
Insuperabile Émile
di Gio Bonaventura
Entrando in casa, è stata questa l’espressione pronunciata quasi all’unanimità: «Siamo meravigliosamente, incredibilmente, incantate». È l’effetto che ha sempre fatto anche a me questa scatola magica. Un incanto accentuato dal silenzio, perché i fruscii delle piante, gli sgocciolii della fontana, gli scalpiccii sul ghiaietto dell’esterno, sembrano essere svaporati. Persino Eulalie e Alizée, pur essendo già venute con Marcel almeno un paio di volte, non hanno potuto sottrarsi dal rimanere ammaliate. È ciò che desideravo, perché in ogni buona architettura occorrerebbe percepire il ruolo delle emozioni. Il nostro compito di progettisti è comprendere come proporzioni, forme, colori, agiranno sui sensi di chi l’osserverà. E poi cogliere e raggruppare tali emozioni, per comporre insiemi armoniosi e perfetti. Evidentemente Émile ha saputo farlo. Insuperabile Émile.
Procediamo con metodo ed esaminiamo, stanza per stanza, la suddivisione dello spazio. La stessa che Émile descriveva nella sua relazione di progetto. «Commençons par le plan du rez-de-chaussée: la pièce principale est le salon, le lieu de réunion de la famille». E aggiungeva: la destinazione d’uso impone proporzioni più che superfici astratte. Al piano terra si colloca il salone di ricevimento, identificato come il cuore pulsante della casa. A metà Ottocento il salone non era una stanza qualunque, ma un luogo pensato per ospitare incontri e conversazioni, per dare forma visibile a una vera e propria “rappresentazione” della famiglia agli occhi dei propri ospiti. Per una così importante funzione sociale, le dimensioni sono essenziali. Émile calcola cinque metri e mezzo in larghezza e otto in lunghezza. Sono dimensioni consistenti – oggi inimmaginabili – necessarie per conferire a questo spazio la solennità e l’agio al tempo richiesti. Il disegno del salone è, dunque, il punto di partenza del nostro progetto. Intorno ruoteranno tutti gli altri ambienti, a cominciare da un lato la sala da pranzo e dall’altro la sala da biliardo.
Noi siamo appena entrati nel vestibolo e il salone appare subito come il punto di fuga prospettico sul quale converge lo sguardo. Sullo sfondo del salone, il baywindow completa questa sorta di scenografia teatrale, che attraverso le sue vetrate policrome illumina e vivacizza l’ambiente. I disegni del parquet e del controsoffitto in legno invitano a oltrepassare il portale sagomato. Un’apertura senza porta, come sono anche i due portali che mettono in comunicazione il salone con la sala da pranzo e la sala da biliardo. Le altre porte del vestibolo non si notano neppure, inglobate come sono nel disegno della boiserie. Sono tre porte di servizio, che in prevalenza rimangono quasi sempre chiuse. In questo vestibolo non si sosta. Questo vestibolo si attraversa. Rappresenta un filtro tra lo spazio fiorito esterno e lo spazio fiorito interno. Fiorito in senso allusivo, grazie alle decorazioni tessili delle pareti che intravvediamo in prospettiva. Anche il corrimano in legno dello scalone sulla destra, che sale al piano privato, richiama i motivi floreali del portale d’ingresso al salone.
Negli occhi di Lilli leggo la curiosità di sapere dove conducano le tre porte chiuse. La conosco fin troppo bene. A destra si accede, attraverso un breve corridoio, ai servizi di cucina. A sinistra del vestibolo, invece, si entra in un disimpegno, ingresso alternativo alla sala da bigliardo. Émile ha escogitato questa soluzione per evitare di raggiungere il suo studio privato in modo troppo diretto per chi entra in casa. Pur rimanendo nelle vicinanze dell’ingresso, preferisce la riservatezza. Questo studio è il suo pensatoio, il luogo dove elabora idee, dove legge o conversa affabilmente. Nondimeno, quando ci sono serate d’intrattenimento, lo studio diviene il luogo dove gli uomini si ritirano a fumare, bere e scambiare opinioni. Il disimpegno è affiancato dal guardaroba. Gli ospiti che arrivano dall’esterno vi lasciano cappotto e cappello e, se piove, anche l’ombrello.
Come ho già detto, la destinazione d’uso – ossia ricevere, pranzare, giocare, leggere, fumare – impone proporzioni più che superfici astratte. Nell’architettura moderna potremmo fare affidamento sui principi teorici della Gestalt. Eulalie e Alizée sanno bene che la psicologia della forma ha influenzato dagli anni Venti del secolo scorso la nostra progettazione. Da queste analisi sappiamo che la mente percepisce gli spazi sotto forma geometrica e la più semplice è il quadrato. Qualunque ambiente, dove sostiamo, potrebbe teoricamente accogliere la simmetria di un quadrato. Come si può vedere è tendente al quadrato lo spazio del vestibolo. Diversamente, non sono quadrati gli spazi di relazione. Sono rettangolari, e il motivo è lo stesso Émile che lo spiega. Un piccolo salotto – scrive nella sua relazione – può essere quadrato, ma la sala da pranzo no, perché dovrà contenere dieci o più convitati. Per questo la necessità impone una forma allungata. La sala non si allarga, ma si prolunga, come usualmente si fa con la tavola per il pranzo, che prevede dei piani aggiuntivi, per soddisfare il numero di posti a sedere.
