Venezia, Museo Correr – CARLA ACCARDI. Gli anni Settanta: i Lenzuoli

Carla Accardi, Lenzuolo, 1974, stoffa dipinta 230×255 cm.

CARLA ACCARDI.

Gli anni Settanta: i lenzuoli

Venezia, Museo Correr, Sala delle Quattro Porte

28 aprile – 29 ottobre 2023

A cura di Chiara Squarcina e Pier Paolo Pancotto

In collaborazione con Archivio Accardi Sanfilippo

“L’iniziativa del Museo Correr – afferma la dirigente Area Attività Museali e co-curatrice della mostra Chiara Squarcina – cade a ridosso del centenario della nascita dell’artista che, pur avendo vissuto a Roma, ha stabilito, nel corso della propria esistenza, un legame costante con Venezia, sia a livello individuale che professionale. Tra l’altro, nel 1948 ha esordito alla Biennale facendovi ritorno nel 1964 (sala personale introdotta in catalogo da Carla Lonzi), 1976, 1988 (sala personale) e nel 1993 comparendo anche nell’edizione del 2022. Opere, foto ed altro materiale documentario attestano il suo rapporto con la città lagunare compresa una immagine del 1952 quando, in occasione di una mostra alla Galleria del Cavallino, visitò col marito, l’artista Antonio Sanfilippo, e Tancredi Parmeggiani la collezione Guggenheim”.

Carla Accardi, Lenzuolo, 1975, stoffa dipinta, 144×261 cm.

Il progetto veneziano a cura di Pier Paolo Pancotto (in collaborazione con l’Archivio Accardi Sanfilippo, Roma) in quanto omaggio e non mostra antologica, presenta, sotto forma di installazione, una ristretta selezione di lavori posti in dialogo con gli ambienti storici del museo, in particolare quelli della Sala Quattro Porte posta lungo il percorso della Quadreria allestita da Carlo Scarpa. Si tratta dei Lenzuoli, un ciclo di opere avviato negli anni Settanta del 900 raramente visibile nel suo insieme e che, pur nella sua specificità visiva e semantica, risulta del tutto indicativo della ricerca dell’artista e, a suo modo, riassuntivo del suo percorso creativo.
“Varie ragioni – annota il curatore della mostra, Paolo Pancotto – rendono Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014) una delle figure più significative dell’arte del XX secolo. Nel secondo dopoguerra ha contribuito all’affermazione dell’arte non figurativa in Italia promuovendo – unica donna in un consesso interamente maschile – il gruppo Forma (1947); negli anni Cinquanta ha sviluppato la poetica del segno affermandosi tra i protagonisti dell’Art autre di Michel Tapié; nel decennio seguente ha introdotto l’uso di un inedito materiale plastico trasparente, il sicofoil, ed ha abbandonato le tempere a favore di vernici colorate e fluorescenti aprendo la sua ricerca ad effetti optical e ambientali. Superati i Settanta, segnati da un marcato impegno nelle attività sociali e nel femminismo (con Carla Lonzi e Elvira Banotti nel 1970 è stata tra le fondatrici di Rivolta femminile), ha attraversato gli anni 80 e 90 del Novecento ed è approdata al nuovo Millennio con un rinnovato interesse per la pittura sviluppando costantemente il proprio linguaggio fatto di segni e giustapposizioni cromatiche.


Maggiori informazioni ►qui
 
Museo Correr
San Marco 52
30124 Venezia
T +39 041 2405211
correr.visitmuve.it
 
Contatti per la stampa
 
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
In collaborazione con
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net

Meraviglie della Ferrara Rinascimentale: ai Diamanti la grande mostra su  Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa

Ercole de’ Roberti: Dittico Bentivoglio (Giovanni II e Ginevra Bentivoglio), 1473-74 Tempera su tavola, cm 54 x 38, 1, 53,7 x 38,7 Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection

IL PERCORSO DI MOSTRA

RINASCIMENTO A FERRARA
Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa

Ferrara, Palazzo dei Diamanti

Fino al 19 giugno 2023

Mostra a cura di Vittorio Sgarbi e Michele Danieli

Promossa da Fondazione Ferrara Arte (direttore Pietro Di Natale) e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara

Vernice per la Stampa: giovedì 16 febbraio 2023, ore 11

Ferrara è stata una delle capitali del Rinascimento in Italia, anche grazie alla corte degli Este e al loro mecenatismo colto e raffinato. Dopo l’esposizione dedicata a Cosmè Tura e a Francesco del Cossa (2007), questa mostra riprende il discorso illustrando l’opera di due artisti molto diversi, entrambi grandi innovatori, seppure ciascuno a proprio modo.

