Dopo la manifestazione ufficiale del 25 aprile del mattino, un concerto per la Festa della Liberazione si svolgerà presso il Parco Horcynus Orca di Torre Faro a Messina.
Appuntamento il 25 aprile, alle ore 17. Sarà un momento di festa, riflessione, difesa dei diritti costituzionali. Il Concerto è organizzato da Anpi provinciale Messina, Anpi comunale Messina, CGIL, UDU, Fondazione di Comunità Messina, Feltrinelli Point, Parco Horcynus Orca, ARB associazione culturale.
Interverranno: Emilio Miceli (Cgil); Patrizia Caminiti (Anpi); Gaetano Giunta (Fondazione Messina); Damiano di Giovanni (Udu).
Seguirà la premiazione delle scuole a cura delle famiglie di partigiani messinesi.
L’ingresso è gratuito e aperto a tutti, l’unica discriminante: essere antifascisti.
Il cast delle artiste e degli artisti del pomeriggio della Liberazione, con la presentazione di Lina Bruno, prevede: Antonino Cicero (fagotto) e Alessandro Blanco (chitarra); Mariachiara Millimaggi (voce e chitarra) e Giacomo Farina (organetto diatonico); Paola Fazio (voce); Dario Naccari (voce e chitarra); Sicilia e dintorni (folk siciliano); Le armonie del Sud (folk calabrese).
L’evento si svolge all’aperto e ci saranno un’area kinder al coperto e un servizio di food e beverage. Nel caso di maltempo l’evento si svolgerà all’interno fino al riempimento dei posti disponibili.
Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia Comitato provincia di Messina Comunicato stampa 23 aprile 2023
“Il Pci è una giraffa”, amava dire Togliatti, sempre descritto come un rigido professore, e invece ironico e spregiudicato nei suoi giudizi. Perlomeno a partire da un certo tempo, a metà degli anni ’50, quando il suo partito si dichiarò ufficialmente in favore di una propria via al socialismo, che doveva essere “italiana”, e dunque non solo non sovietica, ma nemmeno simile a quella degli altri partiti comunisti europei che a lui non piacevano affatto. L’animale prescelto per sottolineare la diversità non poteva essere che quella anomala bestia dal collo e dalle gambe lunghe lunghe, differente da ogni altra. “
E’ la premessa di Luciana Castellina nella prefazione del libro “Noi, piccoli granelli di una bella storia. Il risveglio di Napoli e di una giovane generazione nell’esperienza del Circolo Francesco De Sanctis nei primi anni Sessanta” di Filippo Maone, edito da Infiniti mondi e presentato al Circolo ILVA di Bagnoli con la fondatrice de Il Manifesto insieme a Nora Puntillo e Eugenio Donise, coordinati da Massimo Anselmo.
Presenti al convegno la professoressa Nella Maone sorella Pippo Maone e Paolo Pantani, allievo della professoressa Maone e vicepresidente del Centro Studi EU-Med.
“Il Circolo culturale Francesco De Sanctis, creato, e poi sempre animato, da Filippo Maone ed altri compagni ed amici a Napoli nel 1960 contribuì alla diversità del PCI come molti circoli culturali via via costruiti da comunisti diventando centri di confronto, aperti alle nuove culture, generazioni geografiche. Canali di innovazione contro ogni chiusura dogmatica. Polmoni. Spesso, non proprio per via della loro sacrosanta curiosità per il mondo, non propriamente ortodossi. Come infatti fu quello di Napoli rispetto ad una leadership del PCI piuttosto sospettosa»
L’appuntamento è stato occasione anche di un evento conviviale a sostegno del Progetto del CENTRO di FORMAZIONE di CULTURA POLITICA CRITICA
Autonomia differenziata ed equità territoriale: Dibattito a Napoli dell’Europa dei Popoli sui possibili effetti sul Mezzogiorno d’Italia
Confronto a Napoli sul controverso progetto di legge dell’Autonomia differenziata dei Parlamentari europei del Gruppo Efa/Ale (Alleanza Libera Europea) provenienti da tutta Europa con politici, esperti e intellettuali.
