Al Foro Boario (Noci – BA) per la sua sesta edizione torna CLUBINTOWN 6.0

CLUBINTOWN 6.0

Il festival di musica elettronica e sperimentale
torna il 20 e 21 agosto al Foro Boario (Noci – BA)
per la sua sesta edizione
 
In Line Up:
INTERSTELLAR FUNK, MASSIMILIANO PAGLIARA,
PLANETARY ASSAULT SYSTEM LIVE, KAISER
e molti altri ancora!

Biglietti su Dice:
https://dice.fm/search?query=clubintown

Torna, il 20 e 21 agosto al Foro Boario di Noci (BA), la sesta edizione di Clubintown, il festival di musica elettronica e sperimentale che, attraverso la Club culture punta a rivalutare il territorio pugliese e il suo importante patrimonio culturale.

In Line Up: Interstellar Funk, Massimiliano Pagliara, Planetary Assault System Live, Kaiser e molti altri ancora!

Una due giorni che vedrà salire in console alcuni tra i nomi più interessanti e noti del panorama nazionale, internazionale e locale. Sabato 20 agosto la line up sarà incentrata sulla House music e ad alternarsi sul palco saranno: Interstellar Funk, Massimiliano Pagliara, Hiver, Tomy Camparino Club. Domenica 21 agosto, invece, spazio alla Techno con Planetary Assault System Live, Kaiser, Dj Planttexture Squupa.
 
A far da cornice al tutto ci sarà un allestimento suggestivo, che sarà svelato a ridosso dell’evento, e le attività collaterali realizzate in partnership con alcune delle più interessanti realtà del territorio. Con Music Platform sarà presentato, infatti, un video-documentario in quattro puntate dedicato a Clubintown, alla Città di Noci e al territorio pugliese che racconterà il percorso di riqualificazione urbana realizzato in collaborazione con Masseria Cultura, Esseri Urbani e Davide Curci. Il documentario sarà poi donato al Comune di Noci in un evento dedicato, nel mese di agosto. Non mancheranno, infine, i workshop di grafica e mapping nel settore musicale.
 
Clubintown è prodotto dall’associazione Vocoder in partnership con il collettivo Ways e Coop. Soc. Coopera con il patrocinio del Comune di Noci (BA), finanziato nell’ambito del FONDO speciale CULTURA e PATRIMONIO CULTURALE (L.R. 40/2016 – art. 15 comma 3).
 
Clubintown è un progetto di rivalutazione del territorio pugliese e del suo importante patrimonio culturale urbano che punta a offrire una prospettiva inedita di fruizione dell’evento musicale, rispetto ai fenomeni culturali affini. Il contesto musicale è la Club Culture, movimento caratterizzato da forti ideali di aggregazione sociale, contestualizzati nella dimensione di spazio e partecipazione di esibizioni nei club. Il clubbing si è fatto portavoce, a livello internazionale, di principi come l’inclusione sociale e la salvaguardia delle libertà personali, elevandone lo status a fenomeno culturale di massa ed è proprio a questi che si ispira anche Clubintown nel suo intento. Nelle scorse edizioni in console ospiti come DAX J, Z.I.P.P.O., Æmris, Lorenzo Senni, Vael, 999999999 (live), INVOLVE SHOWCASE Regal.


INFO
Ufficio Stampa:
Roberta Ruggiero – info.robertaruggiero@gmail.com
Maria Cristina Tanzi

ARTHEMISIA, le mostre d’autunno – Firenze, Museo degli Innocenti, ESCHER

Maurits Cornelis Escher
Buccia,
1955
Xilografia, 32×23,5
Collezione Maurits, Bolzano
All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher
Company. All rights reserved
www.mcescher.com

ESCHER
Firenze, Museo degli Innocenti
20 ottobre 2022 – 26 marzo 2023

A Firenze arriva dal 20 ottobre la mostra record d’incassi dedicata a “ESCHER”.

Oltre 200 opere saranno ospitate in una sede espositiva unica, negli spazi dello storico Museo degli Innocenti che, grazie alla collaborazione con Arthemisia, è diventato un punto di riferimento del capoluogo toscano come sede di grandi mostre d’arte.

La grande mostra dedicata al geniale artista olandese Maurits Cornelis Escher arriva al Museo degli Innocenti di Firenze dal 20 ottobre 2022 al 26 marzo 2023. Scoperto dal grande pubblico negli ultimi anni, Escher è diventato uno degli artisti più amati in tutto il mondo, tanto che le mostre a lui dedicate hanno battuto ogni record di visitatori.

Escher nasce nel 1898 in Olanda e vi muore nel 1972. Nel 1922 visita per la prima volta l’Italia, dove poi visse per molti anni, visitandola da nord a sud e rappresentandola in molte sue opere. Inquieto, riservato e indubbiamente geniale, Escher nelle sue celebri incisioni e litografie crea un mondo unico, immaginifico, impossibile, dove confluiscono arte, matematica, scienza, fisica, design.

Un’antologica – con circa 200 opere e i lavori più rappresentativi che lo hanno reso celebre in tutto il mondo – che racconta il genio dell’artista olandese con le opere più iconiche della sua produzione quali Mano con sfera riflettente (1935), Vincolo d’unione (1956), Metamorfosi II (1939), Giorno e notte (1938) e la serie degli Emblemata, che appartengono all’immaginario comune riferibile al grande artista.

La mostra di Escher si configura come il primo grande evento espositivo all’interno del complesso monumentale – progettato da Filippo Brunelleschi – che ospita il meraviglioso e ricchissimo Museo degli Innocenti che, con le mostre firmate Arthemisia, si è già avviato a essere sede di grandi mostre d’arte.
Nato per esporre le opere d’arte dell’antico Spedale, grande centro d’accoglienza per bambini, il Museo è stato trasformato in un percorso che permette di scoprire un patrimonio culturale unico al mondo perché profondamente legato all’attività svolta in favore dei bambini che non potevano essere scresciuti dalle famiglie d’origine.
Tra storia, arte e architettura, la collezione del Museo presenta opere acquisite tramite donazioni o in seguito all’accorpamento di altre istituzioni assistenziali e contiene alcuni capolavori di artisti di grande rilievo tra i quali Domenico Ghirlandaio, Luca e Andrea della Robbia, Sandro Botticelli e Piero di Cosimo, ma anche di artisti cresciuti agli Innocenti e avviati alla pittura dal priore Vincenzo Borghini come Vincenzo Ulivieri, Giovan Battista Naldini e Francesco Morandini (detto il Poppi).

Con il patrocinio del Comune di Firenze, dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta eorganizzata da Arthemisia in collaborazione con la M. C. Escher Foundation, Maurits e In Your Event, ed è curata da Mark Veldhuysen – CEO della M.C. Escher Company – e Federico Giudiceandrea, uno dei più importanti esperti di Escher al mondo.
La mostra vede come sponsorGenerali Valore Culturaspecial partnerRicolapartner Mercato Centrale, BarberinoDesigner Outlet Unicoop Firenzemedia partnerQN La Nazioneeducational partnerLaba e media coverage bySky Arte.
Il catalogo è edito da Maurits.


Info e prenotazioni
www.arthemisia.it

Ufficio StampaArthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

05- Letture estive: “Feria d’agosto” di Cesare Pavese – Vecchio mestiere

La scelta delle letture estive è talmente impegnativa che si preferirebbe essere già a settembre. Naturalmente stiamo scherzando, perché i suggerimenti offerti sono talmente tanti che potremmo trascorrere tutto il tempo a passarli in rassegna. La Redazione Il Libraio, ad esempio, fornisce una lunga e documentata lista di Libri da leggere: oltre 200 consigli per l’estate 2022. Dovete solo acquistare il libro che preferite e portarvelo sotto l’ombrellone.

