

Il conflitto con il turismo non è una moda: è un richiamo antico e rinnovato. Dalla Roma di Seneca all’Europa del Grand Tour, fino alle ondate globali di questi giorni: l’eccesso di visitatori è sempre stato percepito come un’invasione dello spazio, della cultura, e del quotidiano. Oggi, questa consapevolezza sta generando una nuova politica territoriale e civile, in cui si mescolano resilienza, governance locale e ricerca di equilibrio. Il turismo può e deve essere ripensato: per essere un veicolo di incontro anziché di estrazione.

In questa estate rovente, l’Europa ha visto moltiplicarsi le proteste contro il turismo di massa: cortei e sit-in da Barcellona a Venezia, dalle Baleari alle Canarie, passando per Atene e Lisbona. Non si tratta di episodi isolati. A Città del Messico, una manifestazione pacifica contro la gentrificazione e il dilagare dei “nomadi digitali” si è trasformata in un’azione violenta, con vetrine distrutte e negozi saccheggiati.
Persino in Giappone, l’ente nazionale del turismo ha invitato i visitatori australiani a preferire mete meno battute rispetto a Tokyo e Kyoto, dove i turisti sono accusati di aver disturbato le geishe. Bali — dove il turismo incide per il 60–70 % del PIL — e l’Antartide sono altri esempi di luoghi che denunciano comportamenti irrispettosi o danni ambientali gravi.
Quest’anno, per la prima volta, le proteste in Europa sono state coordinate: graffiti anti-turismo ad Atene, attacchi con pistole ad acqua in Italia, Portogallo e Spagna, una parata di imbarcazioni contro le navi da crociera a Venezia. Con la stagione estiva dell’emisfero nord, alcuni Paesi hanno perfino emesso avvisi di sicurezza per i viaggiatori diretti nel continente.
Una lunga storia di insofferenza
L’ostilità verso l’eccesso di visitatori non è un’invenzione del XXI secolo. Già nel 51 d.C., Seneca scriveva con fastidio dei bagnanti che affollavano le spiagge:«Perché devo guardare gli ubriachi che barcollano lungo la riva o le rumorose feste in barca? Chi vuole ascoltare i litigi dei cantanti notturni?». Parole che oggi potrebbero uscire dalla bocca di un residente esasperato di Amsterdam, stanco del cosiddetto “turismo degli addii al celibato”.
Nell’Ottocento, con l’avvento del turismo moderno in Gran Bretagna — reso possibile da Thomas Cook, dalle ferrovie e dai piroscafi, e alimentato dal Grand Tour europeo — le tensioni non tardarono a emergere.
A Brighton, nel 1827, i turisti si lamentarono delle reti da pesca stese sulla spiaggia e della presenza dei pescatori. Le autorità rimossero le barche dal lungomare, provocando scontri. Nel Lake District, negli anni 1880, gli abitanti cercarono di impedire ai treni carichi di vacanzieri di raggiungere le località più pittoresche. Il filosofo John Ruskin descrisse l’arrivo dei visitatori con un’immagine icastica: «Le stupide mandrie di turisti moderni si sono lasciate scaricare come carboni ardenti da un sacco a Windermere e Keswick.»
Dal boom post-bellico al marketing “aloha”
Dopo la Seconda guerra mondiale, il turismo di massa esplose: la crescita della classe media, le ferie retribuite e i trasporti di massa resero i viaggi più accessibili e frequenti. Alcune comunità iniziarono a vedere le vacanze come un diritto, altre come un’invasione.
Il saggio The Golden Hordes (1975) di Louis Turner e John Ash racconta episodi di aperta ostilità in Caraibi, Hawaii ed Europa. Nelle isole hawaiane, gli indigeni Kanaka Maʻoli protestano da decenni contro un’industria che — sotto la patina del marketing dell’“aloha” — sfrutta e banalizza la loro cultura. Dal 2004 alcuni attivisti organizzano “Detour” per raccontare ai turisti storie alternative alla narrazione ufficiale.
Dopo gli incendi di Maui del 2023, la riapertura anticipata al turismo ha spinto i residenti a organizzare un “fish-in” di protesta di fronte ai resort di Kaanapali Beach, richiamando l’attenzione sulla crisi abitativa e sulla lentezza della ricostruzione.
Proteste e nuove strategie
Non mancano esempi recenti di proteste contro eventi sportivi usati come attrattori turistici. In Brasile, nel 2014, le manifestazioni contro i costi esorbitanti della Coppa del Mondo hanno mobilitato migliaia di persone, represse con l’intervento della polizia antisommossa.
Oggi si tenta di trasformare la rabbia in azione organizzata. Dal 3 al 6 luglio di quest’anno, a Barcellona, si è tenuto un congresso promosso dalla rete Stay Grounded: attivisti da tutta Europa si sono confrontati per costruire alleanze e rafforzare le comunità.
L’etichetta “anti-turismo” rischia di essere fuorviante: le comunità non sono contrarie ai visitatori in sé, ma a un’industria che li considera un numero da massimizzare, a governi che trascurano l’impatto sui residenti, e a comportamenti irrispettosi che svuotano di senso i luoghi.
In conclusione
Dalla Roma di Seneca alle calli di Venezia, dal Grand Tour ottocentesco ai voli low cost contemporanei, la tensione tra residenti e visitatori è rimasta costante. Oggi, però, la scala è globale e l’urgenza crescente. Ripensare il turismo non è più un’opzione, ma una necessità: trasformarlo da pratica estrattiva a scambio culturale, in cui la parola “ospitalità” torni a significare rispetto reciproco.
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