Ercole de’ Roberti esordisce nel 1469 sotto il regno di Borso d’Este, collabora con Francesco del Cossa e si divide tra Bologna e Ferrara fino al 1486, quando rientra in patria e diventa il primo pittore (con regolare salario mensile) della corte estense. Artista dalla fantasia inesauribile, dalla tecnica impeccabile e dall’espressività intensa, Ercole de’ Roberti consegue nelle sue opere un equilibrio di vigore e misura che lo rende uno dei più grandi maestri del tardo Quattrocento padano. Muore ancor giovane e i suoi capolavori sono da subito molto ricercati dai collezionisti, tanto che a Lorenzo gli subentra presso i committenti più prestigiosi, guadagnandosi una posizione di rilievo nell’ambiente felsineo. Qui matura un linguaggio più morbido, più moderno e aggiornato sulle novità di Perugino e, più in generale, della cultura centroitaliana.

Grazie alla sua meritata fama diventa pittore alla corte dei Gonzaga a Mantova, incarico fino ad allora ricoperto da Andrea Mantegna. Nell’arco di quasi mezzo secolo il suo stile conosce una trasformazione profonda, una evoluzione consapevole verso la modernità.

La mostra accoglie quindi il visitatore nel clima della seconda metà del Quattrocento, per accompagnarlo fino al pieno Rinascimento, seguendo il cammino di due artisti straordinari.

1. GLI ESORDI DI ERCOLE DE’ ROBERTI A SCHIFANOIA

I venti anni di governo di Borso d’Este (1450-71) sono caratterizzati da un forte impulso sul versante delle arti figurative che rendono la corte estense uno dei centri più importanti del Rinascimento italiano. Nella seconda metà del 1469 Borso – che sarebbe diventato duca nel 1471 poco prima di morire – commissiona la decorazione del magnifico Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia ed è proprio in questo cantiere che vanno rintracciate le premesse della rivoluzione espressiva di Ercole de’ Roberti. Nel vasto ciclo sono coinvolti molti pittori ma, con l’eccezione di Francesco del Cossa, autore dei mesi di Marzo, Aprile e Maggio, i documenti non riportano i loro nomi.

Nel Settembre è stata individuata la mano del giovane Ercole de’ Roberti, qui al suo esordio, in possesso di uno stile aspro e geniale che lo distingue dagli altri colleghi. A quel tempo Ercole si trova nella bottega di Gherardo da Vicenza, un pittore molto attivo per la corte, che a Schifanoia esegue il mese di Agosto e a cui è attribuita la bella Madonna col Bambino. Autore di Giugno e Luglio è invece il cosiddetto Maestro dagli occhi spalancati (così chiamato per la particolare fisionomia dei suoi personaggi) che si muove fra tradizione tardogotica e aperture rinascimentali, come dimostra l’Ascensione di Cristo.

2. PROVE DI RINASCIMENTO

Alla metà del Quattrocento Ferrara si trova al centro di una fitta rete di avvenimenti artistici: la corte estense è in rapporto con Andrea Mantegna, con Donatello e con artisti fiamminghi come Rogier van der Weyden; in città è presente Piero della Francesca, mentre si consolida la fama della bottega dei Bellini a Venezia, dove arriva anche, alla metà degli anni Settanta, il centese Marco Zoppo. In questo clima ricco e aperto a numerose possibilità espressive – come documenta l’Annunciata che Longhi definisce «stupenda» lamentandone l’assenza alla mostra del 1933 – operano artisti come Niccolò Baroncelli, fiorentino di nascita ma proveniente da Padova, che insieme al genero Domenico di Paris (autore della Sala delle Virtù, nota anche come “degli Stucchi”, a Palazzo Schifanoia) esegue la Crocifissione bronzea per la Cattedrale di Ferrara. Questo gruppo scultoreo trova eco nell’imponente tela del cosiddetto Vicino da Ferrara, pittore già attivo negli anni Sessanta del XV secolo e che in seguito si mostrerà attento agli sviluppi della pittura di Ercole de’ Roberti. Ma in questo torno d’anni l’artista di maggior successo a Ferrara è Cosmè Tura il cui linguaggio ricercato e fantasioso – dal quale lo stesso Ercole riuscirà a suo modo a trarre vantaggio – è qui evocato da due preziose tavole raffiguranti la Madonna dello Zodiaco.