In verità, l’espressione “libro da ombrellone” sembra alquanto irriverente trattandosi di letture, che certo non vorremmo fossero del tutto disimpegnate e superficiali. La proposta che vi facciamo è, quindi, (ri)scoprire un bel libro di un grande autore italiano del Novecento. Un libro solo, da leggere, capitolo dopo capitolo, dovunque voi siate.

Feria d’agosto di Cesare Pavese, raccoglie brevi racconti incentrati sugli anni giovanili dell’autore: la vita in campagna, le vigne, l’infanzia in contrapposizione col mondo degli adulti, la voglia di lasciare quelle colline e conoscere il mondo. Infine, la città, le case, le feste, le amicizie. Sono temi che si ritrovano anche in altri capolavori di Cesare Pavese. Sono i temi che per tutto il mese d’agosto ci accompagneranno sulle pagine di Experiences. Buona lettura e buone ferie, per voi e per noi.

Parte prima: il mare

Vecchio mestiere

A quei tempi ero occupatissimo e vivevo con dei carrettieri. La testa mi risuona ancora degli urli grossi di comando e del cigolìo delle martinicche. Tenevamo il nostro raduno nel cortile e sotto l’androne di un certo stallaggio che, le sere di partenza, era una bolgia di lanterne e di voci irose come staffilate. Fantesche e garzoni che ci davano l’avvio, anelavano a vederci in strada, perché soltanto allora potevano fermarsi sulla soglia a respirare: lo schiocco delle nostre fruste era la loro liberazione.

Anche per noi la staffilata larga, sparata fuori dell’androne sul fianco dei cavalli, era il segnale che cominciavano la condotta e la notte. Di primo buio ci si accompagnava, se faceva stellato, a due a tre sulla banchina della strada, avendo l’occhio al cavallo di testa e alle biforcazioni, perché la carovana va come un treno e tutto sta che sia incamminata bene. Poi cominciavano i più vecchi a restare indietro e montare sui vari carri; noi giovanotti s’aveva sempre qualche discorso da finire e un’ultima sigaretta da chiedere. Ma si saltava sui sacchi anche noi alla fine e il dormiveglia cominciava.

Quante notti passai così accovacciato sui sacchi, dondolandomi negli occhi la lanterna che nel dormiveglia non distinguevo piú se era appesa sotto il carro precedente o se fosse per caso la mia. Ci si sentiva trasportare, si sentiva tutto il carro e il cavallo muoversi e stirarsi sotto; certi tratti dello stradale li riconoscevo ai sobbalzi. Secondo che il carro passava sotto una costa, o in mezzo a un campo, davanti a un portico, a un muro, o sopra un ponte, l’eco dello strepito delle ruote variava: era una voce che teneva compagnia piú della sonagliera che i cavalli agitavano dimenando il capo. Era una voce che, appena il freddo dell’alba ci svegliava, tornava a farsi sentire incessante, mutata secondo la strada percorsa; e prima ancora che un’occhiata alla campagna o alle case ci dicesse dov’eravamo, ci tranquillava con la sua monotonia. Disteso sui sacchi, ciascuno di noi non ascoltava che il suo carro, ma indovinava nei vari cigolii che l’accompagnavano la presenza degli altri; e in certi momenti che nella campagna tutto taceva, si levava la testa dal sacco e si stava sospesi finché non si vedeva una lanterna dondolare a fior di terra, o un tintinnìo e lo strepito delle altre ruote sulla polvere non giungeva a rassicurare.

Con tanta strada che feci in quegli anni, dormii quasi sempre. Dormii di notte e dormii di giorno, sotto il sole, sotto la pioggia, raggomitolato o seduto. I vecchi conducenti dicono che da giovani si dorme volentieri sul carro perché si è più forti e più sani e si cede al sonno: a me piaceva viaggiare in carovana perché c’era sempre qualche vecchio che vegliava e pensava lui alla strada. Che cosa c’era di più bello che svegliarsi avanti giorno in vista dell’abitato e non avere il tempo di stirarsi che i carri si fermavano e tutti si scendeva a bere una volta e mangiare un boccone? Intanto veniva chiaro, e all’osteria pareva che lo sapessero: spalancavano le imposte di legno e si sporgevano le donne, a braccia larghe, chiamando i garzoni. Secondo con chi eravamo in condotta, si faceva la tavolata o si caricava di aglio o di acciuga la pagnotta e via subito. L’uno e l’altro aveva il suo bello. Ma si capisce che fermarsi era meglio; tanto più quando davanti all’osteria ci aspettavano altri carri che avevano già fatto accendere il fuoco. Allora si mangiava forte, seduti intorno alla tavola, dicendo ognuno la nostra; si facevano tappe di mezz’ora, si andava e veniva nel cortile a dare il fieno e abbeverare; le ragazze dell’osteria venivano sullo scalino a contarci. Allora sí che aver dormito faceva piacere: veniva voglia di cantare (gli altri cantano la sera, noialtri si cantava al mattino).

I vecchi dicono che tutto piace di quegli anni perché allora si è giovani, ma io, che di mestieri ne ho fatto qualcuno, sono sicuro che niente è più bello di una condotta ben pagata. Le strade, le osterie, i cavalli e le campagne sembravano messi lì soltanto per noi. Quel mangiare appena giorno, prima che gli altri fossero in piedi, dopo una nottata di strada, era una gran cosa, e adesso che non faccio più questa vita ci vuol altro che il canto del gallo per farmi saltar su con tanta smania di mangiare, di andare e discorrere, quanta ne avevo allora. È vero che adesso sono grigio, ma se il mondo fosse quello di una volta e potessi disporre, saprei io su che carro montare e arrivare appena giorno all’osteria, svegliare tutti quanti e far la tappa. Se ci sono ancora le osterie e le tappe.

Ma ormai devono essere morti anche i cavalli. È da un pezzo che non vedo più per le strade i tiri rinterzati di una volta. Di notte, adesso, quando non prendo sonno neanch’io, posso sì tendere l’orecchio quanto voglio, eppure mai che mi succeda di sentire rotolare una condotta e avvicinarsi i cavalli e un carrettiere gridare. Adesso di notte si sentono passare le macchine, e la roba la spediscono col treno: faranno più presto ma non è più un mestiere. Finirà che sulle strade crescerà l’erba, e le osterie chiuderanno.


Edizione completa sulla pagina dedicata a Feria d’agosto di liberliber.it . Testo digitalizzato da Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it, revisionato da Catia Righi, catia_righi@tin.it, e Ugo Santamaria.

Venezia: prima mostra a Leblon, nuovo Spazio espositivo, HEAVEN CAN WAIT? è “un manifesto per l’inclusione”

Alberto la Tassa, La Creazione

La prima mostra a Leblon, nuovo Spazio espositivo, HEAVEN CAN WAIT? è “un manifesto per l’inclusione”.

In mostra un’opera benedetta da Papa Francesco.

HEAVEN CAN WAIT?

