Roma, Rosso20sette arte contemporanea: Il cinema in galleria con Movies Reloaded – 12 artisti, 40 opere a cura di Edoardo Marcenaro

About Ponny Kill Bill

Movies Reloaded
A cura di Edoardo Marcenaro

Dina Saadi, Laika, Alessandra Carloni, Marco Rèa, Luogo Comune,
About Ponny, Daniele Tozzi, Kiki Spiki, Lavinia Fagiuoli,
Antonio Pronostico, Chekos’Art, Demetrio Di Grado

Opening sabato 8 ottobre 2022 ore 18.00

Rosso20sette arte contemporanea
Via del Sudario 39 – Roma

Fino al 12 novembre 2022

Sabato 8 ottobre 2022 Rosso20sette arte contemporanea presenta la mostra Movies Reloaded con la curatela e un testo di Edoardo Marcenaro e le opere di Dina Saadi, Laika, Alessandra Carloni, Marco Rèa, Luogo Comune, About Ponny, Daniele Tozzi, Kiki Spiki, Lavinia Fagiuoli, Antonio Pronostico, Chekos’Art, Demetrio Di Grado. 

La mostra Movies Reloaded porta il cinema in galleria, con dodici artisti – e oltre quaranta opere-, che realizzano vere e proprie locandine cinematografiche con il solo vincolo di lavorare sul classico formato verticale lungo e stretto, orizzontale (in genere con le due foto di scena) e il grande poster, oltre ad alcune opere fatte sulle vecchie “pizze” di latta che contenevano la pellicola del film.

Laika riesce a mettere insieme le due versioni di “Django” di Sergio Corbucci (1966) e “Django Unchained” di Quentin Tarantino (2012). […] “Gli uccelli” di Hitchcock, “Metropolis” di Fritz Lang e “Il castello errante di Howl” di Miyazaki sono alcuni dei film scelti da Alessandra Carloni. […] Altrettanto fa Kiki Spiki con i suoi lavori dedicati a “Il deserto rosso” di Antonioni, “La baia di Napoli” di Shavelson e “Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata” di Luigi Zampa, tutti film degli Anni 60. […] La locandina del film del regista coreano Kim Ki – Duk “Ferro Tre – La casa vuota” viene fedelmente riprodotta da Marco Réa, che si concentra sulla casa vuota laddove il colore rosso rappresenta l’assonometria di uno spazio vuoto. […] About Ponny si concentra sugli oggetti di scena: il triciclo di Denny in “Shining“, gli origami di Gaff in “Blade Runner“, le scarpe della Sposa di “Kill Bill” e le spade di Luke di “Star Wars“, cui si aggiunge il ritratto di Chewbakka sulla pizza. Roberto Benigni nel film “La Vita è bella” tranquillizza il piccolo Giosuè nella locandina di Chekos’ Art, che riesce altresì a rappresentare il senso di caduta negli abissi di “Trainspotting“, oltre a omaggiare Hitchcock e Gian Maria Volontè, cittadino al di sopra di ogni sospetto, sulla pizza. Luogo Comune propone invece l’iconicità del lavoro di Stanley Kubrick, con immagini e dettagli icastici, semplici ed efficaci come la fotografia di film del grande regista inglese quali “Full Metal Jacket“, “Eyes Wide Shut” ed “Arancia Meccanica”, quest’ultimo altresì rappresentato con un occhio speciale sulla pizza. Daniele Tozzi propone una serie di film del filone “blaxploitation”, usando la sua inconfondibile calligrafia nelle locandine di “Superfly“, “Cleopatra Jones” e “Foxy Brown” (che viene proposto anche su pizza), con figure iconiche alternate al lettering delle parole di alcuni brani delle colonne sonore, mentre i film di Quentin Tarantino “Le iene”, “Pulp Fiction” e “Kill Bill” vengono magistralmente rivisitati nei collage di Demetrio Di GradoLavinia Fagiuoli omaggia Shakespeare con il suo progetto che ripercorre l’iter cinematografico della storia di “Romeo e Giulietta”. […] Antonio Pronostico ci porta al laghetto di Villa Borghese dove Nanni Moretti di “Bianca” rema la barca a noleggio leggendo Proust, protetto dal cappello da sole: un’immagine serena che si contrappone all’altra sua locandina di “Apocalypse Now“, con l’elicottero che vola in un cielo rosso infuocato. […] Considerando che oggi vediamo le locandine quasi esclusivamente online, quando scegliamo un film o una serie sulle varie piattaforme, la mostra Movies Reloaded può essere considerata un ritorno all’infanzia. 50 anni in cui ho girato, fatto cose, visto gente, visto e rivisto film, collezionato locandine fino ad arrivare a “commissionarle” agli artisti in mostra, spiegando loro che dovevano immaginare per un attimo che fossi il produttore di una casa cinematografica e non un semplice spettatore. Buona visione.”
(dal testo critico di Edoardo Marcenaro)


INFO

Movies Reloaded
A cura di Edoardo Marcenaro
Testo di Edoardo Marcenaro
Artisti: Dina Saadi, Laika, Alessandra Carloni, Marco Rèa, Luogo Comune, About Ponny, Daniele Tozzi, Kiki Spiki, Lavinia Fagiuoli, Antonio Pronostico, Chekos’Art, Demetrio Di Grado

Opening sabato 8 ottobre 2022 ore 18.00
Fino al 12 novembre 2022
Orari: dal martedì al sabato 11-19,30 – domenica su appuntamento

Rosso20sette arte contemporanea
Via del Sudario 39 – Roma
info@rosso27.com
tel.06 64761113
www.rosso27.com

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca
Melasecca PressOffice – Interno 14 next

roberta.melasecca@gmail.com  
www.melaseccapressoffice.it

Lecce, Fondazione Biscozzi Rimbaud: GRAZIA VARISCO Sensibilità percettive

Tavola magnetica trasparente “Filamenti liberi”, 1960, telaio in legno, rete metallica, filamenti mobili con calamita, 60,5 × 48 cm

CS VARISCO Fondazione Biscozzi Rimbaud DEF

GRAZIA VARISCO Sensibilità percettive
Lecce,

Fondazione Biscozzi | Rimbaud 9 ottobre 2022 – 8 gennaio 2023

La mostra dedicata alla celebre artista Grazia Varisco in programma alla Fondazione Biscozzi | Rimbaud di Lecce dal 9 ottobre all’8 gennaio 2023 è la terza mostra temporanea realizzata dalla nascita della Fondazione, dopo L’artista del bianco nel 2021, protagonista Angelo Savelli, e L’altra scultura con le opere dello scultore salentino Salvatore Sava. Esposizione proposta dal direttore scientifico e curatore Paolo Bolpagni e accolta con entusiasmo da Dominique Rimbaud, presidente della Fondazione, tra i cui scopi riveste un ruolo centrale l’educazione ai linguaggi del contemporaneo.

Si parte da Tema e svolgimento (1957-1959), risalente al periodo di apprendistato all’Accademia di Brera, “semplice e lieve – scrive Bolpagni nel suo saggio in catalogo – quasi à la manière de Paul Klee… un rotolo di carta caduto e l’idea di trarre da un simile evento casuale lo spunto per un’interpretazione estetica”. L’opera rivela già la sensibilità percettiva della Varisco e il suo porsi in osservazione e “in ascolto” costante della realtà. Nel 1959-1960 comincia l’avventura del cinetismo con il famoso Gruppo T, che nasce a Milano con la partecipazione della Varisco insieme con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele Devecchi: la loro poetica è incentrata sul concetto di miriorama, cioè sull’idea della variazione dell’immagine nella sequenza temporale. Nascono le tavole magnetiche di Grazia Varisco, di cui in mostra sono presenti due esemplari – Tavola magnetica a elementi quadrati (1959) e Tavola magnetica trasparente “Filamenti liberi” (1960) – con elementi fissati al supporto tramite magneti e quindi spostabili: oggetti semplici, dalle forme regolari e geometriche, oppure filamentose e aree. “Per Grazia Varisco – spiega Bolpagni – è anche un invito al gioco, ma la componente ludica, che pure è presente e importante, non esaurisce il significato di questi lavori, che implicano la partecipazione attiva dello spettatore e la moltiplicazione delle possibili configurazioni dell’opera stessa, che perde la sua aura di compiutezza definitiva”.

Della stagione cinetica, ultima grande avanguardia europea – che ebbe tra i suoi precursori futuristi, dadaisti, bauhausiani e costruttivisti, e di cui si ricordano mostre storiche a Parigi, Zagabria, Milano e New York – in mostra troviamo quattro opere di Grazia Varisco: Oggetto cinetico luminoso (1962), Variabile + Quadrionda 130, Scacchiera nera (1964), +Rossonero- (1968) e Oggetto ottico-cinetico (1968-1969), i primi due dotati di motore elettrico e dunque di un movimento connaturato all’opera stessa. Qui la Varisco si basa sul concetto di frammentazione della luce, realizzata in diversi modi: “una immagine – scrive Bolpagni – generata da configurazioni che appaiono e scompaiono alternatamente, prodotte dall’interferenza tra dischi rotanti nei quali sono intagliate trame che lasciano filtrare la luce suscitata dalla sorgente elettrica; oppure Reticoli frangibili e Mercuriali, costruiti con vetri industriali a rilievi regolari e superficie lenticolare, che cambiano, con il mutare della posizione dell’osservatore, la percezione di ciò che è contenuto nella scatola (schemi geometrici colorati o borchie di acciaio ‘fluidificate’ dall’effetto di rifrazione, così da innescare un continuo spostamento del punto di vista, una situazione d’instabilità tipica dell’accadere della realtà)”.

Grazia Varisco, reduce dalla partecipazione alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale e da una recente mostra antologica a Palazzo Reale a Milano, presenta negli spazi della Fondazione leccese una piccola ma preziosa mostra di diciassette opere che coprono l’intero arco della sua carriera, dalla fine degli anni Cinquanta al 2009, in un percorso in cui

i singoli lavori costituiscono un corpo unitario, pur conservando ciascuno la propria originalità.

