Messina, Mondadori Bookstore: Si inaugura la mostra “Anatomia dell’anima. Le forme dell’essere” dell’artista Vincenzo Magro a cura di Mariateresa Zagone

VOLTO MASCHILE CUFFIA BLU

Sabato 25 marzo, alle ore 18,30 presso i locali della Mondadori Bookstore di via Consolato del Mare 35 a Messina, si inaugura la mostra Anatomia dell’anima. Le forme dell’essere dell’artista Vincenzo Magro a cura di Mariateresa Zagone.

L’artista palermitano espone per la prima volta a Messina e presenta 14 volti e corpi in cui la materia della grafite vibra sul supporto ma il cui disegno anatomico perfetto non traduce sembianze di persone reali quanto, piuttosto, segue parametri ideali quindi, mentali, costruendo proporzioni classiche astratte in cui la fissità del disegno impeccabile dialoga con le parti non finite creando un cortocircuito stilistico e iconografico.

Vincenzo Magro parte dal disegno e, un po’ per istinto, un po’ perché la ricerca lo guida costantemente, realizza volti e corpi in cui l’anatomia da manuale dialoga, come detto, con parti appena accennate, volti fermati in attimi che però rimangono sospesi in un non tempo, in un non spazio grazie a sfondi colorati che non li contengono e da cui fuoriescono, a ricordarci che la simmetria e la perfezione sono solo il frutto dell’illusione della mente.

La mostra sarà aperta tutti i giorni, dal lunedì al sabato, fino all’8 aprile
dalle ore 9,00 alle 13,00 e dalle ore 16,00 alle 20,00.

Svizzera: Verbier Festival celebra 30 anni per gli artisti e gli amanti della musica classica di tutto il mondo

DAL 14 AL 30 LUGLIO 2023, IL VERBIER FESTIVAL CELEBRA IL SUO 30° ANNIVERSARIO CON UN PROGRAMMA RICCO E FESTOSO E UN NUMERO ANCOR MAGGIORE DI GRANDI ARTISTI

Verbier – Veduta

Verbier (Svizzera) – nessuno aveva osato, un uomo l’ha sognato e così è iniziato il Festival di Verbier. In 30 anni, Martin T:Son Engstroem ha fatto di questo Festival un momento  essenziale dell’anno per gli artisti e gli amanti della musica classica di tutto il mondo.

Nel cuore di una delle più belle stazioni sciistiche del mondo, si esibiranno le star della scena internazionale e i giovani talenti emergenti, spesso provenienti dalla Verbier Festival Academy.

TRE MOMENTI DA NON PERDERE

Il concerto di apertura si annuncia doppiamente simbolico: 30 anni dopo aver diretto il primo concerto del Verbier Festival, Zubin Mehta torna ad aprire i festeggiamenti di questo anniversario con la Verbier Festival Orchestra. L’energica Yuja Wang darà il tono con il concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Rachmaninoff. L’opera del pianista e compositore russo sarà omaggiata nel 2023 per il 150° anniversario della sua nascita.

Per il 30° anniversario del Festival, torneranno a Verbier anche due madrine d’eccezione: le grandi attrici Marthe Keller e Isabelle Huppert. Due spettacoli unici e intimi nella sala del cinéma riserveranno al pubblico momenti di grande emozione e poesia.

Il momento clou di questo 30° festival sarà senza dubbio il Gala del 24 luglio nella Salle Des Combins, che riunirà sul palco gli artisti che hanno reso famoso il Festival di Verbier e i musicisti della Verbier Festival Chamber Orchestra. Un programma preparato con cura da Martin T :Son Engstroem che sarà indimenticabile e pieno di sorprese: Barbara Hendricks – la terza madrina del Festival – Bryn Terfel, Gautier e Renaud Capuçon, Joshua Bell, Martin Fröst … tra più di  40 solisti da non perdere per nessun motivo!

UN PROGRAMMA DI PRIMA SCELTA

Edizione dell’anniversario e programma straordinario: il Verbier Festival è orgoglioso di accogliere per la prima volta quest’anno artisti di fama internazionale. A cominciare dal famoso violoncellista Yo-Yo Ma che debutterà sul palcoscenico della Salle Des Combins accompagnato da Leonidas Kavakos ed Emmanuel Ax il 16 luglio per una serata di musica da camera dedicata a Beethoven. Mentre il grande trombettista Wynton Marsalis diventa uno dei compositori in residenza del Festival. Verrà infatti a festeggiare con il pubblico di Verbier: il 22 luglio sarà in concerto con il suo ensemble jazz. In calendario anche l’esecuzione di due sue composizioni: la Verbier Festival Junior Orchestra diretta da James Gaffigan eseguirà il concerto di Marsalis per violino e orchestra il 23 luglio e la Verbier Festival Orchestra, con il trombettista Håkan Harderberger, eseguirà il suo concerto per tromba e orchestra in anteprima svizzera ed europea nel concerto di chiusura del 30 luglio. Ma il programma non sarebbe completo senza l’eleganza e il fascino di Renée Fleming, accompagnata al pianoforte da uno straordinario Evgeny Kissin, il soprano americano eseguirà, il 28 luglio, opere di Schubert, Liszt, Rachmaninoff e Duparc.

Tre giovani talenti della famiglia Kanneh-Mason si uniranno alla famiglia di musicisti di Verbier: Isata, pianista di 26 anni, Braimah, violinista di 25 anni e Sheku, violoncellista di 23, quest’ultimo è un “alumni” dell’Academy. Un concerto di musica da camera da non perdere il 28 luglio nella chiesa di Verbier.

Verbier fa sempre rima con pianoforte. I grandi nomi della scena classica internazionale hanno risposto all’appello: Yefim Bronfman, Mao Fujita, Richard Goode, Maria João Pires, Mikhail Pletnev, Danii Trifonov, oltre al pianista jazz americano Brad Melhdau che è venuto a Verbier per la prima volta nel 2022. Il quattordicenne prodigio Tsotne Zedginidze presenterà le sue nuove composizioni alla chiesa di Verbier.

Fedele alla sua reputazione di eccellenza artistica, il Festival di Verbier è orgoglioso di presentare Wozzeck come concerto d’opera del 2023. L’orchestra del Festival di Verbier, diretta da Lahav Shani, presenterà l’opera in tre atti di Alban Berg: un classico che non mancherà di entusiasmare il pubblico del festival con il carismatico Matthias Goerne nel ruolo del soldato Wozzeck. Il concerto, che si terrà il 27 luglio 2023, sarà proiettato su schermi giganti.

L’ACADEMY E IL PROGRAMMA DELLE ORCHESTRE

Con un numero record di domande ricevute – 2.250 quest’anno – i programmi orchestrali dell’Academy e del Festival non mancheranno di trovare giovani talenti per questa edizione dell’anniversario. Una serie di sei concerti dell’Academy intitolata “Academy presents” offre l’opportunità di scoprire i giovani solisti, gli ensemble di musica da camera e i cantanti lirici di talento che costituiscono la nuova generazione. L’orchestra del Festival di Verbier, i cui musicisti hanno un’età compresa tra i 18 e i 28 anni, propone sei concerti quest’estate. La Verbier Festival Junior orchestra, i cui musicisti hanno un’età compresa tra i 15 e i 18 anni, si esibirà in tre concerti, tra cui una performance l’ultimo giorno del festival con i cantanti dell’Atelier Lyrique nell’opera la Carrière du libertin di Stravinsky.

Il programma di oltre 100 Masterclass dell’Academy sarà presentato nel marzo 2023, seguito dal programma UNLTD nella primavera del 2023, con altre attività ed eventi gratuiti accessibili a tutti, tra cui concerti all’aperto, passeggiate musicali, conferenze, laboratori per bambini e molto altro.