Opening venerdì 5 agosto 2022 – ore 18:00
Itinerarte Gallery, Campo della Carità, 1046, Venezia

05.08 > 25.08.2022

Venerdì 5 agosto 2022 alle ore 18:00, alla presenza degli artisti, a Itinerarte Gallery si terrà l’Opening di HEAVEN CAN WAIT in Campo della Carità, 1046, subito dietro le Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Gli artisti Alberto La Tassa, Carlos Araujo, Ettore Marinelli e Leone Solia, trovano attraverso il rispetto reciproco e il dialogo un punto di collegamento nella ricerca della loro libertà individuale, ognuno attraverso la propria visione. Il percorso espositivo sarà diviso in due parti e al centro, irraggiungibile, sarà possibile ammirare il Cristo in bronzo benedetto da Papa Francesco e realizzato da Ettore Marinelli, “il principe del bronzo”, ventisettesima generazione della lunga saga di artigiani della Pontificia Fonderia Marinelli.

Accanto a lui, Carlos Araujo, le cui opere sacre di figurazione astratta sono state esposte nel Pantheon, e Alberto La Tassa, la cui rappresentazione della forma umana, virtuosamente modellata, risuona con il divino in una collaborazione venuta dal cielo.

Posto volutamente in antitesi, trova spazio l’opera di Leone Solia, che ha riscosso un grande successo nel corso della Venice Art Night. Il giovane artista milanese esplora l’intreccio tra divino e profano facendo da contrappunto all’insieme delle opere esposte.

La mostra, che rimarrà aperta fino al 25 agosto, sancisce l’inizio di un percorso artistico, filosofico e culturale che questa galleria, di proprietà di Maria Novella Papafava dei Carraresi e gestita dal giovane brasiliano, che sta diventando cittadino veneziano a tutti gli effetti, Nicolas Fiedler, svilupperà con il Progetto Leblon Art Experience. Si vuole offrire allo spettatore la libertà di scegliere quale realtà esplorare, nel tentativo di avvicinarsi a una comprensione più profonda delle diverse e sottili sfumature dell’esistenza. Leblon Art Experience è uno spazio che si definisce inclusivo, aperto, democratico, capace di generare un dialogo tra voci diverse, uniche, e che vogliono esprimere la loro forte individualità. La mostra rimarrà aperta fino al 25 agosto 2022.


Ufficio stampa e comunicazione

Davide Federici 
FG Comunicazione -Venezia
info@davidefederici.it
press@fg-comunicazione.it
www.fg-comunicazione.it

Bando “Pac – Piano per l’arte contemporanea”: MAMbo e Fondazione Rocca dei Bentivoglio tra i vincitori della sezione “acquisizione”

“I am with you, I have always been with you, don’t be afraid”
opera di Antonello Ghezzi che ha come obiettivo quello di creare una riflessione sull’appartenenza a un’unica nazione,
quella che si identifica con il cielo, la via Lattea

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna è risultato tra gli enti proponenti selezionati nell’ambito dell’avviso pubblico PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per le proposte progettuali per l’acquisizione, la produzione e la valorizzazione di opere dell’arte e della creatività contemporanee destinate al patrimonio pubblico italiano.

Il progetto scientifico candidato dal MAMbo – ammesso al finanziamento nell’ambito specifico di intervento 1 (Acquisizione) – è denominato Immagini d’autore come opere e come fonti per la ricerca storica e prevede l’acquisizione di manufatti fotografici e audiovisivi d’autore relativi in particolare alle Settimane Internazionali della Performance, che si tennero dal 1977 al 1982, nonché ai primi anni di attività del museo nella sede della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, appositamente costruita presso il Fiera District e inaugurata nel 1975.

Ci sono anche il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e la Fondazione Rocca dei Bentivogliodi Valsamoggia tra le 18 realtà italiane vincitrici della sezione “acquisizione” del bando “PAC – PIANO PER L’ARTE CONTEMPORANEA” promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per le proposte progettuali per l’acquisizione, la produzione e la valorizzazione di opere dell’arte e della creatività contemporanee destinate al patrimonio pubblico italiano. Alle due realtà bolognesi vanno complessivamente oltre 180mila euro.

Grazie a questo importante riconoscimento assegnato al progetto Immagini d’autore come opere e come fonti per la ricerca storica,il MAMbo potrà incrementare le proprie raccolte, acquisendo manufatti fotografici e audiovisivi d’autore relativi in particolare alle Settimane Internazionali della Performance, che si tennero dal 1977 al 1982, nonché ai primi anni di attività del museo nella sede della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, appositamente costruita presso il Fiera District e inaugurata nel 1975. Ad arricchire il patrimonio del museo, che ha recentemente dedicato al tema la sezione espositiva della collezione permanente Rilevamenti d’archivio. Le Settimane Internazionali della Performance e gli anni ’60 e ’70 a Bologna e in Emilia Romagna, arriveranno opere e documenti di: Silvia Lelli, Franco Vaccari, Enrico Scuro, Emanuele Angiuli, Mario Carbone, Antonio Masotti.
“Essere tra i vincitori dell’edizione 2021 del PAC – commenta il direttore del MAMbo Lorenzo Balbi – è particolarmente importante perché andrà oltre la produzione di un’opera o la valorizzazione di un singolo artista, consentendo l’acquisizione di materiali d’archivio che documentano uno dei periodi più vitali della storia artistica del museo e della città di Bologna. Le raccolte pubbliche del Settore Musei Civici Bologna si arricchiscono così di opere fotografiche, video, documenti, oggetti, testimonianze e fonti che renderanno più completa l’esperienza di visitatori e studiosi, supporteranno la ricerca storico-artistica e forniranno terreno fertile per progetti di divulgazione e attività educative.”

“I am with you, I have always been with you, don’t be afraid” ,titolo dell’opera giudicata meritevole di finanziamento presentata dalla Fondazione Rocca dei Bentivoglio, espressione culturale del Comune di Valsamoggia, è un’installazione-bandiera del duo artistico AntonelloGhezzi che raffigura una foto digitale (scattata in Cile allo European Southern Observatory, libera da diritti d’autore e in seguito modificata) della Via Lattea. L’opera è dedicata ai cittadini di Beirut in seguito all’esplosione avvenuta nella città il 4 agosto 2020 riportando idealmente le parole di conforto che le stelle ci rivolgono durante le difficoltà: “I am with you, I have always been with you, don’t be afraid.
Nell’intenzione degli artisti, la bandiera della Via Lattea è quella che chiunque nel mondo potrebbe considerare come propria ovvero immaginando un mondo libero di confini nazionali e politici. L’opera verrà installata nello spazio esterno della Rocca dei Bentivoglio di Bazzano, sede anche del Museo civico archeologico, primo affaccio collinare sulla pianura padana, ad accompagnare altre sculture e opere già collocate e a segnare un legame tra collezione e luoghi antichi (ed appartenenti alla storia) e l’arte contemporanea, che interpreta l’attualità.
“Con questa operazione – commenta con soddisfazione Elio Rigillo, direttore della Fondazione Rocca dei Bentivoglio –, il Museo Civico Archeologico Arsenio Crespellani conferma la propria vocazione ad abbinare la collezione antica con una collezione di arte contemporanea, sul solco di quanto già fatto qualche anno fa con Italian Council e l’opera site specific di Flavio Favelli. AntonelloGhezzi è un duo artistico di grande prospettiva, che ha ottenuto già importanti riconoscimenti. Realizzeranno un’opera che vorremmo incidesse nel sentimento collettivo, nell’immaginario comune, a partire dalla sua collocazione, in quel parco, adiacente alla Rocca ed al Museo, che già ospita le opere di Pirro Cuniberti, Francesco Finotti e del simposio di scultura realizzato nel 2014 con l’Accademia di Belle Arti di Carrara”.
“Siamo molto felici di questo prestigioso riconoscimento – aggiunge il duo vincitore AntonelloGhezzi composto da Nadia Antonello e Paolo Ghezzi –, soprattutto per il grande valore simbolico che attribuiamo a quest’opera. È un lavoro che ci invita a considerarci parte di un tutto, che ci unisce come umanità sotto un’unica bandiera che non conosce divisioni né barriere. Quando il nostro sguardo si fa ampio e ci vediamo da lontano, anzi da lontanissimo, ecco che le nostre differenze finalmente spariscono”.


