Al via i lavori di manutenzione sugli affreschi nella chiesa di Santa Maria foris portas

Al via i lavori di manutenzione sugli affreschi nella chiesa di Santa Maria foris portas presso il Parco Archeologico di Castelseprio, grazie al progetto Restituzioni di Intesa Sanpaolo.

Al via i lavori di manutenzione sugli affreschi nella chiesa di Santa Maria foris portas presso il Parco Archeologico di Castelseprio

Sono iniziati i lavori di monitoraggio e manutenzione del ciclo di affreschi nell’abside della chiesa di Santa Maria foris portas presso il Parco Archeologico di Castelseprio.
L’attività è eseguita dal restauratore Luigi Parma (Milano) e durerà fino alla prossima primavera. Il sito resterà comunque aperto ai visitatori che potranno assistere ai lavori – programmati in maniera da recare il minor disturbo possibile – durante gli orari di apertura della chiesa.

L’attività è sostenuta da Intesa Sanpaolo nell’ambito di Restituzioni, il programma biennale di restauri di opere d’arte appartenenti al patrimonio culturale italiano.

L’intervento consentirà una mappatura completa dello stato di conservazione degli affreschi, una spolveratura e una pulitura a secco, agendo con iniezioni di malta idraulica naturale laddove si rilevassero distacchi dell’intonaco.

L’intervento – afferma il Direttore del Parco Archeologico Stefano Aiello – si iscrive nell’ampio programma di attività di tutela, studio e ricerca intrapreso dal Parco di Castelseprio per conto della Direzione regionale Musei nazionali Lombardia. Ci tengo a ringraziare la generosità di Intesa Sanpaolo per il sostegno dato all’intervento e il suo inserimento nel progetto Restituzioni. Ringrazio inoltre la nostra precedente direttrice Emanuela Daffra e il nostro attuale direttore Rosario Maria Anzalone per l’impegno profuso nell’avviare questo progetto. Ringrazio infine anche la direttrice dei lavori Flora Berizzi che seguirà da vicino l’intevento”.

Il ciclo di affreschi è di rilevante importanza per lo studio dell’arte pittorica medievale lombarda. Sono rappresentate scene dell’infanzia di Cristo con episodi tratti dai Vangeli apocrifi anche piuttosto rari. Il racconto si dipana su due registri sovrapposti, conservati solo in parte. La narrazione inizia, in alto a sinistra, con l’Annunciazione e prosegue con la Visitazione e con la Prova delle Acque Amare, quando secondo le fonti Maria sorseggiò una bevanda misteriosa per attestare pubblicamente la sua verginità. L’autore – forse originario di Costantinopoli dato che i nomi dei personaggi sono riportati in caratteri greci – è ad oggi ignoto e il suo modo di dipingere, dotato di forti legami con la pittura classica, risulta originale e con pochissimi paragoni. Data questa assenza di riferimenti, non c’è attualmente accordo tra gli studiosi sulla data di esecuzione di questa impresa artistica. Tre sono le principali ipotesi: l’età tardo antica (VI secolo), quando a seguito della guerra greco-gotica la penisola fu conquistata dai bizantini; l’età Longobarda (VII secolo) quando, per contrastare l’eresia ariana che negava la natura divina di Cristo, si ribadirono le miracolose storie legate al suo concepimento; e il IX secolo, nel contesto della contrapposizione tra Chiesa orientale e papato sul culto rivolto alle immagini sacre.

L’ultimo importante intervento di restauro sul ciclo di affreschi, scoperto nel 1944 dallo storico e archeologo lombardo Gian Piero Bognetti, risale ai primi anni Novanta e fu eseguito dalla nota restauratrice lombarda Pinin Brambilla.


L’intervento tecnico avrà carattere conservativo e manutentivo, tenendo presente che il precedente restauro – ancora molto valido e storicizzato – sarà preservato. Si procederà con un’attenta osservazione degli affreschi accompagnata da una documentazione fotografica preliminare con riprese a luce diffusa e in luce radente per verificare la complanarità dell’intonaco e la presenza di eventuali sollevamenti e decoesioni della materia pittorica. Tramite battitura sarà verificato lo stato di adesione dell’intonaco alle murature con la stesura di una mappatura di ogni scena, redatta digitalmente in formato editabile con relative legende, dove verranno segnalate eventuali zone di distacco, problemi di adesione o di coesione dell’intonachino con l’arriccio e tra l’arriccio e supporto murario. Si interverrà con una leggera spolveratura con pennellesse morbide allo scopo di rimuovere il materiale lipofilo superficiale senza intervenire sulle aree con decoesione ed eventuali sollevamenti della materia pittorica. Successivamente si procederà con una pulitura a secco mediante spugne Wishab per rimuovere la stratificazione lipofila più tenace. Quindi si procederà con il consolidamento profondo delle zone di intonaco decoeso dal supporto murario con iniezioni di malta idraulica naturale tipo Ledan. Le eventuali zone di decoesione tra intonachino e arriccio verranno risolte con iniezioni di resina acrilica Primal. Le incongruenze materiche riscontrate sul supporto murario nelle zone inferiori saranno rimosse meccanicamente con micro-scalpelli. La successiva stesura materica sarà effettuata con malta a base di calce Lafarge e sabbia selezionata di granulometria e cromatismo simile all’intonaco. Eventuali decoesioni e sollevamenti di materia pittorica saranno risolte localmente mediante l’impiego di nanotecnologie


Da Studio ESSECI info@studioesseci.net  

Firenze, Museo degli Innocenti: la mostra “Impressionisti in Normandia”

Nell’anno in cui in tutto il mondo si festeggiano i 150 anni dalla nascita dell’Impressionismo, a Firenze arriva una grande mostra dedicata agli artisti più amati di sempre.
 
Dal 21 novembre 2024 il Museo degli Innocenti, sede straordinaria ed emblema del Rinascimento, ospita la mostra “Impressionisti in Normandia”, con oltre 70 opere realizzate dagli Impressionisti più celebri, e un ospite d’onore d’eccezione: le celebri “Ninfee rosa” di Monet, prestate per l’occasione dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma

Monet, Bonnard, Boudine, Corot, Courbet, Villon, Renoir, Delacroix e molti altri sono i protagonisti di un’esposizione che racconta l’“irresistibile attrazione” che i grandi Maestri subirono per la regione francese divenuta nell’Ottocento una meta irrinunciabile.

“Impressionisti in Normandia.
Monet, Bonnard, Corot, Courbet…
Capolavori della Collezione Peindre en Normandie”


21 novembre 2024 – 4 maggio 2025
Museo degli Innocenti, Firenze

Sono passati 150 anni da quel famoso aprile del 1874 quando 31 artisti rifiutati dal mondo dell’arte accademico e ufficiale – tra cui Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Cézanne – decisero di organizzare una mostra “rivoluzionaria” per l’epoca, nella galleria del fotografo Nadar a Parigi.
Nasceva in quel momento un nuovo e grandioso movimento artistico: l’Impressionismo, chiamato così dal commento dispregiativo del giornalista Louis Leroy che pubblicò su «Le Charivari» un articolo ferocemente critico, il cui titolo “Mostra degli impressionisti” fu poi adottato dal nascente movimento artistico, Impressionismo, traendo ispirazione proprio dal titolo di un quadro di Monet, Impressione, levar del sole del 1872.