INFO PRATICHE PER L’EDIZIONE 2023

Da notare, quest’anno gli habitué dei concerti serali dovranno arrivare prima!  I concerti alla Salle Des Combins inizieranno infatti alle 18.30 invece che alle 19.00, mentre i concerti nella chiesa inizieranno alle 19.30 invece che alle 20.00. La biglietteria aprirà il 7 febbraio per il pubblico.

Il Verbier Festival è orgoglioso di annunciare che la Banca Julius Baer e la Sicpa si uniscono a Rolex, sponsor storico del festival, che torna per la 30a edizione.

Il Verbier Festival è un festival dedicato alla musica classica che sviluppa incontri e scambi tra grandi maestri e giovani musicisti di tutto il mondo. Aattraverso i suoi vari programmi educativi, si impegna per l’eccellenza nell’educazione musicale. La 30a edizione del Verbier Festival Si svolgerà dal 14 al 30 luglio 2023 a Verbier (Svizzera) ed è resa possibile grazie al sostegno di numerosi donatori filantropici, aziende e autorità pubbliche, in particolare Aline Foriel-Destezet, Les Amis Du Verbier Festival, i principali donatori del festival, tra cui il Chairman’s Circle, il Comune di Val De Bagnes, La Loterie Romande, il Cantone del Vallese, il suo sponsor dell’Anniversario Rolex e i suoi Principal Sponsor Banca Julius Baer e Sicpa.


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Conegliano, Palazzo Sarcinelli: Vivian Maier. Shadows and Mirrors

VIVIAN MAIER.
Shadows and Mirrors

Conegliano, Palazzo Sarcinelli
23 marzo – 11 giugno 2023

Mostra a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso. Organizzata da ARTIKA in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano.

Vernice per la Stampa: giovedì 23 marzo, ore 11

La mostra “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, composta da 93 autoritratti, racconta la grande fotografa e la sua ricerca incessante di trovare un senso e una definizione del proprio essere. L’esposizione è in programma presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, dal 23 marzo al 11 giugno 2023. La mostra, a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso, è organizzata da ARTIKA, in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano.

“Un ritratto non è fatto nella macchina fotografica. Ma su entrambi i lati di essa”, così il fotografo Edward Steichen riassumeva il principio della fotografia. Un processo creativo che ha origine dalla visione dell’artista e che si concretizza solo in un secondo tempo nello scatto. Nel caso di Vivian Maier: il suo stile, i suoi autoritratti, hanno origine da una visione artistica al di qua dell’obiettivo fotografico. Per lei fotografare non ha mai significato dar vita a immagini stampate e quindi diffuse nel mondo, quanto piuttosto un percorso di definizione della propria identità.

La mostra ripercorre l’opera della famosa tata-fotografa che, attraverso la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica, trasporta idealmente i visitatori per le strade di New York e Chicago, dove i continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell’artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante.

Vivian Maier fotografò per più di quarant’anni, a partire dai primi anni ’50, pur lavorando come bambinaia a New York e a Chicago. Spese la sua intera vita nel più completo anonimato, fino al 2007, quando il suo corpus di fotografie vide la luce. Un enorme e impressionante mole di lavoro, costituita da oltre 120.000 negativi, film in super 8 e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppate. Il suo pervasivo hobby finì per renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography. Gli storici della fotografia l’hanno collocata nella hall of fame, accanto a personalità straordinarie come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winograd.

L’allestimento di Palazzo Sarcinelli esplora quindi il tema dell’autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori degli anni ’50, fino alla fine del Novecento. Un nutrito corpus di opere caratterizzato da grande varietà espressiva e complessità di realizzazione tecnica. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra. La prima è intitolata SHADOW (l’ombra). Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente delle più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L’ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea. È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. Attraverso il REFLECTION (riflesso), a cui è dedicata la seconda sezione, l’artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, attraverso l’idea di auto-rappresentazione. L’autrice impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l’immagine viene catturata. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine, la sezione dedicata al MIRROR (specchio), un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l’artista affronta il proprio sguardo.

“La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier, che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa”, scrive Anne Morin nella presentazione della mostra. Nelle splendide immagini in mostra al pubblico, dal 23 marzo al 11 giugno 2023, presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, vedremo la seconda metà del Novecento con gli occhi e negli occhi di un’icona della storia della fotografia.


Per informazioni
tel. +39 351 809 9706
mail: mostre@artika.it
 
Sito web
www.artika.it
 
Ufficio Stampa
Studio Esseci di Sergio Campagnolo
Roberta: roberta@studioesseci.net

Roma: Spazio all’Arte inaugura l’esposizione delle opere di Bruno PELLEGRINO e Nicola RIVELLI

INAUGURAZIONE Giovedì 23 Marzo, dalle 18:00 alle 21:00 – Spazio all’Arte – Via delle Mantellate 14/b.

L’esposizione proseguirà fino al 24 Aprile, aperta al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 19,00.

Per partecipare: roma@capitoliumart.it
Info e Stampa: comunicazione@capitoliumart.it

Spazio all’Arte, sede romana della Casa d’aste Capitolium Art in via delle Mantellate 14/b, presenta, giovedì 23 marzo alle ore 18:00, i due artisti Bruno Pellegrino e Nicola Rivelli.

Bruno Pellegrino
Nicola Rivelli

Bruno Pellegrino, reduce dal successo di una importante mostra al MAXXi di Roma e Nicola Rivelli, attivo tra l’Italia e la Cina, dove ha ottenuto molti riconoscimenti, realizzando tra l’altro la scultura mascotte degli XI Giochi nazionali cinesi, chiamata “Taishan Kid”, per la quale, primo artista italiano contemporaneo, è stato celebrato con una emissione filatelica.

Bruno Pellegrino è stato un esponente politico, ha ricoperto la carica di senatore dopo essere stato segretario del Club Turati a Milano. Scrittore, è autore di diversi saggi. Nicola Rivelli, uomo e artista poliedrico, ha spaziato tra il mondo imprenditoriale e quello politico, ricoprendo per sette anni la carica di deputato in Parlamento. Oltre le similitudini del loro percorso, ciò che più li accomuna è la passione per tutto quello che hanno fatto e fanno.

In mostra sei Maschere di Bruno Pellegrino, volti che sembrano interrogarsi e porre interrogativi a chi li guarda e sette Cosmic Bullets di Nicola Rivelli, a rappresentare quello che non si vede dell’Uomo, la sua essenza.


Capitolium Art Roma – Spazio all’Arte
Via delle Mantellate 14/b-00165 Roma
e-mail: roma@capitoliumart.it
tel. 06.84017189
web: capitoliumart.it

Comunicazione
e-mail: comunicazione@capitoliumart.it

Ufficio Stampa Capitolium Art

Bologna, Museo Civico Archeologico: Al via il ciclo di conferenze “Mummies. Il passato svelato” sullo studio di due mummie rare

Mummia con il sudario dipinto – Lato fronte dopo il restauro conservativo – © CCR Venaria

Mummies. Il passato svelato

Ciclo di conferenze
18 marzo – 1 aprile 2023

Museo Civico Archeologico | Sala Risorgimento

Via dell’Archiginnasio 2, Bologna

www.museibologna.it/archeologico/

Il Museo Civico Archeologico di Bologna apre un nuovo capitolo per la valorizzazione di una parte importante della propria collezione egizia.
Grazie a una proficua collaborazione scientifica avviata nel 2019 con l’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano, è stato possibile realizzare l’articolato progetto Mummies. Il passato svelato finalizzato alle indagini diagnostiche e al trattamento conservativo di due rare mummie umane custodite nei magazzini del museo dalla fine degli anni Settanta: la mummia con il sudario dipinto e la mummia di fanciullo con tre tuniche, appartenenti rispettivamente alle collezioni formate dall’artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860) e da Federico Amici (1828-1907), che ricoprì importanti incarichi in Egitto per conto del Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892).