All’appuntamento organizzato al circolo Rari Nantes di Napoli dall’eurodeputato dei Verdi e del Movimento di Equità Territoriale, Piernicola Pedicini l’intervento di Jordi Solé, Presidente del gruppo EFA/ALE al Parlamento Europeo, François Alfonsi, Parlamentare Ue EFA/ALE, Lorenzo Chieffi, Docente di Diritto Costituzionale, Adriano Giannola, Presidente SVIMEZ e Pino Aprile, Scrittore e Fondatore del Movimento Equità Territoriale.
“Sono valdese. Condivido le origini con i valdesi del nord, con precisione da Inverso Pinasca, dalle valli dell’Inverso, quelle senza sole, vicino alla soleggiata Villar Perosa, cattolica, paese degli Agnelli. Quindi la mia identità è valdese, è Occitana e componente etnico-linguistica-religiosa della nostra smandrappata cosiddetta nazione. Abbiamo affrontato la questione Occitana, poi quella valdese e affronteremo insieme, anche, quella attualmente prioritaria, quella meridionale” – ha affermato, intervenendo nel dibattito Paolo Pantani, sostenitore della proposta di legge di iniziativa popolare di modifica Costituzionale in materia di riconoscimento alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia e per l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale, e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
“Il disegno di legge di Calderoli, arrivato sul tavolo del consiglio dei ministri è un disegno, che deriva dalla riforma del titolo V della costituzione del 2001 in base a cui le regioni possono chiedere allo stato competenza esclusiva su 23 materie di politiche pubbliche e insieme alle competenze le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, senza più distribuirlo su base nazionale a seconda delle necessità collettive e senza ripartizione del debito pubblico comune e collettivo – ha ricordato Pantani , elencando le importanti che materie comprendono i rapporti internazionali e con la Ue, il lavoro, l’istruzione, la salute, i porti, gli aeroporti, le reti di comunicazione, la energia, la previdenza,il sistema tributario, la finanza pubblica, la cultura, l’ambiente, la ricerca scientifica gli enti di credito fondiario e agrario, le casse di risparmio ed altro, particolarmente connotante la coesione e l’unità del Paese.”
“Penso che anche se forse non è sufficiente, ma facendo la sua parte anche per la raccolta delle firme abbiamo un cimento, abbiamo un’opportunità” – ha esortato Pantani, rilevando che “se la prima definizione che vedo è che manca quella testa quel cuore quel coraggio nei giovani e che è presente un pessimismo che non ha ragione di esistere, se si combatte, come ognuno di noi sa, si può raggiungere l’obiettivo. Diamo una mano alla raccolta di firme per la proposta di legge d’iniziativa popolare.”
“Credo che bisogna – ha aggiunto Pantani a sostegno della Proposta di legge di iniziativa popolare – porre l’accento sulle conseguenze dirette di una battaglia, una rivolta come diceva il professore emerito della Federico secondo in diritto costituzionale Massimo Villone. Fare una rivolta civile contro un atteggiamento del Governo che spacca il Paese.” “Non è possibile – ha specificato- dare 23 competenze, tra le quali quelle strategiche, come i rapporti con l’Unione europea, i rapporti internazionali e persino la Protezione civile. E’ una cosa incredibile. Pochi giorni fa abbiamo avuto un terremoto in Molise. Come è possibile immaginare venti 21 protezioni civili, ognuna autonoma in un territorio così disastrato? Un disastro idrogeologico il disastro ovviamente di natura anche della natura del terreno per forza di cose soprattutto nel Meridione, argilloso franoso e a rischio sismico ad elevata potenza. Spero che l’iniziativa di raccogliere le firme vada avanti, oltre che con l’iniziativa delle firme che il Coordinamento per la difesa della democrazia costituzionale sta facendo, anche facendo la raccolta delle delibere consiliari dei Comuni in modo tale da utilizzare come leva di volontà popolare le deliberazioni Comunali, come hanno fatto il Comune di Benevento e il Comune di Napoli, in modo tale da manifestare la volontà popolare totalmente contraria a questi decreti che escludono il Parlamento e dividono il Paese.”