Conclusa l’esperienza del Gruppo T, Grazia Varisco prosegue il proprio percorso in autonomia, seguita da critici attenti come Ballo, Belloli e Dorfles, realizzando nel 1966 la sua prima mostra personale. Negli anni Settanta l’artista sperimenta la manipolazione libera della carta e del cartoncino e l’apertura programmatica all’azione perturbante del caso, mantenendo sempre al centro l’analisi dei meccanismi percettivi. Nascono serie fortunate come le Extrapagine e gli Extralibri: in mostra sono presenti quattro lavori come Meridiana 2 (1974), Extralibro (1975), Spazio potenziale (1976) e Extrapagina “Spartito musicale” (1977).

“Gli Spazi potenziali – prosegue Bolpagni – segnano un altro momento importante: la Varisco qui si diverte ad aprire, scomporre e ricomporre i telai di ferro delle sue opere, in un’investigazione maieutica che implica anche un protendersi verso la tridimensionalità già riscontrato nella Meridiana, dove le strisce metalliche aggettanti creano l’immagine insieme con l’ombra da esse proiettata, in un meccanismo percettivo che è sempre mutevole e instabile”.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, la Varisco crea il ciclo Fraktur, con l’osservazione degli angoli di raccordo tra due o tre piani ortogonali e uno studio delle soglie e delle disarticolazioni. In mostra troviamo Implicazioni B (1986), Incastro giallo (1987) e Fraktur – Ferro 1 (1997). E poi, degli anni Duemila, Quadri comunicanti (2008) e Filo rosso (2009).

La mostra si chiude con Silenzi (2006), articolazione di piani e vuoti prodotta dalla sovrapposizione di semplici telai: un altro salto concettuale per interpretare il mondo di un’artista visionaria e ad alto tasso di creatività.

Extralibro, 1975, cartone, cartoncino monolucido, pennarello nero, 72 × 75 cm

La Fondazione Biscozzi | Rimbaud

La Fondazione Biscozzi | Rimbaud, nata nel 2018 per volontà di Luigi Biscozzi (1934-2018) e di sua moglie Dominique Rimbaud e aperta al pubblico dal 2021, costituisce per la Puglia un centro d’eccellenza per l’arte contemporanea.
La peculiarità della Fondazione, oltre alla collezione permanente che comprende i nomi più importanti delle arti visive del XX secolo – de Pisis, Martini, Prampolini, Albers, Magnelli, Veronesi, Melotti, Burri, Dorazio, Birolli, Tancredi, Scanavino, Consagra, Azuma, Dadamaino, Bonalumi, Savelli, Schifano e molti altri, – è quella di caratterizzarsi come uno spazio dinamico e aperto, che interagisce con il territorio e le sue istituzioni culturali.

La Fondazione si pone come obiettivo quello di attrarre e incentivare l’attenzione di un pubblico più vasto e intergenerazionale verso la fruizione dell’arte contemporanea, concependo i propri ambienti come veri e propri laboratori d’apprendimento e formazione.

Biografia di Grazia Varisco

Grazia Varisco è nata a Milano il 5 ottobre 1937.
Dal 1956 al 1960 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera, allieva di Achille Funi.
Dal 1960, attiva nella ricerca artistica come esponente del gruppo T con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi, partecipa alle manifestazioni Miriorama, alle mostre di arte programmata e a quelle del movimento internazionale Nouvelle Tendance, con occasioni di incontro e di scambio con artisti dei gruppi italiani e stranieri animati da interessi nel campo della percezione e della sperimentazione.
Conclusasi l’esperienza di gruppo, dalla metà degli anni Sessanta Grazia Varisco continua la sperimentazione e l’attività espositiva in modo autonomo.
Dal 1961 al 1967 svolge attività di grafica per l’Ufficio Sviluppo della Rinascente, per la rivista «Abitare», per la Kartell e per il Piano intercomunale milanese (1962-1963).
Nel 1969 e nel 1973, in occasione di prolungati soggiorni negli Stati Uniti, incontra e frequenta artisti e docenti dei Departments of Fine Arts, intrattenendo rapporti che contribuiscono alla sua formazione.
Dal 1979-1980 si impegna nell’attività didattica e dal 1981 al 2007 è titolare della cattedra di Teoria della percezione all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.
Partecipa a importanti rassegne nazionali e internazionali tra cui: Biennale di Venezia, 1964, 1986 e 2022; Quadriennale di Roma, 1965, 1973 e 1999; Trigon di Graz, 1977; Arte italiana 60/82 alla Hayward Gallery di Londra, 1982; Electra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 1983; Triennale Toyama Now, 1990; Force Fields. Phases of the Kinetic al Museu d’Art Contemporani di Barcellona e alla Hayward Gallery di Londra, 2000; Beyond Geometry al Los Angeles County Museum e al Miami Art Museum, 2004; Gli ambienti del gruppo T alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, 2005; Lo sguardo del collezionista. Opere della Fondazione VAF al Mart di Rovereto, 2005; Op art alla Schirn Kunstalle di Francoforte, 2007; Arte cinetica e programmata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, 2012.
Nel 2007, su segnalazione dell’Accademia di San Luca, riceve dal presidente Giorgio Napolitano il Premio nazionale Presidente della Repubblica per la scultura.
Sue opere figurano in musei e collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero, fra cui la Collezione Farnesina, la Collezione dell’Accademia di San Luca e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Museum of Modern Art di New York, il MAMbo di Bologna, la Fondazione Museo de arte moderno Jesús Soto a Ciudad Bolívar, il museo di Würzburg, il Museum Ritter a Waldenbuch, il Centre Georges Pompidou a Parigi, la Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, il MAC di Lissone, il Museo di Villa Croce di Genova, il Museo della Permanente, la Fondazione Prada, le Gallerie d’Italia e il Museo del Novecento a Milano.
Nel 2017 la Triennale di Milano le ha dedicato una mostra-omaggio. Del 2022 è la personale a Milano a Palazzo Reale.
Nel 2018 riceve dall’Accademia dei Lincei il Premio Feltrinelli per le Arti Visive.
Grazia Varisco vive e lavora a Milano.


INFO

Titolo: Grazia Varisco. Sensibilità percettive Date: 9 ottobre 2022 – 8 gennaio 2023

Inaugurazione: 8 ottobre 2022, ore 19 Curatore: Paolo Bolpagni

Catalogo: Silvana Editoriale

Mostra promossa e prodotta da: Fondazione Biscozzi | Rimbaud

Con il patrocinio del Comune di Lecce

Progetto grafico: Arrigoni Architetti

Comunicazione digitale: Co.M.Media, Lecce

Sede: Fondazione Biscozzi | Rimbaud, piazzetta Baglivi 4, 73100 Lecce – gli spazi sono completamente accessibili ai diversamente abili

Apertura: dal martedì alla domenica dalle ore 16 alle 19; l’ultima domenica di ogni mese dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19

Biglietto d’ingresso: 5 euro (comprensivo anche di visita dell’esposizione permanente della Fondazione); 3 euro per la sola visita della mostra

Biglietto ridotto: 3 euro (comprensivo anche di visita dell’esposizione permanente della Fondazione) per gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 anni, scolaresche (della primaria e delle secondarie), studenti di università, accademie d’arte e conservatori provvisti di tesserino, insegnanti; per tutti, salvo le gratuità prevista, nell’ultima domenica di ogni mese

Biglietto gratuito per bambini fino ai 6 anni, diversamente abili (e accompagnatore), un accompagnatore per ogni gruppo, soci ICOM, militari e forze dell’ordine con tesserino, guide turistiche, giornalisti con tesserino

Informazioni: www.fondazionebiscozzirimbaud.it, info@fondazionebiscozzirimbaud.it, segreteria@fondazionebiscozzirimbaud.it, tel. 0832 1994743

Musei e collezionisti tornano ad acquistare alla BIAF – La 32ma edizione si chiude con molti successi

24 Settembre 2022 – 02 Ottobre 2022
Firenze, Palazzo Corsini

BIAF – BIENNALE INTERNAZIONALE DELL’ANTIQUARIATO
DI FIRENZE 2022

Antonacci Lapiccirella – Ippolito Caffi:: Ascensione in mongolfiera sulla campagna romana (Lago di Albano), 1847, Tempera su cartoncino, 14 x 22,5 cm

È stata la Biennale delle grandi aspettative, perché ha segnato il ritorno, non dopo due anni come sarebbe stato naturale ma dopo tre, della Mostra Mercato dell’Antiquariato più importante in Italia. Antiquari e operatori del settore guardavano con speranza e ottimismo a questo appuntamento come il momento di rinascita di un mercato – e del suo indotto – fortemente messo in difficoltà dalla pandemia. I risultati sono più che positivi e hanno superato le speranze, in termini di presenze di collezionisti, direttori di musei e appassionati e, di quel che più conta, di vendite.

“Abbiamo lavorato tre anni per organizzare l’edizione della rinascita, chiedendo agli antiquari di portare solo qui a Firenze, i capolavori più rari e preziosi. La qualità delle opere proposte è stata sotto gli occhi di tutti e di questo voglio ringraziare tutte le gallerie. Credo sia stata un’edizione eccitante da tutti i punti di vista” dichiara Fabrizio Moretti, segretario generale della Biennale dell’Antiquariato di Firenze.

Rafforzata da nuove prestigiose partnership con Arte Generali e EY e riconferme di partnership istituzionali come Fondazione CR Firenze, Camera di Commercio di Firenze, la BIAF ha potuto avvalersi di un network più ampio in grado di attirare a Firenze negli 11 giorni di apertura un pubblico nuovo e internazionale che in città ha trovato ad attenderlo grandi eventi espositivi.

Alla mostra dell’Antiquariato non sono mancate le innovazioni, come la realizzazione di “Eternal Memories”, il primo docu-game al mondo concepito per raccontare alle giovani generazioni l’arte antica attraverso un momento ludico. E ancora il corner EY, dedicato all’innovazione in cui si è sperimentato il legame tra nuove tecnologie e arte, e uno spazio museale all’interno del Metaverso con opere d’arte premiate nelle precedenti edizioni della BIAF per vivere, anche da remoto, un’esperienza immersiva.

A Palazzo Corsini, ancora più splendente dopo il restauro della facciata e dello scalone nobile, 77 gallerie italiane ed estere hanno dato vita ad allestimenti eleganti per accogliere opere di importanza museale. Una proposta elevatissima per qualità secondo la critica più esperta, italiana ed internazionale, che ha raccontato la Biennale sulla stampa in termini entusiastici.

