Roma, Palazzo Bonaparte: Grande successo della mostra “JAGO. THE EXHIBITION” che chiude a oltre 140mila visitatori

Curata da Maria Teresa Benedetti, l’esposizione JAGO. The Exhibition è prodotta e organizzata da Arthemisia con la collaborazione di Jago Art Studio.
L’evento è consigliato da Sky Arte.

JAGO
The exhibition

Palazzo Bonaparte, Roma

Jago
Venere, 2018
Marmo, 70x70x193 cm
Photo by Jago
TESTO CRITICO DI VITTORIO SGARBI

Sono state lunghissime le file che, questo fine settimana, hanno caratterizzato gli ultimi giorni di apertura della prima grande mostra dedicata a JAGO e ospitata a Palazzo Bonaparte di Roma.
Infatti, sono 140.382 i visitatori e gli appassionati del lavoro del giovane scultore italiano che, dallo scorso 12 marzo, hanno contribuito al successo della mostra.

Amato per il suo indiscusso talento creativo ma anche per la sua grande forza nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione, tra visite guidate, firmacopie e incontri con l’artista, sono circa 80.000 i giovani under 35 che, catturati dall’inconfondibile stile di Jago, si sono rivelati un elemento fondamentale per il successo della mostra, riscontabile nell’attiva partecipazione a tutte le attività collaterali organizzate in occasione dell’esposizione stessa, ma anche sul web e nelle migliaia di interazioni e condivisioni sui social network.

Un grande orgoglio per Arthemisia, da sempre impegnata a diffondere, far conoscere e far avvicinare il grande pubblico all’Arte, sempre con un occhio di riguardo alle esigenze dei più affezionati fruitori dell’arte più “classica” ma anche in grado di saper intercettare nuove realtà nel mondo del contemporaneo.

A nome di tutta Arthemisia, sono davvero lieta – dice la Presidente Iole Siena – del grande risultato ottenuto dalla mostra. Un progetto nato da un incontro quasi del tutto casuale con Jago, che ho apprezzato fin da subito per la sua capacità, come artista ma anche come comunicatore, per la sua onestà e i suoi principi. È l’emblema dell’artista contemporaneo. Insieme all’instancabile e visionaria Maria Teresa Benedetti, tra noi si è istaurato un feeling immediato che ci ha portato ad affrontare questa sfida, che oggi si conclude con un esito strabiliante.
Senza mai aver paura, Arthemisia da sempre è alla ricerca di nuovi progetti da proporre al suo pubblico e la sola idea – peraltro confermata in questo caso – che l’arte possa giungere in maniera così forte ai giovanissimi non fa che renderci fieri di quel che facciamo. Perchè questa è la nostra missione: amiamo l’arte e vogliamo che sempre più gente possa amarla.

La mostra JAGO. The Exhibition è stata prodotta e organizzata da Arthemisia con la collaborazione di Jago Art Studio e curata da Maria Teresa Benedetti.
L’evento è stato consigliato da Sky Arte.

LA MOSTRA


Emblema dell’artista contemporaneo, che unisce talento creativo e rara abilità comunicativa,
Jago afferma di sé: “mi considero un uomo e uno scultore del mio tempo. Utilizzo il marmo
come materiale nobile legato alla tradizione ma tratto temi fondamentali dell’epoca in cui vivo. Il
legame col mondo è fortissimo. Guardo a ciò che mi circonda, gli do forma e lo condivido.”
Scultore e comunicatore, Jago incarna la complessa figura dell’artista che si affida solo a sé
stesso senza mediazioni, assumendosi per intero il compito di dialogare con il mondo.
Attraverso le sue opere fornisce al pubblico una lettura personale della storia, risignificandola e
utilizzando un materiale nobile come il marmo, appartenente alla tradizione, e procedimenti
esecutivi classici (dal disegno al modello, dal bozzetto d’argilla al calco in gesso), insieme
all’adozione della figura umana come soggetto prevalente.
Un codice e un linguaggio si esprimono nell’asperità di superfici ruvide, lontane dalla
levigatezza, dalla lucentezza e dalla grazia di molte sculture del passato, ribadendo l’aspetto
contemporaneo di un’inevitabile corrosione del tempo.
Nella puntuale ricerca di stimoli sempre nuovi, emerge in Jago un preciso interesse per
elementi apparentemente inanimati da valorizzare, tale è il caso del sasso, scarto del processo
di cavatura del marmo gettato nel fiume, forma capace di sollecitare emozioni e sviluppi.