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ARTHEMISIA, le mostre d’autunno – Roma, Palazzo Cipolla, RAOUL DUFY

Raoul Dufy
Paysage de Sicile, Taormine, 1923
Huile sur toile
46×55 cm
MAM Paris
Paris Musées / Musée d’Art Moderne
Droits d’auteur © ADAGP
© Raul Dufy by SIAE 2022

RAOUL DUFY
Il pittore della gioia
Roma, Palazzo Cipolla
14 ottobre 2022 – 26 febbraio 2023

La pittura, i soggetti e i colori sgargianti saranno i protagonisti della prima grande esposizione in Italia dedicata al grande artista Raoul Dufy, ospitata a Palazzo Cipolla di Roma dal 14 ottobre.
Dufy, il pittore della gioia, della luce e del colore contribuì a cambiare il gusto del pubblico della prima metà del ‘900 adattando le sue innovazioni e la sua vivacità a tutte le arti decorative.
Con 160 opere provenienti dalle più importanti collezioni pubbliche e private francesi, la mostra percorre l’intera parabola artistica di uno dei più grandi interpreti della storia dell’arte, a cavallo tra impressionismo e fauvismo.

Dal 14 ottobre 2022, le sale di Palazzo Cipolla ospitano la prima grande esposizione mai realizzata in Italia e dedicata a uno dei maestri dell’arte moderna: RAOUL DUFY (Le Havre, 3 giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953). Autore di opere monumentali come La Fée Electricité (1937 – 1938) – uno dei dipinti più grandi al mondo, di una lunghezza complessiva di 6 metri, composto da 250 pannelli e commissionatogli dalla “Compagnie parisienne de distribution d’électricité” per essere esposto nel Padiglione dell’elettricità al World’s World del 1937 -, Dufy fu un grande pittore, scenografo e disegnatore francese di inizio ‘900 che, per la sua capacità di catturare le atmosfere, i colori e l’intensità della luce e a trasferirli sulle sue tele, divenne – per antonomasia – il pittore della gioia e della luce.

Nacque da una famiglia di modeste condizioni economiche ed ebbe un padre attivo come organista che trasferì in particolare a Raoul la sua stessa passione per la musica, che lui coltivò per tutto il resto della vita trasponendola anche nelle sue opere.
In seguito a una crisi finanziaria della famiglia, nel 1891 il giovane Raoul fu costretto a cercare lavoro a Le Havre.

Nell’ambiente artistico straordinariamente stimolante di Parigi si avvicinò a due maestri dell’impressionismo come Monet e Pissarro ma, nel 1905, lo scandalo dei Fauves gli rivelò una pittura moderna e “di tendenza” che lo portò ad avvicinarsi a Matisse.
Il 1903 fu l’anno della sua prima volta al Salon des Indépendants, nel quale espose fino al 1936 e poi fu accettato nel 1906 al Salon d’Automne (fino al 1943).

La sua attività artistica non conobbe interruzioni e, dal 1910, ampliò la sua attività nel campo delle arti decorative affermandosi con successo in una produzione assai vasta, dalla xilografia alla pittura e alla grafica, dalle ceramiche ai tessuti, dalle illustrazioni alle scenografie. Con un’attività artistica che non conobbe interruzioni fino alla sua morte, tutto ciò gli consentì di recuperare la sua tavolozza squillante, cui sovrappose un tocco grafico vibrante e allusivo.

La mostra Raoul Dufy. Il pittore della gioia, con oltre 160 opere tra dipinti, disegni, ceramiche e tessuti provenienti da rinomate collezioni pubbliche e private francesi – come il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris che conserva di Dufy una delle più ricche collezioni, dal Centre PompidouPalais Galliera, la Bibliothèque Forney e la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet tutte di Parigi insieme al Musée de la LoireMusée des Tissus et des Arts Décoratifs di Lione, il Musée des Beaux-Arts Jules Chéret di Nizza e al Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles – racconta la vita e l’opera di un artista con lo sguardo sempre rivolto alla modernità, pervaso da una vivacità che ha saputo adattare a tutte le arti decorative, contribuendo a cambiare il gusto del pubblico.

Curata da Sophie Krebs, conservatrice generale del patrimonio del museo parigino, la mostra è un viaggio emozionale attraverso i temi prediletti dall’artista, dove le sensazioni visive ridotte all’essenza della realtà, l’utilizzo della composizione, della luce e del colore sono gli elementi emblematici che caratterizzano le sue opere.

Suddivisa in 14 sezioni tematiche, la mostra racconta l’intero percorso artistico del pittore francese, attraverso molteplici opere che abbracciano varie tecniche nei diversi decenni del Novecento, dagli inizi fino agli anni Cinquanta, quando Dufy cercò nuovi temi a causa della guerra e della malattia che lo costrinse a rimanere nel suo studio nel sud della Francia.
Un excursus che trova il suo leitmotiv nella violenza cromatica, nella magia di quel colore che diventa elemento indispensabile per la comunicazione di emozioni e stati d’animo.
Un’evoluzione che vede Dufy inizialmente prosecutore di quella tradizione impressionista germogliata con Monet proprio nella sua città natale di Le Havre e poi insieme ai Fauve che, radunati attorno alla figura di Matisse, reagiranno presto alla pittura d’atmosfera e a quel dipingere dominato dalle sensazioni visive, per poi approdare infine ad abbracciare l’austerità cezanniana con la quale le forme, le zone piatte di colori accesi o addirittura violenti sono indipendenti dalla linea che accenna appena a circoscriverle.

Onde a V rovesciata, nuvole e un mondo di forme: bagnanti, uccelli, cavalli, paesaggi ispirati sia dalla modernità che dal classicismo.
Sensibile all’aria del proprio tempo, si interessa alla società dell’intrattenimento con le sue corse, le regate, gli spettacoli elitari e popolari al contempo che Dufy riproduce con brio e vivacità.
Un artista alla perenne ricerca di stimoli e sperimentazione, in grado di rendere l’arte impegnata ma allo stesso tempo apparentemente “leggera”, il cui scopo dichiarato era, come scrive la scrittrice americana Gertrude Stein, di arrecare piacere.

La mostra, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale per volontà del suo Presidente Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, è realizzata da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ideata dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Paris Musées e curata da Sophie Krebs, conservatrice generale dello stesso museo parigino.
Catalogo edito da Skira.


Info e prenotazioni
www.arthemisia.it

Ufficio StampaArthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

04- Letture estive: “Feria d’agosto” di Cesare Pavese – La Langa

La scelta delle letture estive è talmente impegnativa che si preferirebbe essere già a settembre. Naturalmente stiamo scherzando, perché i suggerimenti offerti sono talmente tanti che potremmo trascorrere tutto il tempo a passarli in rassegna. La Redazione Il Libraio, ad esempio, fornisce una lunga e documentata lista di Libri da leggere: oltre 200 consigli per l’estate 2022. Dovete solo acquistare il libro che preferite e portarvelo sotto l’ombrellone.