Un grande impegno da parte degli antiquari a scoprire, studiare e restaurare opere “nuove per il mercato”, cosa non scontata nell’ambito dell’antico in cui il “giacimento” non è infinito o riproducibile.

Risultato di questo sforzo collettivo sono le numerose vendite riportate dalle Gallerie a collezioni private e a Musei con gli Uffizi che hanno fatto da apripista aggiudicandosi ben sei opere acquisite (e la donazione di un disegno preparatorio del pittore cinquecentesco Carletto Caliari per un quadro oggi custodito al Louvre, donato dal gallerista Enrico Frascione), seguiti dagli acquisti del Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto e dalla Galleria dell’Accademia di Firenze.

Il museo degli Uffizi in particolare ha scelto due quadri e una scultura del Seicento: “Ritratto di giovane vittorioso sull’Invidia” di Pietro Paolini esposto dalla Galleria Porcini, e  “Allegoria del Disegno e della Pittura” di Francesco Cairo proposta da Frascione Arte. Inoltre il prezioso busto in avorio di Cosimo III de’ Medici scolpito da Jean-Baptiste Basset a Livorno nel 1696, esposto nello stand della Galleria Orsi e un autoritratto dell’Ottocento, Felice Cerruti Bauduc, “Atelier con il pittore in atto di dipingere il Combattimento di Sommacampagna” di Pallesi Art Gallery. Infine, di Giacomo Manzù il museo ha acquistato presso lo stand di Galleria Gomiero una Pietà in bronzo del 1950.

Le trattative sono private e spesso si concludono anche a settimane di distanza, tuttavia alcune gallerie hanno fatto sapere, nei giorni scorsi, quali opere e oggetti hanno trovato “casa”. Un collezionista privato e non un museo, come sarebbe stato legittimo supporre, ha acquistato nella prima mezz’ora di preview le Posate di Cosimo I de’ Medici Granduca di Toscana esposte nello stand della galleria Longari. Di manifattura fiorentina del XVI secolo (Ferro dorato e cesellato; decorazione a niello) il set era composto da 4 forchette, 4 coltelli, un forchettone e un coltellone. Due vendite museali per Frascione Arte per le seguenti opere: Francesco Cairo, “Allegoria della Pittura e del Disegno” 1635 ca. olio su tela, 125×93,5 cm e Niccolò Betti, “Crocifissione” 1572-1577 ca. olio su tavola, 47×31 cm.

Giacometti Old Master Paintings ha portato a termine numerose vendite tra le quali segnalano: Luigi de Luca “Monello napoletano”, terracotta, ante 1880 venduto a un collezionista giapponese. E di Saverio della Gatta una “Veduta della Villa di Diomede a Pompei” e Veduta della Tomba di Virgilio a Napoli”, entrambi gouaches su carta, 1807 venduti a un noto artista italiano. La Galleria Carlo Virgilio ha venduto sette opere, tra le più importanti segnala di Raphael Mengs il “Ritratto di una giovane nobildonna”, 1760-1770 circa, Olio su tela a collezionista italiano e un bronzo di Duilio Cambellotti “L’avo” del 1924 entrato ora in una collezione toscana.

La Galleria Paolo Antonacci ha fatto sapere che già la prima sera di preview ha venduto il bellissimo dipinto raffigurante il duomo di Firenze (Alfred Berg, “Veduta notturna del duomo di S. Maria del Fiore”) a un collezionista fiorentino, inoltre un quadro di Nino Costa a collezionista romano, un bel disegno a due clienti americani e i due magnifici acquarelli “vedute di Roma” di Keisermann a un cliente romano. I giovani galleristi Caretto & Occhinegro hanno venduto uno degli highlight di questa edizione, “giochi di scimmie (coppia di dipinti)” di Abraham Teniers, un olio si tavola del 1650 ca. aggiudicato durante i giorni iniziali della fiera a un nuovo collezionista.  Pietro Cantore della omonima galleria segnala la vendita, tra le altre, di un bel rame dell’artista bolognese Francesco Albani raffigurante “Il Padre Eterno appare alle Sante Tecla e Agnese”, di cui esiste una variante su tela nella Cattedrale di Osimo nelle Marche andato a cliente emiliano. Bellissimo il tavolo di Giacomo Manzù venduto dalla Galleria Botticelli Antichità in legno bronzo e cristallo proveniente da villa Lampugnani Bordighera.

È sicuramente un amante dei cani il o la collezionista che da Società di Belle Arti ha acquistato un’opera di Eugenio Cecconi intitolata “I miei amici”, composta da 14 ritratti ad olio dei cani appartenuti all’artista. Un nuovo cliente conosciuto in fiera non se lo è lasciato scappare. La Galleria Nobile ha venduto un disegno realizzato da Balthasar Kłossowski De Rola alias Balthus che ritrae l’amico Renato Guttuso nel 1975 e inoltre il sorprendente Autoritratto di Armando Locatelli, un olio su tavola del 1925.

Per la galleria Antonacci Lapiccirella di Roma la 32ma edizione della BIAF è stata un successo: “grande affluenza di collezionisti, curatori di musei e appassionati d’arte internazionali” e comunica di aver venduto sette opere, tra cui un’affascinante tempera di Ippolito Caffi (“Ascensione in mongolfiera sulla campagna romana (Lago di Albano del 1847″) a un nuovo collezionista. Sempre a collezionisti privati sono andati anche il bellissimo bronzo di Libero Andreotti “Donna che fugge” del 1919, proveniente dalla collezione Ugo Ojetti e il capolavoro di Onofrio Martinelli “I Giganti”.

Non nasconde entusiasmo la Galleria di Carlo Orsi con importanti vendite all’attivo: “Antioco e Stratonice” di Gaspare Landi, venduto a un privato e il “ritratto di Cosimo III de’ Medici” di Jean-Baptiste Basset, venduto come è noto agli Uffizi. La Galleria Poggiali conferma un totale di tre vendite dei due artisti presentati alla BIAF, Arnulf Rainer e Claudio Parmiggiani andati tutti collezionisti privati. Non svela le vendite ma solo parecchio entusiasmo Matteo Salamon che di BIAF ne ha frequentate diverse: “Finalmente ho visto voglia, desiderio, curiosità nei collezionisti, siamo tornati negli anni ’80 per il clima eccitante che abbiamo respirato nelle giornate di preview ma anche nei giorni successivi”.

Una Biennale realmente Social, con una presenza e un impatto da evento di primo piano! Partiamo dal dato più pratico: i follower su Istagram e FB raddoppiati sino a raggiungere i 43 mila. Con i post pubblicati la BIAF ha raggiunto complessivamente 2 milioni e 300 mila persone. Le interazioni con i contenuti dei post sono più di 150 mila. Mentre le visualizzazioni dei contenuti su Facebook hanno superato i 4 milioni e su Instagram i 3 milioni e mezzo. Per quanto riguarda il pubblico ci sono due dati importanti: la crescita dei follower da altri paesi e il rilevante aumento del numero dei più giovani, con il target 25-34 che ha superato quello dai 45 ai 64 e quello dei 18-24 che ha già superato quello degli over 65.


INFO

UFFICI STAMPA 

Italia:
Studio ESSECI | Sergio Campagnolo. Tel. 0493499;
Rif. Roberta Barbaro; roberta@studioesseci.net
www.studioesseci.net

Toscana:
Ester di Leo | Ester Di Leo < esterdileo@studioesterdileo.it

Estero
Matthew Brown | matthew@sam-talbot.com 
Social Media Manager – Matteo Mizzoni   

Pordenone: The Spirit of Will Eisner in mostra al PAFF!

The Spirit of Will Eisner in mostra al PAFF! di Pordenone

PAFF! – Palazzo Arti Fumetto Friuli apre le porte alla nuova esposizione di William EisnerThe Spirit of Will Eisner,  che si terrà a partire dal 7 ottobre sino al 26 febbraio presso la villa di Palazzo Galvani in viale Dante 33, in collaborazione con 9ème Art Références di Parigi.

PAFF! continua con i numeri uno del fumetto mondiale. La qualità delle sue produzioni e l’autorevolezza degli artisti coinvolti gli hanno conferito in poco tempo una notorietà internazionale. Dopo Cavazzano per il fumetto Disney, Milton Caniff delle storiche strip avventurose americane, i maestri Marvel & DC per i supereroi e un Manara a tutto tondo e non solo erotico, dopo il numero uno del fumetto fantastico e fantascientifico, Moebius e il grande Juanjo Guarnido arriva Will Eisner.

L’autore

Il grande fumettista e imprenditore americano William Erwin Eisner è stato uno dei più grandi artisti della storia del fumetto. Appassionato studioso del linguaggio, da lui ribattezzato “arte sequenziale” ha sviluppato fin da subito una tecnica espressionistica che, attraverso inquadrature e giochi di ombre, punta a creare la massima emozione della narrazione disegnata.

 Nato a Brooklyn nel 1917, dimostra molto presto di avere grandi doti artistiche, che lo porteranno già da ragazzo a considerare l’idea di perseguire il lavoro di disegnatore.

Proviene da una condizione sociale non agiata, si appassiona da subito alla letteratura e all’arte (grazie anche al lavoro del padre, muralista).

Inizialmente illustratore umoristico e pubblicitario, all’età di vent’anni fonda una delle prime società di produzione e distribuzione di fumetti, la Eisner-Iger Ltd, insieme all’editore Jerry Iger, acquisendo un successo immediato. Le sue opere sono altamente influenzate dalla Grande Depressione degli anni ’30. Grazie alla collaborazione con Jerry Iger crea personaggi come Bob Powe, Jack Kirby e Bob Kane.Tuttavia, la vera notorietà arriva con The Spirit (Denny Colt), investigatore privato dato per morto, i cui episodi di ambientazione urbana, si distinguono per la sempre presente riflessione che va oltre la classica diatriba “bene contro male”, per la ridefinizione della grammatica e della sintassi del linguaggio fumettistico e per le sperimentazioni spazio-temporali. The Spirit si discosta dai canoni dell’editoria contemporanea, perché riesce a coinvolgere più generi, thriller, erotico, violento, romantico, avventuroso, soprannaturale, satirico…

Molto utilizzata da Eisner è la splash page, che al contrario delle tavole domenicali sono storie autoconclusive molto brevi, solitamente di una sola pagina, che raccontano le avventure degli eroi più in voga del tempo.