È il caso dell’opera giovanile La pelle dentro dove la capacità dell’arto di penetrare in maniera
veemente all’interno della materia è in grado di enucleare una forma che lo rappresenti. Il
lavorio incessante dell’acqua sul sasso diviene metafora dell’intervento creativo e la mano è
emblematicamente assunta a strumento principe di ogni possibile realizzazione. È la mano dello
scultore, strumento fondamentale per ogni operazione creativa.
In Memoria di sé l’immagine di un bambino rispecchia lo scorrere dell’esistenza di un adulto. È
un inno alla vita nel modo di unificarne gli aspetti fondamentali attraverso la circolarità delle
emozioni.
Altrove, come in Excalibur, il sasso è assunto sfrontatamente a contenitore per la
rappresentazione del kalašnikov, vistoso strumento della violenza in atto. Un rapporto tra
l’aggressività e l’antico ideale cavalleresco citato nel titolo è segno di ironico contrappasso o
ampliamento di contenuti ambiguamente presenti.
Dagli elementi evidenti in natura Jago passa a entità più scopertamente fisiche e anatomiche.
Si allude ad Apparato Circolatorio, rappresentazione iconica del battito cardiaco in ognuna delle
sue fasi dedicata a un amico scomparso. Un cuore continua a battere al di là della vita, nel
pensiero di chi è stato amato. Ecco un modo di connotare di significati un’operazione nata
all’insegna dell’individuazione di meccanismi biologici.
La nudità del pontefice emerito in Habemus Hominem è sigillo di un gesto di radicale
spoliazione. Il corpo di Papa Benedetto XVI risulta denudato, il volto sorride con inedita
dolcezza, il busto emaciato fa emergere l’umanità creaturale di chi è tornato a essere uomo.
Venere è bruscamente sottratta a significati tradizionali, privata di giovinezza e di ogni
seduzione estetica, scelta allusiva a valori altri assertori di una diversa verità. Ciò non esclude
che l’atteggiamento delle braccia si richiami ancora ad un’antica grazia.
Simbolico indizio di sofferenze atemporali è la figura del Figlio Velato, proveniente dalla
Cappella dei Bianchi nel napoletano rione Sanità. Il fanciullo che giace inerme su una lastra
marmorea racconta di una sorte oscura e drammatica, lo scacco di tanti innocenti che
affrontano un cammino ricco di insidie, senza riuscire a toccare un approdo.
Allo stesso modo una forte carica evocativa si riscontra nella Pietà, icona simbolica dell’arte di
Jago, accolta in Santa Maria in Montesanto a Roma da un pubblico di straordinarie dimensioni.
Un uomo desolato sorregge il corpo inanimato di un adolescente, offrendo un’impressione di
grandiosità scabra e solenne.
Come brusca successione temporale, additiamo la presenza nell’esposizione di un piccolo feto
scolpito in marmo (The First Baby), affidato alle cure dell’astronauta Luca Parmitano. Portato
nello spazio nel 2019, tornato in Terra l’anno successivo, rappresenta un modo di dilatare la
presenza umana verso confini sempre più ampi.
Una mostra – per citare la curatrice Maria Teresa Benedetti – nella quale “Si può essere sedotti
dai nuovi linguaggi ampiamente adottati nella pratica artistica contemporanea, avvertire
l’innegabile appeal della digital life, ma si può anche intuire la necessità di non escludere la
storia, custode di valori che arricchiscono il nostro presente, pure così dirompentemente
diverso.”