In verità, l’espressione “libro da ombrellone” sembra alquanto irriverente trattandosi di letture, che certo non vorremmo fossero del tutto disimpegnate e superficiali. La proposta che vi facciamo è, quindi, (ri)scoprire un bel libro di un grande autore italiano del Novecento. Un libro solo, da leggere, capitolo dopo capitolo, dovunque voi siate.

Feria d’agosto di Cesare Pavese, raccoglie brevi racconti incentrati sugli anni giovanili dell’autore: la vita in campagna, le vigne, l’infanzia in contrapposizione col mondo degli adulti, la voglia di lasciare quelle colline e conoscere il mondo. Infine, la città, le case, le feste, le amicizie. Sono temi che si ritrovano anche in altri capolavori di Cesare Pavese. Sono i temi che per tutto il mese d’agosto ci accompagneranno sulle pagine di Experiences. Buona lettura e buone ferie, per voi e per noi.

Parte prima: il mare

La Langa

Io sono un uomo molto ambizioso e lasciai da giovane il mio paese, con l’idea fissa di diventare qualcuno. Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome – ripeto – sono ambizioso, volevo girar tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti: «Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là!» Certi giorni, studiavo con più attenzione del solito il profilo della collina, poi chiudevo gli occhi e mi fingevo di essere già per il mondo a ripensare per filo e per segno al noto paesaggio.

Così, andai per il mondo e vi ebbi una certa fortuna. Non posso dire di essere, più di un altro, diventato qualcuno, perché conobbi tanti che – chi per un motivo chi per un altro – sono diventati qualcuno, che, se fossi ancora in tempo, smetterei volentieri di arrovellarmi dietro a queste chimere. Attualmente la mia ambizione sempre insonne mi suggerirebbe di distinguermi, se mai, con la rinuncia, ma non sempre si può fare ciò che si vorrebbe. Basti dire che vissi in una grande città e feci perfino molti viaggi per mare e, un giorno che mi trovavo all’estero, fui lì lì per sposare una ragazza bella e ricca, che aveva le mie stesse ambizioni e mi voleva un gran bene. Non lo feci, perché avrei dovuto stabilirmi laggiù e rinunciare per sempre alla mia terra.

Un bel giorno tornai invece a casa e rivisitai le mie colline. Dei miei non c’era più nessuno, ma le piante e le case restavano, e anche qualche faccia nota. Lo stradone provinciale e la piazzetta erano molto piú angusti di come me li ricordavo, più terra terra, e soltanto il profilo lontano della collina non aveva scapitato. Le sere di quell’estate, dal balcone dell’albergo, guardai sovente la collina e pensai che in tutti quegli anni non mi ero ricordato di inorgoglirmene come avevo progettato. Mi accadeva se mai, adesso, di vantarmi con vecchi compaesani della molta strada che avevo fatta e dei porti e delle stazioni dov’ero passato. Tutto questo mi dava una malinconia che da un pezzo non provavo più ma che non mi dispiaceva.

In questi casi ci si sposa, e la voce della vallata era infatti ch’io fossi tornato per scegliermi una moglie. Diverse famiglie, anche contadine, si fecero visitare perché vedessi le figliole. Mi piacque che in nessun caso cercarono di apparirmi diversi da come li ricordavo: i campagnoli mi condussero alla stalla e portarono da bere nell’aia, i borghesi mi accolsero nel salottino disusato e stemmo seduti in cerchio fra le tendine pesanti mentre fuori era estate. Neanche questi tuttavia mi delusero: accadeva che in certe figliole che scherzavano imbarazzate riconoscessi le inflessioni e gli sguardi che mi erano balenati dalle finestre o sulle soglie quand’ero ragazzo. Ma tutti dicevano ch’era una bella cosa ricordarsi del paese e ritornarci come facevo io, ne vantavano i terreni, ne vantavano i raccolti e la bontà della gente e del vino. Anche l’indole dei paesani, un’indole singolarmente fegatosa e taciturna, veniva citata e illustrata interminabilmente, tanto da farmi sorridere.

Io non mi sposai. Capii subito che se mi fossi portata dietro in città una di quelle ragazze, anche la più sveglia, avrei avuto il mio paese in casa e non avrei mai più potuto ricordarmelo come adesso me n’era tornato il gusto. Ciascuna di loro, ciascuno di quei contadini e possidenti, era soltanto una parte del mio paese, rappresentava una villa, un podere, una costa sola. E invece io ce l’avevo nella memoria tutto quanto, ero io stesso il mio paese: bastava che chiudessi gli occhi e mi raccogliessi, non più per dire «Conoscete quei quattro tetti?», ma per sentire che il mio sangue, le mie ossa, il mio respiro, tutto era fatto di quella sostanza e oltre me e quella terra non esisteva nulla.

Non so chi ha detto che bisogna andar cauti, quando si è ragazzi, nel fare progetti, poiché questi si avverano sempre nella maturità. Se questo è vero, una volta di piú vuol dire che tutto il nostro destino è già stampato nelle nostre ossa, prima ancora che abbiamo l’età della ragione.

Io, per me, ne sono convinto, ma penso a volte che è sempre possibile commettere errori che ci costringeranno a tradire questo destino. È per questo che tanta gente sbaglia sposandosi. Nei progetti del ragazzo non c’è evidentemente mai nulla a questo proposito, e la decisione va presa a tutto rischio del proprio destino. Al mio paese, chi s’innamora viene canzonato; chi si sposa, lodato, quando non muti in nulla la sua vita.

Ripresi dunque a viaggiare, promettendo in paese che sarei tornato presto. Nei primi tempi lo credevo, tanto le colline e il dialetto mi stavano nitidi nel cervello. Non avevo bisogno di contrapporli con nostalgia ai miei ambienti consueti. Sapevo ch’erano lì, e soprattutto sapevo ch’io venivo di là, che tutto ciò che di quella terra contava era chiuso nel mio corpo e nella mia coscienza. Ma ormai sono passati degli anni e ho tanto rimandato il mio ritorno che quasi non oso più prendere quel treno. In mia presenza i compaesani capirebbero che li ho giocati, che li ho lasciati discorrere delle virtù della mia terra soltanto per ritrovarla e portarmela via. Capirebbero adesso tutta l’ambizione del ragazzo che avevano dimenticato.


Edizione completa sulla pagina dedicata a Feria d’agosto di liberliber.it . Testo digitalizzato da Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it, revisionato da Catia Righi, catia_righi@tin.it, e Ugo Santamaria.

ARTHEMISIA, le mostre d’autunno – Roma, Palazzo Bonaparte, VAN GOGH

Vincent Van Gogh
Donne che trasportano sacchi di carbone nella
neve
Novembre 1882
Gessetto, pennello a inchiostro e acquerello
opaco e trasparente su carta velina, 32,1×50,1 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The
Netherlands

VAN GOGH
Capolavori dal Kröller-Müller Museum 8 ottobre 2022 – 26 marzo 2023 Roma, Palazzo Bonaparte

Il prossimo 8 ottobre apre a Palazzo Bonaparte di Roma la mostra più attesa dell’anno e dedicata all’artista più famoso e amato del mondo: VAN GOGH.
Un percorso espositivo ed emozionale che attraverso un prestito del tutto eccezionale di ben 50 opere, tutte provenienti dal Museo Kröller Müller di Otterlo, ne racconta la vicenda umana e artistica.

