti, intacca lo stato d’animo del giovane e gli crea problemi esistenziali. Ricorda Kokoschka nella sua biografia che, quantomeno, per tutto il 1910 quasi morì di fame, e la situazione si protrasse inizialmente anche a Berlino. Qui, però, incontra diversi scrittori e artisti dell’entourage della rivista e della galleria Der Sturm. Così commenta: «Conoscevo personalmente pochi membri del circolo Sturm e mi interessavo molto poco dei loro problemi formali o delle loro idee morali. Non ho contribuito a manifesti programmatici, nemmeno con una firma. Non avevo intenzione di sottomettere la mia indipendenza conquistata a fatica al controllo di qualcun altro. Questa è la libertà per come la intendo io». Naturalmente, i programmi d’azione di quei movimenti artistici tedeschi sono anche per lui, austriaco, di stimolo e di sostegno. Lo coinvolgono emotivamente e concretamente, sia chiamandolo a partecipare agli eventi, sia nel personale processo creativo. Anche se, in età matura, l’Espressionismo di quegli anni, in quanto a concezione del mondo (Weltanschauung), non sembrerà più appartenergli. «Non esiste – asserisce – un Espressionismo tedesco, francese o angloamericano! Ci sono solo giovani che cercano di orientarsi nel mondo».

Oskar Kokoschka, Ritratto di Hans Tietze e Erica Tietze-Conrat, 1909

Adolf Loos gli fa da mecenate: presenta il giovane pittore ai collezionisti della ricca società viennese e a metà ottobre 1909 si fa accompagnare da lui in un viaggio in Svizzera, a Leysin, vicino al lago di Ginevra. È qui che Kokoschka per la prima volta s’impegna sulla pittura di paesaggio. Ed è sempre qui, che dipinge il ritratto di Adolf Loos e di sua moglie Bessie Bruce. Con l’appoggio del suo amico architetto, da questo momento, Kokoschka si dedicherà ai ritratti e lo farà solo in questi anni. Ottiene, infatti, un inaspettato successo, tanto da farlo considerare in tale genere di pittura la punta di diamante delle avanguardie. In realtà, la maggior parte delle commissioni di Kokoschka viene da clienti di Loos, che, in un certo senso, gli ordina i ritratti ogni volta che stringe una sorta di patto con i suoi amici, dichiarandosi disponibile ad acquistarli lui stesso se avessero preferito non farlo a lavoro concluso. In pratica, a partire dal 1909, Kokoschka rompe con l’idea, comunemente diffusa, dei ritratti rappresentativi. Ciò che l’artista pone sulla tela è il proprio mondo emotivo, nell’intento di afferrare nei suoi modelli un qualche aspetto visionario, anche allontanandosi dal reale e mettendo in mostra persino la bruttezza, al punto di deformarne il corpo. Dipinge ad esempio con pennello, mani e unghie, il ritratto di Hans Tietze e Erica Tietze-Conrat nella loro biblioteca, lasciandoli liberi di continuare a lavorare alla scrivania o muoversi nell’ambiente, mentre lui li osserva. L’anno dopo altri due ritratti: il primo dedicato alla duchessa Victoire de Montesquiou-Fezensac, il secondo al marito. Dopo altri ritratti degli amici viennesi, come quello di Felix Albrecht Harta, cofondatore della Secessione viennese, il ritratto del professore Auguste Forel, famoso biologo, dell’amico Karl Kraus e dello scrittore Ludwig Ritter von Janikowsky, Kokoschka ritrae Herwarth Walden (1910), l’attore Karl Etlinger (1911), Frau Karpeles (1911) ed Emil Löwenbach (1914) e continuerà anche durante la guerra col ritratto di Hermann Schwarzwald (1916).

