
Musica d’arredamento
di Gio Bonaventura
Siamo all’aeroporto in attesa del volo per Berlino. Lilli ha avuto l’idea di passare il fine settimana da nostro figlio, prima di rientrare a casa. Abbiamo vissuto intensamente questi giorni a Parigi. Sono stato di nuovo a Creil con le ragazze, un paio di volte, e abbiamo imbastito un soddisfacente programma di lavoro da svolgere separatamente a distanza. Infine, ieri pomeriggio Marcel e Anaïs ci hanno fatto visitare la casa che ci offrono per soggiornare a Parigi ogni qualvolta verremo per seguire il progetto. Si trova nel 14° arrondissement, sulla “rive gauche”, cioè a sud della Senna. È descritta in tutte le guide come la riva degli intellettuali, ovvero dei professori e degli studenti universitari che frequentano la Sorbona, ma anche degli artisti, degli scrittori, dei musicisti. Già prima della Grande Guerra molti fra questi lasciarono Montmartre per Montparnasse alla ricerca di affitti più bassi e d’ispirazione nei caffè e nei bistrot. Mi viene da pensare che tutto questo potrebbe sembrare uno stereotipo, ma non lo è affatto.
La casa di Marcel è, quanto meno, lontano dalla confusione della massa di turisti attratti dai luoghi che hanno visto la presenza di personaggi famosi come Francis Picabia, Giorgio de Chirico, Amedeo Modigliani, Rainer Maria Rilke, Marcel Duchamp, Paul Verlaine, Ernest Hemingway, Scott Fitzgerald, Samuel Beckett, Man Ray autore della famosissima foto a Kiki la regina di Montparnasse. Chi più ne ha, più ne metta. Il Quartier du Petit-Montrouge dove la casa è situata, pur insistendo nello stesso 14° arrondissement di Montparnasse, si trova più a sud, quasi confinante col comune d’origine, Montrouge, di cui faceva parte fino al 1860 quando i confini di Parigi furono estesi alle mura di Thiers.
«Conosci il quadro di Manet “Effetto neve a Petit-Montrouge”? – mi chiede Marcel, mentre in auto cerca di darmi qualche ragguaglio sul quartiere – Restituisce l’immagine del paese com’era nello stesso periodo in cui fu costruita la casa di Creil. All’epoca era un centro agricolo e solo dopo l’urbanizzazione divenne un sobborgo di operai. Manet lo dipinse nel 1870 mentre prestava servizio nella Guardia Nazionale durante l’assedio di Parigi. Un anno terribile. Con la sconfitta di Sedan, l’esercito dei prussiani e dei loro alleati invase la Francia settentrionale e arrivò ad accerchiare la città. Montrouge, riconoscibile dal campanile della chiesa di Saint-Pierre, sembra affacciarsi su di un mare in tempesta, un mare chiaramente inesistente, presente solo nell’animo dei parigini che ormai avevano perso ogni speranza. L’effetto di questo mare di neve occupa tutta la metà inferiore del dipinto».
Oggi il quartiere è ormai una commistione di palazzoni ottocenteschi e moderni, che fanno da quinta a strade trafficate, costeggiate da ampi marciapiedi. Panetterie, fioristi, enoteche, boutique e bistrot, dove gli abitanti s’incontrano o fanno acquisti. Ci sono, però, angoli suggestivi e tranquilli, ritagliati nel verde incontaminato, come quelli che qui chiamano “les villas”. Una di queste villette appartiene a Marcel. Si entra dal cancello principale e s’imbocca un vicolo cieco dal quale si accede alle singole proprietà. La stradina acciottolata si snoda attraverso una ricca fioritura di glicini, malvarose, ortensie.
«Puoi credere di trovarti distante dal centro – continua Marcel in questa sua descrizione che lascia trasparire una velata partecipazione affettiva – A due passi c’è il metrò. La linea 4 attraversa il cuore di Parigi. È stata la prima linea a collegare la riva destra con la riva sinistra attraverso un tunnel sotto la Senna. Tra il 1905 e il 1907 richiese lavori spettacolari».
Quando, poco prima delle nozze, Marcel e Anaïs acquistarono la villetta per abitarla, l’originaria struttura non era mai stata risistemata dalla sua costruzione: la moquette marcita, la boiserie tarlata, le pareti divisorie in legno e gesso oramai traballanti. Ogni abitazione era rimasta com’era, ricorda Marcel. Dietro la vecchia carta da parati a fiori scoprirono armadi a muro del tutto meritevoli di essere di nuovo utilizzati. Prima di venirci definitivamente a vivere ai due giovani, quindi, toccò di far risanare e riparare ambiente per ambiente. Infine, dovettero provvedere all’arredamento. Per oltre tre mesi fu un continuo va’ e vieni di idraulici ed elettricisti, muratori, stuccatori, imbianchini e pittori, di falegnami e parchettisti. Senza parlare del carico e scarico di mobili, di pacchi, di libri. Sì, perché Marcel s’era portata l’intera libreria personale che aveva nella casa dei genitori.