Impressionisti in Normandia è la mostra con la quale dal 21 novembre il Museo degli Innocenti di Firenze celebra questo anniversario, attraverso una narrazione unica che si apre con un prestito eccezionale proveniente dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma: le Ninfee rosa di Claude Monet, opera iconica e facente parte della “prima serie” di 8 ninfee che l’artista dipinse.
Un’opera fondamentale della produzione artistica di Monet che, tra il 1897 e il 1899 circa, si dedicò agli studi preliminari per le Décorations de Nymphéas, progetto decorativo per l’Orangerie di Parigi, per poi essere dimenticata in un ripostiglio dallo stesso artista fino al 1914, quando torna a far parte della sua quadreria nel suo primo atelier di GivernL’opera, acquistata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea nel 1962, è senza dubbio una delle immagini più emblematiche dell’Impressionismo e raccoglie in sè quella ricerca che Monet ha esperito nel suo giardino di Giverny, dove la sua pittura en plein air evolve fino a divenire quasi liquida e priva di dettagli, in cui la verità di un paesaggio è l’impressione che resta nella mente.

Accanto alle Ninfeeoltre 70 opere raccontano la corrente impressionista fin dai suoi esordi così strettamente legati alla Normandia, terra che – per i suoi paesaggi, per la luce e i suoi colori – divenne un punto di riferimento per numerosi artisti, un vero laboratorio in cui sperimentare le suggestioni e le forme di una nuova pittura.
Pittori come MonetRenoirDelacroix e Courbet – in mostra insieme a molti altri – colsero l’immediatezza e la vitalità del paesaggio normanno, imprimendo sulla tela gli umori del cielo, lo scintillio dell’acqua e le valli verdeggianti di quel palcoscenico di rara bellezza che divenne, non a caso, la culla dell’Impressionismo.

Il percorso della mostra è accompagnato da pannelli esplicativi e didattici che portano il visitatore di ogni età a comprendere i caratteri, le impressioni, le forme e la tecnica, che gli artisti impressionisti posero su tela. Grandi pennellate, contorni indefiniti, colori sfumati, luci vibranti, orizzonti infiniti, spiagge immense e il mare, quel mare nordico che con l’incresparsi mutevole di onde e maree, dove lo sguardo si perde e l’orizzonte si confonde e diviene infinito, sono gli elementi che vengono descritti e portano ad ognuno di noi l’emozione e la stessa impressione che aveva catturato quei grandi pittori.

La mostra “Impressionisti in Normandia” è incentrata soprattutto sul patrimonio della Collezione Peindre en Normandie – tra le collezioni più rappresentative del periodo impressionista – affiancata da prestiti provenienti dal Musée d’art moderne di Le Havre e da collezioni private e ripercorre le tappe salienti della corrente artistica: opere come Falesie a Dieppe (1834) di DelacroixLa spiaggia a Trouville (1865) di CourbetFécamp (1881) di MonetTramonto, veduta di Guernesey (1893) di Renoir – tra i capolavori presenti in mostra – raccontano gli scambi, i confronti e le collaborazioni tra i più grandi artisti dell’epoca che – immersi in una natura folgorante dai colori intensi e dai panorami scintillanti – hanno conferito alla Normandia l’immagine emblematica della felicità del dipingere.
Furono gli acquarellisti inglesi come Turner e Parkes che, attraversata la Manica per abbandonarsi allo studio di paesaggi, trasmisero la loro capacità di tradurre la verità e la vitalità naturale ai pittori francesi: gli inglesi parlano della Normandia, della sua luce, delle sue forme ricche che esaltano i sensi e l’esperienza visiva. Luoghi come Dieppe, l’estuario della Senna, Le Havre, la spiaggia di Trouville, il litorale da Honfleur a Deauville, il porto di Fécamp – rappresentati nelle opere in mostra al Museo degli Innocenti – diventano fonte di espressioni artistiche di grande potenza, dove i microcosmi generati dal vento, dal mare e dalla bruma possiedono una personalità fisica, intensa ed espressiva, che i pittori francesi giungono ad afferrare dipingendo en plein air dando il via così al movimento impressionista.

Con il patrocinio del Comune di Firenze, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia ancora una volta al fianco del Museo degli Innocenti con Cristoforo, in collaborazione con la Collezione Peindre en Normandie e BridgeconsultingPro ed è curata da Alain Tapié.
La mostra vede come special partnerRicolapartnerMercato Centrale FirenzeUnicoop Firenze e I Giglimobility partnerFrecciarossa Treno Ufficialemedia partnerDieci e QN La Nazioneeducational partnerLABA.


Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

Una chiacchierata con la giovane traduttrice Silvia De Matteis

Silvia De Matteis

Silvia De Matteis è un Architetto, con un dottorato in Storia dell’Architettura. Ma di recente ha tradotto, insieme a Sara Zingarini, dall’inglese, il libro della scrittrice italo-bengalese Neeman Sobhan, “CUORE A META’ – Vite tra due mondi” pubblicato pochi mesi fa da Armando Curcio Editore e oggetto della presentazione a Roma il 21 novembre, all’interno della Casa Internazionale delle Donne. Uno scarto? Una qualche deviazione dal percorso accademico segnato? Capolino estemporaneo (ci pare riuscito) nel mondo dell’editoria?

Lo abbiamo chiesto a lei, perché ci dà così l’occasione per un’incursione nel mondo della traduzione letteraria, quel qualcosa che diamo per scontato ogni qualvolta prendiamo in mano un libro di un autore straniero, mentre è invece una delle chiavi per comprendere il mondo e abbattere le barriere. Tu come sei arrivata a tradurre?

Per parlare della mia esperienza di traduttrice dall’inglese, devo partire da un’altra esperienza che ha cambiato completamente il mio rapporto col mondo anglosassone, ovvero l’anno trascorso presso l’Ohio State University appena terminato il liceo. Improvvisamente, mi sono trovata a vivere tutto il giorno immersa nella lingua Inglese, riservando l’Italiano alle sole chiamate a casa. A poco a poco, l’Inglese ha cessato di essere una lingua, ed è diventato piuttosto un mondo, un sistema. Soprattutto, ha smesso di essere qualcosa che sveva senso solo in relazione all’Italiano, diventando qualcosa che aveva senso di per sé. Quindi il “mio” Inglese è strettamente collegato con determinati percorsi di associazioni mentali, con una precisa realtà e uno specifico momento.

E questo è cambiato nel momento in cui ti sei avvicinata alla traduzione? E cosa ti ci ha portato?

