di Giovanni Saccà
La parola “Africa” evoca nella mente di molti di noi, racconti, film e foto di guerra, di carestia e povertà, ma la realtà odierna è nettamente diversa rispetto a quanto la maggior parte delle persone possa immaginare. L’Africa odierna è relativamente stabile e vanta un alto tasso di crescita che ha attirato prima miliardi di dollari di investimenti asiatici e successivamente occidentali (Figura 1).
Nel contesto della nuova guerra fredda tra il mondo unipolare e multipolare, l’Africa assume un’importanza primaria come campo di battaglia inevitabile.
La via della Seta (lanciata dalla Cina nel 2013 come «One Belt, One Road» o «Belt and Road Initiative») ha avviato le sue iniziative in Africa a partire dai paesi bagnati dall’Oceano Indiano e dal Mar Rosso per poi estenderle al Mediterraneo e ai paesi centro africani. La Cina non è interessata soltanto alle materie prime africane, ma è più interessata ad avere partner regionali che abbiano la possibilità di costruire economie sostenibili, che potrebbero diventare un affidabile mercato di consumatori di prodotti cinesi. Inoltre, la Cina vuole anche spostare in Africa parte della propria produzione nazionale in quanto i salari africani sono molto bassi e probabilmente rimarranno tali per i prossimi decenni. È assolutamente imperativo per la Cina acquisire il controllo dei mercati africani più fiorenti, al fine di alimentare per i prossimi decenni la propria crescita interna.
Questa prospettiva è in grado di cambiare gli attuali equilibri e potrebbe essere contraria agli interessi di USA, Europa, India e Giappone.
I paesi africani, autonomamente, a partire dalla fine dell’epoca coloniale hanno sentito l’esigenza di costruire strade, ferrovie, porti e aeroporti indispensabili per lo sviluppo economico e sociale interafricano e la formazione di una nuova collettività continentale, ribaltando la logica coloniale che prevedeva la realizzazione di strade e ferrovie solo tra le aree interne (miniere, foreste, ecc.) e i porti più vicini.
A partire dagli anni Sessanta furono predisposti i primi piani per la infrastrutturazione globale dell’Africa.
Il 1º luglio 1971 Robert K. A. Gardiner, segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (UNECA), istituì il Trans-African Highway Bureau per supervisionare lo sviluppo di una rete stradale continentale.
La rete autostradale trans-africana comprende progetti stradali sviluppati dalla Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (UNECA), dalla Banca africana di sviluppo (ADB) e dall’Unione africana in collaborazione con le comunità internazionali regionali. La lunghezza totale delle nove autostrade della Trans-African Highway ( https://en.wikipedia.org/wiki/Trans-African_Highway_network ) è di 56.683 km (Figura 2).
Lo sviluppo della rete trans-africana è avvenuto durante i periodi di pace e stabilità, mentre dove si sono verificati conflitti la rete ha subito distruzioni e ricostruzioni. Inoltre, l’instabilità economica ha influenzato la manutenzione delle autostrade asfaltate. La Trans-African Highways è costituita da nove autostrade, di cui sei percorsi est-ovest e tre nord-sud (Trans African Highway That Will Boost Africa’s Economy https://www.youtube.com/watch?v=VYLN2XT1xN0 ).
Nel 2013, l’Unione africana (UA) ha approvato l’Agenda 2063, un programma di sviluppo cinquantennale che include la creazione di una zona continentale di libero scambio (African Continental Free Trade Area: AfCFTA https://en.wikipedia.org/wiki/African_Continental_Free_Trade_Area ), un passaporto comune africano, la fine dei conflitti armati, un forum economico annuale, sviluppare soluzioni logistiche adattate alle megalopoli africane del XXI secolo, un programma spaziale, un Grande Museo africano, l’istituzione di università elettroniche e una rete ferroviaria ad alta velocità a livello continentale (The African Integrated High Speed Railway Network https://www.youtube.com/watch?v=rC0wH70o4Is ).
L’Africa ha attualmente la più bassa densità ferroviaria di tutti i continenti abitati, con 16 paesi africani privi di ferrovie, specialmente nell’Africa centrale (Figura 3).
L’UA ha firmato un memorandum d’intesa con la Cina nel 2014 per lo sviluppo di 30-50 anni del sistema ferroviario continentale, che collega tutte le capitali dell’Africa continentale utilizzando la moderna tecnologia ferroviaria. Per facilitare la circolazione dei treni l’UA ha stabilito che la nuova rete dovrà utilizzare lo scartamento standard da 1445 mm. L’obiettivo di una rete ferroviaria ad alta velocità è facilitare il commercio intra-africano e ridurre i costi di spedizione. La tempistica iniziale per il 2022 prevedeva il completamento del 100% del lavoro preparatorio, ma attualmente solo il 12,3% della rete è stato studiato, in gran parte a causa di vincoli di finanziamento. Non è stato ancora specificato quali linee ferroviarie opereranno a 330 km/h, 250 km/h e 160 km/h. L’UA ha stabilito che la Rete ferroviaria integrata ad alta velocità africana dovrà essere pianificata entro il 2043, come parte della Vision 2063.
Il Masterplan 2033 prevede la costruzione in Africa di 35.828 km di nuove linee ferroviarie. Entro il 2033 dovrebbero essere collegati ai porti marittimi sedici paesi senza sbocco sul mare, realizzate interconnessioni tra diverse regioni e completati alcuni corridoi trans africani. Il Master Plan 2043 amplierà questa rete per collegare tramite la nuova rete ferroviaria tutte le capitali politiche ed economiche dell’Africa (Figura 4).
