Centro Studi Regione Mezzogiorno Mediterraneo – EU-MED: Il vento spira da Oriente verso Occidente di Rocco Giordano

Intervento del professore Rocco Giordano
presidente Emerito del Centro Studi Regione Mezzogiorno Mediterraneo EUMED

Il vento spira da Oriente verso Occidente

Siamo tutti ormai convinti che bisogna non abolire, ma superare un regionalismo in crisi e allo stesso tempo bisogna essere vigili su un populismo che ci spinge verso una centralizzazione delle funzioni ed una statalizzazione delle decisioni che non giovano al Paese e all’Europa, né tantomeno e soprattutto al Mezzogiorno d’Italia. Con questo spirito gettiamo le basi della seconda fase dei lavori finalizzati a costituire la Macroregione Mediterranea, nella logica di uno sviluppo diffuso, partecipato, multi scalare, attraverso una governance innovativa. Le tematiche trattate riguardano il contesto territoriale, le infrastrutture, i servizi, gli aspetti istituzionali, l’ambiente, la cultura, la salute dei popoli e dei cittadini. Molto lavoro è stato già fatto ed è stato oggetto di numerosi contributi forniti da esperti, da addetti ai lavori nelle diverse materie. Le sessioni che sono state organizzate, che non sono esaustive, riprendono ed arricchiscono temi quali:

• Il Mediterraneo e la cooperazione nella Macroregione tra i Paesi europei e rivieraschi;

• La Macroregione Mediterranea occasione di sviluppo;
• Le tematiche primarie comuni dell’Area Mediterranea: Infrastrutture, Territorio e Sviluppo; • Gli aspetti istituzionali per un riconoscimento europeo;
• Formazione, Ambiente e Salute nell’Area del Mediterraneo – Le politiche sanitarie.

L’Italia deve guardare alla Via del Cotone

È decisivo, dunque, spostare l’attenzione da un dibattito inutile e sterile dal punto di vista economico ad uno più interessante che riguarda le prospettive che si aprono sull’area Mediterranea, dove siamo già in ritardo storico rispetto al posizionamento che altri Paesi europei stanno occupando nei rapporti con gli Stati del continente africano. La Via della Seta è partita 15 anni fa quando i cinesi hanno iniziato, in maniera scientifica e sistematica, ad operare investimenti in Europa, scegliendo le opportunità di investimento economico e le «alleanze» giuste nei diversi settori della economia. In Italia abbiamo aperto una discussione – anche animata – per chiederci se era maggiormente utilizzato il porto di Genova o quello di Trieste dai traffici che saranno alimentati dalla Via della Seta, o se la visita a Palermo del Presidente della Cina era foriero di investimenti per la Sicilia, ignari del fatto che, per la portualità, le compagnie armatoriali cinesi operano già nel Mediterraneo attraverso il Pireo e l’advisor per questo settore è il porto di Rotterdam. Gli investitori cinesi sono molto attenti alla gestione delle attività e chiedono l’ottimizzazione e la redditività delle strutture dove investono. Per parte nostra, tuttavia, siamo più portati a guardare con maggiore attenzione ai Paesi africani, già fortemente presidiati da cinesi, francesi e tedeschi, ma che sono più distanti geograficamente di quanto siamo noi per poter offrire servizi efficienti, oltre che soluzioni geopolitiche per rafforzare le culture tra i popoli e gli scambi commerciali. Questa è la «Via del Cotone», più accidentata, ma certamente con maggiori prospettive di posizionamento geo- economico e geo-politico e più promettente della Via della Seta, che in questa fase, riteniamo che interessi i cinesi per un processo geo-economico attivato da anni in Europa; gli italiani forse, possono avere una prospettiva geo-politica se saranno in grado di guardare il «mondo» in modo meno «strabico» tracciando e attivando nuove rotte e la Macroregione Mediterranea è la nuova rotta! Il mondo negli ultimi 10 anni è cambiato e continua a cambiare con una

rapidità inimmaginabile fino a pochi anni fa. I forti mutamenti registrati nella geografia degli scambi e dei flussi di traffico hanno modificato la posizione geo-politica dei Paesi. Questo determina forti mutamenti anche nelle politiche del territorio, delle strutture urbane, dei modelli di mobilità con forti impatti sulle governance nei diversi Paesi. È certo che la ruota dello sviluppo si è invertita, sta girando in senso inverso a quello degli anni ’60. A livello globale le mappe del futuro ordine mondiale e la geografia dei flussi sta delineando una forte ascesa dei Paesi africani e asiatici rispetto ai Paesi del blocco occidentale che paradossalmente stanno assecondando e sostenendo scelte come la «Via della Seta» che non è la nostra «Via del Cotone».

Dov’erano l’Italia e l’Occidente?

Quando fu eletto Barack Obama avemmo a scrivere: «È conosciuto come Senatore di uno Stato degli Stati Uniti, ci attendiamo per la sua estrazione afro-americana una politica che sappia investire il continente africano». Questo perché la Cina, dal 2004 sta investendo silenziosamente e pesantemente sul continente africano. Abbiamo motivo di ritenere che i nove grandi filoni di estrazioni minerarie siano ancora saldamente in mano a gruppi di investitori cinesi, e che le grandi infrastrutture ferroviarie, porti ed aeroporti, siano stati opzionati o gestiti attraverso capitali cinesi. È sempre più inevitabile che – per le riforme o le rivoluzioni – Pechino si confronti con Washington. Le partite che si stanno giocando attualmente si arricchiscono di un nuovo tassello che è l’assetto geo-politico che trova «focolai» in diverse parti del mondo, perché non vi sono state regole capaci di governare un processo globale come quello che stiamo vivendo. Quello che sorprende è il ritardo con cui alcune grandi potenze politiche, economiche e militari, hanno preso coscienza di questo stato di crisi. Da quando la Cina, nel 2011, ha organizzato due grandi summit per l’Africa uno in terra d’Africa e l’altro a Pechino, sono passati quattro anni prima che gli Stati Uniti si muovessero: solo nell’agosto del 2015 hanno convocato una tre giorni per l’Africa, ospitando a Washington, nella prima settimana di agosto, 50 capi di stato africani per il primo incontro con 200 multinazionali per discutere di nuovi progetti di cooperazione. Ma il punto focale è che gli americani tengono un occhio puntato sull’Africa per puntare l’altro sulla Cina, perché è proprio sull’equilibrio geo-politico che si gioca la partita economica globale tra grandi potenze dei prossimi 10-15 anni. Nel frattempo, l’Europa resta sempre più impantanata nelle politiche economiche della Germania che sul lago di Costanza ha radunato i migliori economisti del mondo per dire che «la scienza dell’economia ha fallito nel descrivere la realtà derivante dalla crisi ed allo stesso tempo nel prefigurare le previsioni future». Non c’è convegno dove non abbiamo ribadito che i modelli econometrici non sono più in grado di fare previsioni attendibili perché i dati sono scarsi, difformi, parziali. Quando ci affidiamo ad Eurostat è peggio che viaggiare di notte a fari spenti. Va perciò sottolineato il coraggio della Germania che da vera stato-leader ha capito che è il comportamento delle masse che va posto sotto osservazione e che lavorando su questo aspetto possiamo probabilmente mettere a punto politiche finalizzate più corrette. Non è un caso – come dicevamo prima – che il premio Nobel per l’economia negli ultimi anni non sia stato assegnato ad economisti, ma a matematici e sociologi.

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