Venezia: prima mostra a Leblon, nuovo Spazio espositivo, HEAVEN CAN WAIT? è “un manifesto per l’inclusione”

Alberto la Tassa, La Creazione

La prima mostra a Leblon, nuovo Spazio espositivo, HEAVEN CAN WAIT? è “un manifesto per l’inclusione”.

In mostra un’opera benedetta da Papa Francesco.

HEAVEN CAN WAIT?

Opening venerdì 5 agosto 2022 – ore 18:00
Itinerarte Gallery, Campo della Carità, 1046, Venezia

05.08 > 25.08.2022

Venerdì 5 agosto 2022 alle ore 18:00, alla presenza degli artisti, a Itinerarte Gallery si terrà l’Opening di HEAVEN CAN WAIT in Campo della Carità, 1046, subito dietro le Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Gli artisti Alberto La Tassa, Carlos Araujo, Ettore Marinelli e Leone Solia, trovano attraverso il rispetto reciproco e il dialogo un punto di collegamento nella ricerca della loro libertà individuale, ognuno attraverso la propria visione. Il percorso espositivo sarà diviso in due parti e al centro, irraggiungibile, sarà possibile ammirare il Cristo in bronzo benedetto da Papa Francesco e realizzato da Ettore Marinelli, “il principe del bronzo”, ventisettesima generazione della lunga saga di artigiani della Pontificia Fonderia Marinelli.

Accanto a lui, Carlos Araujo, le cui opere sacre di figurazione astratta sono state esposte nel Pantheon, e Alberto La Tassa, la cui rappresentazione della forma umana, virtuosamente modellata, risuona con il divino in una collaborazione venuta dal cielo.

Posto volutamente in antitesi, trova spazio l’opera di Leone Solia, che ha riscosso un grande successo nel corso della Venice Art Night. Il giovane artista milanese esplora l’intreccio tra divino e profano facendo da contrappunto all’insieme delle opere esposte.

La mostra, che rimarrà aperta fino al 25 agosto, sancisce l’inizio di un percorso artistico, filosofico e culturale che questa galleria, di proprietà di Maria Novella Papafava dei Carraresi e gestita dal giovane brasiliano, che sta diventando cittadino veneziano a tutti gli effetti, Nicolas Fiedler, svilupperà con il Progetto Leblon Art Experience. Si vuole offrire allo spettatore la libertà di scegliere quale realtà esplorare, nel tentativo di avvicinarsi a una comprensione più profonda delle diverse e sottili sfumature dell’esistenza. Leblon Art Experience è uno spazio che si definisce inclusivo, aperto, democratico, capace di generare un dialogo tra voci diverse, uniche, e che vogliono esprimere la loro forte individualità. La mostra rimarrà aperta fino al 25 agosto 2022.


Ufficio stampa e comunicazione

Davide Federici 
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Bando “Pac – Piano per l’arte contemporanea”: MAMbo e Fondazione Rocca dei Bentivoglio tra i vincitori della sezione “acquisizione”

“I am with you, I have always been with you, don’t be afraid”
opera di Antonello Ghezzi che ha come obiettivo quello di creare una riflessione sull’appartenenza a un’unica nazione,
quella che si identifica con il cielo, la via Lattea

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna è risultato tra gli enti proponenti selezionati nell’ambito dell’avviso pubblico PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per le proposte progettuali per l’acquisizione, la produzione e la valorizzazione di opere dell’arte e della creatività contemporanee destinate al patrimonio pubblico italiano.

Il progetto scientifico candidato dal MAMbo – ammesso al finanziamento nell’ambito specifico di intervento 1 (Acquisizione) – è denominato Immagini d’autore come opere e come fonti per la ricerca storica e prevede l’acquisizione di manufatti fotografici e audiovisivi d’autore relativi in particolare alle Settimane Internazionali della Performance, che si tennero dal 1977 al 1982, nonché ai primi anni di attività del museo nella sede della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, appositamente costruita presso il Fiera District e inaugurata nel 1975.

Ci sono anche il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e la Fondazione Rocca dei Bentivogliodi Valsamoggia tra le 18 realtà italiane vincitrici della sezione “acquisizione” del bando “PAC – PIANO PER L’ARTE CONTEMPORANEA” promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per le proposte progettuali per l’acquisizione, la produzione e la valorizzazione di opere dell’arte e della creatività contemporanee destinate al patrimonio pubblico italiano. Alle due realtà bolognesi vanno complessivamente oltre 180mila euro.