L’esperienza del tradurre si è rivelata un passaggio abbastanza faticoso, perché si è trattato di restituire alla lingua Inglese, che avevo cominciato appunto a “vivere”, con naturalezza, una dimensione “altra”, di restituirgli un senso in relazione con l’Italiano. Per di più, non si trattava di tradurre un’autrice anglosassone, ma bengalese, che aveva studiato sì negli Stati Uniti, ma era nata e cresciuta altrove, in Bangladesh appunto. Il suo Inglese non era il mio Inglese, nel senso che esprimeva associazioni mentali altre, apparteneva a un’altra area del mondo. Ho conosciuto Neeman grazie alla decisione del Collegio Docenti del corso che stavo frequentando di fornire ai dottorandi del trentaseiesimo ciclo un corso d’Inglese. Lei era l’insegnante. Le piaceva come scrivevo, presto ci siamo trovate a parlare di libri. Mi ha regalato la sua raccolta di racconti, Piazza Bangladesh. Sperava di pubblicarla anche in Italiano, ma la traduttrice si era svincolata. È andata così. L’incontro con questa persona, la sua fiducia, è stato l’occasione non cercata per questa sfida.

E come l’hai affrontata? Non eri preparata, non avevi studiato per questo. Cosa ha significato per te ottenere la tua prima commissione editoriale e quale metodo hai seguito, se ne hai seguito uno?

Partirei dal risultato. Le storie che compongono la raccolta di racconti “Piazza Bangladesh”, le prime quindi in cui mi sono cimentata nella traduzione, – poi confluite nel libro “CUORE A META’ – Vite tra due mondi” insieme ad altre, nuove – hanno attraversato per certi versi una quadrupla trasposizione. È un discorso che si sente spesso, se sia meglio una traduzione esatta, letterale, o una traduzione fluida. Non penso di poter dirimere la questione dopo aver lavorato ad una manciata racconti, però è una difficoltà che nel mio piccolo ho incontrato. C’erano tante cose che non mi sarei mai sognata di scrivere, se mi fossi trovata a farlo direttamente in Italiano, e altre che non avevo idea di come rendere. Restare fedele al testo rendeva tutto molto innaturale, ma, poiché non erano frasi pensate direttamente in Italiano, non avevo neanche troppo chiaro come avrebbero potuto suonare meglio. Erano forzate, ma non era intuitivo il perché lo fossero, e quindi difficili da correggere. E c’erano poi anche questioni un filo più alte. Come rendere il tono, come rendere la metrica. E serve, rendere la metrica? È utile? L’Italiano supporta periodi molto lunghi, cosa che l’Inglese non fa. È una delle difficoltà che si incontra nel fare il percorso inverso, traducendo dall’Italiano all’Inglese. Quindi, che si fa? Si uniscono i piccoli periodini inglesi in un brano più lungo o si lasciano così? Quando scegliere l’uno o l’altro modo? Le prime storie mi hanno messo molto in difficoltà su questo fronte. Le rileggevo e mi sembravano macchinose, sciatte. È servito molto lavoro per farle diventare più naturali. Poi, verso la quarta o quinta storia ho iniziato ad accostarmi ai testi con più disinvoltura. E a divertirmi, anche. Soprattutto con Green Chili Smile, che per questo è la mia preferita.

Hai utilizzato strumenti tecnologici per questa prima traduzione? Se sì che modo hanno influenzato il tuo lavoro?

Spesso mi capitava di incappare in parole in Bangali, per cui ovviamente le cercavo su Google e cercavo di descrivere l’immagine che compariva. Per le piante, inizialmente mettevo il nome scientifico e poi con Neeman cercavamo il modo di renderlo. A volte invece mi si creava una specie di cortocircuito mentale: conoscevo la parola in Inglese, ma non sapevo come renderla in Italiano in un modo che rispettasse l’esatta sfumatura che assumeva nel contesto della frase; questo succedeva soprattutto con i verbi. Allora li cercavo sui dizionari online, che spesso danno diverse possibilità per una stessa parola, e speravo che una mi piacesse o mi mettesse sulla strada giusta. Anche cercare sinonimi in inglese da’ questo effetto “prismatico”, che ti rende più sensibile alle sfumature.

Una lingua che conoscevi bene, quindi, l’inglese in cui scrive l’Autrice, ma un mondo, il suo, probabilmente nuovo per te. Come ti sei sentita di fronte alla responsabilità di dar voce a questo mondo in un’altra lingua?

Prima di entrare in queste sue storie, non sapevo assolutamente niente del Bangladesh e del Subcontinente indiano. O meglio, ne sapevo probabilmente quanto ne sa il cittadino italiano medio. Avevo letto Arundhati Roy, ovviamente, ma lì finiva la mia esperienza. Le prime due storie che ho tradotto, The Untold Story e Just Another Day, non fanno parte della raccolta originale perché sono più recenti. Affrontano temi di carattere storico e politico. È stato come fare un corso accelerato, cosa che si è rivelata molto utile per affrontare tutte le altre. Sono anche state un po’ uno shock, soprattutto la prima. Conoscevo personalmente Neeman, e avevo letto le altre sue storie. Mi aspettavo, in un certo senso, qualcosa di molto più delicato, quasi in punta di piedi. E invece, bam!, campo di stupro. È stato difficile perché sono temi complessi e l’ultima cosa che vuoi è rovinarne la trattazione impiegando una prosa sgraziata. Ma era la mia prima storia e non so se ci sono riuscita.

In che modo questa esperienza diversamente creativa rispetto al tuo percorso, ti ha cambiata? Pensi di tradurre ancora in futuro? Se sì, e potessi tradurre un libro che hai particolarmente amato, quale sarebbe e perché?

È una domanda difficile. Certamente mi ha arricchito molto la conoscenza rispetto al mondo bengalese, e del subcontinente indiano in generale. Il grosso della traduzione è coinciso con la fase di stesura della tesi di dottorato, e insieme mi hanno ricordato quanto mi piacesse scrivere. Per tradurre, devi fare analisi del testo almeno a un livello rudimentale, quindi vedi lo scheletro della storia, in un certo senso, devi fare ingegneria inversa per capire come funziona. E questo certamente sarà utile in futuro, sia se mi dovessi trovare a tradurre altre cose, che quando mi troverò a scrivere di altro. Mi piacerebbe, comunque, tradurre molte altre cose! Quest’esperienza è stata molto facilitata dal fatto che conoscessi Neeman personalmente e potessi avere un confronto continuo con lei durante il lavoro, ma mi auguro di essere diventata in grado di farlo anche senza qualcuno che mi tiene la mano. Tutti i libri che mi piacciono sono già stati tradotti, temo. No, aspetta, ce n’è uno che avevo letto negli Stati Uniti, una decina di anni fa (è più semplice trovare libri che bypassano il radar della stampa internazionale se ti trovi fisicamente dove vengono pubblicati). Si chiama Tell the Wolves I’m Home, di Carol Rifka Brunt. Ricordo che mi colpì molto. Mi piacerebbe tradurlo.

Inglese, ma anche Bengali. Come in tutte le lingue, ci sono termini che non si possono tradurre o che è difficile farlo senza snaturarli. Come ti sei comportata in quei casi?