3. A BOLOGNA CON FRANCESCO DEL COSSA

«Considerando che io che pur ho incomenciato ad avere un pocho di nome, fusse tratato et judicato et apparagonato al più tristo garzone de Ferara». Così il 25 marzo 1470 Francesco del Cossa si lamenta con Borso d’Este per la scarsa retribuzione ricevuta per gli affreschi di Schifanoia e chiede se «non dovesse avere a questa volta qualche più premio». Ma Borso non ascolta le sue richieste e Francesco parte offeso per Bologna, insieme a un giovane incontrato proprio a Schifanoia e di cui aveva apprezzato il talento: Ercole de’ Roberti. La prima commissione a cui i due lavorano insieme, tra il 1470 e il 1473, è il grande polittico per Floriano Griffoni, destinato alla chiesa bolognese di San Petronio. Capolavoro di Ercole è la lunga tavola che in origine ne costituiva la predella dove figure, complesse architetture e paesaggi si fondono in uno spazio unitario nel quale i singoli episodi, narrati in simultaneità, si susseguono con ritmo incalzante.

4. «UNA MEZA ROMA DE BONTÀ»

La fama di Francesco del Cossa, grande innovatore, si diffuse in vari centri: a Bologna, ovviamente, come dimostra

l’interpretazione scheggiata di Antonio da Crevalcore, ma anche in Romagna con il Maestro della pala Bertoni che ripropone i suoi fondali fiabeschi, e persino in Piemonte dove la Madonna col Bambino di Martino Spanzotti riprende con precisione una vetrata eseguita da Cossa per la chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna nel 1467. Evidenti citazioni dalla celebre Madonna dei Mercanti di Cossa si colgono anche nella cosiddetta pala Grossi di Giovanni Antonio Bazzi, pittore attivo tra Bologna, Reggio Emilia e Parma.

Nel 1478 Cossa muore lasciando incompiuta la decorazione della cappella Garganelli nella cattedrale di San Pietro.

Intorno al 1482 Ercole assume l’incarico di completare gli affreschi: di questa impresa, celebratissima dalle fonti («questa capella ch’avete qua è una meza Roma de bontà», esclamò Michelangelo), sopravvive soltanto uno straordinario frammento con la Maddalena, nel quale rivivono la drammatica espressività e l’intensità emotiva delle opere plasmate dai maestri emiliani della scultura in terracotta, Niccolò dell’Arca e Guido Mazzoni.

5. «IL PIÙ BEL RITRATTO A DITTICO DI TUTTO IL QUATTROCENTO ITALIANO»

Appena giunto a Bologna Ercole de’ Roberti viene subito ingaggiato da Giovanni II Bentivoglio, impegnato a consolidare la propria egemonia politica sulla città per trasformarla in una vera signoria. I ritratti dei coniugi Bentivoglio, giunti da Washington, si ispirano a quelli celeberrimi di Piero della Francesca agli Uffizi raffiguranti Federico da Montefeltro e Battista Sforza: non a caso Battista era sorella di Ginevra Sforza, moglie di Giovanni II. Secondo Roberto Longhi (1934): «È codesto, senza fallo, dopo quel di Piero, il più bel ritratto a dittico di tutto il Quattrocento italiano». Il loro primogenito Annibale, raffigurato da Ercole in un luminoso dipinto eseguito su due facce, sposerà nel 1487 Lucrezia d’Este, figlia naturale del duca Ercole I, a dimostrazione dei legami politico-diplomatici che univano le due corti.

Le opere di Sperandio Savelli e Antonio da Crevalcore sono validi termini di confronto per misurare l’impostazione del ritratto di profilo, che viene più tardi superato, forse dallo stesso Ercole de’ Roberti, nel nitido dipinto di Rotterdam.