Lo studio antropologico e paleopatologico è stato condotto dall’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola,presso il quale è stato eseguito l’esame tomografico computerizzato utile per ricostruire il profilo biologico dei due individui.

Dopo essere stata affidata alle cure del Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, la mummia con il sudario riccamente dipinto, appartenuta a una donna vissuta in epoca romana (I-II sec. d.C.), torna ora ad essere esposta in via permanente nella Sezione Egizia del museo. La sua restituzione alla comunità scientifica e alla fruizione pubblica riveste un carattere di eccezionale interesse storico: sono solo due al mondo i resti umani mummificati ancora avvolti in sudari integri di questo tipo e di questa epoca.
L’intervento conservativo che ha interessato la seconda, non meno rara, mummia di un fanciullo accuratamente avvolto in tre tuniche, databile all’Egitto Medievale (XIII sec. d.C.), è stato invece svolto dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi dell’Accademia Tessile Europea di Bolzano, già nota per il restauro della Sacra Sindone.
In entrambi i casi, gli interventi conservativi sono stati eseguiti in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa.

Le due mummie sono state esposte nella mostra Mummies. Il passato svelato,organizzata al NOI Teck Park di Bolzano dal 2 settembre al 20 ottobre 2022, nell’ambito del 10th World Congress on Mummy Studies (WMC 2022).

In occasione del loro ritorno a Bologna, il Museo Civico Archeologico promuove un ciclo di tre conferenze per condividere con un pubblico più ampio di quello specialistico i risultati dell’importante lavoro interdisciplinare condotto con numerose e prestigiose collaborazioni, in cui sarà possibile ripercorrere la storia di due antichi egiziani e il loro viaggio per giungere fino a oggi. Seguendo il filo di trama e ordito saranno svelate anche altre storie di restauri e tessuti antichi.

Gli incontri, a ingresso gratuito, si svolgeranno nella Sala Risorgimento del museo con il seguente calendario:

sabato 18 marzo ore 17.00
Irene Tomedi (Accademia Tessile Europea di Bolzano)
Conservare tessuti antichi: dalla Sacra Sindone alle tuniche egiziane

sabato 25 marzo ore 17.00
Daniela Picchi (Museo Civico Archeologico di Bologna), Alice Paladin e Marco Samadelli (Eurac Research)
Storia di una ‘bella’ egiziana da Tebe Ovest

sabato 1 aprile ore 17.00
Paola Buscaglia e Roberta Genta (Centro di Restauro e Conservazione “La Venaria Reale”)
Implicazioni etiche e metodologiche nel restauro di una mummia con sudario dipinto.

Il tema complesso dell’esposizione delle mummie, e delle relative implicazioni in ambito etico, museologico e giuridico, è oggetto di un irrisolto dibattito. All’esigenza di una cura ed esposizione doverosamente rispettosa dei resti umani, prevista anche dal codice etico dei musei (ICOM), si contrappongono spesso la sovraesposizione mediatica o l’abbandono nei magazzini per difficoltà emotive di interazione o per un rifiuto ideologico. Il progetto Mummies. Il passato svelato supera tali contraddizioni mettendo al centro la dignità dell’individuo e quindi dell’esposizione dei resti umani, che è possibile solo in particolari condizioni. Lo studio antropologico e paleopatologico, l’analisi e il trattamento conservativo dei tessuti hanno permesso di far luce sulla vita di due antichi Egiziani, restituendo loro l’identità perduta e rendendoli testimoni di una storia millenaria che merita di essere conosciuta.

Mummia con il sudario dipinto Restauro conservativo
© CCR Venaria

La mummia con il sudario dipinto
La maggior parte delle mummie egizie conservate nel Museo Civico Archeologico di Bologna apparteneva alla collezione dell’artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860). Tra il 1825 e il 1845 Palagi acquistò oltre tremila antichità egizie che poi offrì a un prezzo agevolato alla sua città natale tramite lascito testamentario.
Palagi acquistò la mummia con il sudario dipinto assieme a un migliaio di altri oggetti nel 1831 da Giuseppe Nizzoli, già cancelliere del consolato austriaco in Egitto. Nel Catalogo Dettagliato dellaRaccolta di Antichità Egizieriunite da Giuseppe Nizzoli, pubblicato ad Alessandria d’Egitto nel 1827, si trova una descrizione utile a comprendere il contesto archeologico di provenienza di questa mummia: “Una mummia di stile greco (senza cassa, perché così ritrovata nelle tombe, con altre in fila) tutta piena di bende con pitture curiosissime, e di un genere tutto differente”.
Dopo la morte di Palagi, la mummia e le altre antichità egizie furono trasferite dalla sua casa-museo di Milano a Bologna, dove furono poi esposte a Palazzo Galvani, attuale sede del Museo Civico Archeologico.

La mummia femminile con il sudario dipinto è di tipologia rarissima, in quanto ancora ricoperta da un raffinato sudario dipinto che riproduce idealmente i tratti della defunta. Il volto è incorniciato da una lunga chioma nera che termina in folti riccioli ed è trattenuta da una fascia bianca con decorazioni geometriche sulla fronte. Le orecchie, il collo, le braccia e le mani sono impreziosite da gioielli. Ai lati del corpo sono dipinti, dall’alto in basso, due lamentatrici funebri, due urei, gli amuleti djed e tit, due grandi mazzi di fiori di loto. La parte posteriore del sudario non è perfettamente visibile perché coperta dalla resina che lo fissa al corpo.

Le indagini diagnostiche, svolte in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola, sembrano confermare la provenienza della mummia da una necropoli tebana – il fango trovato sul dorso della mummia ha caratteristiche attribuibili a quell’area – e datano tutti i tessuti – sudario e bende interne – al I-II secolo d.C. Inoltre, la caratterizzazione dei materiali utilizzati per decorare il sudario ha confermato la presenza di sostanze documentate in epoca romana.

Anche lo stile pittorico del sudario può essere ricondotto allo stesso periodo storico (I-II secolo d.C.), come dimostra la sua somiglianza con le mummie e i sarcofaghi appartenenti ai membri della famiglia Soter (53-117 d.C.). Il sudario di Bologna non appartiene necessariamente allo stesso contesto archeologico, ma è tipologia paragonabile a quelli del gruppo Soter (53-117 d.C.), la cui tomba è presumibilmente da identificarsi con la TT32 nella necropoli tebana di El-Khokha. A questo gruppo appartiene la mummia di Cleopatra II, figlia di Soter, ora conservata al British Museum, che è l’unica altra mummia dell’epoca con sudario ancora avvolto attorno al corpo.

La mummia di Bologna appartiene a una donna, alta circa 153 centimetri, che al momento della morte poteva avere 35-45 anni. L’analisi non ha evidenziato un’unica causa di morte. La donna era affetta da ascessi che comportarono la perdita di alcuni denti in vita. Soffriva di malattie degenerative, come l’artrosi alla spina dorsale e alle articolazioni delle ginocchia. Le abbondanti pieghe della pelle e i residui di tessuto adiposo su fianchi, glutei e cosce suggeriscono una rotondità delle sue forme.