Oscar Kokoshka, Doppio ritratto con Alma Mahler, 1913

Il ritratto che più lo coinvolge, sicuramente, è quello di Alma Schindler, vedova da un anno del compositore Gustav Mahler, figlia del paesaggista Emil Jacob Schindler e (dopo le seconde nozze di sua madre) figliastra del pittore Carl Moll. Una delle più belle ragazze di Vienna, circondata da uno stuolo di ammiratori legati al mondo degli affari, della scienza e dell’arte, che frequentano il suo salotto. Kokoschka s’innamora perdutamente della modella al suo primo ritratto, anche se più che della donna è verosimile che sia conquistato dall’ideale femminile che rappresenta: donna seducente ed emancipata, indipendente finanziariamente, colta, artisticamente talentuosa, aspirante cantante lirica e compositrice di Lieder per voce e pianoforte. Una “leonessa dei salotti viennesi”. Da parte sua, dopo la morte del marito, Alma sta vivendo un periodo di incertezza emotiva e sentimentale. Anche se il pittore appare impacciato, timido, colpito, ne scaturiscono tre anni di passione turbolenta fra due persone che non avrebbero mai potuto vivere insieme. Con Alma, Kokoschka viaggia in Italia, dove rimangono impressionati in particolare da Tintoretto, ma soprattutto dipinge e manifesta il lato peggiore del suo carattere inquieto. Oskar e Alma stringono una relazione tanto segreta quanto segnata da scene esagitate da sospetti e litigi. Una storia che ha interessato da vicino anche un romanziere come Andrea Camilleri (La creatura del desiderio, 2013). Alma rimane incinta e asseconda Oskar a portare avanti la realizzazione di un tetto sotto cui vivere insieme. Il pittore è però folle di gelosia. Non vuole neppure che alcun ricordo appartenuto a Mahler entri nella nuova casa, neppure il busto realizzato da Auguste Rodin. Quando vede recapitare la cassetta che racchiude la maschera mortuaria di Mahler, Kokoschka stravede. La scaglia a terra e offende la giovane vedova e persino il bambino che porta in grembo. In una lettera scrive: «Non posso venire da te in pace finché so che un altro uomo, vivo o morto, ti possiede. Perché mi hai invitato a un ballo di morte e mi costringi a rimanere in silenzio, per ore e ore a guardare la tua schiavitù spirituale, mentre segui il ritmo di un uomo che fu e che deve essere un estraneo per te?». Alma decide di abortire e avviare il rapporto alla sua conclusione. Anche perché non è sola. Torna, infatti, da Walter Gropius – l’architetto che sarà uno dei fondatori del Bauhaus – col quale aveva già intessuto una romantica amicizia, quando Mahler era ancora in vita. Lo raggiunge a Berlino e lo sposa nel 1915.

Oskar Kokoschka, La sposa del vento, 1913

L’appassionato amour fou di Kokoschka si riverbera in numerose opere artistiche e letterarie. Le litografie della Bach-Kantate sono un esempio. Undici illustrazioni della cantata n. 60 di Bach, O Eternità, Tu Parola del Tuono, nelle quali Kokoschka interpreta il ruolo di Hope, mentre Alma Mahler interpreta Fear. Il dialogo tra Paura e Speranza tessuto in musica da Bach serve all’artista ad intrecciare allusioni biografiche sul suo rapporto d’amore con Alma. Lo stesso vale per il lavoro teatrale Orfeo ed Euridice. È però La sposa del vento (2014) la tela più famosa di Kokoschka, che materializza il tormento di quei giorni. I due amanti sono rappresentati sulla fragile imbarcazione della loro esistenza, appena accennata, sommersa dall’andamento ondoso, in un turbinio di pennellate dai colori freddissimi e profondi, in procinto di essere travolti. Da una parte Kokoschka raffigura la tenerezza dell’abbraccio con Alma, mentre la protegge dalle minacce incombenti, dall’altra raffigura la tempesta che a breve sconvolgerà l’Europa con la guerra. Quando l’anno seguente la relazione fra i due avrà irrimediabilmente fine e il conflitto è già in atto, il pittore non saprà darsi pace.

Oskar Kokoschka volontario nel 15° Reggimento Dragoni

All’inizio del 1915, Kokoschka compra un cavallo, che porta con sé quando si offre volontario per il fronte. «Al mio felice ritorno dalla guerra non mi avrebbe aspettato nessuna donna, nessun bambino. Di sicuro, non avevo niente da perdere in guerra né da difendere». Anche per arruolarsi la mediazione dell’amico Adolf Loos è necessaria, affinché Kokoschka possa essere ammesso nel 15° Reggimento Dragoni imperiali “Arciduca Giuseppe”, l’unità di cavalleria più illustre del regno. Le esperienze di guerra di Kokoschka in Galizia e Ucraina, così come sul fronte isontino, le sue due ferite e il suo successivo soggiorno nel sanatorio militare a Dresda – nonché gli intellettuali che incontrerà nel dopoguerra, come il dottore Fritz Neuberger, lo scrittore Walter Hasenclever o l’attrice Käthe Richter – influenzeranno la trasformazione dell’artista in un convinto oppositore della guerra e in un manifesto pacifista ad oltranza.