Questo è stato un argomento su cui Neeman ed io abbiamo discusso parecchio: cosa fare delle parole in Bengali. Piazza Bangladesh è scritto in Inglese, ma nasceva per i lettori del Subcontinente indiano, per i quali certe cose non richiedono spiegazioni. Sono parte della lingua, intesa come mondo di associazioni, locali. Tutti sanno cosa è il ghi. Tutti sanno cosa è una dupatta. Tutti sanno cosa intendi quando dici string cot o Flame of the Forest tree. Io, preoccupata di non interrompere il flusso del discorso, ero una ferma sostenitrice di lasciare le parole in Bengali in corsivo e aggiungere un glossario in fondo. (Ero anche un po’ del partito “esiste Google”, ma forse solo perché, se dovevo andarmi a cercare queste cose io, volevo che soffrissero un po’ anche i lettori…). Neeman invece ogni volta mi rimandava la bozza con l’aggiunta di perifrasi per spiegare cosa intendessero le parole in Bengali, per rendere al pubblico italiano – al quale adesso voleva rivolgersi – meno arduo capire di cosa si stesse parlando, far sentire questi nuovi lettori meno stranieri. Ha a che fare, credo, col suo modo di intendere la lingua: la lingua si mangia come i dolci tradizionali, la lingua si attraversa come il paesaggio ai bordi delle strade e gli alberi e i vestiti. Te la dà tua madre con parole inventate. Se non sei messo in condizione di capire immediatamente queste cose, sei automaticamente nel ruolo di “altro”, “diverso”.

La lingua di un popolo è anche la sua Storia.

Esattamente. Le parole definiscono oggetti, ma anche cibi, tradizioni, abiti, movimenti, episodi storici. La questione della lingua è fortemente legata al processo che ha portato all’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971– Settantuno | Ēkāttara | একাত্তর –, i primi semi di malcontento nel 1952 con un movimento per il riconoscimento e l’utilizzo della lingua bengalese. Fino ad allora, il governo aveva ostinatamente ignorato le differenze culturali tra gli abitanti del Paese tanto che era l’Urdu ad essere stato adottato come univa lingua ufficiale, nonostante nel Pakistan orientale si parlasse prevalentemente Bengali. Il movimento ottenne un sostegno di massa quando la polizia sparò e uccise decine di studenti attivisti e portò infine al riconoscimento ufficiale della lingua nel 1956. Fu in questi anni ’50 e a partire da una questione di lingua che però è anche sempre una questione di identità che si formò e forgiò la coscienza nazionale del Bangladesh. E forse è per questo che per Neeman Sobhan la lingua è un luogo fisico. La motherland o la casa. La cosa divertente è che a Roma non esiste una Piazza Bangladesh. Può esistere solo se la facciamo noi, se ci facciamo spazio.

Grazie ai traduttori, i lettori di tutto il pianeta possono immergersi nella letteratura di paesi lontani, scoprire universi narrativi nuovi e sentire vicini autori che scrivono in lingue diverse dalla propria. La traduzione rende possibile un dialogo silenzioso ma profondo tra culture, creando connessioni che arricchiscono chi legge e chi scrive.


Diana Daneluz | Giornalista pubblicista, Ordine Nazionale dei Giornalisti di Roma N. 182410. Comunicazione e Uffici stampa, socia professionista FERPI – Federazione Relazioni Pubbliche Italiana N. 2760.
Da Diana Daneluz dianadaneluz410@gmail.com

Spazio MUMU: Giuseppe Viviani e Marina di Pisa. INSEGUENDO UNA STELLA.

Il Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi (Comune di Pisa, Università di Pisa) è lieto di dare notizia di questo interessante evento su 𝐆𝐢𝐮𝐬𝐞𝐩𝐩𝐞 𝐕𝐢𝐯𝐢𝐚𝐧𝐢 che avrà luogo presso 𝐒𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨 𝐌𝐔𝐌𝐔:

 Venerdì 22 novembre, dalle ore 19:30

Spazio Mumu

Via Lenin, 155D, 56017 San Giuliano Terme PI

Per info e costi: https://www.spaziomumu.com/inseguendo-una-stella/

Museo della Grafica – Lungarno Galilei, 9 – Pisa
Tel. 050/2216060 (62-67-59-70)
E-mail: museodellagrafica@adm.unipi.it
www.museodellagrafica.sma.unipi.it
www.facebook.com/museodellagrafica
www.instagram.com/museodellagrafica


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AKNEYE celebra il Finissage a Venezia: sei mesi di arte e creatività

Sabato 23 novembre, Venezia ospiterà il grande finissage di AKNEYE presso la sua sede nella Città lagunare, inaugurata in occasione della Biennale Arti Visive. L’evento vedrà la partecipazione di artisti di talento, curatori, critici e rappresentanti delle istituzioni artistico-culturali veneziane per celebrare la conclusione di sei mesi di attività espositiva, che hanno attirato appassionati e collezionisti da tutto il mondo. Sarà un’occasione per aprirsi al dialogo e confrontarsi con gli operatori del settore, gettando le basi per nuovi progetti sempre più innovativi e coinvolgenti. Ad arricchire l’evento sarà la performance di Zeynep Çilek Çimen, seguita da un rinfresco.

LA SEDE VENEZIANA DI AKNEYE FESTEGGIA 
NEL SOLCO DELLA BRILLANTEZZA ARTISTICA

La sede di Venezia di AKNEYE si unisce ai Phygital Spaces del Dubai Mall e allo spazio ftNFT phygital di Yerevan, arricchendo ulteriormente la rete di location prestigiose dedicate allo sviluppo degli ambiziosi e innovativi obiettivi del Gruppo. Radicato in Armenia, AKNEYE propone un universo completamente nuovo di arte digitale, senza mai rinunciare a rendere omaggio ai linguaggi tradizionali che ne ispirano la visione.

Lo spazio AKNEYE Phygital di Venezia si prepara per una spettacolare cerimonia di chiusura che segnerà la fine di uno straordinario viaggio che si è sviluppato nel corso di sei mesi. AKNEYE ha messo in mostra le opere di 31 artisti provenienti da diverse nazionalità da tutto il mondo, tra cui Georgia, Armenia, Italia, Kenya, USA, Turchia, Kazakistan, Ucraina e molte altre ancora. Questa varietà di talenti ha unito una comunità globale di artisti e amanti dell’arte, creando una piattaforma unica per lo scambio culturale e il dialogo artistico. É stata presentata una straordinaria collezione composta da 35 AKNEYES e 37 AKNULOONKS, ciascuno espressione della visione unica e della creatività degli artisti partecipanti. Queste opere non solo hanno esaltato il talento e l’individualità di ogni artista, ma hanno anche celebrato il potere trasformativo della creatività collettiva.

Una straordinaria varietà di talenti artistici è stata ospitata nello spazio AKNEYE Phygital, dove ciascuno ha arricchito l’esperienza sinergica con la propria visione e il proprio stile unico.

Per evidenziare solo alcuni:

● Rafael Megall: Si è affermato con le sue opere dinamiche ed emotive, i suoi dipinti si addentrano nella psiche umana, esplorando temi della natura e dell’emozione. Il suo uso vibrante del colore che si definisce in dettagli intricati è stato un momento alto della mostra, offrendo agli spettatori un profondo viaggio visivo.

● Minas Halaj: Ha proposto un mix di tecniche classiche e narrazioni contemporanee, l’arte di Minas Halaj colma il divario tra vecchio e nuovo. La sua performance ha invitato il pubblico ad esplorare storie complesse e multistrato che sfidano le prospettive convenzionali.