Grazie allo sbendaggio virtuale della mummia tramite TAC, è stato osservato che il corpo è in posizione supina, con le braccia stese lungo i fianchi e le gambe dritte. Durante il processo di imbalsamazione, il cervello è stato quasi completamente rimosso attraverso la narice sinistra. Gli organi interni sono stati estratti attraverso un’incisione verticale sull’addome, imbottito poi solo parzialmente con bende imbevute di resina. Il corpo è stato infine ricoperto con un’abbondante colata di resina e rivestito con un bendaggio in tessuti di lino. Le tecniche di imbalsamazione e il raffinato sudario confermano lo stato sociale elevato della defunta. La datazione al radiocarbonio ha attribuito il sudario all’epoca romana (I-II sec. d.C.).
L’intervento conservativo, eseguito dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” – in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa e con ISPC CNR Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (nell’ambito del progetto PAMUS – E-RIHS) – è stato complesso: le diverse tipologie di degrado rendevano poco comprensibili le caratteristiche della policromia del sudario, così come la stratigrafia dei materiali tessili sottostanti. Superfici ancora integre convivevano con ampie lacune e lacerazioni, creando una superficie discontinua e compromessa.
L’intervento, dalla pulitura al consolidamento, si è fondato sulla sinergia tra metodi diversi, puntando sia al recupero delle superfici policrome, sia alla conservazione dei tessuti archeologici, nel rispetto etico dei resti umani. Per scegliere in modo consapevole i materiali di intervento è stata condotta un’accurata campagna diagnostica e un’attività sperimentale preliminare al loro utilizzo.

Mummia di fanciullo con tre tuniche
Dettaglio di un ricamo
© Paolo Bondielli © Marcello Garbagnati MediterraneoAntico

La mummia di fanciullo con tre tuniche
La mummia di fanciullo con tre tuniche può considerarsi una rara testimonianza del rituale funerario dell’Egitto medievale. Diversamente dalle mummie del periodo faraonico, le più frequenti nelle collezioni museali, il corpo del fanciullo non è stato sottoposto a tecniche di imbalsamazione ma è stato preparato alla sepoltura con una ricca vestizione.
La mummia sarà conservata con cura dal museo di Bologna ma non sarà esposta al pubblico, nel necessario rispetto della dignità umana.

La mummiaprovienedalla collezione diFederico Amici (1828-1907), nato a Roma da una nobile famiglia bolognese, che soggiornò in Egitto dal 1875 al 1890 ricoprendo importanti incarichi per il Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892). Tra questi, il più prestigioso fu l’organizzazione del servizio statistico nazionale dell’Egitto.
Amici donò al Museo Civico di Bologna varie antichità e tra queste la mummia di fanciullo con tre tuniche. Furono presumibilmente i tessuti ad attirare la sua attenzione, perché il corpo del fanciullo era già allora in precario stato conservativo. Nel catalogo della collezione egizia di Bologna, pubblicato nel 1895 da Giovanni Kminek-Szedlo, la mummia è descritta come: “un fanciullo dell’epoca posteriore al retto imbalsamento degli Egiziani, lunga 0,63; è in istato molto trascurato e mancante di testa, e di braccia. I piedi sono scoperti, il resto del corpo è avvolto in un corsetto ed in una specie di gonnella di stoffe diverse”.
Il “corsetto”, sovrapposto alle tre tuniche, doveva nascondere alla vista le braccia, che la mummia conserva ancora, a differenza di testa e piedi. Anche del “corsetto” non esiste più traccia.

La mummia, priva di testa e piedi, appartiene a un bambino di 2-3 anni, alto circa 84 cm. Non è stato possibile risalire alla causa di morte, ma dall’analisi paleopatologica è emerso uno stato di stress, in particolare negli arti inferiori, dovuto forse a un’alimentazione inadeguata o a un’infiammazione.
La TAC ha evidenziato che il corpo non è stato eviscerato degli organi interni. Il cuore, la trachea, i bronchi e il diaframma si sono mummificati naturalmente. L’esame della pelle, dalla colorazione bruno-rossastra, suggerisce che il corpo sia stato trattato con qualche sostanza per prepararlo alla sepoltura.
L’analisi al radiocarbonio, eseguita su un campione di osso e di tunica, ha permesso di datare la mummia al XIII secolo d.C. (Medioevo).
L’intervento conservativo, eseguito dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi in collaborazione l’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research e il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, è stato effettuato trattando le sole vesti di lino che ricoprono il corpo: due tuniche a filo grosso, una tinta in indaco e l’altra ricamata a filo nero sulle maniche, e una sovra-tunica quadrettata e bicolore a filo sottile.
Il precario stato dei resti umani ha reso difficile il trattamento dei tessuti, molto degradati, lacerati e lacunosi. Dopo l’analisi tipologica dello sporco (sabbia, sali, liquidi corporei) depositato sulle fibre, è stata effettuata una prima pulitura con un micro-aspiratore dall’ugello ad ago. Lo sporco penetrato in profondità tra le fibre è stato rimosso tramite tamponamenti con spugnette imbevute in acqua demineralizzata, proteggendo adeguatamente il corpo. Questo trattamento ha permesso di eliminare le pieghe nel tessuto e di comprendere le caratteristiche formali delle tuniche. Il tutto è stato eseguito mettendo in sicurezza le parti fragili con spilli entomologici.
Le tuniche di lino a filo grosso sono state poi integrate e consolidate con un tessuto di lino, mentre la sovra-tunica con il velo di Lyone in seta, entrambi adeguatamente tinti e fissati con filo organzino di seta. L’intervento ha restituito alle tuniche solidità e aspetto omogeneo.


Informazioni

Museo Civico Archeologico
Via dell’Archiginnasio 2 | 40124 Bologna
Tel. +39 051 2757211
www.museibologna.it/archeologico
mca@comune.bologna.it
Facebook: Museo Civico Archeologico di Bologna
YouTube: Museo Civico Archeologico di Bologna

Orari di apertura
lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì ore 9.00-19.00
sabato, domenica, festivi ore 10.00-20.00
chiuso martedì non festivi

Settore Musei Civici Bologna
www.bolognamusei.it
Instagram: @bolognamusei

Eurac Research
www.eurac.edu | 
mummy.studies@eurac.edu
Facebook: Eurac Research
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Venezia: VITTORE CARPACCIO. Riunite al Ducale le due parti “La caccia in Laguna” e “Le due Dame” di quello che sino al ‘700 era un manufatto unico 

Riunite al Ducale le due parti (“La caccia in Laguna” e “Le due Dame”)
di quello che sino al ‘700 era un manufatto unico.
La riunione è occasione per una campagna di ricerca scientifica
condotta dall’Istituto Italiano di Tecnologia con partner specializzati.

VITTORE CARPACCIO
Dipinti e disegni

Venezia, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge

18 marzo – 18 giugno 2023

Mostra promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia in collaborazione con la National Gallery of Art di Washington
A cura di Peter Humfrey, con Andrea Bellieni e Gretchen Hirschauer

L’attesa monografica “Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni”, che sarà al Ducale (nell’Appartamento del Doge) dal 18 marzo al 18 giugno, proporrà un’opportunità davvero unica: ammirare finalmente riunite, le due parti di una scena compiuta ed unitaria, separate in circostanze sconosciute verso la fine del Settecento. Si tratta delle “Due dame” del Museo Correr, possedute a Venezia da Teodoro Correr e de “La caccia in Laguna” oggi patrimonio del Getty Museum di Malibu.

Carpaccio le aveva raffigurate entrambe su quella che, in origine, quasi certamente era un’anta di porta a soffietto posta tra due ambienti di un raffinato, privatissimo interno veneziano.

Si riforma così la conturbante scena con le due elegantissime nobildonne veneziane in annoiata attesa del ritorno dei mariti dalla caccia in laguna con archi e ‘ballotte’; una ‘storia’ psicologica raccontata da Carpaccio con sottile sensibilità e sublime fascino immaginativo (il grande storico inglese John Ruskin alla fine del secolo XIX ne fu letteralmente soggiogato).

La riunione delle due parti della magnifica opera ha anche offerto il destro per un intervento tecnologico di particolare interesse, frutto della collaborazione tra i Civici Musei di Venezia e l’Istituto Italiano di Tecnologia, con l’obiettivo di integrare con sempre maggior efficacia l’innovazione tecnologica nelle pratiche di conservazione e valorizzazione museale.

