Con la
caduta dell’impero romano e
l’inizio del medioevo, ogni
cultura precedente sembrò
scomparire. La cultura alchemica
riprese il suo cammino con
l’influenza dell’alchimia
islamica. E’ in Spagna, che,
probabilmente, si realizzò questo
nuovo travaso. La cosa avvenne,
secondo diversi studiosi, tramite
Gerberto di Aurillac, che, in
seguito, fu fatto papa, col nome
di Silvestro II. Un secolo dopo,
nel XII secolo, si distingue
l’opera di traduttore instancabile
di testi in lingua araba, di
Gerardo da Cremona. E’ sua la
prima traduzione del filosofo
arabo Averroè, e del saggio l'Almagesto.
Un altro traduttore molto
importante è Roberto di Chester,
che tradusse il Liber de
compositione alchimia, nel
1144. E’ questa la data in
cui gli storici segnano la
rinascita dell’alchimia europea.
Nel XIII secolo, operano
Alberto Magno,
scrittore del De
mirabilibus mundi e del
Liber de Alchemia,e Tommaso
d'Aquino, che arrivò ad affermare
che era possibile produrre
artificialmente sia l’oro che
l’argento. L’alchimista, però, più
importante (di quelli noti) fu
Ruggero Bacone (1241-1294).
Religioso appartenente all’ordine
dei francescani, scrisse diverse
opere sull’alchimia, divenendo
punto di riferimento per tutti gli
alchimisti successivi. Verso la
fine del XIII secolo, altri due
alchimisti si distinguono, Arnaldo
da Villanova
e Raimondo Lullo.
Ad essi è addebitato il corpus
alchemico, la complessa dottrina,
propria dei ricercatori seguenti.
E’ nel XV secolo che
l’alchimia ha una battuta
d’arresto. E’ in questo secolo,
infatti, che esce l’editto
Spondent Pariter, emanato da
Papa Giovanni XXII, dove si
vieta la pratica dell’alchimia, in
particolar modo ai religiosi.
Ciononostante, la ricerca
alchemica non si fermò, anzi,
nacquero figure mitiche in questo
settore. E’ il caso di Nicolas
Flamel, vissuto tra il 1330 e il
1419. La leggenda narra che
entrasse in possesso del Libro
di Abramo l'ebreo, ricavandone
indicazioni per l’ottenimento
della pietra filosofale, unico suo
interesse di alchimista. Ebbe una
discreta attività editoriale.
Dalle sue ricerche sempre la
leggenda vuole che scoprì
effettivamente la ricetta
dell’elisir di immortalità.
Insieme alla moglie Perenelle,
Flamel sarebbe ancora vivo.
Nella loro ricerca quotidiana
della trasmutazione dei metalli,
dal piombo all’oro, essi credevano
di effettuare un viaggio nella
parallela purificazione
dell’anima. Tuttavia, la vita
dell’alchimista era tutt’altro che
semplice. Essendo considerati
anche come maghi e incantatori,
spesso essi venivano perseguitati
come le streghe e le praticanti la
magia nera.
Nel
Rinascimento La
“rivoluzione” rinascimentale vede
lo sviluppo di tutte le attività
filosofiche, letterarie e
scientifiche. In un complesso
generale, dove alchimia e scienze
naturali, astrologia e astronomia,
magia e medicina, erano tutte
collegate e non ancora distinte
tra esse. Esempio di ciò, si
distingue la personalità
dell’alchimista Heinrich Cornelius
Agrippa von Nettesheim (1486-1535).
Costui, infatti si occupò
contemporaneamente di
ricerche scientifiche, medicina,
astrologia e filosofia. Pubblicò
diversi testi, molto apprezzati
dai suoi colleghi alchimisti (ad
esempio, il De occulta
philosophia). In un coacervo
di filosofia mistica, magia
occultista, scienza sperimentale e
numerologia, egli si riteneva
anche in grado di evocare gli
spiriti dell’aldilà. Nel 1561 a
Parigi, fu pubblicata la prima
“storia dell’alchimia”, scritta da
Robert Duval.
Se la
pratica alchemica, nel
Cinquecento, era misteriosa ed
occulta, non bisogna pensare che
gli alchimisti operassero
marginalmente alla società. Tra
essi, infatti, è noto come
svolgessero questa pratica
personaggi notori, come Caterina
Sforza, Cosimo I de' Medici
e Francesco I de' Medici,
che fece dipingere nel suo
studiolo di Palazzo Vecchio, da
Giovanni Stradano, addirittura
delle allegorie alchimistiche. In
effetti, i grandi regnanti non
erano lontani dall’alchimia. La
celebre regina Elisabetta I
d'Inghilterra possedeva un proprio
"consulente scientifico", tale
John Dee, che si occupava, oltre
che di alchimia, anche di
astrologia e crittografia. Nel
1564, pure John Dee pubblicò un
testo alchemico, Monas
Hieroglyphica, facendo
riferimenti anche alla Cabala.
|
|