Con Eisner si rinnova il medium, e grazie a lui diventano popolari i termini come “graphic novel” (da noi “romanzo grafico” o “romanzo a fumetti”).

Dopo il lungo lavoro su The Spirit (dal 1940 al 1952) Eisner ha studiato e scritto saggi sul linguaggio del fumetto e poi, è arrivato Contratto con Dio, il primo graphic novel di successo: quattro episodi ed un prologo pubblicato nel 1978 ed edito in Italia per la prima volta nel 1980. Solo tre decenni più tardi si sarebbe saputo che il primo, drammatico episodio era ispirato alla tragica morte per leucemia della figlia adolescente. 

Il lavoro di Eisner è universale e allo stesso tempo vicino, abbraccia ogni aspetto senza lasciare nulla al caso; attraverso il disegno, la sceneggiatura, la composizione, l’anatomia e il linguaggio corporeo dei personaggi, Eisner riesce a raccontare la vita vera, la realtà dei quartieri poveri dove egli stesso ha vissuto, influenzando ancora oggi molti autori contemporanei. A rendere quest’atmosfera è sicuramente l’ispirazione alla letteratura Pulp, al cinema thriller e alla New York di quei tempi.  Fondamentale nella sua arte, inoltre, è senz’altro l’uso della luce e la rappresentazione dello sfondo: le sorgenti luminose sono spesso scarse e il paesaggio intorno è spesso definito da uno o due elementi, pochi ma sufficienti a far capire il contesto della scena. Questo permette al lettore di concentrarsi sui personaggi, sui dialoghi e sull’azione. L’acqua infine, è un altro elemento immancabile: gocce di pioggia, acquazzoni, pozzanghere… l’acqua è simbolo di angoscia e disagio e appesantisce la scena.

Contract with God – Copertina del graphic novel Contract with God di Will Eisner (1978)

La mostra al PAFF! 

La nuova esposizione dell’artista sarà inaugurata dal prossimo 7 ottobre e sarà disponibile sino al 26 febbraio al PAFF! – Palazzo Arti Fumetto Friuli di Pordenone e nei prestigiosi spazi di Villa Galvani, che ospiteranno per ben cinque mesi le opere dell’artista.

Una grande sezione è dedicata alle opere che hanno reso celebri i suoi lavori più importanti.

Giulio De Vita, Direttore artistico del PAFF! -Palazzo Arti Fumetto Friuli e curatore della mostra ha dichiarato: “Ci sono pochi nomi essenziali e imprescindibili nella storia del fumetto, di quelli che con il loro lavoro e arte hanno contribuito a trasformare un linguaggio di popolare sottocultura a un medium di primaria importanza, influente e determinante nella società dell’immagine moderna e uno di questi é Will Eisner”. Ha inoltre aggiunto: “La grande mostra del PAFF! di questo cruciale fumettista voluta fortemente e perseguita con determinazione colloca la vocazione della nostra struttura al connubio tra ricerca, divulgazione e intrattenimento”.

Ancora una volta – rileva l’Assessore Regionale alla Cultura Tiziana Gibelli – il PAFF! si dimostra un’eccellenza del fumetto non solo a livello nazionale, ma anche europeo. Con la mostra The Spirit of William Eisner un altro maestro del fumetto mondiale sbarca a Pordenone con le sue opere che rappresentano una pietra miliare nella storia di questa espressione artistica sia per lo stile innovativo che per la tipologia di storie che racconta. Sono convinta che questa esposizione rappresenterà certamente un grande evento dal punto di vista culturale, ma anche un’attrazione per esperti e appassionati dall’Italia e dall’estero”.

Inoltre, Alberto Parigi, assessore della cultura presso il Comune di Pordenone ha dichiarato: “L’offerta museale congiunta del PAFF! e del Comune fanno di Pordenone un punto di riferimento artistico, con un programma autunnale e invernale di assoluto livello. Saranno infatti esposti due giganti, Eisner per il fumetto e Erwitt per la fotografia, oltre ad altre mostre di valore. Ciò ci deve spingere ancora di più a fare rete e promuovere in modo sinergico e coordinato le iniziative, comunicando e sfruttando il grande potenziale di attrattività culturale della città, a beneficio di tutti.

Le opere in mostra 

La mostra ripercorrerà i passi del maestro del fumetto includendo 180 originali compresi tra tavole definitive e schizzi, e 126 pubblicazioni d’epoca. Le varie opere saranno esposte in varie sale divise per “argomento”, che raccontano, attraverso le immagini, la storia del fumetto e la sua evoluzione. 

1 – Lo Spirito del thriller

La prima sezione sarà dedicata allo Spirito del thriller, con una breve introduzione della panoramica dell’industria del fumetto alla fine degli anni Trenta negli Stati Uniti, spiegando prima il boom causato dall’arrivo dei fumetti sul mercato, poi l’infatuazione dei lettori per i fumetti thriller, così come per le figure del “vendicatore” e del “bandito”, e infine il graduale arrivo dei primi “eroi in costume” (con la DC e la Marvel: Batman, Superman, Wonder Woman, Capitan America). Il cinema thriller ha influenzato notevolmente le opere di Eisner. Questo background ci permetterà di introdurre la biografia di Will Eisner, all’epoca un giovane fumettista laborioso e squattrinato che cercava di farsi strada in un’America devastata dalla Grande Depressione. Eisner è uno dei più grandi espositori delle graphic novel, che porterà al successo internazionale.

2 – Lo Spirito della sintesi

In un secondo spazio è possibile leggere le storie brevi di The Spirit complete sulle tavole. Ne sono state raccolte 6, ciascuna composta da 7 tavole. Questa diversità permetterà al visitatore di immergersi nell’universo della serie, per poterne apprezzare la ricchezza, che prende in prestito da diversi generi e registri. Parleremo qui delle tecniche narrative utilizzate da Will Eisner, del suo taglio, del suo ritmo, della sua efficienza, che gli permette di condensare uno scenario in 7 pagine, quando le avventure pubblicate nei fumetti erano distribuite su quindici o venti pagine. Ha, infatti, realizzato molte splash page, alcune delle quali sono diventate veri e propri manifesti.

3 – Lo Spirito creativo

Nella sezione successiva continuiamo la scoperta dello Spirito creativo, delle tecniche narrative e artistiche e le principali opere di Will Eisner da un punto di vista più grafico, per capire come il suo stile abbia segnato la storia del fumetto. Ci proponiamo quindi di studiare il suo disegno e la sua tecnica, approfondendo alcune tavole attraverso l’ingrandimento dei riquadri. Sono, inoltre,  da evidenziare i tentativi di allontanarsi dalle regole rigide dell’editoria, di costruire un’”arte sequenziale”, in cui l’autore tira le fila della storia. La mancanza di parole in alcune tavole, e dunque,  l’uso soggettivo delle immagini rendono le sue creazioni uniche e creative.

4 – Lo Spirito ispiratore

Will Eisner può essere considerato lo Spirito ispiratore della nuova generazione di artisti. Eisner viene considerato il maestro di tantissimi autori contemporanei, questo grazie anche all’editore Denis Kitchen, che ha riportato in vita le vecchie storie di questi fumetti. Verranno presentate opere della sua collezione e opere che lui ha ispirato.

5 – Lo Spirito del Graphic novel Il formato del Graphic novel è diventato famoso grazie ad Eisner, scrivendo A Contract with God. L’autore ne ha colto le potenzialità, facendolo diventare il preferito dei ragazzi e trasformando il fumetto in libro, non più in “giornaletto”. In questo modo Eisner si è liberato degli obblighi editoriali, delle regole sulla lunghezza o periodicità dei testi. Particolarmente significativa è l’atmosfera dei suoi graphic novel: New York, la sua città, da un punto di vista macabro e scuro come quello della Grande Depressione. In questi racconti ci sono degli sprazzi autobiografici e le storie sono estremamente contemporanee, quasi futuristiche. Grazie ai graphic novel Eisner è riuscito a rompere le regole rigide imposte dai fumetti (nonostante alcune di queste regole le avesse scelte lui stesso), si allontana dall’industria fumettistica e dona una visione diversa del mondo del comix.

Ghost Cartoonist – Illustrazione a colori di Will Eisner

La location

Di alto prestigio, è dotata di grandi spazi espositivi di forte impatto: una villa storica, una sontuosa galleria d’arte moderna, auditorium, sala didattica, ampia terrazza, bookshop, guardaroba, uffici, caveau e coffee point.

All’esterno, un incantevole parco pubblico è impreziosito dal museo delle rose antiche, giochi e un laghetto.

La villa del 1850 in stile veneto, un tempo residenza della famiglia di imprenditori della ceramica Galvani, è collocata all’interno dell’omonimo parco pubblico a ridosso del centro storico cittadino. Dopo decenni di abbandono, la villa ha subìto un radicale intervento di ristrutturazione negli anni ‘90, che l’ha trasformata in spazio espositivo.

Nel 2010 la struttura amplia ulteriormente gli spazi espositivi portandoli a circa 2000 metri quadrati, con un auditorium da 90 posti. Il Parco Galvani in cui il Museo è immerso rappresenta un enorme valore aggiunto alla naturale espansione del percorso museale verso gli spazi esterni e rientra nel processo di riqualificazione dell’area, ridonando unità allo spazio verde e a quello architettonico.

Cos’è PAFF!

PAFF!, acronimo di Palazzo Arti Fumetto Friuli di Pordenone è la prima istituzione culturale in Italia e una delle pochissime in Europa che promuove la divulgazione dell’arte e della scienza attraverso lo strumento facilitatore del fumetto, che permette una comprensione immediata e divertente delle tematiche culturali. Tramite il linguaggio intuitivo e giocoso delle immagini, PAFF! propone esposizioni temporanee, corsi di formazione, percorsi ludico-didattici, eventi e conferenze per varie fasce di pubblico.

Fondato nel 2018 da Giulio De Vita, insieme a un team di professionisti provenienti da esperienze in settori eterogenei, PAFF! utilizza lo strumento del fumetto per interagire in maniera creativa, smart e multidisciplinare con gli utenti e farli avvicinare in modo divertente alla cultura.