“Abbiamo anche avuto – ha ricordato concludendo Pantani – la nomina del Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni, 60 persone, tra le quali anche nomi importanti come l’ex preside della Federico II, Trombetti un matematico. Quindi la logica ferrea dei numeri prestato un’operazione verticistica, antiparlamentare e anticostituzionale. Sabino Cassese, persona di grande anima meridionalista che si presta a un’iniziativa così strumentale. Occorre una rivolta civile, democratica e ovviamente che esprima questa volontà popolare per i gravi rischi che corre l’Unità del Paese.”
“Regionalismo differenziato e principio di uguaglianza”: il tema è quanto mai attuale, non è una discussione accademica, si sta operando nella carne viva del Paese, facendolo a pezzi. Il rischio è quello di alimentare le spaccature che già dividono l’Italia, che ancora in qualche modo tiene, se tiene la Costituzione.
L’Anpi di Messina non si tira indietro rispetto alla discussione in corso a livello nazionale: ha invitato quindi il prof. Gaetano Silvestri, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, a proporre il proprio contributo sul tema. L’appuntamento è per venerdì 14 aprile alle ore 17 nel Salone delle Bandiere del Comune di Messina.
Di Gaetano Silvestri, già Rettore dell’Ateneo messinese, si può dire quanto si scrisse del suo maestro, Temistocle Martines: una vita a difesa della Costituzione. Una scelta quindi di altissimo profilo quella fatta dall’Associazione dei partigiani di Messina, sottolineata anche dalla partecipazione all’incontro di Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale dell’Anpi.
Nell’occasione Pagliarulo, oltre a intervenire anche lui sul tema del regionalismo differenziato, consegnerà al prof. Silvestri la tessera onoraria dell’Anpi.
Anche a Messina dunque si sta lavorando tenacemente per contrastare un pericolo per l’Italia intera: il regionalismo differenziato farebbe ritirare lo Stato da settori strategici; alla fine si possono prevedere conseguenze gravi non solo per i diritti dei cittadini italiani, ma persino sulla competitività dell’intero Paese, aree “ricche” comprese. Il pasticcio della cosiddetta riforma del regionalismo differenziato finora è stato attutito dalla Corte Costituzionale, cui comunque non mancherà il lavoro man mano che il progetto di legge del governo Meloni-Salvini-Tajani procederà. Un importante contributo al lavoro della Corte intanto arriverà da Messina.
Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia Comitato provincia di Messina Comunicato stampa 12 aprile 2023
La parola “Africa” evoca nella mente di molti di noi, racconti, film e foto di guerra, di carestia e povertà, ma la realtà odierna è nettamente diversa rispetto a quanto la maggior parte delle persone possa immaginare. L’Africa odierna è relativamente stabile e vanta un alto tasso di crescita che ha attirato prima miliardi di dollari di investimenti asiatici e successivamente occidentali (Figura 1).
Nel contesto della nuova guerra fredda tra il mondo unipolare e multipolare, l’Africa assume un’importanza primaria come campo di battaglia inevitabile.
La via della Seta (lanciata dalla Cina nel 2013 come «One Belt, One Road» o «Belt and Road Initiative») ha avviato le sue iniziative in Africa a partire dai paesi bagnati dall’Oceano Indiano e dal Mar Rosso per poi estenderle al Mediterraneo e ai paesi centro africani. La Cina non è interessata soltanto alle materie prime africane, ma è più interessata ad avere partner regionali che abbiano la possibilità di costruire economie sostenibili, che potrebbero diventare un affidabile mercato di consumatori di prodotti cinesi. Inoltre, la Cina vuole anche spostare in Africa parte della propria produzione nazionale in quanto i salari africani sono molto bassi e probabilmente rimarranno tali per i prossimi decenni. È assolutamente imperativo per la Cina acquisire il controllo dei mercati africani più fiorenti, al fine di alimentare per i prossimi decenni la propria crescita interna.
Questa prospettiva è in grado di cambiare gli attuali equilibri e potrebbe essere contraria agli interessi di USA, Europa, India e Giappone.