L’ARTISTA

Jago
Photo by Dirk Vogel

JAGO è un artista italiano che opera nel campo della scultura, grafica e produzione video.
Nasce a Frosinone (Italia) nel 1987, dove ha frequentato il liceo artistico e poi il Accademia di Belle Arti (lasciata nel 2010).

Dal 2016, anno della sua prima mostra personale nella capitale italiana, ha vissuto e lavorato in Italia, Cina e America. È stato professore ospite al New York Academy of Art, dove ha tenuto una masterclass e diverse lezioni nel 2018. JAGO ha ricevuto numerosi premi nazionali e internazionali quali: la Medaglia Pontificia (consegnatagli dal cardinale Ravasi in occasione del premio delle Pontificie Accademie nel 2010), il premio Gala de l’Art di Monte Carlo nel 2013, il premio Pio Catel nel 2015, il Premio del pubblico Arte Fiera nel 2017 e ha inoltre ricevuto l’investitura come Mastro della Pietra al MarmoMacc del 2017.

All’età di 24 anni, su presentazione della storica dell’arte Maria Teresa Benedetti, è stato selezionato dal prof. Vittorio Sgarbi per partecipare alla 54a edizione della Biennale di Venezia, esponendo il busto in marmo di Papa Benedetto XVI (2009) che gli è valso la suddetta Medaglia Pontificia. Questa scultura giovanile è stata poi rielaborata nel 2016, prendendo il nome di “Habemus Hominem” e divenendo una

delle sue opere più significative. L’opera, che raffigura la spoliazione del Papa emerito da suoi paramenti, è stata esposta a Roma, nel 2018, presso il Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese, con un numero record di visitatori (più di 3.500 durante la sola inaugurazione).
A seguito di un’esposizione all’Armory Show di Manhattan, JAGO si trasferisce a New York. Qui inizia la

realizzazione del “Figlio Velato”, opera ispirata al Cristo Velato del Sanmartino, esposta permanentemente all’interno della Cappella dei Bianchi nella Chiesa di San Severo fuori le mura. La ricerca artistica di JAGO occupa una complessa cornice concettuale che, tuttavia, fonda le sue radici nelle tecniche ereditate dai maestri del Rinascimento, tentando di instaurare un rapporto diretto con il pubblico mediante l’utilizzo dei video e dei social network, attraverso i quali condivide il processo produttivo delle sue opere.

Nel 2019, in occasione della missione Beyond dell’ESA (European Space Agency), JAGO è stato il primo artista ad aver inviato una scultura in marmo sulla Stazione Spaziale Internazionale. L’opera, intitolata

“The First Baby” e raffigurante il feto di un bambino, è tornata sulla terra a febbraio 2020 sotto la custodia del capo missione, Luca Parmitano. Da maggio 2020 Jago risiede a Napoli, dove lavora nel suo studio nella Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi e dove, a inizio novembre, ha realizzato l’installazione “Look Down” in Piazza del Plebiscito, mentre il 1 ottobre 2021, installa l’opera “Pietà” nella Basilica di Santa Maria in Montesanto, in Piazza del Popolo a Roma.