La creatrice di bambole Hermine Moos con la bambola realizzata per Oskar Kokoschka, 1919

Gli orrori non gli hanno fatto dimenticare, tuttavia, la sua delusione d’amore. Nell’ospedale di Dresda, trova collegamenti artistici con l’accademia locale; ma trova anche un’abile artigiana che, su sua indicazione, può realizzargli una bambola a grandezza naturale con le fattezze di Alma. Non le assomiglia granché, ma cosa importa a chi sta delirando? Fortunatamente Kokoschka rinsavisce, disfacendo la bambola e fugando i demoni che hanno pervaso la sua mente. Seguiranno anni di viaggi e peregrinazioni: in Europa, Oriente, Nord Africa. Farà ancora ritorno a Vienna, mentre la Germania di Hitler bandisce anche lui come rappresentante dell’Arte degenerata, confiscando 417 dipinti dai musei.

Oskar Kokoschka, Autobiografia
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Oskar Kokoschka, Salisburgo 1957

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Roma, Palazzo Bonaparte – BILL VIOLA. Icons of Light

Riparte la grande stagione espositiva di Palazzo Bonaparte a Roma con un’esposizione dedicata al più grande videoartista contemporaneo: BILL VIOLA.

BILL VIOLA. Icons of Light è il titolo della prossima mostra di Palazzo Bonaparte che, a partire dal 5 marzo 2022, renderà omaggio al più grande artista della videoarte dagli anni Settanta a oggi.
BILL VIOLA arriva nella Capitale e lo fa in un modo speciale.

L’artista che ha unito la dimensione spirituale orientale con quella occidentale, la storia dell’arte con la sperimentazione video, la riflessione sulla cristianità con lo zen, si confronta con la città di Roma in un luogo non convenzionale per il mondo dell’arte contemporanea.
Nei raffinati saloni che furono dimora di Madama Letizia Ramolino Bonaparte, madre di Napoleone, i visitatori saranno avvolti dalla visione delle opere di Viola, uno dei massimi rappresentanti della videoarte mondiale qui presentato da un’esposizione che attraversa tutta la sua produzione, dagli anni Settanta a oggi, dai lavori che approfondiscono il rapporto tra uomo e natura, a quelli ispirati dall’iconologia classica. Le opere entrano in dialogo con lo spazio iconico di Palazzo Bonaparte immergendo lo spettatore in un percorso che intreccia la meraviglia degli spazi barocchi del luogo con l’intensità delle video istallazioni dell’artista americano.

Bill Viola ha visto nella tecnologia video un luogo di riflessione per la nostra contemporaneità spaziando con le sue riflessioni dalla cultura buddista a quella cristiana, dal rapporto meditativo con la natura alla dimensione religiosa come nella serie dei suoi video “Passions”.
Emozioni, meditazione, passioni, emergono dai video di Viola portando lo spettatore a un viaggio interiore di estrema intensità che narra quelli che possono essere definiti i viaggi più intimi e spirituali dell’artista attraverso il mezzo elettronico.

Con la sapiente cura di Kira Perov, moglie dell’artista e direttore esecutivo del Bill Viola Studio, quarant’anni di lavoro vengono dispiegati attraverso un’accurata selezione di 15 lavori, in un percorso che inizia nel 1977-9 con The Reflecting Pool e termina nel 2014 con la serie “Martyrs” (2014) accanto a capolavori ipnotici quali Ascension (2000) e lavori della celeberrima serie dei “Water Portraits” (2013).

Una mostra concepita come un percorso immersivo nel quale il pubblico potrà accedere a spazi dall’atmosfera ovattata che ricordano luoghi di profonda intimità, quasi dei sacrari della propria memoria, un visionario spazio di culto dove il visitatore è invitato a stabilire una profonda connessione visiva e spirituale con l’opera d’arte.

Un evento unico per concedersi la possibilità di riflettere sulla vita, intraprendere il proprio viaggio interiore e immergersi in un mondo alternativo, del tutto diverso da quello che si è lasciato all’ingresso.

BILL VIOLA. Icons of Light, curata da Kira Perov è prodotta e organizzata da Arthemisia con la collaborazione del Bill Viola Studio.
La mostra vede come sponsor Generali Valore Cultura ed è consigliata da Sky Arte.
Catalogo edito da Skira e include un saggio a cura di Valentino Catricalà.

