
Il dibattito sul passaggio dall’ora solare a quella legale torna a infiammare l’Unione Europea. Dopo anni di discussioni, Bruxelles riapre la questione di un sistema pensato per un mondo che non esiste più: quello del risparmio energetico industriale.

Ogni anno, a fine ottobre e a fine marzo, milioni di cittadini europei spostano le lancette dell’orologio di un’ora avanti o indietro. È un rito collettivo, quasi un gesto di fede nella modernità, ereditato da un’altra epoca. Ma oggi, in un continente attraversato da crisi energetiche, cambiamenti climatici e nuove abitudini di vita, sempre più voci si levano contro questa pratica considerata anacronistica, inutile e perfino dannosa.
La Commissione europea, già nel 2018, sotto la presidenza di Jean-Claude Juncker, aveva proposto di abolire il cambio dell’ora, lasciando ai singoli Stati membri la scelta definitiva di adottare per tutto l’anno l’ora solare o quella legale. Nel 2021 il Parlamento europeo aveva votato a favore della riforma, ma il dossier si è arenato in Consiglio per le resistenze di alcuni Paesi, divisi tra esigenze economiche, culturali e geografiche.
Oggi, a distanza di anni, la proposta torna sul tavolo di Bruxelles. Le nuove analisi condotte dagli organismi tecnici dell’Unione mostrano che i benefici energetici del sistema — introdotto in gran parte d’Europa negli anni Settanta, dopo la crisi petrolifera — si sono di fatto esauriti. Gli edifici moderni, i sistemi di illuminazione a LED e la diffusione del lavoro flessibile hanno reso marginale il risparmio legato a un’ora in più di luce serale.
Anzi, secondo diversi studi dell’European Sleep Research Society, il cambio biannuale dell’orario ha effetti negativi sul ritmo circadiano, sulla qualità del sonno e perfino sulla produttività. Gli impatti si avvertono soprattutto nei primi giorni successivi al cambio: aumento degli incidenti stradali, calo dell’attenzione sul lavoro, e disturbi temporanei dell’umore.
Il dibattito, tuttavia, non è solo medico o tecnico. In gioco c’è anche una questione identitaria: l’Europa è un continente che si estende su più fusi orari, e uniformare l’orario tutto l’anno significherebbe ridisegnare parte della sua geografia sociale. Gli Stati del Nord, come la Finlandia o la Danimarca, spingono per mantenere l’ora solare, più adatta ai ritmi naturali delle loro giornate brevi. Al contrario, i Paesi mediterranei, tra cui Italia e Spagna, preferirebbero conservare l’ora legale per godere di un’ora di luce in più la sera.
La Commissione invita da tempo a trovare un compromesso per evitare un’Europa “a orari alternati”, dove attraversare un confine significhi anche cambiare l’orologio. Ma il negoziato è complesso: dietro il ritmo delle lancette si nasconde un intricato equilibrio politico e culturale.
Il primo a concepire l’idea di spostare le lancette fu, paradossalmente, un uomo di scienza e di ironia: Benjamin Franklin. Nel 1784, in un articolo pubblicato sul Journal de Paris, suggerì provocatoriamente di “svegliarsi prima” per risparmiare candele. L’idea rimase una curiosità fino alla Prima guerra mondiale, quando Germania e Gran Bretagna introdussero ufficialmente l’ora legale per ridurre i consumi energetici. L’Italia la adottò nel 1916, l’abbandonò e poi la reintrodusse stabilmente nel 1966, in linea con gli altri Paesi europei.
Negli anni Settanta, con la crisi petrolifera, il sistema sembrò una soluzione logica: spostare un’ora di luce verso la sera permetteva di ridurre l’uso dell’illuminazione artificiale. Ma con il progresso tecnologico e la diffusione delle energie rinnovabili, quel piccolo vantaggio è diventato trascurabile.
In Italia, l’ENEA stima che il risparmio energetico annuale legato al cambio dell’ora sia oggi inferiore a 100 milioni di euro, una cifra irrisoria rispetto ai costi indiretti che il sistema comporta. E così, di fronte a un’Europa che si interroga sul proprio futuro climatico e digitale, il gesto di spostare le lancette due volte l’anno appare sempre più come un rito senza più un significato reale.
Gli oppositori dell’abolizione, tuttavia, avvertono: l’ora legale continua a regalare luce e vita sociale. Secondo alcuni studi, favorisce la frequentazione di spazi pubblici e attività all’aperto, contribuendo al benessere collettivo. Il problema, dunque, non è tanto l’orologio quanto la rigidità dei nostri ritmi urbani.
Nel frattempo, l’Unione Europea cerca un nuovo equilibrio. La Commissione von der Leyen ha riaperto il confronto con i governi nazionali, puntando a una decisione condivisa entro il 2026. La parola d’ordine è armonizzazione, per evitare una “babele delle ore” che metterebbe in difficoltà trasporti, commercio e vita quotidiana.
E così, mentre le lancette si preparano a tornare indietro ancora una volta, l’Europa si trova di fronte a una scelta che va oltre il tempo: decidere se il ritmo delle giornate debba restare legato a un retaggio industriale del passato o adattarsi alla fluidità di un presente senza più confini precisi.
Un gesto minimo, quello di girare una lancetta — eppure, per la civiltà europea, forse il più simbolico di tutti.
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