La mostra seguirà i seguenti orari:
Tutti i giorni dalle 11.00 alle 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Siti internet
www.mostrepalazzobonaparte.it
www.arthemisia.it

Social e Hashtag ufficiale
@arthemisiaarte
@jago.artist
#JagoBonaparte

Ufficio Stampa
Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
T. +39 06 69380306

Museo Arte Orientale di Venezia: La fornace di Yaozhou, tra l’VIII e il XIII secolo, diventò la manifattura più influente di tutto l’impero

VIVACI TRASPARENZE 
Ceramiche di Yaozhou dalla collezione Shang Shan Tang 

A cura di Sabrina Rastelli 

07.09>23.10.2022

MAOV Museo di Arte Orientale di Venezia
Ca’ Pesaro, S.Croce 2076, Venezia 

Vivaci Trasparenze: ceramiche di Yaozhou dalla collezione Shang Shan Tang è una mostra di ceramiche interamente dedicata alle manifatture di Yaozhou, situata a circa 100 km a nord di Xi’an, nella Cina settentrionale (dove si trova il celeberrimo esercito di terracotta del Primo Imperatore), che si terrà al Museo d’Arte Orientale di Venezia dal 7 settembre al 23 ottobre 2022, con l’organizzazione di Fondazione Università Ca’ Foscari e MAOV.

Università Ca’ Foscari Venezia, con il suo Dipartimento di Studi sull’Asia e Africa Mediterranea, e Museo d’Arte Orientale della Direzione regionale Musei Veneto tornano ancora una volta a collaborare per la realizzazione di eventi di elevato profilo scientifico e insieme divulgativo, in una sinergia di intenti utile e necessaria per la diffusione della conoscenza delle culture extraeuropee.

La fornace di Yaozhou, attiva tra l’VIII e il XIII secolo, rivoluzionò la produzione di ceramiche del genere celadon, diventando la manifattura più influente di tutto l’impero. In ambito ceramico la Cina detiene diversi primati: è stata infatti il primo paese ad inventare la porcellana tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo (mentre in Europa ci sono riusciti mille anni dopo gli alchimisti alla corte di Augusto il Forte (1670-1733) a Meissen), ma, ancora prima, nel XIII secolo a.C., lì erano stati realizzati oggetti dal corpo altamente refrattario rivestito con uno strato di invetriatura verde (con varie sfumature), comunemente noti in Occidente con il nome di celadon e in Cina come qingci (gres con invetriatura verde-azzurra). Questo genere ceramico ha riscosso un successo enorme proprio per le sue tonalità verdi-azzurre che evocano la giada, il materiale simbolo della Cina, o la patina sui bronzi antichi, altro emblema della millenaria civiltà cinese.

Le 96 opere in esposizione provengono tutte da una collezione privata straniera, la上善堂 Shang Shan Tang, alla lettera “Sala del sommo bene”, che include una delle raccolte di ceramiche di Yaozhou più complete al mondo, con esemplari di eccellente qualità, che testimoniano lo sviluppo della manifattura

Tutti i pezzi saranno esposti nella suggestiva sala 12 del Museo d’Arte Orientale, che nel 1928 fu destinata a ospitare le porcellane cinesi di quella che fu un tempo la collezione di Enrico di Borbone. Lo storico allestimento ideato da Nino Barbantini è stato preservato da allora e armonizza gli straordinari pezzi asiatici con i caratteri di un appartamento rococò, adorno di specchi e stucchi settecenteschi, creando un ambiente di grande fascino.

Chicago cat. No. 18
Vaso istoriato
Grès con invetriatura verde-azzurra
Fornaci di Yaozhou
Dinastia Song Settentrionale (960-1127)
H. 15.5 cm
Collezione Shang Shan Tang

No. 24a 
Vaso meiping con motivo di peonie 
Grès con invetriatura verde-azzurra
Fornaci di Yaozhou
Dinastia Song Settentrionale (960-1127)
H. 28 cm
Collezione Shang Shan Tang