6. LA PRIMA MATURITÀ DI ERCOLE DE’ ROBERTI

Negli anni tra il 1471 e il 1485 Ercole de’ Roberti si divide tra Bologna e Ferrara. In questo periodo realizza opere di grande importanza, tra cui le due uniche pale d’altare fino ad oggi note, destinate alla chiesa di San Lazzaro della città estense e a quella di Santa Maria in Porto a Ravenna. Le fonti poi ricordano un terzo quadro, una Pietà in San Domenico a Ferrara, che potrebbe identificarsi con la tavola di Giovanni Francesco Maineri esposta in questa sala. Nei dipinti per l’altare maggiore di San Giovanni in Monte a Bologna dimostra una profonda conoscenza dell’espressività dell’arte tedesca e fiamminga, attraverso le testimonianze presenti a Ferrara e le stampe che a quel tempo cominciavano a circolare. In questo periodo la sua arte giunge a piena maturazione in un raffinatissimo equilibrio tra la monumentalità sintetica della composizione e un’esecuzione incredibilmente attenta e dettagliata, evidente anche in opere di piccolo formato come la Madonna col Bambino fra due vasi di rose.

7. «NEL LAVORO ERA MOLTO FANTASTICO»

Racconta Vasari che Ercole «nel lavoro era molto fantastico, perché quando e’ lavorava aveva cura che nessuno pittore né altri lo vedesse». Non sappiamo se fosse davvero così schivo e ombroso, ma in effetti non ebbe una vera e propria bottega, né lasciò allievi diretti, con l’eccezione, forse, di Giovanni Francesco Maineri. Le sue opere generarono comunque una profonda impressione negli artisti contemporanei, anche di estrazione molto diversa. Se i rapporti con Ferrara del pittore e miniatore Antonio Cicognara sono ancora da chiarire (ma la critica gli attribuiva alcuni affreschi di Schifanoia), il parmigiano Francesco Marmitta riprende la Crocifissione della cappella Garganelli nel suo magnifico messale per il cardinale Della Rovere. Due artisti tuttora anonimi forniscono interpretazioni opposte di Ercole: la arrovellata Dormitio Virginis della Pinacoteca Ambrosiana e l’ariosa Crocifissione di Capodimonte sono tra i rompicapi più complessi della pittura padana.

8. L’ULTIMO DECENNIO DI ERCOLE DE’ ROBERTI

Dal 1486 al 1496, anno della morte, Ercole è il pittore di corte degli Este. I suoi incarichi sono numerosi e variegati: dalla decorazione di oggetti alla produzione di dipinti, dal disegno di elementi architettonici ai cicli di affreschi nei palazzi di città e nelle “delizie”, le residenze dei duchi sparse nel territorio.

Purtroppo quasi tutto è andato perduto, ad eccezione delle preziose testimonianze raccolte in questa sala: il dittico della National Gallery di Londra, che era appartenuto alla duchessa Eleonora d’Aragona; le tavole con la Raccolta della manna e l’Istituzione dell’Eucarestia che – assieme a una terza – formavano un complesso unitario (la predella di una pala o un gradino da porre su un altare); i pannelli con Porzia e Bruto e Lucrezia, Bruto e Collatino parte di una serie dedicata a figure esemplari di donne dell’antichità, forse compresa nella decorazione eseguita per l’appartamento della duchessa nel Castello Estense fra il 1489 e il 1493. Il basamento marmoreo qui esposto, eseguito su disegno di Ercole, doveva sostenere un monumento equestre del duca da collocare nell’attuale piazza Ariostea: un altro dei progetti rimasti incompiuti per la morte improvvisa dell’artista.