Il museo PAFF! è gestito dall’Associazione Vastagamma APS e sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dal Comune di Pordenone. Concepito inizialmente come progetto sperimentale, è oggi un’istituzione permanente che promuove la cultura, favorisce la formazione professionale, facilita lo scambio sociale e valorizza le risorse del territorio, grazie alla sua originalità e alla capacità, data dalle caratteristiche tipiche del fumetto, di coniugarsi con ambiti e tematiche anche molto distanti fra loro: l’arte, la scienza, le discipline sociali.


INFO

ORARI DI APERTURA
Da martedì a domenica dalle 10.00 alle 20.00.

Per maggiori informazioni
PAFF!
Palazzo Arti Fumetto Friuli
V.le Dante, 33
33170 Pordenone
0434/392941
www.paff.it

ITALIENS PR
Cecilia Sandroni
sandroni@italienspr.com

La Biennale dello Stretto. Prima edizione della Mostra internazionale di Arte, Architettura, Paesaggio, Scrittura, Video, Fotografia dello Stretto

La Biennale dello Stretto 2022
LE TRE LINEE D’ACQUA
a cura di Alfonso Femia e Francesca Moraci

Dal 30 settembre
Fino al 15 dicembre 2022

LA MOSTRA
dal 30 settembre al 15 dicembre 2022 – Campo Calabro, Forte Batteria Siacci

GLI EVENTI
Dal 30 settembre al 4 ottobre 2022- Campo Calabro, Forte Batteria Siacci – Reggio Calabria, Museo archeologico Messina, Fondazione Horcynus Orca
Messina, Museo Regionale.
10 -11 novembre 2022
14-15 dicembre 2022

Campo Calabro, Forte Batteria Siacci

“Questa prima edizione de La Biennale dello Stretto è un momento di confronto che esprime finalità destinate a evolversi, contaminarsi positivamente con le professionalità interpellate e le esperienze indagate, fino a diventare un importante progetto di crescita e sviluppo per il Mediterraneo internazionale, inteso come piattaforma culturale e produttiva, attraverso l’attivazione di gruppi di studio, vero e proprio laboratorio permanente con ricaduta positiva sull’indotto culturale pubblico e privato” – spiega Alfonso Femia, architetto internazionale, curatore della manifestazione e prosegue – “La scelta del nome individua un’area specifica del Mediterraneo, con una visione ampia e globale, non solo il territorio dello Stretto e neppure solo Calabria o Sicilia: dalla costa africana a quella europea, dal tratto greco, albanese, croato, francese, spagnolo, tunisino, algerino, questo è il “campo progettuale” della Biennale che si propone di dare una dimensione reale e concreta alla ricerca dell’invisibilità estesa verso ogni luogo celato o solo apparentemente rivelato di tutto il “mondo-Mediterraneo”, facendo nostra l’interpretazione di Braudel”.

“La crescente centralità che il Mediterraneo sta assumendo, particolarmente per lo sviluppo delle tre rive africana, asiatica ed europea, nello scenario internazionale, definisce lo Stretto come ”brand” politico ed economico, elemento geografico di equilibrio, magnete e insieme antenna che riverbera, attraverso la cultura, non solo il suo passato, la storia, l’architettura e l’arte, ma anche e soprattutto la straordinaria capacità di innovazione tecnologica e scientifica”. Si affianca così la curatrice Francesca Moraci, architetto, professore ordinario di Urbanistica all’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria.

Mediterranei Invisibili edizione 2019 – Viaggio nello Stretto, Scilla (RC) – ©S.Anzini Hi

La Biennale della Stretto nasce dal progetto di ricerca Mediterranei Invisibili, ideato e sviluppato da Alfonso Femia con 500×100 società benefit. È un programma permanente di analisi e indagine del territorio mediterraneo, sviluppato dal 2018 a oggi che si svolge attraverso viaggi ed esplorazioni, interviste con persone autorevoli di estrazione accademica, professionale, della Pubblica Amministrazione e attraverso approfondimenti progettuali. Dopo quattro anni di esperienze, La Biennale dello Stretto non si propone come semplice evento, ma seria intenzione di costituire un luogo permanente di ricerca e confronto internazionale.

Finalità del programma è cogliere le reali potenzialità di rilancio dell’area mediterranea, mappando i riferimenti essenziali – infrastrutture, paesaggio, ambiente urbanizzato, funzioni sociali pubbliche.

Firma del protocollo – Foto©Salvatore Greco

FIRMA DEL PROTOCOLLO – LA BIENNALE DELLO STRETTO


INFO

Sito web de La Biennale dello Stretto:
www.mediterraneiinvisibili.com/la-biennale-dello-stretto/

Official hashtags:
#labiennaledellostretto
#biennaledellostretto
#letrelineedacqua
#thethreewaterlines
#mediterraneiinvisibili
#500×100
#laboratoriopermanentemediterraneo

PER MAGGIORI INFORMAZIONI:

Ufficio Stampa – coordinamento
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serena54words.net manuela@54words.net
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Atelier(s) Alfonso Femia: Liloye Chevallereau
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Genova, Palazzo Ducale: Una straordinaria esposizione per raccontare la grandezza di “Rubens a Genova”

Peter Paul Rubens
Violante Maria Spinola Serra, 1606-1607 circa
Olio su tela, cm 150 x 105
©   The Faringdon Collection Trust, Buscot Park, Oxfordshire

“Rubens a Genova”

Genova, Palazzo Ducale – 6 ottobre 2022 – 22 gennaio 2023

Vernissage 5 ottobre

a cura di Nils Büttner e Anna Orlando

Un evento internazionale imperdibile! L’attesissima mostra “Rubens a Genova” che apre il 6 ottobre con opere inedite e due tele in anteprima mondiale, nell’anno targato “Anno del Superbarocco”. Al contempo l’edizione dei Rolli Days rubensiani dal 14 al 16 ottobre.

Palazzo Ducale di Genova ospita, dal 6 ottobre 2022 al 22 gennaio 2023, una straordinaria esposizione per raccontare la grandezza del massimo pittore barocco di sempre: Peter Paul Rubens e il suo rapporto con la città. Il progetto nasce in occasione del quarto centenario della pubblicazione ad Anversa del celebre volume di Pietro Paolo Rubens, Palazzi di Genova (1622).

La curatela è di Nils Büttner, docente della Staatliche Akademie der Bildenden Künste Stuttgart nonché Chairman del Centrum Rubenianum di Anversa, e di Anna Orlandoindependent scholar genovese, co-curatrice della mostra L’Età di Rubens tenutasi a Palazzo Ducale nel 2004.

Rubens soggiornò in diverse occasioni a Genova tra il 1600 e il 1607, visitandola anche al seguito del Duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, presso cui ricopriva il ruolo di pittore di corte. Ebbe così modo di intrattenere rapporti diretti e in alcuni casi molto stretti con i più ricchi e influenti aristocratici dell’oligarchia cittadina.

In mostra sono presentate più di 150 opere, tra le quali hanno il ruolo di protagonisti oltre venti Rubens provenienti da musei e collezioni europee e italiane, che si sommano a quelli presenti in città, giungendo così a un numero come non vi era dalla fine del Settecento a Genova; da quando, cioè, la crisi dell’aristocrazia con i contraccolpi della Rivoluzione Francese diede avvio a un’inesorabile diaspora di capolavori verso le collezioni del mondo.

A partire dal nucleo rubensiano, il racconto del contesto culturale e artistico della città nell’epoca del suo maggiore splendore viene completato da dipinti degli autori che Rubens per certo vide e studiò (Tintoretto e Luca Cambiaso); che incontrò in Italia e in particolare a Genova durante il suo soggiorno (Frans Pourbus il Giovane, Sofonisba Anguissola e Bernardo Castello), o con cui collaborò (Jan Wildens e Frans Snyders).

Disegni, incisioni, arazzi, arredi, volumi antichi, perfino abiti, accessori femminili e gioielli consentono di celebrare la grandiosità di una capitale artistica visitata da uno dei maggiori artisti di tutti i tempi e confermano quell’appellativo di Superba che fu dato a Genova.

Con Rubens e attraverso ciò che vide e conobbe, con testimoni d’eccezione quali sono le opere d’arte e grazie a un allestimento elegante e coinvolgente dello Studio GTRF Tortelli Frassoni Associati, viene raccontata la storia della Repubblica di Genova all’apice della sua potenza quando, all’inizio del Seicento, conobbe un periodo di singolare vivacità non soltanto economica e finanziaria, ma anche culturale e artistica.

L’immagine coordinata della mostra sarà realizzata dallo studio Tassinari/Vetta.

Tra le opere che tornano a Genova, città per cui il genio barocco le creò eseguendole per i più ricchi tra i genovesi di allora, si possono menzionare il Ritratto di Violante Maria Spinola Serradel Faringdon Collection Trust, eccezionalmente staccata dalle pareti della meravigliosa dimora di Buscot Park nell’Oxfordshire in Inghilterra: una dama finora senza nome, che grazie agli studi in preparazione della mostra è ora riconoscibile.

Tra gli altri “ritorni a casa”, anche il San Sebastiano di collezione privata europea, mai esposto in Italia e recentemente ritrovato e che, grazie a un importante ritrovamento documentario, può ora riferirsi alla committenza del celebre condottiero Ambrogio Spinola.

È esposto per la prima volta in Italia anche il giovanile Autoritratto, con un Rubens all’incirca ventisettenne, che un collezionista privato ha offerto come prestito a lungo termine alla Rubenshuis di Anversa e che eccezionalmente torna nel Paese dove fu eseguito, intorno al 1604.

Alla base del progetto vi è un lungo percorso di studi e approfondimenti scientifici da parte dei curatori, nonché il supporto di un prestigioso comitato scientifico onorario internazionale, composto dai massimi conoscitori della materia. Oltre a loro, un consistente numero di studiosi di diversi Paesi e istituzioni partecipa con specifici contributi al ricco catalogo edito da Electa, che pubblica anche le guide alla mostra e alla Genova di Rubens.