● Arthur Saryan: Le installazioni di Arthur Saryan hanno coinvolto i visitatori in una esplosione sensoriale. La sua esplorazione della luce, del suono e dello spazio ha creato ambienti accattivanti all’interno dell’esposizione, offrendo un viaggio introspettivo per interagire con l’arte su più livelli.

● Nian: Conosciuta per le sue figure femminili evocative, l’artista cattura la sacralità del presente e lo spirito della terra. I suoi contributi alla mostra hanno messo in risalto il potere e la grazia della femminilità, invitando gli spettatori a sperimentare il profondo legame tra l’umanità e la terra.

● Narek Avetisyan: L’esibizione dal vivo di Narek Avetisyan ha mostrato il suo profondo impegno con le forme astratte e figurative. Traendo ispirazione da una vasta gamma di movimenti artistici, il suo lavoro ha mescolato tecniche tradizionali con espressioni contemporanee, offrendo una prospettiva fresca sull’evoluzione dell’arte.

● Adam Handler: La performance di Adam Handler ha portato in primo piano i suoi audaci dipinti biografici. Ispirato da leggende come Basquiat e Matisse, il suo lavoro ha mescolato l’emozione grezza con potenti immagini, lasciando al pubblico un’impressione duratura del suo stile artistico unico. 

● Sacha Jafri: Un artista visionario che trascende il tempo, il cui lavoro ha affascinato il mondo, riflettendo il viaggio dell’umanità. Noto per le sue tele emotive, “più grandi della vita”, l’arte di Jafri non è solo vista, ma sentita.

Il Finissage Event del 23 novembre si preannuncia come la conclusione appropriata di questo straordinario viaggio. Non sarà un addio, ma una celebrazione di un importante primo passo a Venezia, la Città dell’arte e della cultura, da sempre legata in modo profondo alla Comunità e alla tradizione armena. Su queste solide basi, la Dream Factory di Akneye potrà riflettere, sperimentare e dare vita a nuove idee luminose da proporre per il futuro.

INFORMAZIONI
Location: Akneye Phygital – Ramo della Tana, 2124, Venezia (di fronte all’ingresso delle Corderie de la Biennale di Venezia)
Giorno: sabato 23 novembre 2024  
Orario per il pubblico: dalle 14.00 alle 16.00  
É prevista una performance di Zeynep Çilek Çimen
Rinfresco a seguire  
Ingresso libero  

 Ufficio stampa: Davide Federici | +39 331 526 5149 | info@davidefederici.it |   
 https://www.davidefederici.it/ 

FAF 2024 – ingresso libero mercoledì 20, venerdì 22 e domenica 24 novembre a Matera 

Oggi a Palazzo Bernardini, venerdì 22 novembre al Santuario di San Francesco da Paola e domenica 24 novembre nello spazio Opera Luce in via la Martella, 64, i tre appuntamenti novembrini del Faf sono vere Contaminazioni tra drammaturgia, tecnologie digitali e musica.

Venerdì 22 novembre l’omaggio alla patrona della musica prevede un doppio appuntamento, una passeggiata con notazioni storico-architettoniche delle chiese del centro storico di Matera e un concerto con la fisarmonica di Gianni Fassetta e il flauto di Yuri Ciccarese.

Il Fadiesis Accordion Festival 2024
celebra Santa Cecilia con tre concerti a ingresso libero
mercoledì 20, venerdì 22 e domenica 24 novembre a Matera

A seguito del successo dei tre concerti di settembre, seguiti da un folto pubblico, la quattordicesima edizione del Fadiesis Accordion Festival (Faf) torna nella città dei Sassi in occasione della ricorrenza della patrona della musica Santa Cecilia. Da domani 20 novembre il Festival Internazionale fisarmonicistico, promosso dall’Associazione musicale Fadiesis di Pordenone, sarà nuovamente a Matera e proporrà tre concerti a ingresso libero, fino ad esaurimento posti.

La rassegna 2024, dal tema Contamiazioni, propone due appuntamenti realizzati in collaborazione il 20 novembre con Maté Solisti Lucani e il 24 novembre con MaterElettrica Ensemble. Venerdì 22 novembre il gradito ritorno del Maestro Gianni Fassetta alla fisarmonica che, in duo con il flautista Yuri Ciccarese, si esibirà al Santuario di San Francesco da Paola.

Il primo dei tre concerti è in programma mercoledì 20 novembre a Palazzo Bernardini, dimora storica materana con accesso dall’Arco di piazza del Sedile, dove alle 20:30 andrà in scena uno spettacolo teatrale dedicato alla pluralità della femminilità e alle sue antiche radici divine. Donne di diversa natura — nubili, madri, mogli, intellettuali e sacerdotesse dell’amore — si incarnano negli archetipi di dee come Demetra, Atena, Artemide e Afrodite. Attraverso la loro voce, rivivono e condividono le profonde essenze femminili che ciascuna rappresenta e il loro sdegno per l’abbandono dei propri culti e templi, sacrificati al culto esclusivo di Demetra, la Madre. Su testi e regia di Rosalia Stellacci, agiranno in scena: Stefania Carulli (Afrodite), Floriana Gravela (Artemide), Maria Teresa Melodia (Demetra), Lucia Bolognese (Atena). Ad accompagnarle il sax di Marianna di Ruvo.

Venerdì 22 novembre il FAF 2024 rende omaggio a Santa Cecilia con un doppio appuntamento: una passeggiata sulle tracce della storia e dell’architettura di alcune fra le più belle chiese del centro di Matera e un concerto: Mantice Sacro – Luoghi e note dell’anima.

Alle 18:30, con partenza dalla chiesa di San Giovanni Battista, nell’omonima piazza, Elena Baldassarre (autrice del libro I luoghi dell’anima. Storia, racconti, passeggiate tra le chiese di Matera “Edizioni Altrimedia – Logos”) accompagnerà i partecipanti alla passeggiata illustrando le facciate delle chiese San Giovanni Battista, di San Domenico, Mater Domini e della Cripta dello Spirito Santo, di Santa Lucia al Piano e infine di San Francesco di Paola. Nel Santuario, accolti dal rettore don David Mannarella, alle 20:30 Yuri Ciccarese, flauto, e Gianni Fassetta, fisarmonica, eseguiranno un concerto dedicato al sacro nella sua dimensione più ampia con musiche Caccini, Bach, Mozart, Albinoni, Puccini, Paterson, Morricone, Piazzolla.

Il terzo e ultimo concerto del Fadiesis Accordion Festival 2024 a Matera, si terrà domenica 24 novembre nello spazio Opera Luce in via la Martella, 64 e sarà un concerto in cui in cui il mondo biologico e quello digitale si incontrano e si fondono. Realizzato in collaborazione con MaterElettrica e affidato nell’esecuzione a Mario Spada, elettronica e VR

Dario Mattia, elettronica, il concerto Realtà Miste offrirà un’inedita esperienza d’ascolto in cui dimensione virtuale e suoni sintetici rispondono e si intersecano ai ritmi naturali.