9. LORENZO COSTA: L’EREDITÀ DI ERCOLE DE’ ROBERTI E «LA MIGLIORE E DI PIÙ DOLCE MANIERA»

Lorenzo Costa viene da una famiglia di artisti: suo padre e suo nonno sono pittori, e tali saranno i suoi figli e i suoi nipoti. Giunge a Bologna nel 1483, quando in città è ancora attivo Ercole de’ Roberti, principale punto di riferimento durante i primi anni della sua carriera. Lo dimostrano le Storie degli Argonauti, a lungo dibattute tra i due artisti, o l’ambientazione architettonica del dipinto con La lapidazione dei vecchi, parte di una serie di tavole con Storie di Susanna probabilmente destinate a ornare un cassone nuziale. Mentre altri seguaci, come Michele Coltellini (presente nella sala precedente), ne recuperano l’aspetto aspro e irregolare, Costa è il solo che riesce a cogliere l’eleganza del linguaggio di de’ Roberti e a svilupparla in termini più moderni. Con il ritorno di quest’ultimo a Ferrara (1486), per Costa si aprono importanti prospettive di mercato: subentra infatti al collega presso i committenti più importanti, come i Bentivoglio e l’ordine dei Canonici Regolari. Nel 1492 dipinge la grande pala per la famiglia Rossi, «la quale opera è la migliore e di più dolce maniera di qual si voglia altra che costui facesse già mai» (Vasari). I ricordi di Ercole e il magistero di Giovanni Bellini convivono in questa opera notevolissima, affiancata in mostra da alcuni capolavori “da stanza” nei quali coniuga dolcezza e precisione come l’Adorazione del Bambino di Lione, la Madonna col Bambino di Philadelphia e il San Sebastiano degli Uffizi.

10. IL PROTOCLASSICISMO, TRA ADESIONE E RESISTENZA

Durante l’ultimo lustro del Quattrocento Lorenzo Costa sviluppa un suo personale e nuovo classicismo che lo impone sulla scena felsinea, come dimostra il Ritratto di Giovanni II Bentivoglio, immagine ufficiale del signore di Bologna che al maestro ferrarese si era rivolto a più riprese, anche per ornare la cappella di famiglia nella chiesa di San Giacomo. In questo periodo convivono due opere in apparenza difficili da conciliare: la pala per la chiesa di Santa Tecla (1496) è ordinata, semplice e composta come nessuna sua opera fino ad allora e sembra segnare un avvicinamento definitivo all’arte centroitaliana; ma a un solo anno di distanza licenzia un altro dipinto d’altare per la famiglia Ghedini, dove invece si mostra ancora legato all’ornamentazione sovrabbondante di Ercole de’ Roberti,

ai suoi troni dalla struttura aerea che permettono di osservare il paesaggio retrostante. La capacità di spaziare su vari registri è frutto di una curiosità mai esausta e della convinzione che l’estro ereditato da Ercole sia un patrimonio spendibile anche in una congiuntura culturale nella quale si sta imponendo un linguaggio fin troppo ordinato.

11. ACCANTO A FRANCESCO FRANCIA E PERUGINO

Alla morte di Ercole de Roberti (1496), i duchi d’Este assumono un nuovo pittore di corte, chiamando Boccaccio Boccaccino allora a Milano. Nel frattempo a Bologna si andava imponendo la personalità di Francesco Francia, e verso il 1500 giungeva in città una pala del Perugino: questi due artisti, secondo un celebre giudizio di Vasari, sono i primi esponenti della “terza maniera”, ovvero dello stile del pieno Rinascimento.

Costa partecipa a questo clima da protagonista: nel 1499 collabora con Francia alla pala commissionata dalla famiglia Bentivoglio per Santa Maria della Misericordia, dipingendo la briosa predella con l’Adorazione dei magi e la più solenne cimasa tripartita, qui per la prima volta riunite. Nello stesso anno è ancora a Ferrara per affrescare l’abside del Duomo insieme ad altri artisti, tra i quali lo stesso Boccaccino (gli affreschi sono oggi perduti). Sono anni di profonde trasformazioni, che Costa attraversa con grande apertura intellettuale, adeguando il proprio linguaggio senza mai trasformarlo in una formula ripetitiva.

12. 1500-1506: LA FINE DI UNA STAGIONE

Nei primi anni del Cinquecento Costa è in possesso di uno stile pienamente moderno, efficace nelle grandi pale d’altare, nei dipinti da cavalletto e nella decorazione ad affresco.

