
Un tempo la chiamavamo fantascienza. Oggi l’intelligenza artificiale si insinua nei gesti più ordinari: traduce le nostre parole, riconosce i volti, scrive testi che imitano gli stili dei grandi autori. Non è più un’ipotesi futura, ma una trama invisibile che attraversa la nostra vita culturale e sociale. E mentre ci abituiamo a convivere con macchine capaci di dialogare con la memoria millenaria dell’umanità, resta aperta la domanda decisiva: stiamo davvero comprendendo il potere che abbiamo tra le mani?
Non possiamo ignorare la trasformazione in atto: La Lettura, supplemento culturale del Corriere della Sera, ha recentemente incaricato ChatGPT e altri tre modelli di intelligenza artificiale di immaginare un racconto nello stile delle Città invisibili di Italo Calvino. I risultati hanno lasciato il pubblico sbalordito, suggerendo che ciò che molte menti restie faticano a riconoscere come reale, è già quotidianità.
Il nostro mondo, un tempo confinato alla fantascienza, è divenuto orizzonte della vita pratica: testi emergono da trascrizioni vocali automatizzate; traduzioni nascono da complessi algoritmi; dialoghi con amici lontani appaiono nitidi in videochiamate; l’identificazione facciale governa l’accesso; tassì senza conducente circolano ormai tra noi; ogni giorno la televisione informa in tempo reale su massacri mirati, operati da droni.
Sorprende la velocità con cui tutto questo si è realizzato e, ancor più, la mente matematica capace di orchestrarlo – macchine che conversano con l’immenso patrimonio di conoscenze umane. Eppure, la scuola continua a indugiare: nei licei, si passano anni non sul testo di Dante, ma sulle sue note critiche. Pensate: una chatbot risponderebbe alla frase “Il professore legge Dante” producendo sequenze numeriche astratte, testimonianza di un linguaggio interno fondato su vettori matematici, non sulle emozioni o il senso letterario.
Nell’abbondanza di scritti che affrontano le conseguenze dell’intelligenza artificiale, manca spesso la concretezza tecnica. Alfio Ferrara, nel suo volume Le macchine del linguaggio. L’uomo allo specchio dell’intelligenza artificiale (Einaudi, 2025), puntualizza questa carenza. A suo avviso, ignorare il funzionamento delle reti neurali e delle operazioni che trasformano dati in output significa restare alla superficie, senza penetrare il cuore del tema.
Il libro — lungo 432 pagine e uscito nel luglio 2025 — offre un’indagine approfondita sul nesso tra linguaggio umano e intelligenza artificiale. Ferrara rifiuta le eccessive semplificazioni e gli allarmismi: l’IA generativa non è una minaccia da demonizzare né un miracolo da celebrare acriticamente. Piuttosto, è una lente capace di riflettere e ripensare la nostra cultura e i nostri modi di pensare, purché ne facciamo un uso attivo, consapevole, critico.
Secondo l’autore, chi desidera comprendere davvero il fenomeno AI non può limitarsi a domande di superficie. Serve interrogarsi su come le reti neurali “imparano”, sulle ambiguità che affrontano nel riconoscimento vocale, nel contesto linguistico, nella traduzione automatica, e sulle trasformazioni concettuali che attivano nel convertire significati in risposte coerenti.
Forse il vero confine non è tra uomo e macchina, ma tra uso consapevole e passività. L’intelligenza artificiale non ci sostituirà di per sé: siamo noi a decidere se diventerà un’estensione della nostra creatività o il pretesto per smettere di pensare. In questo equilibrio sottile si gioca il futuro, non di una tecnologia, ma della nostra stessa capacità di immaginare e di comprendere.
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