Grazie a questo importante riconoscimento assegnato al progetto Immagini d’autore come opere e come fonti per la ricerca storica,il MAMbo potrà incrementare le proprie raccolte, acquisendo manufatti fotografici e audiovisivi d’autore relativi in particolare alle Settimane Internazionali della Performance, che si tennero dal 1977 al 1982, nonché ai primi anni di attività del museo nella sede della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, appositamente costruita presso il Fiera District e inaugurata nel 1975. Ad arricchire il patrimonio del museo, che ha recentemente dedicato al tema la sezione espositiva della collezione permanente Rilevamenti d’archivio. Le Settimane Internazionali della Performance e gli anni ’60 e ’70 a Bologna e in Emilia Romagna, arriveranno opere e documenti di: Silvia Lelli, Franco Vaccari, Enrico Scuro, Emanuele Angiuli, Mario Carbone, Antonio Masotti.
“Essere tra i vincitori dell’edizione 2021 del PAC – commenta il direttore del MAMbo Lorenzo Balbi – è particolarmente importante perché andrà oltre la produzione di un’opera o la valorizzazione di un singolo artista, consentendo l’acquisizione di materiali d’archivio che documentano uno dei periodi più vitali della storia artistica del museo e della città di Bologna. Le raccolte pubbliche del Settore Musei Civici Bologna si arricchiscono così di opere fotografiche, video, documenti, oggetti, testimonianze e fonti che renderanno più completa l’esperienza di visitatori e studiosi, supporteranno la ricerca storico-artistica e forniranno terreno fertile per progetti di divulgazione e attività educative.”

“I am with you, I have always been with you, don’t be afraid” ,titolo dell’opera giudicata meritevole di finanziamento presentata dalla Fondazione Rocca dei Bentivoglio, espressione culturale del Comune di Valsamoggia, è un’installazione-bandiera del duo artistico AntonelloGhezzi che raffigura una foto digitale (scattata in Cile allo European Southern Observatory, libera da diritti d’autore e in seguito modificata) della Via Lattea. L’opera è dedicata ai cittadini di Beirut in seguito all’esplosione avvenuta nella città il 4 agosto 2020 riportando idealmente le parole di conforto che le stelle ci rivolgono durante le difficoltà: “I am with you, I have always been with you, don’t be afraid.
Nell’intenzione degli artisti, la bandiera della Via Lattea è quella che chiunque nel mondo potrebbe considerare come propria ovvero immaginando un mondo libero di confini nazionali e politici. L’opera verrà installata nello spazio esterno della Rocca dei Bentivoglio di Bazzano, sede anche del Museo civico archeologico, primo affaccio collinare sulla pianura padana, ad accompagnare altre sculture e opere già collocate e a segnare un legame tra collezione e luoghi antichi (ed appartenenti alla storia) e l’arte contemporanea, che interpreta l’attualità.
“Con questa operazione – commenta con soddisfazione Elio Rigillo, direttore della Fondazione Rocca dei Bentivoglio –, il Museo Civico Archeologico Arsenio Crespellani conferma la propria vocazione ad abbinare la collezione antica con una collezione di arte contemporanea, sul solco di quanto già fatto qualche anno fa con Italian Council e l’opera site specific di Flavio Favelli. AntonelloGhezzi è un duo artistico di grande prospettiva, che ha ottenuto già importanti riconoscimenti. Realizzeranno un’opera che vorremmo incidesse nel sentimento collettivo, nell’immaginario comune, a partire dalla sua collocazione, in quel parco, adiacente alla Rocca ed al Museo, che già ospita le opere di Pirro Cuniberti, Francesco Finotti e del simposio di scultura realizzato nel 2014 con l’Accademia di Belle Arti di Carrara”.
“Siamo molto felici di questo prestigioso riconoscimento – aggiunge il duo vincitore AntonelloGhezzi composto da Nadia Antonello e Paolo Ghezzi –, soprattutto per il grande valore simbolico che attribuiamo a quest’opera. È un lavoro che ci invita a considerarci parte di un tutto, che ci unisce come umanità sotto un’unica bandiera che non conosce divisioni né barriere. Quando il nostro sguardo si fa ampio e ci vediamo da lontano, anzi da lontanissimo, ecco che le nostre differenze finalmente spariscono”.