I paesi africani, autonomamente, a partire dalla fine dell’epoca coloniale hanno sentito l’esigenza di costruire strade, ferrovie, porti e aeroporti indispensabili per lo sviluppo economico e sociale interafricano e la formazione di una nuova collettività continentale, ribaltando la logica coloniale che prevedeva la realizzazione di strade e ferrovie solo tra le aree interne (miniere, foreste, ecc.) e i porti più vicini.
A partire dagli anni Sessanta furono predisposti i primi piani per la infrastrutturazione globale dell’Africa.
Il 1º luglio 1971 Robert K. A. Gardiner, segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (UNECA), istituì il Trans-African Highway Bureau per supervisionare lo sviluppo di una rete stradale continentale.
La rete autostradale trans-africana comprende progetti stradali sviluppati dalla Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (UNECA), dalla Banca africana di sviluppo (ADB) e dall’Unione africana in collaborazione con le comunità internazionali regionali. La lunghezza totale delle nove autostrade della Trans-African Highway ( https://en.wikipedia.org/wiki/Trans-African_Highway_network ) è di 56.683 km (Figura 2).
Lo sviluppo della rete trans-africana è avvenuto durante i periodi di pace e stabilità, mentre dove si sono verificati conflitti la rete ha subito distruzioni e ricostruzioni. Inoltre, l’instabilità economica ha influenzato la manutenzione delle autostrade asfaltate. La Trans-African Highways è costituita da nove autostrade, di cui sei percorsi est-ovest e tre nord-sud (Trans African Highway That Will Boost Africa’s Economy https://www.youtube.com/watch?v=VYLN2XT1xN0 ).
Nel 2013, l’Unione africana (UA) ha approvato l’Agenda 2063, un programma di sviluppo cinquantennale che include la creazione di una zona continentale di libero scambio (African Continental Free Trade Area: AfCFTA https://en.wikipedia.org/wiki/African_Continental_Free_Trade_Area ), un passaporto comune africano, la fine dei conflitti armati, un forum economico annuale, sviluppare soluzioni logistiche adattate alle megalopoli africane del XXI secolo, un programma spaziale, un Grande Museo africano, l’istituzione di università elettroniche e una rete ferroviaria ad alta velocità a livello continentale (The African Integrated High Speed Railway Network https://www.youtube.com/watch?v=rC0wH70o4Is ).
L’Africa ha attualmente la più bassa densità ferroviaria di tutti i continenti abitati, con 16 paesi africani privi di ferrovie, specialmente nell’Africa centrale (Figura 3).
L’UA ha firmato un memorandum d’intesa con la Cina nel 2014 per lo sviluppo di 30-50 anni del sistema ferroviario continentale, che collega tutte le capitali dell’Africa continentale utilizzando la moderna tecnologia ferroviaria. Per facilitare la circolazione dei treni l’UA ha stabilito che la nuova rete dovrà utilizzare lo scartamento standard da 1445 mm. L’obiettivo di una rete ferroviaria ad alta velocità è facilitare il commercio intra-africano e ridurre i costi di spedizione. La tempistica iniziale per il 2022 prevedeva il completamento del 100% del lavoro preparatorio, ma attualmente solo il 12,3% della rete è stato studiato, in gran parte a causa di vincoli di finanziamento. Non è stato ancora specificato quali linee ferroviarie opereranno a 330 km/h, 250 km/h e 160 km/h. L’UA ha stabilito che la Rete ferroviaria integrata ad alta velocità africana dovrà essere pianificata entro il 2043, come parte della Vision 2063.
Il Masterplan 2033 prevede la costruzione in Africa di 35.828 km di nuove linee ferroviarie. Entro il 2033 dovrebbero essere collegati ai porti marittimi sedici paesi senza sbocco sul mare, realizzate interconnessioni tra diverse regioni e completati alcuni corridoi trans africani. Il Master Plan 2043 amplierà questa rete per collegare tramite la nuova rete ferroviaria tutte le capitali politiche ed economiche dell’Africa (Figura 4).
