Experiences, La Biblioteca dei Libri sfogliabili: Rete d’acciaio di Clarice Tartufari

Dall’incipit del libro:

Mentre il nuovo anno, trascinato da Oriente, sopra un carro di nuvole accese, entrava nella stanza dei giovani sposi, portando loro in dono lo stormire delle foglie, sempre vive sui colli del Gianicolo, e il canto impetuoso della fontana Paolina, Ilaria, uscita allora dal sonno, aveva guardato Vaga, in piedi presso il letto, poi aveva guardato Ippolito, puntato di fianco col gomito sui guanciali, e ad entrambi aveva rivolto in silenzio la domanda medesima con la espressione esultante dello sguardo azzurro:
— Oggi è il primo giorno del primo anno che io passo qui, non è vero, Vaga? È il primo giorno del primo anno che io ti appartengo, non è vero, Ippolito?
Vaga, di una lucentezza bruna nel viso scarno, le aveva risposto con auguri di perpetua felicità, riannodandole affettuosa, sollecita, una ciocca dei capelli biondi; lo sposo aveva risposto esclamando:
— Dopo sette mesi ancora mi pare un sogno! — e, irrequieto, aveva accennato a Vaga di consegnargli un astuccio di raso, che le aveva di nascosto affidato la sera prima, e ne aveva fatto scattare la molla sotto gli occhi sbalorditi d’Ilaria.
— Sei pazzo, sei pazzo! Ha ragione papà quando lo dice! Mio Dio, che prodigio di turchesi! — aveva poi mormorato con voce assorta, quasi la gioia le facesse émpito per l’orgoglio di riconoscere una volta di più che il marito era pazzo davvero, pazzo di lei.
— Sono prodigiose perché hanno il colore delle tue pupille! — e, avanzando il mento aguzzo, corrugando nel viso a scatti l’arco accentuato dei sopraccigli neri, egli le aveva imposto con inflessione di voce innamorata, ma imperiosa:
— Mirale bene queste turchesi; mirale come se fossero uno specchio. Ti ci ritroverai col turchino de’ tuoi occhi rari. Nel passare davanti alla vetrina del nostro gioielliere, mi è parso che tu mi fissassi.
Ilaria aveva approvato, spiegandosi benissimo che il marito riconoscesse i suoi occhi in tutte le gemme di tutte le vetrine.


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Rete d’acciaio di Clarice Tartufari

Questo romanzo, pubblicato in una sola edizione nel 1919, si colloca nell’ambito del realismo incentrato sui problemi sociali delle donne che ritroviamo espressi anche in Aleramo o Deledda, temi ampiamente dibattuti a partire dal secondo decennio del Novecento.

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CLARICE GOUZY TARTUFARINOTE BIOGRAFICHE


Nota bibliografica tratta da Wikipedia
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Clarice Gouzy, sposata Tartufari (Roma, 14 febbraio 1868 – Bagnore, 3 settembre 1933), è stata una scrittrice italiana.
Dopo aver conseguito il diploma magistrale si sposa e si trasferisce a Bagnore sul Monte Amiata, in provincia di Grosseto, dove trascorrerà quasi tutto il resto della sua vita.
Inizia la carriera di scrittrice con bozzetti, poesie e racconti pubblicati in piccoli opuscoli tirati in poche copie (detti plaquettes) o su riviste. L’esordio in campo letterario avviene con la pubblicazione del volume Versi nuovi (1894), che non gode di particolare successo, a cui seguirà una seconda raccolta di poesie intitolata Vespri di maggio (1896). In seguito scrive, per una quindicina d’anni, opere teatrali, tra le quali: Modernissima (1900), Dissidio (1901), Logica (1901), Arboscelli divelti (1903), L’eroe (1904), La salamandra (1906), Suburra, Lucciole sulla neve (1907) e Il marchio (1914).
Decisamente più importante è la sua produzione narrativa, dove la Tartufari riesce a dare il meglio di sé, al punto che Benedetto Croce arriva a reputarla superiore a Grazia Deledda[1][2]. Tra i suoi romanzi più importanti: Roveto ardente (1901), molto apprezzato da Luigi Capuana, Il miracolo (1909), che fu particolarmente elogiato in Germania, All’uscita del labirinto (1914), che Giovanni Boine giudicò positivamente, e Ti porto via! (1933). Morì il 3 settembre 1933 a Bagnore.

CLARICE GOUZY TARTUFARI: NOTE STORICHE SU ENCICLOPEDIA TRECCANI
Carlo D’Alessio, GOUZY, Clarice, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 58,
Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2002.