“Torniamo a Matera sulla scorta del grande affetto che il pubblico ci ha riservato durante i tre concerti tenuti a settembre- afferma Gianni Fassetta, direttore artistico del Fadiesis Accordion Festival – e proponiamo un concerto dove la fisarmonica è protagonista e altri due appuntamenti in cui le note si accompagnano all’azione drammaturgica e alle tecnologie digitali. Il Fadiesis Accordion Festivalcrea quest’anno nuove trame musicali in una contaminazione che prende forma sonora grazie alle collaborazioni con il team creativo di MaterElettrica. Tuttavia non dimentichiamo la fisarmonica, che continua a cercare sorgenti innovative nell’antica musica sacra”.

L’ingresso ai concerti di novembre del Fadiesis Accordion Festivala Matera è gratuito, fino a esaurimento posti. La passeggiata prevede un numero massimo di 25 partecipanti, si consiglia la prenotazione scrivendo a: eventi@fadiesis.org

Il Fadiesis Accordion Festival 2024è realizzato con il patrocinio di: Regione Friuli Venezia Giulia; Fondazione Friuli; Provincia e Comune di Matera; Comune di Pordenone; Santuario di San Francesco da Paola.

Hanno collaborato all’edizione 2024 del Faf: Conservatorio di Musica “Egidio Romualdo Duni” di Matera; Orchestra Sinfonica di Matera; Materelettrica; Associazione Matè; Alma Camere; Raffaele Laterza – Rappresentanze termoidrauliche per Basilicata e Puglia; S.i.t.i. Srl; Cartoleria Montemurro.

Calendario concerti Fadiesis Accordion Festival 2024
 
Mercoledì 20 novembre, ore 20.00
Palazzo Bernardini | Matera
FAF Incontri: Le Voci della Dea
Drammaturgia e Testi: Rosalia Stellacci
Regia: 
Rosalia Stellacci
Interpreti: 
Stefania Carulli (Afrodite), Floriana Gravela (Artemide), Maria Teresa Melodia (Demetra), Lucia Bolognese (Atena)
Musiche: 
Marianna di Ruvo, saxofono
Illustrazioni: 
Veronique Burrascano

Venerdì 22 novembre, Santa Cecilia
Mantice Sacro: Luoghi e note dell’anima
LUOGHI: LA PASSEGGIATA
Dalla Chiesa di San Giovanni Battista, ore 18.30
Elena Baldassarreautrice del libro I luoghi dell’anima. Storia, racconti, passeggiate tra le chiese di Matera “Edizioni Altrimedia – Logos”
IL CONCERTO al Santuario di San Francesco di Paola, ore 20.30
Yuri Ciccarese, flauto
Gianni Fassettafisarmonica
Musiche di G. Caccini, J.S. Bach, W.A. Mozart, T. Albinoni, G. Puccini, R. Paterson, E. Morricone, A. Piazzolla

Domenica 24 novembre, ore 20.30
Opera Luce | Via la Martella, 64 – Matera
FAF Incontri: Realtà miste
MaterElettrica Ensamble:
Mario Spada, 
Elettronica e VR
Dario Mattia, 
Elettronica

Ingresso GRATUITO (FINO A ESAURIMENTO POSTI)
Prenotazione obbligatoria per la passeggiata – ci sono solo 25 post disponibili – occorre telefonare a 3392439321 – 3482602909

Per ulteriori informazioni sul Festival Internazionale Fisarmonicisticohttps://accordionfestival.fadiesis.org/

Sissi Ruggi
Addetto stampa Fadiesis Accordion Festival  
Per ulteriori informazioni e per contatti:
ufficiostampa@sissiruggi.com

Ha compiuto 80 anni, ma l’Anpi non li dimostra

Il 6 giugno del 1944 nasceva l’Associazione nazionale partigiani d’Italia; nel 2006 apriva le iscrizioni anche ai non combattenti; nel 2024 l’Anpi messinese conferma la sua “solita” e solida fedeltà ai valori della Costituzione. E lo fa festeggiando insieme il compleanno venerdì 22 novembre (ore 17) nel salone dello Spazio Saraj (via Citarella n. 33). Naturalmente all’evento sono invitati tutti i cittadini.

I saluti saranno portati da Giuseppe Martino, presidente provinciale dell’Associazione, mentre Giuseppe Restifo, vice-presidente, parlerà degli ottant’anni di attività antifascista. Sarà anche l’occasione per ricordare come nello stesso 1944 la Giunta municipale di Messina decise l’intitolazione del Villaggio Matteotti al socialista ucciso dai sicari fascisti vent’anni prima.

Daniele Ialacqua interverrà subito dopo per illustrare l’opposizione dei democratici al cosiddetto “decreto sicurezza”, un feroce attacco alla libertà di espressione garantita dall’art. 21 della Costituzione.

L’anniversario dell’Anpi sarà anche l’occasione per un incontro con le famiglie dei partigiani, dei deportati e dei patrioti, che impegnarono la propria vita per la costruzione di una nuova Italia da consegnare alle generazioni successive. “Meridionali nella Resistenza” ce ne furono tantissimi: ne darà conto il cortometraggio che sarà proiettato nel corso della serata.

Pasta al forno “antifascista” e buon vino per tutti sono previsti, insieme all’esibizione musicale del Duo Live: Paola Fazio (voce) e Leonardo Zappalà (chitarra).

Anche oggi è tempo di Resistenza: gli impegni presi 80 anni fa sono più vivi e forti che mai. Il vincolo morale di ieri proietta l’Anpi sulle grandi questioni umane odierne e guardando alle generazioni future.


Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia
Comitato provinciale di Messina
comunicato stampa – 20 novembre 2024

Venezia, Museo di Palazzo Mocenigo: La donazione di Elda Cecchele

Nell’ambito degli interventi di valorizzazione del proprio patrimonio, Fondazione Musei Civici di Venezia rende omaggio alla tessitrice, artista e artigiana veneta, Elda Cecchele che tra gli anni ’50 e ’70 fu figura importante che contribuì allo sviluppo del made in Italy e in particolare all’affermazione di diversi stilisti italiani.

LA DONAZIONE ELDA CECCHELE
Storia professionale di una tessitrice


Venezia, Museo di Palazzo Mocenigo
Centro Studi di Storia del tessuto, del Costume e del Profumo


18 novembre 2024 – 2 marzo 2025

A cura di Irina Inguanotto 

Elda Cecchele (San Martino di Lupari, 1915 – Cittadella, 1998) si distinse per il suo talento nella creazione di tessuti artistici utilizzando i materiali più diversi, dalla pelle alla plastica, dalla seta al cotone, dalla pelliccia alla passamaneria, ai merletti con i loro colori, esprimendosi con straordinaria creatività e originalità. Tutti i documenti dell’archivio e gran parte del materiale tessile rimasti nel suo laboratorio al momento della chiusura dell’attività nel 1991, sono stati donati dagli eredi al Museo di Palazzo Mocenigo nel 2014 che da allora, dopo averlo ordinato, fotografato, informatizzato (parliamo di oltre 4.000 tra documenti e materiali) lo conserva e valorizza mettendolo a disposizione degli studiosi. 

