Giunto a Roma dall’Umbria, Tito Maccio Plauto
(in latino: Titus Maccius Plautus o Titus Maccus
Plautus - Sarsina, 250 a.C. circa – 184 a.C.), si impegnò,
almeno inizialmente,
nella rappresentazione delle Atellane. Si narra che
abbia composto centotrenta commedie, ma di esse sono in nostro
possesso solo ventuno. Egli era solito visitare spesso i
mercati, dove incontrava gente del popolo, come gli schiavi, i
soldati, le prostitute, conoscendone il carattere e i problemi
degli stessi. Facendo base su questi risultava più veritiero e
accattivante per gli spettatori. I suoi lunghissimi prologhi,
sul tema della commedia, erano vere e proprie conferenze
indirizzate alla plebe romana. Plauto, pur nella grande
capacita' di dipingere i personaggi, s’interessava,
soprattutto, dell’intreccio, dei colpi di scena, i qui pro
quo, della storia stessa, cercando, oltre che divertire, di
catturare l’interesse e l’attenzione costante degli
spettatori. I dialoghi erano esposti con termini di
autentica origine latina; musica e canto erano piacevolmente
inseriti.
Publio Terenzio Afro (in latino: Publius
Terentius Afer - Cartagine, 190-185 a.C. circa – 159 a.C.)
nacque a Cartagine ed arrivò a Roma come schiavo del senatore
Terenzio Lucano. Successivamente affrancato per la sua
intelligenza e la sua “bellezza”, assunse il nome di Publio
Terenzio Afro. Autore latino fra
i primi ad introdurre il concetto di
humanitas,
(distintivo del Circolo degli Scipioni), Terenzio scrisse sei
commedie (Andria, Hecyra,
Heautontimorumenos, Eunuchus, Phormio, Adelphoe),
che vennero rappresentate a Roma dal 166 a. C. al 160 a. C.
Morì a 26 anni, nel
159 a.C., in un viaggio verso la Grecia e il Medio-oriente.
Tenendo conto che il mestiere del teatro era ritenuto
indecente per un civis romano, a differenza di Plauto,
sostenuto principalmente dalla plebe, Terenzio era
maggiormente gradito all’alta nobiltà romana. Ovviamente,
dato, l’esiguo numero di nobili, Terenzio non godè mai di un
vasto successo. Dimenticato per molto tempo, fu riscoperto nel
Rinascimento. Fu preso a modello da autori quali Racine e da
Diderot.
Tra gli autori romani ricordiamo
Seneca (266 d. C.),
tragediografo. Le sue opere differenziavano da quelle
ispiratrici greche per la struttura piuttosto complicata,
forse caratteristica della tragedia romana. Tra le sue opere
vi sono: Ercole, Agamennone, Tieste. Medea ed Edipo. Stranezza
storica, nessuna delle sue tragedie fu mai rappresentata a
Roma.
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