Il progetto scientifico promosso dal MUVE e dedicato alla tavola quattrocentesca vede operare in sinergia l’Istituto Italiano di Tecnologia e gli Artmen di AerariumChain, affermato gruppo di professionisti specializzati in servizi di scansione 3D e blockchain per le collezioni d’Arte.
I dati della campagna non-invasiva di analisi iperspettrale condotta da IIT verranno a integrarsi con il modello digitale 3D ad altissima risoluzione realizzato da AerariumChain, così da garantire la verifica puntuale, fronte-retro, dello stato di conservazione dell’opera al momento del suo rientro dalla fase espositiva presso la National Gallery of Art di Washington.

L’analisi iperspettrale permetterà di individuare le caratteristiche pittoriche della tavola, i pigmenti usati e la loro distribuzione, rivelando la presenza di ritocchi ed eventuali aree di degrado della superficie con riferimento alle riflettografie infrarosse e ai restauri eseguiti negli anni ’90. Le potenzialità della tecnica iperspettrale sono inoltre tali da ipotizzare la realizzazione da parte di IIT di un vero e proprio restauro pittorico virtuale che possa sfociare nella produzione di una copia fedele in stampa 3D dell’opera del Carpaccio.


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Biblioteca Regionale di Messina – Giornata Mondiale della Poesia. In ricordo di Franz Riccobono

Messina – Biblioteca Regionale Universitaria “Giacomo Longo”

Giornata Mondiale della Poesia

In ricordo di Franz Riccobono

Franz Riccobono

Presentazione Sillogi e Testi di Sebastiano Sanguedolce
Francesco Cuva

Sala Lettura 21 marzo 2023 ore 17

Martedì 21 marzo 2023, alle ore 17, la Biblioteca Regionale di Messina attende presso la Sala Lettura, utenti abituali e nuovi per uno stimolante momento culturale in occasione della Giornata Mondiale della Poesia, genere letterario che da sempre scolpisce sui fogli sentimenti di uomini e donne di ogni epoca, parlando alla mente e al cuore di chi si approccia ai versi.

Il linguaggio universale della lirica poetica, espressione alta dell’animo umano, immortale nel tempo e con valore che prescinde i riferimenti spaziali, verrà accostato anche ad altri generi. Saranno, infatti, presentate insieme le Sillogi di Sebastiano Sangedolce “Poesia e Pandemia” e “Natio Sito Mio” e i testi di Francesco Cuva “Noè Marullo” e “San Giacomo Maggiore”.

Dopo i Saluti Istituzionali e l’Introduzione della Direttrice, Dott.ssa Tommasa Siragusa seguiranno gli interventi:del Prof. Marco Grassi, Storico e Giornalista, del Prof. Luigi Montalbano, Amici del Museo “Franz Riccobono”, del Prof. Francesco Cuva, Docente e Studioso e di Sebastiano Sanguedoce, Poeta. Il Coordinamento sarà affidato al Dott. Lillo Fabio, Dirigente Pubblico e Studioso.

L’evento intende omaggiare la recente dipartita terrena dello stimato Studioso e Cultore di Storia Patria, prof. Franz Riccobono, assiduo fruitore della Biblioteca e autorevole Relatore. Per l’occasione verrà proiettato un video esemplare del Suo impegno per la Cultura, in ispecie quella legata all’ambito locale, tra storia e tradizioni. Tratti dalla Sua corposa produzione libraria, presente in Biblioteca, alcuni volumi costituiranno una ricca esposizione, testimonianza tangibile per i partecipanti all’iniziativa.

La Giornata dedicata alla Poesia sarà impreziosita dalla straordinaria concessione temporanea di un costume, con relativo manichino, riferiti al Sommo Poeta DANTE ALIGHIERI, creazioni della Costumista Sig.ra Rita Serafini, per esposizione temporanea.


L’ingresso è gratuito e non occorre prenotazione.

Post dell’iniziativa culturale saranno presenti sulle pagine social della Biblioteca:

Chi non potrà prendere parte all’evento in presenza, potrà scrivere sui social commenti e domande da rivolgere all’Artista durante l’incontro.
Nei giorni a seguire sarà disponibile il video.

Per INFO: Ufficio Relazioni con il Pubblico tel.090674564
urpbibliome@regione.sicilia.it
(A cura di Ufficio Relazioni con il Pubblico. Maria Rita Morgana)

Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea: più di 140 opere realizzate da 39 artisti che si trovavano o si trovano in guerra

Artisti in guerra / Artists in a Time of War
Veduta dell’allestimento della mostra al / Installation view of the exhibition
at Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Foto / Photo Sebastiano Pellion
Courtesy Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Artisti in guerra / Artists in a Time of War

Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
15 marzo / March 15 – 19 novembre / November 19, 2023

Inaugurazione / Opening: 14 marzo / March 14, 2023

A cura di / Drafted by Carolyn Christov-Bakargiev e / and Marianna Vecellio

Artisti in guerra. Da Francisco Goya a Salvador Dalí, Pablo Picasso, Lee Miller, Zoran Mušič, Alberto Burri, Fabio Mauri, Bracha L. Ettinger, Anri Sala, Michael Rakowitz, Dinh Q. Lê, Vu Giang Huong, Rahraw Omarzad e Nikita Kadan

La nuova attività espositiva 2023 del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea prende avvio al terzo piano della Residenza sabauda con la mostra collettiva a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio Artisti in guerra. Da Francisco Goya a Salvador Dalí, Pablo Picasso, Lee Miller, Zoran Mušič, Alberto Burri, Iri e Toshi Maruki, Fabio Mauri, Bracha L. Ettinger, Anri Sala, Michael Rakowitz, Dinh Q. Lê (con opere tra l’altro di Le Lam, Phan Oanh, Nguyen Thu, Truong Hieu, Nguyen Toan Thi, Kim Tien, Quach Phong, Huynh Phuong Dong, Minh Phuong), Vu Giang Huong, Rahraw Omarzad e Nikita Kadan.

La mostra presenta più di 140 opere di 39 autori realizzate da artisti che si trovavano o si trovano in guerra. Empatiche, sofferte, esprimono disagio ma anche grande umanità.

La mostra prende spunto dai Desastres de la Guerra (Disastri della guerra), 1810-1815, di Francisco José de Goya y Lucientes e sviluppa il tema della guerra e della soggettività post traumatica attraverso opere storiche e nuovi progetti di importanti artisti contemporanei.
Artisti in guerra include prestiti provenienti da importanti istituzioni pubbliche e private italiane e internazionali oltre a due nuove committenze, opere inedite realizzate per l’occasione dall’artista afgano Rahraw Omarzad (Kabul, 1964), e l’artista ucraino Nikita Kadan (Kiev, 1982). Entrambi gli artisti condividono una pratica connessa a quella di promotori culturali offrendo un messaggio di grande impatto emotivo e umano oltre che sociale e politico. Originate a partire da scenari di conflitto e di profondi cambiamenti geopolitici, le loro prassi invitano a riflettere sull’importanza di trovare nell’espressione creativa narrazioni di cura e di pace.

Sostiene Francesca Lavazza, presidente del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea: “Questa mostra, ultima del percorso espositivo artistico di Espressioni che si è sviluppato negli anni, raccoglie una riflessione profonda sulla contemporaneità, grazie al lavoro degli artisti che attraverso i secoli hanno saputo raccontare le discontinuità del presente e la conflittualità, interpretata attraverso la loro personale sensibilità nel tempo che stavano vivendo. Le opere esposte riescono così a scuotere il pubblico su tematiche controverse e difficili, rappresentando gli orrori della guerra, trasversali a tutti i conflitti. Ringrazio Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio per questo coraggioso progetto destinato a fare riflettere la coscienza collettiva”.