Una prima selezione di questi materiali viene ora presentata al pubblico in una mostra dal 18 novembre fino al 2 marzo 2025 ripercorre il cammino professionale della tessitrice veneta nel vivace mondo della moda che andava affermandosi nell’Italia del dopoguerra. Un percorso configurato in due momenti: il primo dedicato prevalentemente alla sezione documentale dell’archivio, con fotografie, quaderni di lavoro, schede tecniche per la tessitura e campioni depositati; il secondo, previsto per gennaio, incentrato maggiormente sulle principali collaborazioni con altre ditte veneziane e non solo, spaziando dal settore dell’abbigliamento a quello degli accessori e dell’arredamento.

Il museo ha ricevuto in donazione non soltanto il materiale tessile, ma anche quello documentale, costituendo quindi un unicum nella storia della moda italiana del Novecento, se si escludono i grandi atelier e big dell’alta moda – afferma Mariacristina Gribaudi, Presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia – il percorso che viene proposto ora al pubblico, permetterà di scoprire la vita e la storia professionale di una figura chiave dello sviluppo della moda in Italia rimasta sempre dietro le quinte

Elda avviò il proprio lavoro producendo biancheria per la casa e passò poi alla creazione di tessuti artistici. Si fece ben presto notare e venne invitata due volte, nel 1956 e nel 1960, alla Biennale di Venezia nella sezione delle arti applicate (uno dei tessuti allora esposti è conservato nell’archivio a Palazzo Mocenigo). Si ricordano inoltre le sue collaborazioni con le ditte Roberta di Camerino e Franca Polacco di Venezia e Salvatore Ferragamo di Firenze negli anni Cinquanta e Sessanta

Il mondo della natura e ciò che la circondava spesso erano la sua fonte di ispirazione. L’originalità della sua esperienza è stata quella di riuscire ad avviare una tessitura di valore artistico che superava di gran lunga il livello di ciò che veniva eseguito normalmente dalle tessitrici nelle loro case di campagna nel secolo scorso spiega Chiara Squarcina, Direttrice Scientifica della Fondazione Musei Civici di Venezia e responsabile del Museo di Palazzo Mocenigo.

Questo è progetto corale che nasce dalla storia di una donna e ne unisce molte: stiliste ma anche e soprattutto le tante lavoratrici tessitrici che hanno affiancato Elda Cecchele nella sua lunga carriera – racconta Irina Inguanotto, curatrice della mostra  Il tutto racchiuso uno straordinario archivio di tessuti prodotti da Elda custoditi nel museo, in grado di farci comprendere la sua carica innovativa e sperimentatrice nella produzione di tessuti artigianali.

L’archivio si compone di due macro-sezioni: Documenti e Materiali. La sezione documentaria raccoglie circa 2200 carte ed è organizzata in 15 serie, tra cui si ricorda quella che raccoglie tutto il materiale tecnico-grafico in 41 quaderni e circa 500 schede tecniche, che rappresenta graficamente tutta l’opera della tessitrice. La sezione dei materiali raccoglie a sua volta circa 2200 pezzi e si articola in 13 serie.

Tutto il materiale dell’Archivio Elda Cecchele è consultabile presso la Biblioteca e il Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo del Museo di Palazzo Mocenigo. Sono a disposizione degli studiosi non solo i campioni e i campionari, ma anche tutto il materiale tecnico-grafico.


Museo di Palazzo Mocenigo
Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo
Santa Croce 1992
30135 Venezia
Tel. +39 041 041 721798
mocenigo.visitmuve.it

Informazioni per la stampa
Fondazione Musei Civici di Venezia
Chiara Vedovetto 
con Alessandra Abbate 
press@fmcvenezia.it
tel. +39 041 2405225
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
Con il supporto di 
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Referente Roberta Barbaro roberta@studioesseci.net

Il Surrealismo e l’Italia, successo in corso alla Magnani-Rocca

Dopo la grande mostra su Bruno Munari, la Fondazione Magnani-Rocca continua a registrare un numero record di visitatori con l’attuale esposizione “Il Surrealismo e l’Italia”. Un successo che rafforza ulteriormente la posizione della Fondazione come punto di riferimento culturale in Italia e a livello internazionale.

Con il grande successo della mostra “Il Surrealismo e l’Italia”, la Fondazione Magnani-Rocca celebra un anno di prestigio internazionale

La mostra “Il Surrealismo e l’Italia” sta conquistando un pubblico vasto e diversificato e sarà visitabile fino al 15 dicembre 2024, offrendo così un’ultima opportunità per immergersi in un’esperienza culturale unica. Una selezione artistica di alto livello porta alla Villa dei Capolavori di Mamiano di Traversetolo (Parma) opere iconiche di artisti internazionali come Salvador Dalí, René Magritte, Max Ernst, Joan Miró, Marcel Duchamp, Man Ray, Yves Tanguy, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Enrico Baj, Fabrizio Clerici e Leonor Fini. Un evento culturale capace di attirare sia appassionati d’arte che neofiti, offrendo a tutti un’esperienza emozionante. Una prospettiva inedita distingue questa esposizione, che esplora le influenze reciproche tra il movimento surrealista e gli artisti italiani, offrendo una visione unica e affascinante su questo periodo cruciale della storia dell’arte. L’allestimento ideato dai curatori Alice Ensabella, Alessandro Nigro e Stefano Roffi, guida i visitatori attraverso le diverse sfaccettature del Surrealismo, favorendo una comprensione profonda delle opere e del contesto storico-artistico.

La presenza del capolavoro impressionista La Promenade di Renoir, per la prima volta in Italia dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles, arricchisce l’offerta culturale della Fondazione, affiancandosi alle opere di Monet, Cézanne e agli altri Renoir della collezione permanente, consolidando così il suo ruolo di custode di capolavori dell’arte impressionista. Un prestito eccezionale che testimonia il prestigio internazionale della Fondazione e la sua capacità di instaurare collaborazioni con istituzioni museali di importanza mondiale.

È proprio in concomitanza con questi successi che la Fondazione ricorda con profonda gratitudine il fondatore Luigi Magnani, a quarant’anni dalla sua scomparsa avvenuta il 15 novembre 1984. Luigi Magnani, raffinato collezionista e uomo di cultura, ha creato un autentico Pantheon delle arti nella sua Villa dei Capolavori, arricchita nel tempo della sua vita con opere inestimabili: dai cinquanta Morandi in gran parte scelti insieme all’artista stesso, al Tiziano dai colori ardenti, passando per il Goya più importante al di fuori del Prado, fino ai capolavori di Monet, Renoir e Cézanne. Ogni opera rifletteva per Magnani un ideale di bellezza da condividere, un dono intellettuale per la collettività.

Magnani nel 1977 costituì la Fondazione Magnani-Rocca, in omaggio al padre Giuseppe e alla madre Eugenia Rocca: è così che la passione intellettuale si fece virtù civile, donando a Parma e all’Italia una piccola Versailles. La dimora di Luigi Magnani è concresciuta alla vita del suo abitatore, intrecciata a lui in modo inestricabile, sì che soltanto attraverso i suoi quadri, le sue sculture e i suoi oggetti – i mobili Impero, gli argenti, le pagine miniate, le incisioni, le ceramiche, i tappeti – il sublime intellettuale è riuscito a raccontare veramente se stesso lasciandoci il proprio Autoritratto.