Alla vigilia dei 170 anni dalla sua nascita, dall’8 ottobre 2022 Palazzo Bonaparte ospita la grande e più attesa mostra dell’anno dedicata al genio di Van Gogh. Attraverso le sue opere più celebri – tra le quali il suo famosissimo Autoritratto (1887) – sarà raccontata la storia dell’artista più conosciuto al mondo.

Nato in Olanda il 30 marzo 1853, Vincent Van Gogh fu un artista dalla sensibilità estrema e dalla vita tormentata. Celeberrimi sono i suoi attacchi di follia, i lunghi ricoveri nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul in Provenza, l’episodio dell’orecchio mozzato, così come l’epilogo della sua vita, che termina il 29 luglio 1890, a soli trentasette anni, con un suicidio: un colpo di pistola al petto nei campi di Auvers.
Nonostante una vita impregnata di tragedia, Van Gogh dipinge una serie sconvolgente di Capolavori, accompagnandoli da scritti sublimi (le famose “Lettere” al fratello Theo Van Gogh), inventando uno stile unico che lo ha reso il pittore più celebre della storia dell’arte.

La mostra di Roma, attraverso ben 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller Müller di Otterlo – che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di Van Gogh – e tante testimonianze biografiche, ne ricostruisce la vicenda umana e artistica, per celebrarne la grandezza universale.
Un percorso espositivo dal filo conduttore cronologico e che fa riferimento ai periodi e ai luoghi dove il pittore visse: da quello olandese, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St. Remy e Auvers-Sur-Oise, dove mise fine alla sua tormentata vita.
Dall’appassionato rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza allo studio sacrale del lavoro della terra scaturiscono figure che agiscono in una severa quotidianità come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno; atteggiamenti di goffa dolcezza, espressività dei volti, la fatica intesa come ineluttabile destino.
Tutte queste sono espressione della grandezza e dell’intenso rapporto con la verità del mondo di Van Gogh.
Particolare enfasi è data al periodo del soggiorno parigino in cui Van Gogh si dedica a un’accurata ricerca del colore sulla scia impressionista e a una nuova libertà nella scelta dei soggetti, con la conquista di un linguaggio più immediato e cromaticamente vibrante.
Si rafforza anche il suo interesse per la fisionomia umana, determinante anche nella realizzazione di una numerosa serie di autoritratti, volontà di lasciare una traccia di sé e la convinzione di aver acquisito nell’esperienza tecnica una fecondità ben maggiore rispetto al passato.
È di questo periodo l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, presente in mostra, dove l’immagine dell’artista si staglia di tre quarti, lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore mostra un’insolita fierezza, non sempre evidente nelle complesse corde dell’arte di Van Gogh. I rapidi colpi di pennello, i tratti di colore steso l’uno accanto all’altro danno notizia della capacità di penetrare attraverso l’immagine un’idea di sé tumultuosa, di una sgomentante complessità.
L’immersione nella luce e nel calore del sud, a partire dal 1887, genera aperture ancora maggiori verso eccessi cromatici e il cromatismo e la forza del tratto si riflettono nella resa della natura. Ecco quindi che torna l’immagine de Il Seminatore realizzato ad Arles nel giugno 1888, con la quale Van Gogh avverte che si può giungere a una tale sfera espressiva solo attraverso un uso metafisico del colore.
E così Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) assume l’aspetto di un intricato tumulto, mentre lo scoscendimento di unBurrone (1889) sembra inghiottire ogni speranza e la rappresentazione di un Vecchio disperato (1890) diviene immagine di una disperazione fatale.

Con il patrocinio della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta da Arthemisia, realizzata in collaborazione con il Kröller Müller Museum di Otterlo ed è curata da Maria Teresa Benedetti con Francesca Villanti.
La mostra vede come main sponsorAceasponsorGenerali Valore Culturaspecial partnerRicolamobility partnerAtacmedia partnerUrban Vision ed è consigliata da Sky Arte.
Il catalogo è edito da Skira.

Da venerdì 20 sarà possibile prenotare attraverso l’infoline T. +39 06 8715 111
Da lunedì 30 sarà possibile preacquistare il biglietto su Ticket.it


Informazioni e prenotazioni
T. +39 06 8715111

Siti internet
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www.arthemisia.it

Social e Hashtag ufficiale
@arthemisiaarte
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#VanGoghRoma

Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it

Relazioni esterne Arthemisia
Camilla Talfani | ct@arthemisia.it

03- Letture estive: “Feria d’agosto” di Cesare Pavese – Il campo di granturco

La scelta delle letture estive è talmente impegnativa che si preferirebbe essere già a settembre. Naturalmente stiamo scherzando, perché i suggerimenti offerti sono talmente tanti che potremmo trascorrere tutto il tempo a passarli in rassegna. La Redazione Il Libraio, ad esempio, fornisce una lunga e documentata lista di Libri da leggere: oltre 200 consigli per l’estate 2022. Dovete solo acquistare il libro che preferite e portarvelo sotto l’ombrellone.

In verità, l’espressione “libro da ombrellone” sembra alquanto irriverente trattandosi di letture, che certo non vorremmo fossero del tutto disimpegnate e superficiali. La proposta che vi facciamo è, quindi, (ri)scoprire un bel libro di un grande autore italiano del Novecento. Un libro solo, da leggere, capitolo dopo capitolo, dovunque voi siate.

Feria d’agosto di Cesare Pavese, raccoglie brevi racconti incentrati sugli anni giovanili dell’autore: la vita in campagna, le vigne, l’infanzia in contrapposizione col mondo degli adulti, la voglia di lasciare quelle colline e conoscere il mondo. Infine, la città, le case, le feste, le amicizie. Sono temi che si ritrovano anche in altri capolavori di Cesare Pavese. Sono i temi che per tutto il mese d’agosto ci accompagneranno sulle pagine di Experiences. Buona lettura e buone ferie, per voi e per noi.

Parte prima: il mare

Il campo di granturco

Il giorno che mi fermai ai piedi di un campo di granturco e ascoltai il fruscìo dei lunghi steli secchi mossi nell’aria, ricordai qualcosa che da tempo avevo dimenticato. Dietro il campo, una terra in salita, c’era il cielo vuoto. «Quest’è un luogo da ritornarci», dissi, e scappai quasi subito, sulla bicicletta, come se dovessi portare la notizia a qualcuno che stesse lontano. Ero io che stavo lontano, lontano da tutti i campi di granturco e da tutti i cieli vuoti. Quel giorno fu un campo; avrebbe potuto essere una roccia impendente sopra una strada, un albero isolato alla svolta di un colle, una vite sul ciglio di un balzo. Certi colloqui remoti si rapprendono e concretano nel tempo in figure naturali. Queste figure io non le scelgo: sanno esse sorgere, trovarsi sulla mia strada al momento giusto, quando meno ci penso. Non c’è persona di mia conoscenza che abbia un tatto come il loro.

Quel che mi dice il campo di granturco nei brevi istanti che oso contemplarlo, è ciò che dice chi si è fatto aspettare e senza di lui non si poteva far nulla. «Eccomi», dice semplicemente chi si è fatto aspettare, ma nessuno gli toglie lo sguardo astioso che gli viene gettato come a un padrone. Invece, al cielo tra gli steli bassi do un’occhiata furtiva, come chi guarda di là dall’oggetto quasi in attesa che questo si sveli da sé, ben sapendo che nulla ci si può ripromettere che esso già non contenga, e che un gesto troppo brusco potrebbe farne traboccare malamente ogni cosa. Nulla mi deve quel campo, perché io possa far altro che tacere e lasciarlo entrare in me stesso. E il campo, e gli steli secchi, a poco a poco mi frusciano e mi si fermano in cuore. Tra noi non occorrono parole. Le parole sono state fatte molti anni fa.