La mostra gode della collaborazione della Città di Anversa e del Centrum Rubenianum di Anversa, dell’Ambasciata del Belgio in Italia, del Consolato Onorario del Belgio a Genova, della Città di Mantova, di VisitFlanders, nonché della Camera di Commercio di Genova. Il Comune sta lavorando ad attivare altre partnership istituzionali con altri enti e città italiani ed europei.

L’appuntamento espositivo di Palazzo Ducale è l’occasione per attivare un progetto di grande rilievo, dal titolo Rubens 22. A Network ideato e curato da Anna Orlando; di fatto la più importante rete culturale mai attivata a Genova intorno a un singolo artista. All’insegna di Rubens e del suo speciale rapporto con la città, sono coinvolte oltre 25 realtà pubbliche e private, dai Musei di Strada Nuova all’Accademia Ligustica di Belle Arti, da Banca e Fondazione Carige a Palazzo della Meridiana, dall’Università degli Studi di Genova alla Fondazione Teatro Carlo Felice, insieme all’Arcidiocesi e a molti altri. Si tratta di una fitta rete di collaborazioni, focus conoscitivi, appuntamenti culturali, aperture straordinarie, eventi collaterali e ulteriori progetti espositivi.

In città, inoltre, il visitatore potrà seguire un vero e proprio itinerario rubensiano alla scoperta dei capolavori nelle loro sedi permanenti, come le due pale d’altare della Chiesa del Gesù – La Circoncisione del 1605 e I miracoli del beato Ignazio di Loyola del 1620 – a pochi passi da Palazzo Ducale, tuttora collocate sugli altari d’origine. E ancora, lo spettacolare Ritratto di Gio. Carlo Doria a cavallo della Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, uno delle più monumentali effigi celebrative dell’Età Barocca. L’itinerario in città sarà segnalato con veri e propri focus, a completamento del racconto narrato dalla mostra di Palazzo Ducale e toccherà anche i palazzi cinquecenteschi che Rubens certamente visitò, entrando in contatto diretto con i proprietari e riproducendoli poi nel suo celebre libro nell’edizione del 1622 e di quella immediatamente successiva (1626 circa), entrambe esposte in originale in mostra.

Nel quadro delle iniziative cittadine si segnala, nel giugno del 2023, la finale di Ocean Race, il maggior evento velistico internazionale che prenderà avvio da Alicante nel 2022. La città si prepara a questo importante appuntamento con una serie di eventi che presentano Genova al mondo. Rubens a Genova e il progetto Rubens 22. A Network fanno parte del programma culturale di Ocean Race.

#GenovaRubens è l’hashtag attraverso il quale è possibile promuovere la mostra e rendere “riconoscibile” l’iniziativa sui social. Sul sito www.palazzoducale.genova.it si possono seguire tutti gli aggiornamenti sulla mostra e su Rubens 22. A Network.

La mostra è prodotta dal Comune di Genova con Fondazione Palazzo Ducale per la Cultura e la casa editrice Electa, con il supporto e la partecipazione dello Sponsor Unico Rimorchiatori Riuniti S.p.A. tra i leader mondiali nel rimorchio portuale. Il Gruppo ha voluto sostenere questo importante progetto artistico e cultuale per celebrare, insieme alla città dove è nato e ha sede, i suoi primi 100 anni di storia.


INFO

Melina Cavallaro
Uff. stampa & Promozione FREE TRADE Roma, Media Relations per la Città di Genova 
Valerio de Luca – addetto stampa

Roma, Noema Gallery: “Antologia del Ritratto” di Aldo Sardoni – Nota critica dell’autore

Copyright ALDO SARDONI – NOEMA 22

Note sul mio lavoro

“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta” (1).
Walter Benjamin

Dal 5 ottobre al 16 novembre 2022 Noema Gallery a Roma presenta la mostra fotografica 
Antologia del Ritratto
di Aldo Sardoni: una raccolta di fotografie che rimandano all’arte in un legame tra passato e contemporaneità.

Dopo l’esperienza milanese, Noema Gallery prosegue la stagione espositiva nella Capitale all’interno della nuova sede permanente nello storico rione romano di Prati. Con “Antologia del Ritratto” la Galleria vuole proporre al pubblico un viaggio emozionante, tra luci e ombre, dove il medium fotografico ha l’obiettivo di far rivivere un universo denso di storia dell’arte in cui si sente l’influenza dei grandi del passato.

Se si osserva il disegno di Klee senza leggere ciò che ha scritto Benjamin si vedrà sicuramente qualcosa di altro, forse perdendone il senso o comunque dandone un altro. La fotografia contemporanea, in modo particolare quella utilizzata come mezzo espressivo alla stregua di un’altra forma di arte (architettura, letteratura, pittura, scultura, musica), credo sempre più abbia bisogno di essere descritta, di essere accompagnata da un testo che aiuti lo spettatore ad andare oltre la prima impressione, di portarlo a ragionare sul significato che l’autore ha voluto dare magari ad una serie di immagini fra loro correlate.

C’è un aspetto di coinvolgimento e condivisione con il fruitore che penso debba essere stimolato non solo attraverso l’immagine ma anche con il testo. L’esperienza dell’arte ha come elemento centrale l’attività dell’immaginazione a cui chi osserva un’opera deve attingere necessariamente.

Per me una fotografia assume pieno significato quando una parte di essa è scritta, cioè descritta attraverso la scrittura, concordo con Harold Rosenberg quando dice “un quadro o una scultura contemporanei sono una specie di centauro, fatto per metà di materiali artistici e per metà di parole” (2).

Fotografo perché non so scrivere, compongo i miei lavori secondo una necessità intima, un desiderio, una pulsione che a volte mi riempie a volte mi abbandona, per questo motivo lascio spazio ad un tempo interiore senza l’assillo della produzione necessaria.

Voglio amplificare il legame tra realtà fotografica e passato che Roland Barthes descrive come sempre presente in una fotografia.

Il mio lavoro è tutto teso alla ricerca di un legame nell’arte tra passato e contemporaneità, escludendo il concettualismo nato nel 1913 con i Ready Made di Duchamp che ancora oggi continua a fare proseliti.

Sento il concettualismo ormai passato e nel contempo troppo prossimo per attingervi, personalmente lo sento più “vecchio” e superato, ad esempio, del Barocco benché quest’ultimo sia cronologicamente più lontano.

Cerco un luogo dove approdare, pur nella consapevolezza che è uno spazio mobile che si sposta man mano che mi avvicino, cambiando di prospettiva e significato.

Forse questo è uno dei modi per dare senso ad un’esistenza.

Sono molto attratto dai territori di confine, quei luoghi poco definiti perché ancora sconosciuti o comunque non perfettamente codificati. Luoghi che non corrispondono necessariamente ad uno spazio fisico, spesso sono mentali, altre volte parti della condizione umana.

Le mie fotografie vogliono migrare verso territori dove i confini sono poco chiari.

Un luogo che abbia superato la totale incapacità in cui oggi siamo sprofondati nell’avere avere manualità/tecnica/perizia nel fare, mi piacerebbe andare un poco oltre, anche di un piccolissimo scarto rispetto a chi mi ha preceduto.

Sarebbe magnifico.

Significherebbe produrre arte.

E’ sempre difficile definire l’arte ma condivido, per quanto forse mi releghi fuori da ogni partita, la definizione che ne ha dato  L. Tolstoj quando, dice che “l’arte non è, come dicono i metafisici, la manifestazione di qualche misteriosa idea, della bellezza o di dio; non è come dicono i fisiologi, un giuoco in cui l’uomo sfoga le superflue energie accumulate; non è la manifestazione di un’emozione per mezzo di segni esteriori; non è la produzione di opere gradevoli e, ciò che più importa, non è godimento; ma un mezzo di comunicazione che riunisce gli uomini accomunandone le sensazioni, ed è necessaria alla vita e al progresso verso il bene del singolo uomo e dell’umanità” (3).

Guardare alla tradizione non è male a priori, credo sia importante per poi decidere cosa fare.

Il fatto che l’Italia contenga una consistente parte del patrimonio artistico occidentale, che sia lo scrigno e la memoria artistica di una gran parte di mondo, credo debba in qualche modo influenzare un autore italiano, in qualsiasi campo dell’arte, forse in qualsiasi campo dello scibile umano.

“<L’Italia> non è soltanto e semplicemente un luogo su cui proiettare il rimosso e l’inconscio, ma è a pieno titolo un luogo dove si articola la cultura occidentale e che appartiene alla psiche collettiva di ciascun uomo e di ciascuna donna dell’ Occidente” (4).

Veniamo certamente dal Mediterraneo, la sua luce ha influenzato la nostra arte, le ombre nette, i chiaroscuri intensi, i colori saturi, sono elementi che hanno contribuito nei secoli alla formazione dei nostri artisti; non è difficile riconoscerli non solo in pittura, ma anche in scultura, architettura ed oggi in fotografia.

La tela.

Per me è il “medium” più importante, la sua trama dà alle mie immagini un aspetto materico che non riesco ad avere in altro modo; elimina la perfezione tecnica, mi è necessaria per tornare indietro, per richiamare, per alludere, non per copiare o imitare un dipinto; non c’è concorrenza tra pittura e fotografia, hanno statuti diversi, storie diverse, mezzi tecnici diversi.

Credo siano fra loro complementari ma la pittura è pittura e la fotografia è fotografia.

Migro idealmente verso la pittura non per copiarla ma per usare parti di essa, stralci del suo

codice che composti assieme danno luogo ad un’altra cosa, o così mi piacerebbe che fosse.

Charlotte Cotton ha riassunto bene questa vicinanza: “E’ importante non pensare che l’affinità che lega fotografia artistica contemporanea e pittura figurativa sia dovuta solo al desiderio di

imitazione o di revival; essa dimostra invece di condividere con la pittura la conoscenza di come si può coreografare una scena per lo spettatore così che egli sia in grado di comprendere che si sta raccontando una storia” (5). Non condivido il sostantivo coreografare, ma mi piace pensare che derivi da un problema di traduzione dall’inglese.

Il mezzo, lo strumento fisico che utilizzo, è certamente contemporaneo, le tecnologie di stampa sono le più avanzate che oggi si conoscano. E allora? Il legame ?, l’allusione?, il ponte?