Bill Viola
The Greeting, 1995
Video/sound installation
Color video projection on large vertical screen
mounted on wall in darkened space; stereo sound
Projected image size: 2,8×2,4 m
Room dimensions: 4,3×6,7×7,6 m
10:22 minutes
Performers: Angela Black, Suzanne Peters, Bonnie Snyder
Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

LA MOSTRA

I lavori di Bill Viola presentati a Palazzo Bonaparte si dispiegano in un percorso espositivo unico, in aperto dialogo con lo spazio, rileggendolo, e riproponendolo da una prospettiva nuova, così come gli stessi video dell’artista vengono qui riletti e reinterpretati dalla dimensione spaziale che questi prendono. Un gioco di passati ricostruiti e futuri anticipati, di temporalità espanse, grazie al lavoro particolare di Viola già concepito come un lavoro all’interno dell’immagine (il video in sé) ma anche esterno (il video come medium ibrido e come apertura al dialogo con lo spazio in cui è installato).

A differenza degli altri artisti della sua generazione, Bill Viola già dai primi anni Settanta inizia ad annullare il troppo tecnologismo sperimentale, tornando agli elementi di base della tecnologia video (il monitor e la telecamera) fino addirittura a superare il medium arrivando allo studio degli elementi naturali di base che rendono possibile l’avvento di qualsiasi immagine come la luce, il tempo, lo spazio.

Il video diventa con Viola uno dei media a disposizione dell’arte contemporanea, un nuovo mezzo attraverso il cui linguaggio poter indagare una più profonda conoscenza dell’uomo e il suo rapporto con l’ambiente, gli intrecci tra tradizione orientale e occidentale, l’importanza iconica degli elementi naturali, e molte altre tematiche a cuore dell’artista. Un passaggio che ci fa capire quanto Viola, riletto oggi, possa essere una figura chiave non solo per la storia della videoarte, ma anche per la storia dell’arte più in generale. Un artista attraverso cui poter comprendere gli ultimi quarant’anni di cultura visiva.

I temi trattati sono visibili in mostra già dalla prima proiezione The Reflecting Pool (1977-79). Come in una metafora della nascita e della creazione, un uomo (l’artista stesso) sta in piedi al bordo di una piscina immersa nella natura e il suo riflesso nell’acqua: due temporalità (quella dell’immagine riflessa nell’acqua e l’ambiente intorno), due mondi (uno reale/virtuale e uno virtuale), due culture (uomo e natura); ma anche Oriente e Occidente, lo Yin e Yang, un lavoro sugli intrecci e le relazioni degli opposti.

La foresta, gli alberi, le piante, sono protagonisti nel video Study for The Path (2002). L’ambiente, il bosco, è fisso, ciò che cambia è il continuo passare di persone che da sinistra attraversano il video verso destra. Famiglie, uomini, donne, bambini, camminano in un processo continuo in cui il concetto di inizio e fine viene a dissolversi. Un altro passaggio di stadi esistenziali, un altro lavoro su quella linea sottile che divide gli opposti fisici, spirituali, naturali.

Observance (2002), uno studio della perdita e del dolore nelle sue molteplici espressioni personali, va concepita come una pittura in movimento, lentamente delle persone si avvicinano allo schermo guardando lo spettatore con aria sofferente. Non è più il fruitore dell’opera a guardare, ma è quest’ultimo l’oggetto guardato. In questo modo l’artista amplifica ulteriormente il processo di identificazione emotiva e, non a caso, l’opera è parte della serie “Passions”. La tradizione pittorica italiana, fonte di ispirazione per l’artista, è qui riletta in chiave moderna: a passare davanti allo schermo sono persone vestite con abiti contemporanei.

La mostra continua con un’opera, poco conosciuta al grande pubblico e non immediatamente ascrivibile al classico lavoro dell’artista americano: Unspoken (Silver & Gold) (2001).
Qui l’artista fa uso espressivo del volto umano concepito ancora una volta come soglia fra un esterno (ciò che noi vediamo del volto) e un interno (il nascosto delle emozioni). Unspoken – attraverso l’uso di una delicata proiezione su due pannelli (uno in foglia d’argento e l’altro in foglia d’oro) – riflette in proiezioni in bianco e nero le emozioni di due persone in una relazione separata dalle loro cornici. Entrambi i pezzi, Observance e Unspoken, sono della serie “Passions, opere che ritraggono emozioni al rallentatore estremo, incarnando l’umanesimo dei dipinti del Rinascimento.