Per importanza e funzione, la sala da pranzo segue il salone, perché proprio dal salone richiede accesso diretto. Soprattutto in una casa di campagna, dove le funzioni degli spazi sono articolate all’essenziale. Sarà a destra? Sarà a sinistra? La scelta non è mai arbitraria, ma dipende dall’orientamento, dalla luce, dalla vista sul paesaggio. Tuttavia, ciò che conta più di tutto è la sua relazione con la cucina, ma di questo ci occuperemo più tardi, perché dobbiamo ancora soffermarci su altri aspetti importanti di questa casa.
L’intero contesto, lo sappiamo bene, impone un attento esame del terreno, dell’orientamento e della migliore visuale esterna. Nel caso in questione, l’esposizione a nord-ovest risultava poco felice: sarebbe stata sfavorita in quanto a luce e la veduta era poco gradita. Il salotto, dunque, è stato disposto da Émile volto a sud-est. Alla sua destra trova posto la sala da pranzo in relazione con la cucina, esposta invece a nord. Ma non è possibile limitarsi solo a questo.
Occorre pensare ai rapporti tra gli ambienti: accessibilità, simmetria, armonia dei percorsi. È necessario che il passaggio dal salotto alla sala da pranzo e alla sala da biliardo avvenga con naturalezza, poiché tutte e tre le stanze sono luoghi deputati alla riunione, alla socialità e alla circolazione dei familiari e degli ospiti. La comunicazione interna, quindi, non deve mai interrompere la continuità tra questi spazi, ma facilitarla, consentendo al movimento delle persone di svolgersi senza ostacoli, in modo fluido e discreto. Occorre, al contempo, garantire percorsi alternativi: tanto dalla sala da pranzo quanto dalla sala da biliardo si dovrà poter accedere al vestibolo senza dover necessariamente passare per il salotto. Già, perché, a tal proposito, in questa casa era prevista anche una sala per il biliardo, che fungeva da contrappunto alla sala da pranzo. Anche in questo caso c’era un tavolo, ma per giocare. Da questa sala si può entrare nello studio, che come abbiamo visto, attraverso il disimpegno dal vestibolo presenta un accesso di servizio ugualmente agevole e riservato.
Dalla sala per il biliardo era desiderabile aprire lo spazio visuale sul giardino, che si dipana intorno alla casa: uno spazio dove sostare in caso di maltempo. Tuttavia, com’era d’uso nella progettazione d’epoca, nell’angolo tra il salotto e il biliardo, Émile ha realizzato una serra a vetri con scala interna. Questa struttura, luminosa e protetta, permette di scendere comodamente in giardino, anche con tempo avverso, offrendo al contempo un luogo accogliente dove prendere il caffè tra fiori, arbusti e piante esotiche, disposti lungo la parete vetrata. La luce ne esce moltiplicata, vivificando la sala senza offuscarla.
Non a caso il tema della luce è sempre considerato con particolare attenzione. Posizionando la sala da pranzo e la sala da biliardo lungo i lati più lunghi del salone di ricevimento, quest’ultimo risultava rischiarato soltanto da una delle pareti minori, perché sul fronte opposto c’è il vestibolo dal quale siamo entrati. Il salone rischiava, perciò, di diventare una stanza grigia, malinconica, chiusa su sé stessa, con un’unica veduta sulla campagna. La soluzione adottata da Émile è stata disporre sala da pranzo e sala da biliardo in modo perpendicolare rispetto al salone, lasciando che quest’ultimo nella sua parte finale sporgesse in tre direzioni differenti rispetto al filo fisso del prospetto e fruendo della migliore esposizione. Adotta per questo motivo un baywindow proteso verso l’esterno, aumenta la superfice del salone e lo illumina ampiamente.
Così organizzato, lo spazio del piano terra guadagna respiro, luce e coerenza distributiva, conseguendo un equilibrio che coniuga eleganza e funzionalità. A ciascuna delle stanze principali – salone, sala da pranzo, sala da biliardo – sono assegnate dimensioni generose: sette metri in lunghezza, cinque metri e mezzo in larghezza. Completano la composizione e arricchiscono lo spazio i baywindow, ovvero le tre logge chiuse, che creano un’atmosfera accogliente. >>> Segue >>>
Maison de campagne – 9
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