Certo non posso trovarli ricopiando le pose di Michelangelo alla Sistina, la considererei un’operazione sbagliata per un italiano, un’omologazione gratuita in cui spesso si cade.

Non ne faccio una questione di merito né di sterile polemica con chi fa queste operazioni, non mi interessa il meglio o il peggio, mi interessano le differenze, lavorare su di esse e se possibile amplificarle.

Pertanto, non avendo risposte precise su cos’è il ponte verso il passato, e su come dovrebbe esplicarsi questo legame, vado avanti.

Continuo a cercare.

Le mie fotografie sono tecnicamente imperfette, volutamente tali.

Bisognerebbe accordarsi su cosa è una fotografia imperfetta, comunque non vogliono rappresentare il reale.

Vladimir Nabokov diceva a proposito di realtà che è una “parola che in qualsiasi lingua bisognerebbe scrivere fra virgolette” (6), non voglio realismo nei miei lavori piuttosto l’invenzione, come nelle vedute di G.B. Piranesi solo apparentemente descrittive ma in realtà dettate dalla capacità creativa dell’autore.

Quando affermo che la mia fotografia è imperfetta mi riferisco proprio alla ricerca di questa vicinanza. Non mi interessa la frequentazione della fotografia tecnicamente protocollata, per cui per essere professionali è necessario stampare su un certo tipo di carta, con un certo tipo di supporto, con un’illuminazione che segua precise regole, ecc. Questa è una fotografia tecnicamente già normata, per me poco attraente.

Credo che la definizione più pertinente e a me più vicina al mio pensiero per cercare di chiarire e di chiarirmi il pensiero riguardo alla migrazione verso altre discipline sia: Fotografia Trans. Oppure Trans Fotografia prendendo a prestito foneticamente l’invenzione di Achille Bonito Oliva (Transavanguardia) (7).

Fotografia Trans nel senso etimologico del termine, cioè “al di là – attraverso”.

Quando parlo di transizione mi riferisco all’uso di elementi stilistici che alludono o richiamano altre discipline, non all’uso indiscriminato della post-produzione a cui molta fotografia oggi fa riferimento. Copiare, ruotare, specchiare, incollare figure diverse fotografate in luoghi e contesti diversi per comporre un’immagine, per me, è un atteggiamento più legato al mondo pubblicitario e della computer grafica che non della fotografia.

La fotografia ha un proprio statuto di riferimento a cui si deve comunque guardare se non si vuole andare a finire in altri ambiti.

Sento la necessità di arrivare ad una fotografia che mescoli codici diversi per dare luogo ad un lavoro meno definibile all’interno di un codice noto o dato.

La stessa fotografia oggi è in transito dal sistema analogico a quello digitale, da un’attività usata relativamente da pochi ad una moltitudine infinita di fotografi, da artigianato ad arte (almeno in alcuni casi).

E’ in transito da e per numerosi aspetti ancora in via di definizione o di ri-definizione.

Trovo il prefisso trans particolarmente adatto, come la transessuale che è un essere nuovo, con elementi maschili e femminili mescolati per formare qualcosa che ha spostato il confine rispetto a quanto stabilito in precedenza.

Ancòra i confini che si spostano.

Non amo le incursioni cruente di una disciplina nell’altra, le metafore eccessivamente dirette; credo più alle allusioni, ai rimandi, che non ad una esplicitazione meccanica.

La tecnica.

E’ importante conoscerla per poi metterla da parte così che non condizioni eccessivamente il pensiero.

La ricerca fuori dal protocollo tecnico è necessaria per arrivare, ad esempio, alla differenza che oggi troviamo nella riproduzione musicale tra il vinile ed il file audio digitale.

Il vinile è “imperfetto”, ma tale modo di essere consente all’ascoltatore di sentire il respiro, l’ansia, l’anima di chi suona o canta, a dispetto del cd che ha una perfezione tale da sembrare spesso asettico, troppo perfetto per essere vero. Oggi i professionisti della musica spesso lavorano con il vinile.

E ancòra.

Mi è capitato di vedere il ritratto di Henry James dipinto da John S. Sargent nel 1913 e conservato alla National Portrait Gallery di Londra, mi sembra un esempio pertinente per definire quanto scritto finora.

L’interpretazione del suo autore, la luce, l’espressione, il calore, sono elementi che uniti insieme definiscono James in modo stupefacente ed emozionante forse più delle fotografie che lo ritraggono cercando di congelare e raccontare tecnicamente il volto.

E’ evidente che non sono in alcun modo interessato al Tableau Vivant, mentre sento la fotografia come un mezzo di scrittura e di riscrittura, in particolar modo riscrivere per me significa utilizzare chi ha già scritto, pertanto riscrivere è un altro collegamento con ciò che è stato.

E’ importante cercare di capire che non è consentito in alcun modo copiare il passato ma sento la necessità di averlo affianco, di tenerne conto. Di guardare avanti volgendosi spesso indietro.

La storia ha un suo peso.

Cerco un linguaggio riconoscibile non solo per stile ma per presenza di significati.

Il significato per chi è nato in Italia ha una valenza ed un percorso diversi da altri popoli, penso che ognuno di noi abbia dalla nascita nel proprio codice genetico un pezzo di Colosseo anche se non è mai stato a Roma (*); intendo dire che sembra quasi che la storia dell’arte, e non solo, si depositi in noi fin da bambini, anche involontariamente e strato dopo strato formi il nostro modo di essere, di vedere, di interpretare.

Come gli strati di città che si depositano uno sull’altro nel corso dei secoli fino a manifestare quello che siamo oggi, fino a formare il Colosseo di oggi, appunto, che non è quello originario. Una serie di fogli di carta trasparente sovrapposti uno sull’altro sopra ognuno dei

quali c’è scritto qualcosa e che alla fine, tutti insieme, formano un disegno complessivo, forse un progetto, certamente una cultura.

Sento questa stratificazione come la grande differenza con gli americani, per pensare ad un popolo che vive nello stesso nostro sistema ed in un certo senso è in parte una nostra derivazione.

Direi contemporanea derivazione, noi abbiamo almeno quel paio di millenni in più che inevitabilmente ci condizionano.

Amo quel paio di millenni in più.

Amo Roma, che per me è un luogo del pensiero più che una città fisicamente definita; per questo motivo mi sento romano, non solo perché ci sono nato o i miei antenati lo erano.

Il nostro XVI° secolo – per esempio – è molto diverso dal loro ovviamente (da quello degli americani intendo) e di questo chi produce cultura deve tenerne conto.

L’Europa usa le scarpe di cuoio con i lacci (o almeno le usava …), l’America le sneakers.

Significa molto, anche se la globalizzazione omologante tende sempre più ad eliminare queste differenze culturali.

Non credo, come va molto di moda oggi, che la deprecata vecchiezza del Continente europeo sia un disvalore, al contrario ho sempre considerato una grande risorsa la stratigrafia storica che permea il nostro essere europei.

Non mi soffermo sulle scarpe perché porterebbe le note lontane dallo scopo per cui sono state scritte, forse allungandole troppo ma è evidente che esse alludono ad una omologazione che non condivido, diversa dalla commistione di popoli e culture che ovviamente è necessaria.

Sono assai attratto dalla circolazione delle idee e dei popoli, meno dall’omologazione imperante che, spesso, ne è un’inevitabile appendice, anche nell’arte.

Voglio sentire in me e trasmettere a chi osserva il legame con la classicità, nel senso etimologico del termine “classico”, senza scadere nella copia di chi c’è già stato.

Questo per me sarebbe un grande risultato e rappresenta un elemento fondamentale della mia ricerca.

Il nero.

Il nero mi è necessario, oggi lo sento come l’elemento più importante delle mie fotografie, non potrei farne a meno, non riuscirei a vivere senza.

Rappresenta la parte sconosciuta, quella poco definita ed interpretabile dallo spettatore, così da cercare di arrivare alla costruzione di un paesaggio totalmente inatteso, partendo dal concetto che il fotogramma non deve rappresentare “ciò che è stato” (R.Barthes) ma assurgere ad un nuovo significato vedendo gli elementi che lo compongono da un altro punto di vista “proponendo una nuova interpretazione di ciò che costituisce l’immagine estetica” (8).

Paradossalmente lo considero la parte più importante delle mie fotografie, quella in cui il coinvolgimento si fa più pressante.

Sento la necessità, direi quasi il dovere, di uscire dal ghetto di una certa idea di contemporaneità; cercare di muoversi dal proprio tempo è necessario per superare il confine ristretto delle mode, per andare oltre il cerchio del provincialismo, che è uno stato mentale non

un luogo fisico dove si passa la propria vita. Si può essere provinciali anche se si vive nel centro di una metropoli.

Finisco queste note scrivendo che vorrei provare ad uscire dall’insegnamento di credere all’oggettività della prova fotografica, cercando di utilizzare la fotografia come testo. Trovo interessante, stimolante e necessaria la domanda che si pone la Krauss: “ Se per esempio dovessimo rappresentare Cézanne <al lavoro>, come potremmo mostrare le sue ore passate a osservare che furono poi distillate in ognuno dei suoi famosi colpi di pennello?” (9).

Vorrei che la mia fotografia fosse orientata verso lo stesso tipo di problema, magari riuscendo, almeno in parte, a rappresentare quelle ore.

© 16.04.2013 |  Aldo Sardoni
RIPRODUZIONE RISERVATA| ALL RIGHTS RESERVED
Corretto il 24.06.2022

NOTE

  1. Walter Benjamin (a cura di) R. Solmi, Angelus Novus saggi e frammenti, Einaudi, Torino, 2006, p. 80
  2. Angela Vettese, Capire l’arte contemporanea, Umberto Allemandi & C., Torino, 2006, p. 13
  3. Lev Nikolaevic Tolstoj, Che cos’è l’arte, Donzelli, Roma, 2010, p. 60
  4. James Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano, 2001, p. 181
  5. Charlotte Cotton, La fotografia come arte contemporanea, Einaudi, Torino, 2010, p. 53
  6. in  Luigi Sampietro, Cacciatore di farfalle e di dettagli, domenicale Sole 24ore del 30.01.2011, Milano.
  7. Movimento artistico teorizzato nel 1982 da Achille Bonito Oliva.
  8. Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 1996, p. 2
  9. Ibidem p. 86

(*) Secondo Jorge Luis Borges “a Roma non ci si va ma vi si torna anche se non vi si è mai stati perché Roma è un mito dell’immaginazione universale”.