Quando veramente? non so. E nemmeno so che cosa potevano essersi detto, un campo di granoturco e un ragazzo. Ma un giorno mi ero certo fermato – come se con me si fermasse il tempo – e poi il giorno dopo, e un altro ancora, per tutta una stagione e una vita, davanti a un simile campo; e quello era stato un limite, un orizzonte familiare attraverso cui le colline, basse tant’erano remote, trasparivano come visi a una finestra. Ogni volta che avevo osato un passo dentro la selva gialla, il campo doveva avermi accolto con la sua voce crepitante e assolata; e le mie risposte erano state i gesti cauti, a volte bruschi, con cui scostavo le foglie taglienti, mi chinavo ai convolvoli, e di là dagli steli alti ficcavo lo sguardo al vuoto del cielo. C’era in quel crepitìo un silenzio mortale, di luogo chiuso e deserto, che schiudeva nel cielo lontano una promessa di vita ignota, impervia e seducente come le colline.

Che il tempo allora si sia fermato lo so perché oggi ancora davanti al campo lo ritrovo intatto. È un fruscío immobile. Capisco d’avere innanzi una certezza, di avere come toccato il fondo di un lago che mi attendeva, eternamente uguale. L’unica differenza è che allora osavo gesti bruschi, penetravo nel campo gettando un grido alle colline familiari che mi pareva mi attendessero. Allora ero un bambino, e tutto è morto di quel bambino tranne questo grido.

La stagione di quel campo è l’autunno, quando tutto si ridesta nelle campagne dietro ai filari di granturco. Si odono voci, si fanno raccolti, di notte si accendono fuochi. L’immobilità del campo contiene anche queste cose, ma come a una certa distanza, come promesse intravedute fra i rami. Il disseccarsi delle foglie apre sempre maggiori tratti di cielo, rivela più nudamente le colline lontane. Si pensa anche a quel che c’è dietro, e alle presenze notturne sul ciglione della Selva. Sale a volte nel ricordo il crepitìo delle foglie gialle, e sgomenta come il trapestare di un passo ignoto e temuto, come il dibattersi di corpi in lotta. Ormai, nella distanza, sono una cosa sola i falò notturni sui colli e l’imbrunire fra gli steli vaghi del campo. Rassicura soltanto il pensiero che chi si è buttato a terra nascondendosi è il ragazzo, e che dagli steli pendono grosse pannocchie che i contadini verranno a raccogliere domani. E domani il ragazzo non ci sarà più.

Queste cose accadono ogni volta che mi fermo davanti al campo che mi aspetta. È come se parlassi con lui, benché il colloquio si sia svolto molti anni fa e se ne siano perdute anche le parole. A me basta quell’occhiata furtiva che ho detto, e il cielo vuoto si popola di colline e di parvenze.


Edizione completa sulla pagina dedicata a Feria d’agosto di liberliber.it . Testo digitalizzato da Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it, revisionato da Catia Righi, catia_righi@tin.it, e Ugo Santamaria.

ARTE KUNST VAL TARO PLUS 2022 – Una sfida per promuovere e incentivare il territorio attraverso l’arte contemporanea

Breakfast

ARTE KUNST VAL TARO PLUS 2022

dal 29 luglio al 23 ottobre 2022

a cura di Bianca Maria RIZZI

UN PIANO STRATEGICO DI RIGENERAZIONE CULTURALE E CREATIVA PER LE ALTE VALLI DEL TARO E DEL CENO – PARMA

Il Progetto AKVT plus si pone la sfida di promuovere ed incentivare il territorio in Emilia Romagna dell’Alta Val Taro e Val Ceno da un punto di vista turistico e culturale, utilizzando l’arte contemporanea.

Ideato dall’Associazione “Serpaglio Lichtenberg” in collaborazione e con il sostegno dei Comuni di Bedonia, Tornolo e Bardi con il supporto di associazioni del territorio e in contatto col Centro Studi Val Ceno, l’attuale edizione si inserisce in una strategia di sviluppo a medio/lungo termine.

Il Festival proseguirà anche, dall´8 al 23 ottobre 2022 con una mostra finale a Bardi nella Val Ceno che presenterà i lavori degli Artisti partecipanti creati durante le loro residenze nelle botteghe, questa esposizione rappresenta il PLUS nel nome del festival ARTE KUNST VAL TARO PLUS grazie all’adesione della Val Ceno rispetto all’edizione 2021.

L’evento è patrocinato della Provincia di Parma e sostenuto dalla Fondazione Cariparma.

ll Festival quest’anno, riprende l’iniziativa di marketing territoriale della precedente edizione con l’utilizzo dei negozi sfitti come Residenza d’Artista, ampliandola attraverso alcuni driver:

Intensificazione della comunicazione in particolare sui social

– Introduzione di nuove tecnologie applicate all’Arte

– L’utilizzo continuativo dei negozi sfitti per tutto l’anno al fine di rafforzare la percezione del territorio come luogo di offerta culturale non solo in estate.

Si vuole così rispondere in parte ai problemi del territorio, lo spopolamento che deriva dalla presenza di botteghe artigiane e negozi ormai sfitti che avevano funzione oltre che commerciale anche sociale come luoghi di relazione e il senso di isolamento dovuto alla mancata inclusione dei nuovi residenti, italiani e stranieri (in particolare Olandesi), e degli emigranti di ritorno.

Crediamo fortemente che la cultura e la creatività siano elementi di unione e arricchimento sociale.

Gli Eventi collaterali nel periodo sono:
– 6 Concerti
– 2 Conferenze su argomenti tematici legati all’Arte
– 3 Workshop tenuti da artisti
– 2 Mostre collaterali dei fotografi noti a livello internazionale

        Dina Goldstein e Kai Schäfer
– Mostra finale delle opere realizzate a Bardi

Gli artisti partecipanti quest’anno sono:
Angelo Barile, Dea Buscola, Giovanni Buzzi, Andrea Gallo, Lele Gastini, Fabio Iemmi, Marco Minotti, Deborah Pellegrino, Tina Sgrò.

Lavoreranno nelle botteghe di Bedonia avvicendandosi: Giovanni Buzzi (4-11/8), Andrea Gallo (2-8/8), Fabio Iemmi (29/7-2/8), Tina Sgrò (4/8-11/8), Marco Minotti (29/7-11/8), Deborah Pellegrino (29/7-3/8).

Lavoreranno nelle botteghe di Tornolo e Tarsogno per l’intero periodo del festival:

Angelo Barile, Dea Buscola e Lele Gastini.

Ogni bottega è contrassegnata da un grande forex con la scritta ARTE KUNST VAL TARO PLUS.