La risposta Ue alla Bri, nel timore degli europei di esser messi sempre più in ombra dal gigante cinese (ad oggi Pechino ha investito 885 miliardi di dollari in infrastrutture nel mondo), si chiama «Global Gateway», che prevede 300 miliardi di investimenti, per lo più con garanzie pubbliche e investimenti privati per realizzare opere pubbliche e difendere i valori democratici nei paesi meno sviluppati di tutti i continenti ( https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/global-gateway-alla-prova-dei-fatti-112441 ).
L’Europa osserva inquieta, anche perché, commenta un diplomatico Ue, «il messaggio dei cinesi è che si possono avere investimenti e infrastrutture anche senza doversi preoccupare di cose come la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani». «Le democrazie – si legge invece nell’incipit della comunicazione sul Global Gateway – e i valori che le sostengono devono dimostrare la loro capacità di rispondere alle sfide globali di oggi. Devono avere la capacità e l’ambizione necessarie per migliorare le vite delle persone in giro per il mondo».
C’è anche una questione più strettamente economica: uscire dalla logica del classico aiuto allo sviluppo, alla ricerca di un percorso a doppio senso: aiutare sì i Paesi più poveri a cercare la prosperità, ma anche far sì che questo aiuto abbia un risvolto economico positivo per l’Europa. «È una svolta senza precedenti», dice un alto diplomatico Ue. Certamente, è una sfida epocale.
A chiedere alla Commissione un’alternativa europea alla Bri cinese sono stati, nel 2021, gli Stati membri. Il primo dicembre di quell’anno, la presidente Ursula von der Leyen ha presentato il Global Gateway. «Il modello europeo – ha detto – è sostenere investimenti nel digitale, nel clima e nell’energia, nei trasporti, nella sanità, nell’istruzione e la ricerca, in un quadro favorevole che garantisca parità di opportunità. Sosterremo investimenti intelligenti in infrastrutture di qualità, rispettando i più elevati standard sociali e ambientali, in linea con i valori democratici della Ue e gli standard e le norme internazionali».
La Commissione Europea promette in totale almeno 300 miliardi di euro di investimenti (di cui circa 150 miliardi per l’Africa), ma a tale cifra si può arrivare solo invogliando i privati ad investire. Complessivamente, si parla di circa 40 miliardi di euro di soldi pubblici messi a disposizione soprattutto in termini di garanzie per facilitare gli investimenti. Non sono soldi nuovi, ma già parte del bilancio pluriennale 2021-27 – anche questo un punto che ha suscitato alcune critiche. Relativamente ai progetti, non si parla tanto di strade, ponti, dighe e fabbriche come sta facendo la Cina, ma di altre priorità, che sono:
la transizione digitale, con la creazione di reti e infrastrutture;
connettività energetica in vista della transizione verde;
reti di trasporto «intelligenti, resilienti, inclusive e sicure»;
la sanità, come la sicurezza delle catene di approvvigionamento dei farmaci (problema esploso con la pandemia del Covid-19)
lo sviluppo di produzione locale, ad esempio di vaccini;
rilancio di «formazione di qualità».
La Ue chiede ai Paesi interessati di rispettare una serie di principi chiave per poter accedere a questi prestiti agevolati: valori democratici e rispetto dello stato di diritto, trasparenza, responsabilità chiare, sostenibilità finanziaria. Ovviamente i governi con chiare tendenze autoritarie preferiscono i soldi offerti da Pechino che non richiedono questo tipo di condizioni, però i prestiti cinesi sono spesso un capestro per i Paesi meno sviluppati non in grado di ripagarli e quindi costretti a svendere a Pechino infrastrutture importanti.
Tra i progetti europei, c’è ad esempio la posa del cavo sottomarino di fibra ottica “Medusa” di 8.500 km che collegherà direttamente l’Europa meridionale (Italia, Portogallo, Spagna e Grecia) con il Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto) per più veloci connessioni Internet. Prevista anche la posa di un cavo sottomarino di interconnessione elettrica ad alto voltaggio tra Tunisia e Italia. Restando in Africa, si possono citare progetti come la costruzione del grande impianto idroelettrico RuziIII per fornire energia a Congo, Ruanda e Burundi. O ancora la costruzione di impianti fotovoltaici in Niger, Costa d’Avorio, Benin, Namibia.