IL TEMA

“I recenti conflitti internazionali ci hanno portato a creare una nuova mostra che indaga il significato della guerra”, afferma la direttrice Carolyn Christov-Bakargiev, “per chiederci come alcuni esseri umani particolarmente empatici – gli artisti – elaborino la violenza organizzata della guerra con i suoi eserciti e le sue tattiche. Ne evidenziano l’orrore e l’inesplicabilità, sospesa com’è tra calcoli razionali, da un lato, e totale imprevedibilità, dall’altro. Attraverso una serie di opere d’arte del passato e alcune nuove commissioni create da artisti che vivono la guerra oggi, questa mostra vuole aprire una discussione sulla guerra che va oltre la sua spiegazione politica ed economica come lotta di potere, oltre la sua condanna assoluta, oltre la sua giustificazione come un male minore e necessario. Invece, questa mostra cerca di guardare alla guerra da una prospettiva culturale che includa arte e filosofia. Per il filosofo greco presocratico Eraclito, l’essere si rivela nella guerra, Πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι (polemos pantōn men patēr esti – la guerra è padre di tutte le cose). Il filosofo francese Emmanuel Lévinas, dopo la Seconda Guerra Mondiale, trascorsa in parte in un campo di prigionia tedesco, ci ricorda che l’Essere si rivela al pensiero filosofico come guerra: nel contrasto tra la finitezza della morte – più evidente nella guerra perché più frequente – e l’illimitata incommensurabilità dell’esistenza. La vita in tempo di guerra è proprio questo intervallo tra la vita e la morte, infinitamente dilatato. Attraverso l’arte, alcuni artisti in guerra trovano il modo di rimuovere se stessi dal pensiero conflittuale e di espandere all’infinito il tempo e lo spazio, anche nella vita di tutti i giorni”.


Artisti in guerra

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Il percorso espositivo inizia nell’atrio del terzo piano, con una selezione di immagini fotografiche d’archivio provenienti dalle Collezioni della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, raffiguranti la città sabauda distrutta dai bombardamenti avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale (1939–1945). Le fotografie sono esposte insieme alla scultura di Ettore Ximenes (Palermo, 1855 – Roma, 1926) Il bacio di Giuda, 1884, gravemente danneggiata nelle incursioni aeree degli eserciti alleati nel 1942 e per questo allestita con la cassa contenente i suoi frammenti. È inoltre presentata in questa area l’opera di Iri e Toshi Maruki (Iri Maruki: Hiroshima, 1901–1995 / Toshiko Amakatsu Maruki: Chippubetsu, Hokkaido, 1912 – Hiroshima, 2000), testimoni diretti degli effetti delle esplosioni nucleari a Hiroshima e Nagasaki.

Nella stessa sala sono inoltre allestiti i reperti fotografici militari tratti da riviste dell’epoca che compongono l’opera concettuale Linguaggio è guerra, 1974, di Fabio Mauri (Roma, 1926–2009). Scioccato dalla scoperta dell’Olocausto, l’artista italiano fu internato in manicomio subito dopo la guerra e fino ai primi anni Cinquanta del secolo scorso in preda a crisi mistiche. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, sviluppò un’arte basata sull’indagine tra bellezza, male, ideologia e potere. In Linguaggio è guerra, egli riflette all’inizio degli anni Settanta sul rapporto tra la manipolazione ideologica (il linguaggio) e la guerra in generale.

SALA 34

Nella Sala 34, la Guerra d’Indipendenza spagnola (1808–1814) fa da sfondo ai Desastres de la Guerra (Disastri della guerra), 1810-1815, prima edizione 1863, di Francisco José de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 1746 – Bordeaux, 1828), il celebre ciclo di 80 incisioni realizzate nel periodo segnato dal conflitto con gli invasori napoleonici francesi. I primi piani di corpi e volti martoriati dalle sofferenze rappresentati da Goya sono allestiti in dialogo con le opere dell’artista sloveno Anton Zoran Mušič (Boccavizza, 1909 – Venezia, 2005) il quale negli anni Trenta prima della guerra aveva avuto modo di ammirare e studiare le opere di Goya a Madrid. Mušič è uno dei pochi artisti moderni ad aver vissuto in prima persona l’orrore della Seconda Guerra Mondiale. Internato nel campo di Dachau nel novembre 1944 perché aveva rifiutato di arruolarsi nelle SS, di Mušič, oltre a un cospicuo numero di opere della serie Nous ne sommes pas les derniers (Noi non siamo gli ultimi), 1970-1988, saranno presentati anche i primissimi disegni realizzati a Dachau nella primavera del 1945.

SALA 35

La Seconda Guerra Mondiale è indagata anche nella Sala 35 attraverso una selezione di opere poste in dialogo con il dipinto Tête de femme (Testa di donna), 1942, di Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973) realizzato in pieno conflitto e che deriva in parte dal celebre dipinto Guernica, 1937, con cui condivide l’uso di una tavolozza di neri e di grigi. Il viso straziato e diviso in due della figura dell’artista e amica Dora Maar (Parigi, 1907–1997) probabile soggetto del ritratto, assomiglia inoltre a figure femminili raffigurate in Guernica. La grande tela fu realizzata nella primavera 1937 in memoria del tragico bombardamento aereo della cittadina basca, avvenuto a opera dell’aviazione nazi-fascista il 26 aprile 1937. Picasso denunciava gli orrori della Guerra civile spagnola e criticava aspramente la condotta del generale Francisco Franco.

La tela fu esposta in quello stesso anno nel padiglione della Spagna repubblicana presso l’Esposizione Internazionale di Parigi. Divenne presto un simbolo di denuncia contro ogni forma di conflitto e prevaricazione, come dimostra la sua travagliata odissea, che, dalla chiusura dell’Esposizione di Parigi, la vide impegnata in numerose tournée tra Europa, Stati Uniti e Sud America. Dal 1940, a seguito dello scoppio della guerra, Picasso affidò la tela alle cure del Museum of Modern Art di New York per evitare che Franco ne rivendicasse la proprietà. Soltanto nel 1981 l’opera poté finalmente fare rientro in Spagna, al Museo del Prado di Madrid, per poi passare, nel 1992, nell’attuale sede del Museo Reina Sofía.

I libri con rare e uniche legature di Pierre-Lucien Martin della Collezione Cerruti Solidarité. Poème, 1938, e Au rendez-vous allemand, 1944, del poeta surrealista francese Paul Éluard (Saint-Denis, 1895 – Charenton-le-Pont, 1952) sono altresì in mostra. Solidarité è pubblicato nell’aprile 1938 con un corredo di sette acquetinte e acqueforti di artisti antifascisti, tra i quali Pablo Picasso, Joan Miró e Yves Tanguy. Il volume, i cui ricavi delle vendite sono destinati al sostegno dei combattenti repubblicani della Guerra civile spagnola, si apre con la poesia Novembre 1936, ritenuta dalla critica il primo componimento a carattere esplicitamente politico dello scrittore francese. Il poema è composto all’indomani della sanguinosa battaglia di Madrid che ha luogo tra l’8 e il 23 novembre 1936. Au rendez-vous allemand è una raccolta di poesie pubblicata nel dicembre 1944. Ospita, tra gli altri, il poema La Victoire de Guernica, composto da Éluard poche settimane dopo il drammatico bombardamento della cittadina basca. A spingere il poeta alla stesura del testo, concorre la visione dei disegni che Picasso stava realizzando per la grande tela in preparazione per l’Esposizione Internazionale di Parigi. Il volume della Collezione Cerruti si contraddistingue per la presenza di un autografo del poeta: si tratta di Les Vainquers d’hier périront, poesia composta il 14 aprile 1938, i cui versi corroborano l’immagine di una Spagna martirizzata dalla Guerra civile.

