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 Ebrei ungheresi al loro arrivo ad Auschwitz nel maggio 1944

 

GIORNATA DELLA MEMORIA 
Dal concetto
di razza
al razzismo

Le errate teorie scientifiche legate al concetto di “razza”, nate nel XIX secolo, hanno causato interpretazioni ideologiche ormai rimaste nella storia, ma che perdurano nelle esternazioni oggi definite come “razziste”. Nell’Ottocento scienziati e pseudo scienziati, iniziarono delle ricerche legate ad un’ipotetica differenza tra le razze.  Non basta. L’italiano Cesare Lombroso cercò, addirittura, di individuare differenze criminali sulla base fisica dei tipi. Altri invece crearono dei gruppi basandosi sulle caratteristiche linguistiche storiche delle popolazioni (ad esempio, le cosiddette lingue indoeuropee).

 Procedendo, all’inizio del XX secolo, esisteva già l'antropologia razziale. Sulla base di essa, la propaganda dei regime nazista creò la “razza ariana” (mai esistita) e da qui le sottostanti razze inferiori. Il passo successivo fu l’igiene razziale e la “pulizia” etnica. Il tutto per migliorare la razza (come per gli animali). Tale intento fu attuato con i successivi campi di concentramento (6 milioni di ebrei morti nei campi di concentramento). Un dramma enorme, prima impensabile, che lascia senza parole (ma bisogna trovarle).

Questa presunta superiorità di una razza rispetto alle altre è cosa del tutto gratuita. Ed è stato il detonatore della seconda guerra mondiale, che ha portato tanta morte e distruzione.

Oggi, a livello scientifico, si può affermare che la “razza” umana presenta un livello di omogeneità tale che può essere considerata unica. Si registrano, infatti, differenze solamente somatiche, dipendenti da variabili climatiche, etnografiche, culturali. Non esistono né raggruppamenti a livello territoriale, non essendoci veri e propri confini biologici, né differenze specifiche all’interno degli stessi gruppi. Ad esempio, la distribuzione di caratteri somatici, quali l’altezza, gli occhi azzurri o i capelli biondi, è indipendente dal gruppo stesso preso in esame. I tratti esteriori, in ogni caso, non trovano un riscontro a livello genetico. Al di là dell’apparenza, quindi, i vari tipi umani mantengono un DNA unico.

Per spiegare tale fenomeno, gli scienziati Lynn Jorde e Henry Harpending, genetisti dell'università dello Utah, hanno avanzato l’ipotesi che durante il tardo Pleistocene, si sia registrata una forte riduzione numerica della specie umana (non più di 10.000 coppie genitoriali). Tale riduzione, avrebbe creato un cosiddetto “collo di bottiglia”, che ha impedito il crearsi di più razze umane, cosa, invece, avvenuta parallelamente a livello animale.
Su tale teoria sembrano incanalarsi anche le moderne ricerche paleoantropologiche, basate sui nuovi strumenti d’indagine scientifica.

Attualmente, quindi, la scienza disconosce il concetto di “razza”, né in antropologia biologica, né tantomeno in genetica umana. A dimostrazione di ciò, anche le antiche definizioni di razza (la bianca, la nera o l'asiatica), vengono oggi riformulate come "tipi umani", "etnie" o, semplicemente, "popolazioni". L’uso della vecchia terminologia permane solamente in medicina legale o in ambito forense, per abitudine ma non come effettiva differenza.

Tuttavia questo aspetto discriminate tra le popolazioni si è palesato anche successivamente al secondo conflitto mondiale. E’ il caso dello schiavismo e dell'apartheid, che hanno preteso di trovare differenze fisiche o mentali tra le persone. È quello che chiamiamo “razzismo”. Le uniche disuguaglianze che si possono individuare fra singoli individui o particolari gruppi etnici non sono quindi legate a differenze razziali, ma culturali e sociologiche. Anche a livello di genere, ovvero tra uomini e donne, perdurano ancora discriminanti all’interno di uno stesso gruppo sociale. Bisogna ancora lavorare molto per convincerci che siamo uguali.

>>> Leggi anche: Dichiarazione sulla razza e i pregiudizi razziali >>>

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