INFO

INFORMAZIONI UTILI
TITOLO: Antologia del Ritratto
DI: Aldo Sardoni
DOVE: Noema Gallery, Via Bu Meliana 4, Roma
OPENING: 5 ottobre 2022, ore 18.00-21.00
QUANDO: Dal 5 ottobre al 16 novembre 2022
ORARI: Dal martedì al venerdì 10:30 – 13:30 e 16:00 – 20:00 | lunedì 16:00 – 20:00 | sabato 10:00 – 13:00
INGRESSO LIBERO

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CULTURALIA DI NORMA WALTMANN

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Messina: Biblioteca Regionale Universitaria “Giacomo Longo”: Gli ori di Bisanzio a Messina

Biblioteca Regionale Messina – Esposizione di Icone bizantine del Maestro Iconografo Paolo Lanza
5 ottobre 2022, ore 10:30

A pochi giorni dall’inaugurazione dell’Esposizione bibliografico-iconografica sull’Archimandritato del SS. Salvatore con i rarissimi volumi manoscritti, provenienti dall’antico Archimandritato, pervenuti attraverso molteplici vicessitudini storiche e custoditi dalla Biblioteca regionale nel ricco e pregevole Fondo SS. Salvatore, arricchita da una sezione iconografica con stampe datate secc. XVIII e XIX e la testimonianza emanante da testi moderni a firma di autorevoli studiosi in materia, la Biblioteca Giacomo Longo desidera dare ai visitatori l’opportunità di calarsi più profondamente nella dimensione misticoreligiosa in cui hanno vissuto i monaci bizantini, presentando mercoledì 5 ottobre 2022 alle ore 10:30, presso la Sala Lettura (1°piano), una nuova sezione dedicata all’iconografia sacra: “Gli Ori di Bisanzio a Messina”. Dopo i Saluti Istituzionali e l’Introduzione della Direttrice d’Istituto Dott.ssa Tommasa Siragusa, il Maestro Iconografo Paolo Lanza, Autore delle opere che saranno esposte, illustrerà brevemente il Suo percorso di vita e artistico-professionale. Le dodici icone sono dedicate alla Madre di Dio, cioè la Theotokòs, nei tipi dell’ Eleusa e dell’ Odighitria, al Pantocratore, agli Angeli, alla Trinità e alla Creazione.

Le Sue opere sono la Sacra Scrittura per immagini, Icone create con l’utilizzo di pigmenti naturali quali preziosi minerali polverizzati, terre impastate con l’uovo e con il vino, foglie di oro zecchino: ogni cosa è espressione del Divino e può pertanto contribuire a raffigurarlo. Nella Sua arte tutto il creato concorre per dare Gloria al Creatore. L’oro rappresenta la luce “increata”, che emana dal Divino, che non si oscurerà mai, così come non si ossiderà mai l’oro. L’Artista si offre come strumento, per mostrare al Mondo la Luce Divina, quel bagliore che dovrebbe pervadere la vita di ogni essere umano. Paolo Lanza definisce le Sue opere “Preghiera” e pertanto non riportano la Sua firma; desidera piuttosto che il fruitore guardi a Chi viene rappresentato e non si soffermi sull’autore dell’opera stessa. Da alcuni anni le sue Opere sono realizzate su tavoloni usurati, relitti di barca spiaggiati. Egli li raccoglie, li pulisce, sana le loro “ferite”, così come farebbe un buon samaritano e poi dà ad essi nuova vita. Quelle “tavolette” sono per Lui, metafora della vita stessa, un’esaltazione della Grazia Divina che premia gli ultimi, facendoli brillare di fronte al Divino. Dall’intenso clima ascetico promanante dalle Scritture iconografiche sembreranno risuonare i versi di Pietro Metastasio: “Dovunque il guardo giro, immenso Dio, ti vedo, nell’ opre tue t’ammiro, ti riconosco in me. La terra, il mar, le stelle parlan del tuo potere.Tu sei per tutto, e noi tutti viviamo in te.”. L’esposizione delle icone, accompagnata anche da una selezione di monografie tematiche tratte dal posseduto della Biblioteca e da una ricerca bibliografica curata dalla funzionaria direttiva Amelia Parisi, sarà fruibile fino al 14 ottobre, dal lunedi al venerdi dalle 9:30 alle 13:00, il mercoledi anche nel pomeriggio dalle 15:30 alle 17:30.

Note biografiche

Paolo Lanza che è docente presso l’Accademia di Belle Arti “Leonardo da Vinci” a Capo d’Orlando (Messina) e critico d’arte, tiene corsi di Iconografia in tutta Italia e le Sue Opere sono esposte in monasteri e chiese del Nostro Paese e fanno parte inoltre di collezioni private. Sono altresì presenti all’Estero e si trovano anche nella Cattedrale di San Giorgio a Rostov. Numerose le mostre allestite in Italia e all’Estero riscuotendo ovunque notevole successo: a Venezia, Benevento, Gioia Tauro, Miami al Museo Guerras e a Praga, nel mese di giugno, che ha avuto quale location un’ altissima torre, ogni giorno visitata da migliaia di turisti. L’Artista ha ricevuto diversi importanti premi internazionali e riconoscimenti.


INFO
Post dell’evento saranno presenti sulle pagine social della Biblioteca:

Nei giorni a seguire sarà disponibile il video.

Ufficio Relazioni con il Pubblico
tel.090674564
urpbibliome@regione.sicilia.it

(A cura di Ufficio Relazioni con il Pubblico. Maria Rita Morgana)

Roma, Fondazione Carlo Levi: Mostra per le celebrazioni dei 120 anni dalla nascita – “Carlo Levi, la famiglia, gli Anni Venti”

Carlo Levi, la famiglia, gli Anni Venti

Mostra per le celebrazioni dei 120 anni dalla nascita dell’artista

A cura di Claudia Terenzi

Inaugurazione 7 ottobre 2022 ore 18.00

Fondazione Carlo Levi
Via Ancona 21, Roma 

Fino al 7 dicembre 2022

Il giorno 7 ottobre 2022 alle ore 18.00 inaugura, presso la sede della Fondazione Carlo Levi, la mostra Carlo Levi, la famiglia, gli Anni Venti organizzata nell’ambito delle celebrazioni dei 120 anni dalla nascita dell’artista. 

L’esposizione presenta 28 dipinti, la maggior parte inediti o poco conosciuti e si focalizza sugli anni giovanili e l’ambiente familiare in cui si è formato l’artista. Ad arricchire la mostra un nucleo di fotografie inedite, provenienti dal fondo fotografico della Fondazione, in dialogo con le opere pittoriche.   

Scrive Claudia Terenzi, nel catalogo della mostra: “il colore è fondamentale nella pittura di Carlo Levi, dai toni più morbidi a quelli più espressivi, a volte eclatanti. Negli anni Venti si passa dal colorismo più naturalistico dei paesaggi torinesi del ’26 agli effetti tonali delle vedute di Parigi, dal valore costruttivo nelle nature morte e nel ritratto del padre del ’28, fino alle figurazioni quasi immateriali del ’29,’30, evocative, intimistiche, e poi, nei primi anni ’30, la forte caratterizzazione del colore in senso espressionistico, ad esaltare le pennellate ampie, pastose, quasi ‘lavorate con furia’.”

La mostra e il catalogo sono a cura di Claudia Terenzi; i testi di Claudia Terenzi, Andrea Levi e Stefano Levi Della Torre.  


INFO

Carlo Levi, la famiglia, gli Anni Venti
Mostra per le celebrazioni dei 120 anni dalla nascita dell’artista 

A cura di Claudia Terenzi
Testi di Claudia Terenzi, Andrea Levi e Stefano Levi della Torre
Inaugurazione 7 ottobre 2022 ore 18.00
Fondazione Carlo Levi
Via Ancona 21 – Roma
carlolevifondazione@gmail.com
www.carlolevifondazione.it

Fino al 7 dicembre 2022
Orari: mart. – merc.- vener. 10.00 – 13.00; giov. 16.00-19.00

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca Melasecca PressOffice – Interno 14 next
roberta.melasecca@gmail.com

Milano, Teatro Menotti: Mask – Una performance di Emiliano Pellisari, Bato e Mariana P.

MASK
(Levi Strauss Project)

Una performance di Emiliano Pellisari, Bato e Mariana P.

Venerdì 7 ottobre 2022 alle ore 19:00

Teatro Menotti Filippo Perego

Via Ciro Menotti, 11 – Milano

Dall’incontro delle COREOGRAFIE NOGRAVITY di Emiliano Pellisaricon le SCULTURE-MASCHEREdi Bato e le PHYSICAL SCULPTURES di Mariana/P, nascono le performances dedicate alle VIE DELLE MASCHERE di Levy Strauss.

Per mezzo del ribaltamento della fisica naturale e l’uso di maschere giganti, i tre artisti propongono, in chiave contemporanea, un luogo-altro dove il mondo mitologico descritto da Strauss, declinato dalla danza del corpo, torna a vivere come in un sortilegio.

Il piano narrativo è sostenuto dalla tecnica NoGravity– ideata da Pellisari e creatrice di effetti sorprendenti. Si assiste ad un gioco ottico classico, come l’Anamorfosi: ciò che avviene a terra si comprende solo sulla proiezione verticale. 

L’Incantesimo è realizzato attraverso il corpo posto orizzontalmente che riflesso dallo specchio- ricrea sul piano verticale i movimenti naturali dell’uomo ma in una nuova realtàa gravitàzero. Le potenzialitàdella tecnica sono sorprendenti, tutto è possibile: Mariana/P, da più di dieci anni compagna artistica di Pellisari, ha acquisito ed evoluto la grammatica coreografica Nogravity ed è così capace di volare, giocare nell’aria, ribaltare le regole della fisica offrendo una nuova forma espressiva nel mondo della danza.

Le sculture di Bato sulla scena prendono nuova vita sul corpo dei performers e trasmutano in maschera parlante facendoci tornare a parlare con gli Dei. 


INFO
Ufficio stampa
Alessandra Lenzi
alessandralenzi.press@gmail.com