Oggi la Fondazione Magnani-Rocca incarna questa eredità, attirando decine di migliaia di visitatori l’anno, affascinati da un’esperienza di eleganza senza tempo. Nei suoi spazi si respirano ancora l’intensa ricerca culturale e la passione per le arti che animarono il suo fondatore, personalità colta e poliedrica, circondata da figure illustri del suo tempo come Giorgio Morandi, Eugenio Montale e Cesare Brandi.

La sua visione lungimirante e il suo impegno nel preservare e promuovere la bellezza artistica continuano a ispirare le attività della Fondazione, che prosegue nel solco tracciato dal suo fondatore, offrendo al pubblico esperienze culturali accessibili ma di altissimo livello.

IL SURREALISMO E L’ITALIA
Fondazione Magnani-Rocca, via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).
Dal 14 settembre al 15 dicembre 2024. Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Aperto anche l’8 dicembre. Lunedì chiuso.
Ingresso: € 15 valido anche per le Raccolte permanenti, la mostra focus su Renoir e il Parco romantico – € 13 per gruppi di almeno quindici persone – € 5 per le scuole e sotto i quattordici anni. Il biglietto comprende anche la visita libera agli Armadi segreti della Villa. Per meno di quindici persone non occorre prenotare, i biglietti si acquistano all’arrivo alla Fondazione.
Informazioni e prenotazioni gruppi:
tel. 0521 848327 / 848148   info@magnanirocca.it   www.magnanirocca.it   
Il sabato ore 16 e la domenica e festivi ore 11.30, 15.30, 16.30, visita alla mostra ‘Il Surrealismo e l’Italia’ e al focus su Renoir con guida specializzata; è possibile prenotare a segreteria@magnanirocca.it , oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 20 (ingresso e guida).
Ristorante tel. 0521 1627509   whatsapp 393 7685543   e-mail marco@bstro.it
 
Mostra e catalogo a cura di Alice Ensabella dell’Université Grenoble Alpes, Alessandro Nigro dell’Università di Firenze, Stefano Roffi direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca.
Catalogo (Dario Cimorelli Editore) con saggi dei curatori e di Silvana Annicchiarico, Mauro Carrera, Walter Guadagnini, Davide Lacagnina, Eugenia Maria Rossi, Angela Sanna, Ilaria Schiaffini, Alessandra Vaccari.

Ufficio Stampa: Studio ESSECI  Sergio Campagnolo
Rif. Simone Raddi  simone@studioesseci.net  tel. 049 663499.
Cartella stampa e immagini: www.studioesseci.net
 
La mostra è realizzata grazie al contributo di:
FONDAZIONE CARIPARMA, CRÉDIT AGRICOLE ITALIA
Media partner: Gazzetta di Parma, Kreativehouse.
Con la collaborazione di: AXA XL Insurance e Aon
Angeli Cornici, Bstrò, Cavazzoni Associati, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.

Trieste, Sala Bazlen a Palazzo Gopcevich, presentazione del volume di Fabio Todero

Il volume Terra irredenta, terra incognita. L’ora delle armi al confine orientale d’Italia 1914-1918 viene presentato dall’autore Fabio Todero, mercoledì 20 novembre alle 17.30 in Sala Bazlen a Palazzo Gopcevich (Via Rossini 4), nell’ambito delle attività collaterali della mostra “Vola Colomba. Lunario triestino 1953-54”.
Dottore di ricerca in Italianistica, ricercatore dell’Istituto regionale per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Todero descrive nel suo volume l’irredentismo adriatico nella Prima guerra mondiale e racconta la Venezia Giulia che è stata nell’immaginario nazionale italiano la terra irredenta per antonomasia.  

70° anniversario del ritorno di Trieste all’Italia
Presentazione del volume Terra irredenta, terra incognita. L’ora delle armi al confine orientale d’Italia 1914-1918 a cura dell’autore Fabio Todero.
Mercoledì 20 novembre alle 17.30 in Sala Bazlen a Palazzo Gopcevich

Il volume Terra irredenta, terra incognita. L’ora delle armi al confine orientale d’Italia 1914-1918 viene presentato dall’autore Fabio Todero, mercoledì 20 novembre alle 17.30 in Sala Bazlen a Palazzo Gopcevich (Via Rossini 4), nell’ambito delle attività collaterali della mostra “Vola Colomba. Lunario triestino 1953-54”.
Dottore di ricerca in Italianistica, ricercatore dell’Istituto regionale per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Todero descrive nel suo volume l’irredentismo adriatico nella Prima guerra mondiale e racconta la Venezia Giulia che è stata nell’immaginario nazionale italiano la terra irredenta per antonomasia.  

Il fenomeno dell’Irredentismo ha la sua conclusione nei tragici fatti del 1953 descritti nella mostra di Palazzo Gopcevich grazie ai fotografi Ugo Borsatti, Adriano de Rota, Gianni Anzalone, Livio Amstici e l’agenzia fotografica Giornalfoto.

“Pochi sapevano dove si trovasse Trieste e cosa fosse quella mitica regione” – ricorda Frando Todero. “A scoprirlo furono i milioni di italiani che vi affrontarono la guerra nelle trincee del Carso o sulle vette delle Alpi Giulie. Laboratorio storico emblematico del contesto europeo” – aggiunge l’autore – “qui convivevano popoli diversi che vissero il conflitto con animo contrastante, specie quando l’Italia decise di parteciparvi rompendo la Triplice alleanza. La multietnica società giuliana era stata coinvolta sin dal 1914: la mobilitazione di massa vide partire decine di migliaia di uomini nelle file dell’esercito dell’Austria Ungheria per luoghi i cui nomi ricorrono oggi nuovamente sulle pagine dei giornali a causa dell’invasione russa dell’Ucraina.

Italiani, sloveni e croati della Venezia Giulia venivano mandati a morire in Serbia o in Galizia. Nelle città della regione, donne, bambini e anziani rischiavano di morire di fame e dovevano misurarsi con le conseguenze della guerra totale, rese ancor più severe nella primavera del 1915 quando le operazioni militari coinvolsero direttamente il territorio”.

Il libro Terra irredenta, terra incognita. L’ora delle armi al confine orientale d’Italia 1914-1918 offre al lettore uno sguardo d’insieme sulle vicende belliche della regione Giulia, sul coinvolgimento di uomini e donne nel conflitto, ma soprattutto il modo in cui queste e il territorio vennero descritti ai contemporanei e al pubblico del dopoguerra. Memorie, articoli di giornale, pagine di diario e di letteratura, canti, testi di riflessione politica e immagini sono utilizzati per raccontare, per la prima volta in un’opera organica, un momento chiave della storia di quest’area multiculturale. Ben lungi da concluderne le travagliate vicende le conseguenze della Grande guerra furono alla base delle successive nuove tragedie che con la Seconda guerra mondiale l’avrebbero investita. 


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di Aldo Poduie e Federica Zar
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