Mostra collaterale di Dina Goldstein – In the Dollhouse

La serie In the Dollhouse ed è stata realizzata nel 2012.
Si svolge con una narrazione sequenziale in dieci parti, fotografata in una casa delle bambole costruita su misura dall’artista. Non è più una casa per adolescenti, ma piuttosto per un pubblico più cresciuto. Questa volta Dina si cimenta con uno dei simboli più potenti della cultura occidentale: Barbie e Ken, l’amata e idealizzata coppia americana. Più di ogni altra disposizione o valore dell’infanzia, Barbie rappresenta il concetto che la “bellezza” è il tratto più importante e necessario per raggiungere il potere e la felicità. Il suo coprotagonista Ken, intrappolato in un matrimonio imposto, scopre il suo io autentico e finalmente esprime la sua individualità, dopo diversi decenni di narrazione tradizionale. Il destino di Barbie è triste nelle mani di Goldstein, mentre Barbie crolla e si confronta con sé stessa e la sua vita effimera. Dina sovverte il mito della “perfezione umana” attraverso la satira ed esplora il concetto idealistico e instabile di perfezione.

Mostra collaterale di Kai Schäfer – Worldrecords

Kai Schäfer, attraverso le sue opere, mette in evidenza i grandi album della storia della musica su giradischi che, in parte, sono diventati anche leggendari.

Il suo progetto WORLDRECORDS vuole essere un omaggio all’arte sonora analogica, un omaggio al più caldo, forse al più sensibile dei portatori di suono. In un certo senso – e questo rende la serie fotografica così speciale – è anche una personale macchina del tempo per lo spettatore: la musica come impulso per ricordare episodi della propria storia personale, la liberazione dei pensieri e dei sentimenti di un tempo. La colonna sonora della tua vita.

Ariston Michael Jackson Thriller 47,3×35,4 cm

Artisti partecipanti

Marco Minotti (Bedonia dal 29/7 all`11/8 2022)

Nei suoi lavori spesso gioca ad inventare nuove specie animali. Unisce animali con animali, animali con l’essere umano. Spesso lega, unisce, vincola gli animali a nubi tossiche, magma che altro non è che la rappresentazione dell’effetto “uomo” sulla natura.

Le sue opere ci vogliono far riflettere, non vogliono stupire o terrorizzare, vogliono farci pensare. Vogliono per un istante, farci capire, attraverso metafore, giochi di ruolo ed immagini, cosa stiamo facendo, cosa stiamo combinando.

La sua ricerca, infatti, è denuncia degli effetti che l’uomo può produrre sulla natura, della manipolazione genetica, dell’inquinamento e delle altre cause che l’artista crede porteranno ad una ribellione della natura stessa.

Gli antichi pregavano Dei fantasiosi, come la Medusa, il Basilisco, la Chimera che altro non erano che animali e uomini uniti fra di loro, “noi oggi siamo in grado di farlo realmente e presto ci ritroveremo a pregarli”.

Angelo Barile

Il modello umano delle figure di Angelo Barile (Tornolo dal 29/7 all`11/8 2022) e la loro poetica è vibrante e ricco di rosate e scure giovani donne surreali e neopop.

Un immaginario leggermente horror e fiabesco si snoda sulle tele di Barile con profondi significati simbolici.

Qui a Bedonia e Tornolo, viene presentato il concetto del “bozzetto capovolto”, dove il disegno di prova è grande rispetto al lavoro finale colorato.

Dea Belusco

Pittrice e scultrice Dea Belusco (Tornolo dal 29/7 al 9/8 2022) gioca con l’inconscio umano che fa riaffiorare nelle sue opere.

Il suo pennello è selvatico e ci porta in paesaggi immaginari popolati da mostri buoni e fatine maliziose. Il suo bestiario è bizzarro e quasi innocente in un’epoca travagliata come la nostra.

Giovanni Buzzi

Il privilegio dell’artista di “cogliere l’attimo” è ben rappresentato da Giovanni Buzzi (Bedonia dal 4/8 all`11/8 2022)

Egli è inserito nella tradizione realista, guardando al vero e al quotidiano.

Una forte emozione pervade lo spettatore che si ritrova spesso dinnanzi personaggi equivoci o turbati. Prevale una componente individualistica ed esistenziale nei suoi quadri in una visione spesso angosciata.

L’impianto resta solido e ben costruito e con una grande vivacità cromatica.

Andrea Gallo

Il lavoro di Andrea Gallo (Bedonia dal 2/8 all`8/8 2022) gioca sul potere evocativo della pittura. Tramite la raffigurazione abbozza storie che non ricercano un effetto di senso o di verosimiglianza e non si sviluppano in una concatenazione logica. I soggetti e gli eventi che rappresenta derivano da immagini attinte da archivi fotografici privati, riviste e giornali d’epoca. Immagini insieme anonime e confidenziali. Il risultato di questa ricombinazione è una sorta di enigma visivo che chiunque guarda può interpretare e risolvere liberamente.

Le sue immagini sembrano prendere forma da un film di Hitchcock o si possono anche sentire gli influssi di David Lynch.

Tra i personaggi spesso aleggia una mancanza di comunicazione, anche se questa sarebbe dovuta per il rapporto di parentela che lega le figure.

Lele Gastini
Illustratore e visual artist classe 1993. (Tarsogno, Albergo Plaza dal 29/7 all`11/8 2022). Amante del bianco e nero, crea le sue opere a mano o in digitale, sui muri e su tutto ciò che può essere decorato, cercando di dare forma alle immagini che riempiono la sua mente. La continua esplorazione del bianco e del nero sono la base della sua ricerca artistica. Dal 2022 nel mondo magico degli Nfts.

Fabio Lemmi

Nell’ambito della pittura astratta italiana Fabio Iemmi (Bedonia dal 29/7 al 2/8 2022) si esprime con la sua capacità di forgiare uno spazio ampio e puro con materie e tecniche inconsuete.

Lo spazio viene riempito da un senso ritmico del movimento ed i rapporti ora armonici ora contrastati del colore e delle forme, assurgono alla pienezza estetica dell’opera. In una concezione dell`”Arte spaziale” egli dona al colore un valore espressivo in sé e per sé.

Deborah Pellegrino

Una fumettista, generalmente comica, ma si dedica anche ad altri generi. Si dedica anche all’illustrazione, spaziando dai paesaggi, al nudo e al creepy.

Tina Sgrò

Le emozionanti immagini di Tina Sgrò (Bedonia dal 4/8 all`11/8 2022) ci rimandano alla sfera del ricordo, del raccoglimento e della “melancholia” che viene da lontano. Tina che, con il suo pennello ci presenta ambienti misteriosi, è una poetessa innamorata del mondo e del suo fantastico quotidiano antico ed intimo.


INFO

Evento: Arte Kunst Val Taro Plus 2022
29 luglio – 11 agosto 2022

Promotore evento: Associazione artistico-culturale Serpaglio Lichtenberg

A cura di: Bianca Maria Rizzi

Organizzazione: Matthias Ritter

Graphic Design: Cristian Ducceschi

Artisti partecipanti: Angelo Barile, Dea Buscola, Giovanni Buzzi, Andrea Gallo, Lele Gastini, Fabio Iemmi, Marco Minotti, Deborah Pellegrino, Tina Sgrò.

Gli orari di apertura al pubblico degli atelier artistici sono:
mattina h. 10.00/12.00 – pomeriggio h. 16.00/18.00

Mostre collaterali:
Dina Goldstein – In the Dollhouse
Kai Schäfer – Worldrecords

Per informazioni, domande e approfondimenti:
Matthias Gernot Ritter [+39 3661830031]Bianca Maria Rizzi [+39 3664695525]

Associazione Artistico-Culturale
Serpaglio Lichtenberg
Via Serpaglio, 18
43041 Bedonia (PR)

UFFICIO STAMPA 
FG Comunicazione – Venezia 
Cristina Gatti 
cristina.gatti@fg-comunicazione