Nella medesima Sala 35 si trova anche l’opera di Salvador Dalí (Figueres, 1904–1989), Composition avec tour (anche intitolato Bozzetto per sipario di scena di “Café de Chinitas”), 1943 ca. Tra i più noti artisti surrealisti ad avere dipinto i disastri della guerra civile spagnola e della Spagna autarchica durante la Seconda Guerra Mondiale, Dalí creava opere “critico-paranoiche” sotto forma di paesaggi spagnoli onirici e desolati. Questo dipinto è un bozzetto per uno dei sipari che egli ha realizzato per la coreografia dell’amica nota come La Argentinite, la famosa ballerina e coreografa Encarnación López Júlvez (Buenos Aires, 1898 – New York, 1945), allorché ella presentò nel 1943 al Metropolitan Opera House di New York la prima della sua opera- balletto El Café de Chinitas. Il balletto era basato su canzoni di un altro grande amico e compagno di strada di Dalí, Federico Garcia-Lorca, ispirate a canti popolari spagnoli. La Argentinita, repubblicana, era fuggita negli Stati Uniti nel 1936, e questa sua coreografia, realizzata in piena guerra, doveva essere un inno alla gioia e alla libertà del mondo prima della dittatura di Franco quando, assieme a Dalí, Garcia-Lorca, Picasso e altri artisti ed intellettuali spagnoli, il Café-teatro Chinitas di Malaga in Andalusia, aperto a metà ‘800 come culla del Flamenco, era molto frequentato. Gli elementi del quadro sono carichi di riferimenti alla situazione in Europa nel 1943: attraversato da un muro centrale, il dipinto presenta sulla destra uno scenario in rovina sul cui fondale compare un edificio razionalista di ascendenza metafisica e una stella blu che, oltre a raffigurare il cartello del caffè, potrebbe alludere alla stella ebraica, espressione del tormento che affliggeva l’Europa dominata dalle leggi razziali. Dall’altro lato del dipinto, a sinistra, una bandiera rossa pende, simbolo del socialismo rivoluzionario che in quel periodo era alleato contro i fascismi.

Una parte della Sala 35 è invece dedicata alla vicenda di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), tra i principali artisti italiani del ventesimo secolo che, con un’inedita indagine dei materiali, ha rivoluzionato il linguaggio artistico nel secondo dopoguerra attraverso un’arte astratta materica di forte impatto. Formatosi come medico, servì nell’Esercito italiano in Nord Africa dove fu fatto prigioniero e trasferito negli Stati Uniti. Durante la prigionia nel campo POW (Prisoners of War) a Hereford, Texas, dal 1943 al 1946, decide di abbandonare la professione medica per dedicarsi esclusivamente all’arte. Nel campo di Hereford vi erano numerosi italiani che erano scrittori, artisti e artigiani, ed è possibile che da loro prese inizio l’idea di dedicarsi all’arte. In mostra è esposto il primo dipinto di Burri, l’olio su tela Texas, 1945, una delle poche opere realizzate durante la permanenza nel campo di prigionia che egli ha voluto riportare in Italia nella sua nativa Città di Castello.

L’opera è fondativa, sebbene non appartenga al periodo maturo dell’artista che egli usava fare risalire al 1948 circa. Il paesaggio rosso e ocra quasi astratto è denso di materia pittorica e vi si scorge, lungo una linea alta d’orizzonte, un treno che passa, mentre in primo piano si trova una corrente d’acqua e al centro pochi elementi tra cui la staccionata del recinto del campo, una baracca come quelle dei prigionieri, un wind-vane sopra un traliccio (tipico del Texas ove le pompe dei pozzi artesiani erano alimentate a vento con mulini capaci anche di prevedere tempeste di vento) e due alberi solitari. La struttura diagonale delle linee dà movimento alla composizione in cui il paesaggio e la natura umana si incontrano in una solitudine profonda ma energica, in un limbo, nell’attesa che la guerra, lontana, finisca – in un modo o nell’altro. Accanto a Texas, sono esposti due Sacchi di Burri dei primi anni cinquanta, Sacco e Rosso, 1954, della Collezione Cerruti, e Sacco, 1954, della Fondazione Magnani Rocca. Si tratta di espressioni della certezza folgorante dell’artista che la materia stessa, la iuta, strappata e ricucita come un corpo dopo un trauma, possa esprimere senza racconto, senza figurazione, la realtà e l’alterità assolute dell’esperienza dell’esserci.

L’allestimento della sala si completa con le fotografie in bianco e nero di Elizabeth (Lee) Miller (Poughkeepsie, 1907 – Chiddingly, 1977), fotografa surrealista allieva di Man Ray che successivamente divenne fotografa di moda oltreché reporter. Durante il secondo conflitto mondiale divenne un’acclamata corrispondente di guerra per Vogue magazine, accompagnando l’esercito americano in Germania e arrivando pertanto a documentare il primo ingresso nei campi di concentramento di Buchenwald e Dachau. In questa mostra, per la prima volta le fotografie di Dachau di Lee Miller possono essere raffrontate con i disegni e le testimonianze di Mušič.

Nella stessa Sala 35 è presentato in anteprima il più recente dipinto dell’artista e psicanalista Bracha L. Ettinger (Tel Aviv, 1948), Medusa – Rachel Pieta (Medusa – Rachel Pietà), 2017-2022, da cui emergono volti allucinati ma anche profonda bellezza. Nata poco dopo la guerra e figlia di ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto, Ettinger era nel bel mezzo del suo servizio militare obbligatorio in uno squadrone di elicotteri dell’aeronautica quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni nel 1967 tra Israele e i paesi confinanti: Egitto, Siria e Giordania. Tre mesi dopo la fine della Guerra dei 6 giorni, ora con sede a El Arish, in assenza di un alto ufficiale, il soldato Bracha prese da sola l’iniziativa di avviare, organizzare e poi comandare un’importante operazione di salvataggio che salvò dal mare più di 152 giovani soldati della marina in seguito al naufragio dell’INS “Eilat”, e lei stessa rimase ferita durante la notte quando un elicottero prese fuoco e precipitò nella sua direzione. Questa esperienza traumatica ha causato un’amnesia parziale. Pur dipingendo fin dalla tenera età, solo dopo anni di pratica psicoanalitica, prima come paziente, poi come analista, Ettinger ha sviluppato uno stile di pittura intimista sui temi della memoria storica transgenerazionale e dell’affioramento della memoria personale obliterata; quadri enigmatici di fronte all’insondabile mistero della guerra e delle sue tracce. Oggi Ettinger è tra le artiste e teoriche femministe più apprezzate ed è nota anche per le sue attività di collaborazione con i palestinesi a sostegno di una risoluzione giusta e pacifica dei conflitti arabo-israeliani.

SALA 36

La mostra prosegue nella Sala 36 con una sezione dedicata alla raffigurazione artistica della ‘Guerra del Vietnam’ o ‘Seconda guerra di Indocina’ o ‘American War’, come essa viene variamente chiamata a seconda dei contesti (1955–1975). L’installazione Light and Belief. Voices and sketches of life from the Vietnam War (Luce e fede. Voci e schizzi di vita dalla guerra del Vietnam), 2012, dell’artista vietnamita Dinh Q. Lê (Ha-Tien, 1968) che oggi vive e lavora a Ho Chi Minh City (già Saigon), viene presentata per la prima volta in occasione di dOCUMENTA (13) a Kassel. L’artista è fuggito nel 1978 a 10 anni dal Vietnam del Sud dopo la presa di Saigon da parte delle truppe del Nord Vietnam (1975) e l’unificazione del Paese nel luglio 1976 ed è giunto negli Stati Uniti tra i “Boat people” alla fine degli anni Settanta. L’installazione raccoglie circa 70 disegni realizzati in guerra da diversi artisti Viet Cong e nordvietnamiti attorno al 1968-1973.