Alla fine degli anni Ottanta Viola si trova di fronte a un grande periodo di crisi creativa ed è qui che l’artista inizia a pensare a una nuova composizione dell’immagine attraverso la costruzione di vere e proprie scene, quasi cinematografiche, ispirate alla tradizione storica artistica occidentale. Un approccio cinematografico nel vero senso della parola: ambientazioni, attori, set, disposizione delle luci, fotografia, una vera e propria regia, quindi. Da qui il famoso e fondamentale The Greeting (1995), qui esposto, ispirato alla Visitazione del Pontormo (1528-9). Due donne che parlano vestite con abiti del ‘500, come nel dipinto originale, interrotte da una terza donna che entra nella scena abbracciando e salutando. Il tutto con movimenti lenti all’interno di un’ambientazione che richiama quella del dipinto del Pontormo, ma che lo stesso artista definisce “industriale”. Un evento che si svolge in 45 secondi è esteso a oltre 10 minuti. Come osserva Kira Perov nella sua prefazione al catalogo: “Il tempo è malleabile nelle mani di Bill Viola, dove ogni dettaglio del movimento e dell’espressione del viso e del corpo è visibile, dove un momento diventa eternità.

Da qui in poi il lavoro di Bill Viola verrà sempre più identificato da questo stile in cui una parte determinante prenderà la formalizzazione dell’emozione, uno dei centri del suo lavoro.
Lo vediamo questo in Ascension (2000), che riprende il tema dell’acqua come elemento naturale, sperimentazione della natura ciclica della nostra esistenza e simbolo di nascita e di rinascita, per la cultura Occidentale, ma anche di purificazione nella cultura giapponese.

Allo stesso modo Three Women (2008) riprende il tema dell’acqua e, in questo caso, non come immersione (come in Ascension), ma come passaggio da una forma all’altra. Una madre e due figlie passano attraverso un muro d’acqua, una linea di confine tra vita e morte, luce e ombra, da una forma di esistenza immateriale a una in carne e ossa.

Dagli anni Novanta, il lavoro di Viola si sviluppa sempre più all’interno di una dimensione performativa, in cui il corpo dell’attore diventa fondamentale.
Lo vediamo nella serie dei “Water Potraits” (2013). Attori sott’acqua con espressioni rilassate, in pace con il mondo, attraversate dall’acqua, da quell’acqua che è per Viola l’elemento base della vita. Come l’immagine video, l’acqua fluisce e modifica, metafora del tempo in continuo cambiamento. Figure subacquee che non aprono gli occhi, e non prendono fiato, fluttuanti tranquille, sospese nel tempo.

Gli elementi naturali tornano prepotentemente nei video della serie “Martyrs” (2014). Terra, Aria, Fuoco e Acqua sono qui rappresentati da quattro diverse persone immobili che gradualmente vengono disturbati e infine sovrastati dall’elemento naturale di riferimento. È qui rappresentata l’accettazione finale della morte. “Martire” viene dal greco e vuol dire “testimone” e, per l’artista, queste persone sono testimoni di valori fondamentali della nostra cultura quali azione, coraggio, perseveranza, resistenza e sacrificio.

L’ARTISTA

Bill Viola, nato nel 1951, è un pioniere nello sviluppo del video come mezzo principale di arte contemporanea. Da oltre 40 anni realizza lavori che si rivolgono costantemente alla vita, la morte e il viaggio intermedio. Nato a New York City, Viola si è laureato nel 1973 presso il College of Visual and Performing Arts della Syracuse University, dove ha studiato musica elettronica, performance art e film sperimentali e ha creato il suo primo video funziona con la tempestiva invenzione della videocamera/registratore portatile nel 1967.

Dopo la laurea, Viola ha trascorso 18 mesi a lavorare a Firenze, dove per la prima volta respira l’arte e l’architettura Rinascimentale. I suoi viaggi lo portano anche in terre lontane, come nelle Isole Salomone nel Pacifico meridionale e in Australia. In seguito, insieme a Kira Perov, sua moglie e collaboratrice, vive in Giappone dal 1980 al 1981, studiando la filosofia buddista Zen e sperimentando l’architettura, la calligrafia, il teatro Noh e molti altri aspetti della cultura giapponese che hanno influenzato il suo lavoro. Insieme si trasferiscono poi nel sud della California, sebbene lunghi viaggi continuino a portarli in luoghi come i monasteri buddisti tibetani di Ladakh nel nord dell’India, nelle Isole Fiji per filmare le cerimonie di camminata sul fuoco indù, ma anche nei siti archeologici dei nativi americani nel sud-ovest degli Stati Uniti con una spedizione di cinque mesi.
Tra le molte altre mostre personali, Viola ha rappresentato gli Stati Uniti nel 1995 alla Venezia Biennale, e due anni dopo, una sua importante rassegna organizzata dal Whitney Museum of American Art di New York ha viaggiato a livello internazionale.

Attualmente Bill Viola e Kira Perov vivono a Long Beach, in California.


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