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ARTHEMISIA, le mostre d’autunno – Roma, Palazzo Cipolla, RAOUL DUFY

Raoul Dufy
Paysage de Sicile, Taormine, 1923
Huile sur toile
46×55 cm
MAM Paris
Paris Musées / Musée d’Art Moderne
Droits d’auteur © ADAGP
© Raul Dufy by SIAE 2022

RAOUL DUFY
Il pittore della gioia
Roma, Palazzo Cipolla
14 ottobre 2022 – 26 febbraio 2023

La pittura, i soggetti e i colori sgargianti saranno i protagonisti della prima grande esposizione in Italia dedicata al grande artista Raoul Dufy, ospitata a Palazzo Cipolla di Roma dal 14 ottobre.
Dufy, il pittore della gioia, della luce e del colore contribuì a cambiare il gusto del pubblico della prima metà del ‘900 adattando le sue innovazioni e la sua vivacità a tutte le arti decorative.
Con 160 opere provenienti dalle più importanti collezioni pubbliche e private francesi, la mostra percorre l’intera parabola artistica di uno dei più grandi interpreti della storia dell’arte, a cavallo tra impressionismo e fauvismo.

Dal 14 ottobre 2022, le sale di Palazzo Cipolla ospitano la prima grande esposizione mai realizzata in Italia e dedicata a uno dei maestri dell’arte moderna: RAOUL DUFY (Le Havre, 3 giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953). Autore di opere monumentali come La Fée Electricité (1937 – 1938) – uno dei dipinti più grandi al mondo, di una lunghezza complessiva di 6 metri, composto da 250 pannelli e commissionatogli dalla “Compagnie parisienne de distribution d’électricité” per essere esposto nel Padiglione dell’elettricità al World’s World del 1937 -, Dufy fu un grande pittore, scenografo e disegnatore francese di inizio ‘900 che, per la sua capacità di catturare le atmosfere, i colori e l’intensità della luce e a trasferirli sulle sue tele, divenne – per antonomasia – il pittore della gioia e della luce.

Nacque da una famiglia di modeste condizioni economiche ed ebbe un padre attivo come organista che trasferì in particolare a Raoul la sua stessa passione per la musica, che lui coltivò per tutto il resto della vita trasponendola anche nelle sue opere.
In seguito a una crisi finanziaria della famiglia, nel 1891 il giovane Raoul fu costretto a cercare lavoro a Le Havre.

Nell’ambiente artistico straordinariamente stimolante di Parigi si avvicinò a due maestri dell’impressionismo come Monet e Pissarro ma, nel 1905, lo scandalo dei Fauves gli rivelò una pittura moderna e “di tendenza” che lo portò ad avvicinarsi a Matisse.
Il 1903 fu l’anno della sua prima volta al Salon des Indépendants, nel quale espose fino al 1936 e poi fu accettato nel 1906 al Salon d’Automne (fino al 1943).

La sua attività artistica non conobbe interruzioni e, dal 1910, ampliò la sua attività nel campo delle arti decorative affermandosi con successo in una produzione assai vasta, dalla xilografia alla pittura e alla grafica, dalle ceramiche ai tessuti, dalle illustrazioni alle scenografie. Con un’attività artistica che non conobbe interruzioni fino alla sua morte, tutto ciò gli consentì di recuperare la sua tavolozza squillante, cui sovrappose un tocco grafico vibrante e allusivo.

La mostra Raoul Dufy. Il pittore della gioia, con oltre 160 opere tra dipinti, disegni, ceramiche e tessuti provenienti da rinomate collezioni pubbliche e private francesi – come il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris che conserva di Dufy una delle più ricche collezioni, dal Centre PompidouPalais Galliera, la Bibliothèque Forney e la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet tutte di Parigi insieme al Musée de la LoireMusée des Tissus et des Arts Décoratifs di Lione, il Musée des Beaux-Arts Jules Chéret di Nizza e al Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles – racconta la vita e l’opera di un artista con lo sguardo sempre rivolto alla modernità, pervaso da una vivacità che ha saputo adattare a tutte le arti decorative, contribuendo a cambiare il gusto del pubblico.

Curata da Sophie Krebs, conservatrice generale del patrimonio del museo parigino, la mostra è un viaggio emozionale attraverso i temi prediletti dall’artista, dove le sensazioni visive ridotte all’essenza della realtà, l’utilizzo della composizione, della luce e del colore sono gli elementi emblematici che caratterizzano le sue opere.