Non appena si varca la soglia si respira un’atmosfera d’intimità, tanto da avvertire la sensazione che i proprietari siano usciti poco fa, giusto il tempo per accoglierci al cancello grande. «Amiamo la nostra casa, ci apparteniamo. Molte persone – persone indifferenti o distratte o grossolane – non lo sanno: le case spesso sono piene d’amore. Io ci vengo quando non so a chi raccontarlo questo amore, quando sento che nessuno saprebbe condividerlo con me. Ricordo qui i primi anni di matrimonio con Anaïs, questa donna meravigliosa con la quale vorrei trascorrere tutta la vita. Ricordo le iniziali ristrettezze economiche, perché abbiamo di comune accordo escluso l’aiuto delle nostre famiglie. Immaginare qui il futuro da congegnare insieme valeva di più che vedersi servire croquembouche e pièce montée».
L’ambiente più suggestivo della casa è senz’altro il soggiorno, il luogo accogliente e familiare dei numerosi incontri fra amici. Un ambiente luminoso, dove ha sede un’immensa libreria ricolma di volumi rilegati, enciclopedie e vocabolari, collezioni letterarie. Tutto perfettamente allineato e niente fuori posto. Nel soggiorno dominano incontrastate la poltroncina e la scrivania, due oggetti di design site-specific, realizzati da un amico artista proprio per essere “esposti qui”, in questa stanza, più che adoperati.
Lilli e Anaïs si sono eclissate in cucina. Poco dopo ricompaiono l’una con un vassoio di bicchieri e ciotoline di olive e cubetti di Roquefort e paté. Mentre l’altra si appresta a servire con grazia l’immancabile Pastis. Dosando l’aperitivo nella giusta miscela di acqua fresca e cubetti di ghiaccio fa notare che manca un pizzico d’atmosfera avvolgente. Marcel, per averne parlato in varie occasioni, conosce i miei gusti musicali e li condivide. Perciò, di Erik Satie sceglie la terza delle Gymnopédie.
«Quando vengo qui da solo – ci dice tornando a sedersi – a volte perdo la presa sul mondo, chiudo gli occhi, immagino Satie al suo pianoforte, con i deboli suoni in sottofondo che provengono dalla finestra aperta. È come se i tre pezzi della composizione musicale accompagnassero la vita di un uomo. Nella terza delle Gymnopédie quell’uomo ha mia età, si è posto tutte le sue domande, e ora è finalmente capace di rispondersi».
Una coppia eccezionale, quella di Marcel e Anaïs, che sa mettere gli ospiti a proprio agio. Un brano musicale di esile bellezza, etereo. Satie osteggiato perché rompe con le convenzioni accademiche sarà con gli anni riconosciuto come un precursore della musica d’ambiente. Riconosciuto da chi? Da chi di musica conosce poco o niente e non sa capire neppure le provocazioni. Sarà Satie stesso a utilizzare l’espressione “Musica d’arredamento” per descrivere quel tipo di composizioni commerciali pensate per adattarsi all’ambiente, senza imporsi all’ascolto. L’abitudine, l’uso – commenta il compositore – vogliono che si faccia musica in circostanze con le quali la musica non ha niente a che vedere. La “Musique d’Ameublement” crea una vibrazione; non ha altro scopo. Ha la stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme. È da osservare come questa sua ironia sottile Satie la imponga sin dal titolo dei singoli brani. Basti pensare a “Tapisserie en fer forgé”, tappezzeria in ferro forgiato. Satie anticipava persino certi pasticci come quello che avrebbe scorto nella casa-galleria di Alizée dell’altra sera. L’arte è un’altra cosa.
«La Musique d’ameublement, comparve molto prima d’allora – aggiunge divertito Marcel – Queste composizioni nascono dalla travagliata situazione personale di Satie con la sua ostinata amante, Suzanne Valadon. Fu allora che compose un pezzo come Vexations di due soli pentagrammi, estremamente monotoni e ripetitivi. Come la loro vita sentimentale, evidentemente. A conclusione del pezzo, che intitola “tema”, annota un’osservazione per il pianista che lo eseguirà: “Per suonare questo motivo 840 volte di seguito, sarà bene prepararsi in anticipo e nel massimo silenzio, con seria compostezza”. Satie è caustico. Ce l’ha contro le composizioni senza identità, contro chi ama marce, polke, tanghi, gavotte. “Niente più feste matrimoniali – scrive – senza “Musique d’Ameublement”. Disertate, gente, le case che non adottano la “Musique d’Ameublement”, perché chi non l’ha mai ascoltata ignora la vera felicità. Non assopitevi senza ascoltare un brano di “Musique d’Ameublement”, se volete dormire sonni tranquilli».
L’ilarità si è diffusa nella stanza, ma quanto sta dicendo Marcel, citando Satie, dovrebbe fare riflettere sul modo più opportuno di praticare l’arte. Alla fine, concludiamo citando Siegfried Lenz dal suo romanzo Lezione di tedesco: “Inizierai a vedere correttamente solo quando inizierai a creare ciò che devi vedere” e che, invece, finora hai preferito ignorare. Lenz si rivolgeva a Emil Nolde, ma potrebbe valere per tutti, artisti o meno.
Maison de campagne – 9
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