Conclusioni
La realizzazione di strade, ferrovie, porti e aeroporti sostenuta dal continuo aumento della popolazione africana (Tabella 1), della sua mobilità e dallo sviluppo della zona continentale africana di libero scambio (AfCFTA https://en.wikipedia.org/wiki/African_Continental_Free_Trade_Area ), che comprende la maggior parte dell’Africa, nonostante le inevitabili situazioni di crisi, determinerà un forte sviluppo economico e sociale in tutto il continente, che ribalterà gli attuali equilibri internazionali.
Le iniziative africane insieme a quelle cinesi, europee e più in generale del mondo globalizzato, determineranno un cambiamento inarrestabile molto diverso dagli stereotipi che ci vengono continuamente presentati dai media mainstream. Con il graduale raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’Agenda 2063 dell’Unione africana e degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU ( https://asvis.it/public/asvis2/files/Pubblicazioni/Fatti_%26_Cifre_2020.pdf ), il cambiamento sarà molto grande ed è con tale realtà che dobbiamo iniziare a confrontarci anche per renderci conto che il futuro sarà molto diverso non solo dal presente, ma soprattutto dal passato.
“Senza un Sud Italia che cresce in maniera forte non riusciamo a equilibrare il rapporto tra debito pubblico e pil. E se non regge l’Italia non regge l’Europa, per questo bisogna fermare la riforma dell’autonomia differenziata”. Lo ha detto Antonio #DAmato , presidente della Fondazione Mezzogiorno che, insieme all’Unione Industriali di Napoli, ha organizzato una riflessione sul tema “L’Italia al bivio tra Riforma dello Stato e Autonomia differenziata”.
“Bisogna – ha detto D’Amato – ridefinire cosa decidere al centro del Paese e cosa nella periferia e come farlo al meglio. Per questo dico che questa ipotesi di riforma di autonomia è sbagliata, perché richiama gli errori fatti con la riforma del titolo V della Costituzione fatta a colpi di pochi voti nel 2001 e che ha paralizzato la burocrazia nazionale, i cui effetti li vediamo anche oggi sul Pnrr in Regioni e Comuni. Serve una svolta per rendere l’Italia competitiva e forte in Europa, serve una bicamerale che metta tutto l’assetto di riforma della Costituzione al centro delle attività del Parlamento, che possa riflettere e soprattutto riformare tutto quello che non ha funzionato nella nostra crescita del Paese. Sulla Costituzione serve un ragionamento serio, invece c’è chi per rispetto del testo non vuole fare niente ma poi con colpi di spallate la strattona come più gli conviene”.
“L’ipotesi di riforma in campo rischia di allargare il gap del Sud col resto del Paese e dell’Europa – ha dichiarato Costanzo #JannottiPecci, Presidente Unione Industriali Napoli. Non si possono istituzionalizzare tante Italie diverse, bisogna impegnarsi per ridurre le distanze. Anche per il Pnrr non si può pensare una nuova forma di emigrazione, quella dei capitali. Se i sistemi territoriali non sono in grado di fare la loro parte, il Governo ha il dovere di centralizzare la gestione delle risorse, attuando un vero processo di partenariato pubblico-privato.”
Tra gli interventi: il senatore Marcello Pera intervistato dal Direttore de Il Mattino, Francesco De Core, dal Direttore del Corriere del Mezzogiorno, Enzo D’Errico e dal Direttore di Repubblica Napoli, Ottavio Ragone. E ancora: Giuseppe Pisauro, Ordinario di Scienza delle Finanze alla Sapienza di Roma, già Presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio; Massimo Bordignon, Direttore Dipartimento Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano, componente European Fiscal Board; Sandro Staiano, Direttore Dipartimento Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli, Presidente dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti Ha moderato i lavori: Marco Esposito (giornalista de Il Mattino).