Suddivisa in 14 sezioni tematiche, la mostra racconta l’intero percorso artistico del pittore francese, attraverso molteplici opere che abbracciano varie tecniche nei diversi decenni del Novecento, dagli inizi fino agli anni Cinquanta, quando Dufy cercò nuovi temi a causa della guerra e della malattia che lo costrinse a rimanere nel suo studio nel sud della Francia.
Un excursus che trova il suo leitmotiv nella violenza cromatica, nella magia di quel colore che diventa elemento indispensabile per la comunicazione di emozioni e stati d’animo.
Un’evoluzione che vede Dufy inizialmente prosecutore di quella tradizione impressionista germogliata con Monet proprio nella sua città natale di Le Havre e poi insieme ai Fauve che, radunati attorno alla figura di Matisse, reagiranno presto alla pittura d’atmosfera e a quel dipingere dominato dalle sensazioni visive, per poi approdare infine ad abbracciare l’austerità cezanniana con la quale le forme, le zone piatte di colori accesi o addirittura violenti sono indipendenti dalla linea che accenna appena a circoscriverle.

Onde a V rovesciata, nuvole e un mondo di forme: bagnanti, uccelli, cavalli, paesaggi ispirati sia dalla modernità che dal classicismo.
Sensibile all’aria del proprio tempo, si interessa alla società dell’intrattenimento con le sue corse, le regate, gli spettacoli elitari e popolari al contempo che Dufy riproduce con brio e vivacità.
Un artista alla perenne ricerca di stimoli e sperimentazione, in grado di rendere l’arte impegnata ma allo stesso tempo apparentemente “leggera”, il cui scopo dichiarato era, come scrive la scrittrice americana Gertrude Stein, di arrecare piacere.

La mostra, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale per volontà del suo Presidente Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, è realizzata da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ideata dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Paris Musées e curata da Sophie Krebs, conservatrice generale dello stesso museo parigino.
Catalogo edito da Skira.


Info e prenotazioni
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Ufficio StampaArthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
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04- Letture estive: “Feria d’agosto” di Cesare Pavese – La Langa

La scelta delle letture estive è talmente impegnativa che si preferirebbe essere già a settembre. Naturalmente stiamo scherzando, perché i suggerimenti offerti sono talmente tanti che potremmo trascorrere tutto il tempo a passarli in rassegna. La Redazione Il Libraio, ad esempio, fornisce una lunga e documentata lista di Libri da leggere: oltre 200 consigli per l’estate 2022. Dovete solo acquistare il libro che preferite e portarvelo sotto l’ombrellone.

In verità, l’espressione “libro da ombrellone” sembra alquanto irriverente trattandosi di letture, che certo non vorremmo fossero del tutto disimpegnate e superficiali. La proposta che vi facciamo è, quindi, (ri)scoprire un bel libro di un grande autore italiano del Novecento. Un libro solo, da leggere, capitolo dopo capitolo, dovunque voi siate.

Feria d’agosto di Cesare Pavese, raccoglie brevi racconti incentrati sugli anni giovanili dell’autore: la vita in campagna, le vigne, l’infanzia in contrapposizione col mondo degli adulti, la voglia di lasciare quelle colline e conoscere il mondo. Infine, la città, le case, le feste, le amicizie. Sono temi che si ritrovano anche in altri capolavori di Cesare Pavese. Sono i temi che per tutto il mese d’agosto ci accompagneranno sulle pagine di Experiences. Buona lettura e buone ferie, per voi e per noi.

Parte prima: il mare

La Langa

Io sono un uomo molto ambizioso e lasciai da giovane il mio paese, con l’idea fissa di diventare qualcuno. Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome – ripeto – sono ambizioso, volevo girar tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti: «Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là!» Certi giorni, studiavo con più attenzione del solito il profilo della collina, poi chiudevo gli occhi e mi fingevo di essere già per il mondo a ripensare per filo e per segno al noto paesaggio.

Così, andai per il mondo e vi ebbi una certa fortuna. Non posso dire di essere, più di un altro, diventato qualcuno, perché conobbi tanti che – chi per un motivo chi per un altro – sono diventati qualcuno, che, se fossi ancora in tempo, smetterei volentieri di arrovellarmi dietro a queste chimere. Attualmente la mia ambizione sempre insonne mi suggerirebbe di distinguermi, se mai, con la rinuncia, ma non sempre si può fare ciò che si vorrebbe. Basti dire che vissi in una grande città e feci perfino molti viaggi per mare e, un giorno che mi trovavo all’estero, fui lì lì per sposare una ragazza bella e ricca, che aveva le mie stesse ambizioni e mi voleva un gran bene. Non lo feci, perché avrei dovuto stabilirmi laggiù e rinunciare per sempre alla mia terra.