La fornace delle meraviglie

La storia della fornace di Yaozhou è sorprendente: da opificio modesto, nel X secolo si era già specializzata nella produzione di celadon di alta qualità (fino a quel momento appannaggio delle manifatture meridionali), attraverso una serie di conquiste tecnologiche dettate dall’esigenza di risolvere difetti e inconvenienti. Nota in seguito soprattutto per la fabbricazione di celadon dalla tonalità verde oliva con motivi decorativi incisi o impressi sotto l’invetriatura, era stata impiantata per produrre ceramiche con coperta nera per uso quotidiano domestico e il genere a smalti policromi sancai (“tre colori”) destinato per lo più ai corredi funerari. La Cina settentrionale era nota per la produzione di porcellana e gli artigiani di Yaozhou si cimentarono anche nella fabbricazione di ceramica bianca (falsa porcellana), realizzata coprendo le impurità presenti nelle argille del corpo con uno strato di ingobbio bianco prima dell’applicazione della vetrina trasparente incolore. I risultati erano però deludenti: più che bianco, il rivestimento risultava di un giallo poco attraente che indusse i fuochisti ad avventurarsi nel complesso, e per loro sconosciuto, sistema della cottura in atmosfera riducente (priva di ossigeno). Le analisi chimiche hanno mostrato che la ricetta per corpo e invetriatura rimase invariata, ma grazie alla cottura in riduzione, la coperta risultava di un verde più che soddisfacente, quando il titanio contenuto nell’ingobbio non interferiva ingiallendola. Per ovviare a questo problema, i ceramisti iniziarono a rivestire completamente gli oggetti prima di ingobbio bianco e poi di vetrina. Tale metodo presentava però un’altra sfida: durante la cottura, l’invetriatura diventa una potentissima colla, rendendo quindi necessario limitare il più possibile i punti di contatto del piede di ogni oggetto con il fondo del contenitore nel quale veniva inserito per la cottura. Anche in questo caso i vasai di Yaozhou dimostrarono grande ingegno raffinando progressivamente la tecnica fino a concepirne una che lasciava soltanto tre piccole cicatrici sulla base. Tale pratica è comunemente associata alle celebratissime ceramiche Ru (prodotte dalla fine dell’XI secolo per un centinaio di anni) e considerata una grande conquista dei ceramisti di Ru, ma in realtà furono i colleghi di Yaozhou a inventarla centocinquanta anni prima. Una nuova sfida si presentò nell’XI secolo, quando i fuochisti adottarono il carbone (in sostituzione della legna che scarseggiava) come combustibile per alimentare le fornaci. La diversa resa del carbone rispetto alla legna impose modifiche significative alla pianta dei forni, mentre il rapido raffreddamento alla fine del ciclo di cottura garantiva invetriature trasparenti (al contrario di quelle precedenti che invece erano translucide). La trasparenza era importante affinché i motivi decorativi eseguiti sul corpo sottostante fossero ben leggibili: il nuovo gusto estetico, infatti, prediligeva oggetti intensamente ornati, ma, sotto una coperta translucida, i decori apparivano nebulosi; perciò, i fuochisti di Yaozhou sfruttarono la piena maturità raggiunta dalle vetrine cotte nei forni alimentati a carbone, raffreddandole rapidamente. Quanto alla sfumatura verde oliva che contraddistingue le coperte di questo periodo, recenti analisi chimiche hanno indicato una modifica della ricetta, probabilmente dovuta alla composizione delle materie prime locali, caratterizzata da un aumento della percentuale di titanio, responsabile di questa tonalità.

L’invetriatura opalina tornò in auge tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo con le ceramiche Ru, molto apprezzate dall’imperatore Song Huizong (r. 1100-1126) che le volle utilizzare a corte. Ancora una volta i ceramisti di Yaozhou seppero rispondere prontamente alla nuova moda, creando la cosiddetta vetrina “chiaro di luna”, dall’aspetto simile alla giada, translucida, brillante, morbida, e caratterizzata da una tonalità di verde molto tenue (al contrario del celeste tipico degli esemplari Ru). Nel XIII secolo le manifatture di Yaozhou andarono in disuso per essere riscoperte attraverso una serie di campagne archeologiche soprattutto negli anni ‘90 del secolo scorso che ne hanno dimostrato il ruolo cruciale nello sviluppo della storia della ceramica cinese.