La risposta Ue alla Bri, nel timore degli europei di esser messi sempre più in ombra dal gigante cinese (ad oggi Pechino ha investito 885 miliardi di dollari in infrastrutture nel mondo), si chiama «Global Gateway», che prevede 300 miliardi di investimenti, per lo più con garanzie pubbliche e investimenti privati per realizzare opere pubbliche e difendere i valori democratici nei paesi meno sviluppati di tutti i continenti ( https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/global-gateway-alla-prova-dei-fatti-112441 ).
L’Europa osserva inquieta, anche perché, commenta un diplomatico Ue, «il messaggio dei cinesi è che si possono avere investimenti e infrastrutture anche senza doversi preoccupare di cose come la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani». «Le democrazie – si legge invece nell’incipit della comunicazione sul Global Gateway – e i valori che le sostengono devono dimostrare la loro capacità di rispondere alle sfide globali di oggi. Devono avere la capacità e l’ambizione necessarie per migliorare le vite delle persone in giro per il mondo».
C’è anche una questione più strettamente economica: uscire dalla logica del classico aiuto allo sviluppo, alla ricerca di un percorso a doppio senso: aiutare sì i Paesi più poveri a cercare la prosperità, ma anche far sì che questo aiuto abbia un risvolto economico positivo per l’Europa. «È una svolta senza precedenti», dice un alto diplomatico Ue. Certamente, è una sfida epocale.
A chiedere alla Commissione un’alternativa europea alla Bri cinese sono stati, nel 2021, gli Stati membri. Il primo dicembre di quell’anno, la presidente Ursula von der Leyen ha presentato il Global Gateway. «Il modello europeo – ha detto – è sostenere investimenti nel digitale, nel clima e nell’energia, nei trasporti, nella sanità, nell’istruzione e la ricerca, in un quadro favorevole che garantisca parità di opportunità. Sosterremo investimenti intelligenti in infrastrutture di qualità, rispettando i più elevati standard sociali e ambientali, in linea con i valori democratici della Ue e gli standard e le norme internazionali».
La Commissione Europea promette in totale almeno 300 miliardi di euro di investimenti (di cui circa 150 miliardi per l’Africa), ma a tale cifra si può arrivare solo invogliando i privati ad investire. Complessivamente, si parla di circa 40 miliardi di euro di soldi pubblici messi a disposizione soprattutto in termini di garanzie per facilitare gli investimenti. Non sono soldi nuovi, ma già parte del bilancio pluriennale 2021-27 – anche questo un punto che ha suscitato alcune critiche. Relativamente ai progetti, non si parla tanto di strade, ponti, dighe e fabbriche come sta facendo la Cina, ma di altre priorità, che sono:
- la transizione digitale, con la creazione di reti e infrastrutture;
- connettività energetica in vista della transizione verde;
- reti di trasporto «intelligenti, resilienti, inclusive e sicure»;
- la sanità, come la sicurezza delle catene di approvvigionamento dei farmaci (problema esploso con la pandemia del Covid-19)
- lo sviluppo di produzione locale, ad esempio di vaccini;
- rilancio di «formazione di qualità».
La Ue chiede ai Paesi interessati di rispettare una serie di principi chiave per poter accedere a questi prestiti agevolati: valori democratici e rispetto dello stato di diritto, trasparenza, responsabilità chiare, sostenibilità finanziaria. Ovviamente i governi con chiare tendenze autoritarie preferiscono i soldi offerti da Pechino che non richiedono questo tipo di condizioni, però i prestiti cinesi sono spesso un capestro per i Paesi meno sviluppati non in grado di ripagarli e quindi costretti a svendere a Pechino infrastrutture importanti.
Tra i progetti europei, c’è ad esempio la posa del cavo sottomarino di fibra ottica “Medusa” di 8.500 km che collegherà direttamente l’Europa meridionale (Italia, Portogallo, Spagna e Grecia) con il Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto) per più veloci connessioni Internet. Prevista anche la posa di un cavo sottomarino di interconnessione elettrica ad alto voltaggio tra Tunisia e Italia. Restando in Africa, si possono citare progetti come la costruzione del grande impianto idroelettrico RuziIII per fornire energia a Congo, Ruanda e Burundi. O ancora la costruzione di impianti fotovoltaici in Niger, Costa d’Avorio, Benin, Namibia.
Conclusioni
La realizzazione di strade, ferrovie, porti e aeroporti sostenuta dal continuo aumento della popolazione africana (Tabella 1), della sua mobilità e dallo sviluppo della zona continentale africana di libero scambio (AfCFTA https://en.wikipedia.org/wiki/African_Continental_Free_Trade_Area ), che comprende la maggior parte dell’Africa, nonostante le inevitabili situazioni di crisi, determinerà un forte sviluppo economico e sociale in tutto il continente, che ribalterà gli attuali equilibri internazionali.
Le iniziative africane insieme a quelle cinesi, europee e più in generale del mondo globalizzato, determineranno un cambiamento inarrestabile molto diverso dagli stereotipi che ci vengono continuamente presentati dai media mainstream. Con il graduale raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’Agenda 2063 dell’Unione africana e degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU ( https://asvis.it/public/asvis2/files/Pubblicazioni/Fatti_%26_Cifre_2020.pdf ), il cambiamento sarà molto grande ed è con tale realtà che dobbiamo iniziare a confrontarci anche per renderci conto che il futuro sarà molto diverso non solo dal presente, ma soprattutto dal passato.