Un bel giorno tornai invece a casa e rivisitai le mie colline. Dei miei non c’era più nessuno, ma le piante e le case restavano, e anche qualche faccia nota. Lo stradone provinciale e la piazzetta erano molto piú angusti di come me li ricordavo, più terra terra, e soltanto il profilo lontano della collina non aveva scapitato. Le sere di quell’estate, dal balcone dell’albergo, guardai sovente la collina e pensai che in tutti quegli anni non mi ero ricordato di inorgoglirmene come avevo progettato. Mi accadeva se mai, adesso, di vantarmi con vecchi compaesani della molta strada che avevo fatta e dei porti e delle stazioni dov’ero passato. Tutto questo mi dava una malinconia che da un pezzo non provavo più ma che non mi dispiaceva.

In questi casi ci si sposa, e la voce della vallata era infatti ch’io fossi tornato per scegliermi una moglie. Diverse famiglie, anche contadine, si fecero visitare perché vedessi le figliole. Mi piacque che in nessun caso cercarono di apparirmi diversi da come li ricordavo: i campagnoli mi condussero alla stalla e portarono da bere nell’aia, i borghesi mi accolsero nel salottino disusato e stemmo seduti in cerchio fra le tendine pesanti mentre fuori era estate. Neanche questi tuttavia mi delusero: accadeva che in certe figliole che scherzavano imbarazzate riconoscessi le inflessioni e gli sguardi che mi erano balenati dalle finestre o sulle soglie quand’ero ragazzo. Ma tutti dicevano ch’era una bella cosa ricordarsi del paese e ritornarci come facevo io, ne vantavano i terreni, ne vantavano i raccolti e la bontà della gente e del vino. Anche l’indole dei paesani, un’indole singolarmente fegatosa e taciturna, veniva citata e illustrata interminabilmente, tanto da farmi sorridere.

Io non mi sposai. Capii subito che se mi fossi portata dietro in città una di quelle ragazze, anche la più sveglia, avrei avuto il mio paese in casa e non avrei mai più potuto ricordarmelo come adesso me n’era tornato il gusto. Ciascuna di loro, ciascuno di quei contadini e possidenti, era soltanto una parte del mio paese, rappresentava una villa, un podere, una costa sola. E invece io ce l’avevo nella memoria tutto quanto, ero io stesso il mio paese: bastava che chiudessi gli occhi e mi raccogliessi, non più per dire «Conoscete quei quattro tetti?», ma per sentire che il mio sangue, le mie ossa, il mio respiro, tutto era fatto di quella sostanza e oltre me e quella terra non esisteva nulla.

Non so chi ha detto che bisogna andar cauti, quando si è ragazzi, nel fare progetti, poiché questi si avverano sempre nella maturità. Se questo è vero, una volta di piú vuol dire che tutto il nostro destino è già stampato nelle nostre ossa, prima ancora che abbiamo l’età della ragione.

Io, per me, ne sono convinto, ma penso a volte che è sempre possibile commettere errori che ci costringeranno a tradire questo destino. È per questo che tanta gente sbaglia sposandosi. Nei progetti del ragazzo non c’è evidentemente mai nulla a questo proposito, e la decisione va presa a tutto rischio del proprio destino. Al mio paese, chi s’innamora viene canzonato; chi si sposa, lodato, quando non muti in nulla la sua vita.

Ripresi dunque a viaggiare, promettendo in paese che sarei tornato presto. Nei primi tempi lo credevo, tanto le colline e il dialetto mi stavano nitidi nel cervello. Non avevo bisogno di contrapporli con nostalgia ai miei ambienti consueti. Sapevo ch’erano lì, e soprattutto sapevo ch’io venivo di là, che tutto ciò che di quella terra contava era chiuso nel mio corpo e nella mia coscienza. Ma ormai sono passati degli anni e ho tanto rimandato il mio ritorno che quasi non oso più prendere quel treno. In mia presenza i compaesani capirebbero che li ho giocati, che li ho lasciati discorrere delle virtù della mia terra soltanto per ritrovarla e portarmela via. Capirebbero adesso tutta l’ambizione del ragazzo che avevano dimenticato.


Edizione completa sulla pagina dedicata a Feria d’agosto di liberliber.it . Testo digitalizzato da Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it, revisionato da Catia Righi, catia_righi@tin.it, e Ugo Santamaria.