Improvvisamente nel novembre 1506 la situazione politica precipita: papa Giulio II esercita una pressione sempre maggiore affinché Bologna torni in possesso dello Stato pontificio, fino a che i Bentivoglio vengono cacciati e il loro palazzo raso al suolo. È la fine del tentativo di installare a Bologna una vera e propria corte, sull’esempio della vicina Ferrara. Gli artisti fuggono dalla città, alcuni solo per un breve periodo, altri per sempre; tra questi Lorenzo Costa, costretto dunque ad affrettarsi a terminare le commissioni lasciate in sospeso. Farà ritorno a Bologna alla vigilia del Natale del 1506, per ricevere il saldo dell’Assunzione della Vergine per la chiesa di San Martino, ultima opera eseguita in Emilia, sormontata dalla cimasa con il Cristo risorto qui esposta. In questo periodo concepisce capolavori di nitido e pacato classicismo come la pala con lo Sposalizio della Vergine, firmata e datata 1505, la luminosa Sacra famiglia di Toledo e il magnetico Cristo alla colonna della Galleria Borghese.

13. LORENZO COSTA A MANTOVA

Gli avvenimenti del 1506, per un verso traumatici, offrono tuttavia a Costa l’opportunità di occupare la posizione di pittore di corte dei Gonzaga a Mantova. Da almeno un anno Lorenzo è in contatto con la duchessa Isabella Gonzaga (ma nata Este), che gli aveva commissionato un dipinto per lo studiolo e il suo predecessore, Andrea Mantegna, era appena scomparso (13 settembre 1506). Durante la lunga stagione mantovana il compito di Costa sarà quello di farsi interprete del linguaggio moderno. Perduti i grandi cicli nei palazzi gonzagheschi, rimangono poche ma significative testimonianze dei quasi trent’anni trascorsi in Lombardia. Il maestro ferrarese dimostra di essere aggiornato sul procedere della pittura: si confronta infatti non solo con le morbidezze e le sottigliezze psicologiche di Leonardo, a quel tempo moneta corrente di ogni artista avveduto, ma anche con l’astro nascente di Correggio, che in quegli anni esordisce proprio a Mantova. Da questi incontri scaturisce una pittura lenta, fatta di sfumature insistite e di figure dall’espressione sognante. Tra le opere che compongono la sezione si possono ammirare capisaldi di questo periodo, come la Venere già esposta alla mostra del 1933, la Veronica del Louvre donata al tesoriere di Francia nel 1508, il Ritratto di cardinale di Minneapolis, che torna in Italia dopo più di duecento anni, e la pala eseguita nel 1525 per la chiesa di San Silvestro, dove dieci anni più tardi il grande maestro ferrarese sarebbe stato sepolto.

14. LA FORTUNA DI ERCOLE DE’ ROBERTI

Nel 1599, in seguito a maldestri lavori di ristrutturazione nella cattedrale di San Pietro a Bologna, la volta della cappella Garganelli crolla e in occasione della ricostruzione della chiesa nel 1605 anche le pareti vengono demolite. Alcuni lacerti sono recuperati dal nobile bolognese Alessandro Tanari, ma a loro volta perduti nel XIX secolo. La magnifica Maddalena, esposta nelle prime sale, è l’unico frammento superstite dell’intero ciclo. Fortunatamente Tanari commissiona copie degli affreschi di Ercole, che restituiscono almeno l’aspetto delle composizioni, per quanto parzialmente (in entrambi i casi manca la parte superiore). Sulle pareti della cappella si fronteggiano la drammatica concitazione della Crocifissione, copiata da Francesco Carboni, e la pacata maestosità architettonica della Dormitio Virginis, ripresa da un anonimo maestro nella tela del Louvre (qui esposta) e da Giacinto Giglioli in quella custodita al Ringling Museum di Sarasota.

Concepita con tutt’altro intento è la tavola di Cremona già creduta di Francesco Marmitta che in occasione di recenti indagini si è rivelata invece essere opera del secolo scorso, ascrivibile dunque a un moderno epigono dello stile ferrarese del Quattrocento: curioso caso di studio che dimostra la fortuna e la longevità dei prototipi di Ercole de’ Roberti e di Lorenzo Costa.


Informazioni
tel. 0532 244949 | diamanti@comune.fe.it
www.palazzodiamanti.it

Ufficio Stampa
Ufficio Stampa Fondazione Ferrara Arte
Anja Rossi
3404190867
comunicazione.ferrararte@comune.fe.it

In collaborazione con
Studio ESSECI – Sergio Campagnolo 
www.studioesseci.net tel. 049663499
rif. Simone Raddi simone@studioesseci.net