A corredo dei dipinti dei Viet Cong e di soldati nordvietnamiti che rappresentano perlopiù un mondo pacifico e idilliaco nella giungla, durante gli intervalli tra i combattimenti contro americani e sud vietnamiti (ARVN), fa parte dell’installazione un video di Dinh Q. Lê composto da interviste agli ormai anziani artisti Viet Cong e nordvietnamiti per capire la vita e il lavoro degli artisti-soldati durante la guerra e cosa li motivava a non dipingere scene di battaglia o di violenza. È esposta anche un’opera di Vu Giang Huong (Hanoi, 19302011), importante artista nordvietnamita.

SALA 36 BIS

Nella sala seguente (36 bis) è allestita una testimonianza dedicata alla Guerra in Ucraina, in corso a partire dall’invasione russa del febbraio 2022. La guerra estende il conflitto già in atto dal 2014 quando la Russia ha annesso la Crimea e parti del Donbass, ed è elaborata dalla prospettiva dell’artista ucraino Nikita Kadan nella grande installazione The Shelter II (Il rifugio II), 2023, che si configura come il naturale proseguimento dell’opera omonima The Shelter realizzata dall’artista nel 2015 per la 14° Biennale Istanbul e dedicata al Donbass. La nuova opera al Castello di Rivoli è ispirata da immagini che documentano la guerra in Ucraina reperite dall’artista su Internet. Esprime il dramma e il dolore del conflitto russo-ucraino e assomiglia a un rifugio antiaereo diviso su due piani. Lo spazio superiore è un muro composto da pile di libri stipati contro il vetro di finestre; i libri non sono più simboli di cultura e conoscenza ma servono per proteggere gli abitanti e le loro abitazioni dai frammenti di vetro in caso di esplosioni nelle aree di conflitto, come documentano i tanti reportage di guerra. Il piano inferiore dell’installazione richiama un luogo di morte, una tomba sotterranea. Sulla terra compatta della parete di fondo si scorge una mano in bronzo fuso da un calco della mano dell’artista. L’installazione nel suo complesso si carica della tragicità della storia corrente, trasformandosi in un ambiente di solitudine, silenzio, rifugio, malinconica impotenza, e incapacità di agire.

SALA 37

Nella Sala 37 si trova l’elaborazione artistica della Guerra nei Balcani (1990–2001), con il video dell’artista albanese Anri Sala (Tirana, 1974) Nocturnes (Notturni), 1999, che utilizza tecniche documentarie di associazione tra storie personali e realtà storiche per richiamare l’attenzione sull’esperienza della solitudine e della pressione sociale in tempo di guerra. L’opera intreccia i racconti di due personaggi che per motivi diversi soffrono di insonnia: un solitario collezionista di pesci, Jacques, che vede nella violenza tra pesci una metafora del lato violento e oscuro degli umani, e un altro giovane uomo, Denis, che soffre di insonnia dopo aver vissuto atrocità quando era casco blu delle Nazioni Unite in guerra.

Nella medesima sala i conflitti in Medio Oriente (1948 – in corso) sono raccontati attraverso il film The Ballad of Special Ops Cody (La ballata dell’agente speciale Cody), 2017, dell’artista americano di origine irachena Michael Rakowitz (Long Island, New York, 1973), il cui lavoro indaga le contraddizioni delle guerre in Iraq (2003–2011). Nel film, realizzato con la tecnica dell’animazione stop-motion, il protagonista – un modello giocattolo di soldato americano – si confronta con statue votive mesopotamiche conservate dall’Istituto Orientale dell’Università di Chicago e si scusa con loro addossandosi le responsabilità dei crimini commessi contro la popolazione irachena. Il soldato, a cui il sergente Gin McGill-Prather, ex soccorritore militare dell’Army National Guard (ARNG), presta la voce, si reca al museo e, utilizzando il suo equipaggiamento militare, si arrampica sulle vetrine che custodiscono i preziosi cimeli. Il video lo ritrae mentre chiede scusa alle statue.

SALA 38 SOTTOTETTO

Il percorso espositivo al Terzo piano del Castello si conclude nella Sala 38 e nell’ambiente sottotetto del Museo con gli echi delle più recenti guerre in Afghanistan, iniziate con l’attacco USA e la liberazione del paese dai Taliban nell’autunno 2001 (a seguito dell’attentato di Al Qaida alle Torri gemelle a New York) che si concluse con l’istituzione di un nuovo governo afgano sostenuto da forze USA e NATO fino al 2014; seguì un periodo di maggiore autonomia politica per l’Afghanistan con una ridotta presenza di truppe USA e NATO fino al ritiro definitivo nel 2021 e al ritorno del regime Talebano subito dopo. Questo conflitto con continui rovesciamenti, è evocato nelle opere dell’artista afghano Rahraw Omarzad fondatore del CCAA centro per l’arte contemporanea a Kabul e di una scuola concepita per dare accesso all’educazione artistica alle donne, fuggito nell’autunno 2021 anche grazie all’impegno del Museo e del Governo italiano. L’installazione Every Tiger Needs a Horse (Ogni tigre ha bisogno di un cavallo), 2022-2023, è un ambiente nato a partire dall’esplosione di un cubo contenente dinamite e pittura, esplosione eseguita in maniera controllata all’interno di una base militare in Piemonte grazie alla collaborazione dell’Esercito Italiano. Le sei tele che ne derivano e ne portano le tracce sono allestite per la prima volta in questa mostra. L’opera prende le mosse dalla percezione di crescente violenza e guerra continua nel proprio Paese d’origine. Una ulteriore nuova opera di Omarzad è esposta, il film New Scenario (Nuovo scenario), 2022-2023, girato in video durante i mesi di residenza dell’artista al Castello di Rivoli, all’interno di un rifugio antiaereo di Torino costruito nel 1943 dopo i primi grandi bombardamenti della città. Esso propone invece una riflessione sulla circolarità del destino umano e sulle difficoltà di affrancamento dalle logiche del trauma, della ferita e del conflitto. L ’opera mostra personaggi allegorici simili a fantasmi guidati da una partitura di movimenti e gestualità lenti e ripetitivi, in un’ambientazione teatrale essenziale costituita da oggetti di scena e luci contrastate che trasportano l’osservatore in una dimensione ipnotica e senza risoluzione. I protagonisti dell’allegoria includono, tra gli altri, un talebano, un soldato americano, un uomo d’affari, oltre a figure mitologiche avvolte in drappi. I ruoli dei personaggi si rovesciano più volte, come pupazzi della Storia.

TEATRO (programma video)

Il percorso della mostra è integrato dalla presentazione nel Teatro del Museo di un programma video curato dall’artista ucraino Nikita Kadan con Giulia Colletti intitolato Una lettera dal fronte con opere degli artisti contemporanei ucraini AntiGONNA (Vinnitsa, 1986), Yaroslav Futymsky (Poninka, 1987), Nikolay Karabinovych (Odessa, 1988), Dana Kavelina (Melitopol, 1995), Alina Kleytman (Kharkiv, 1991), Yuri Leiderman (Odessa, 1963), Katya Libkind (Vladivostok, 1991), Yarema Malashchuk & Roman Himey (Yarema Malashchuk: Kolomyia, 1993 / Roman Himey: Kolomyia, 1992), Lada Nakonechna (Dnipropetrovsk, 1981), R.E.P. (2004), Revkovsky / Rachinsky (Daniil Revkovsky: Kharkiv, 1993 / Andriy Rachinsky: Kharkiv, 1990), Oleksiy Sai (Kiev, 1975), Lesia Khomenko (Kiev, 1980), e Mykola Ridnyi (Kharkiv, 1985).



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