Dalla tecnologia ai temi decorativi

Per apprezzare appieno la produzione di Yaozhou, la mostra è organizzata per temi, a partire da quello tecnologico in modo da cogliere la sofisticatezza degli esperimenti condotti nel tempo dai ceramisti di Yaozhou, sempre pronti a raccogliere le sfide poste dalle caratteristiche intrinseche alle materie prime locali, a innovare costantemente la produzione e ad adattarsi alle mode del momento. Alcune teche sono centrate intorno ai motivi decorativi intagliati, incisi, o impressi che contraddistinguono i celadon di Yaozhou: peonie (metafora della sensualità femminile), crisantemi (simbolo dell’autunno e della saggezza che si acquisisce con gli anni), loti (introdotti con il buddhismo), bambini che giocano (augurio di progenie numerosa e discendenza ininterrotta), anatre mandarine in uno stagno (emblema di fedeltà coniugale), mini sculture raffiguranti tartarughe applicate sul fondo di piccole tazze per dare l’impressione che stiano nuotando nel liquore che vi si verserà, animali mitologici che evocano storie straordinarie. Altre vetrine sono invece incentrate sulla funzione delle forme utilizzate in ambito domestico, ma anche religioso (soprattutto buddhista). Una teca è dedicata agli esemplari contrassegnati da iscrizioni, una delle quali di particolare importanza poiché indica che già all’epoca delle Cinque Dinastie (907-960), le fornaci di Yaozhou avevano raggiunto l’eccellenza nella fabbricazione di celadon, tanto da essere incluse nel sistema di tributi per la corte imperiale. Se le manifatture di Yaozhou sono famose per le loro ceramiche dal colore verde oliva, è importante sottolineare che esse eccelsero anche nella produzione dei generi rosso ruggine e nero, quest’ultimo monocromo o chiazzato di rosso con un effetto molto moderno, e infatti una vetrina accoglie le varie tipologie mettendone in evidenza i colori.


SCHEDA INFORMATIVA

VIVACI TRASPARENZE
Ceramiche di Yaozhou dalla Collezione Shang Shan Tang
07.09.2022 > 23.10.2022

INAUGURAZIONE
dalle ore 17 alle ore 19 con presentazione e visita alla sala espositiva. Entrata libera

A CURA DI
Prof. Sabrina Rastelli Phd
Professore ordinario di Archeologia e Storia delle Arti e filosofia dell’Asia orientale presso l’Università Ca’ Foscari Venezia
Curriculum Vitae

DOVE
MAOV Museo d’Arte Orientale di Venezia
Ca’ Pesaro, Sestiere di Santa Croce n. 2076, Venezia

ORARI DI VISITA
Dal martedì alla domenica
10.00 > 18.00  La mostra è compresa nel ticket d’ingresso al Museo

ORGANIZZAZIONE
Fondazione Università Ca’ Foscari – MAOV Museo d’Arte Orientale di Venezia

UFFICIO STAMPA
FG Comunicazione – Venezia 
Cristina Gatti 
cristina.gatti@fg-comunicazione.it

Per ulteriori informazioni

Università Ca’ Foscari Venezia
Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo
Settore Relazioni con i media
Paola Vescovi (Direttrice): Tel. 366 6279602
Federica Ferrarin (Referente di settore): Tel 366 6297904
Enrico Costa (Senior Media Relations Officer): Tel. 337 1050858
Email: comunica@unive.it
Le news di Ca’ Foscari: news.unive.it

Direzione regionale Musei Veneto – Museo di Arte Orientale di Venezia
Ufficio Comunicazione Direzione
Vincenza Lasala
0412967627
vincenza.lasala@cultura.gov.it

Direzione Museo
Dott.ssa Marta Boscolo Marchi
0412967628 – 0415241173
marta.boscolo@cultura.gov.it