
La casa di Creil
di Gio Bonaventura
A notte fonda ho avuto un brivido di freddo. La luce del lampione all’angolo fendeva il buio. Nel riprendere sonno ho pensato che di tutte quelle pagine di diario e lettere ho usato, all’epoca, solo un telegramma. Éléonore scriveva di avere avuto un’idea e Vivienne rispondeva non più di venti ore dopo con un altro telegramma: «Arrivés ce matin, bonne santé. Excellente idée. Rez-de-chaussée: vestibule, salon, salle à manger, office, cuisine pas dans sous-sol, billard, cabinet de travail. Premier: deux grandes chambres, deux cabinets toilette, bains; petite chambre, cabinet de toilette; lingerie, garde-robes; combles, chambres, armoires trop. Escalier pas casse-cou. Vivienne».
Che dire? Un programma fin troppo sintetico quello di Vivienne. Andava bene per Creil, ma anche per Bourges o Parigi.
Eppure, Éléonore – senza dubitare un momento che Vivienne ed Émile non avessero preso sul serio la sua grande idea – ispirandosi a quello stringato telegramma già tratteggiava con la fantasia le destinazioni d’uso della casa futura. Una casa immaginata mille e mille volte sotto l’albero di castagno: «Piano terra: vestibolo, soggiorno, sala da pranzo, ufficio, cucina non interrata, tavolo da biliardo, studio. Piano superiore: due ampie camere da letto, due wc, bagni; piccola camera da letto, bagno; biancheria intima, armadi; mansarde, camere, oppure armadi. Una scala non pericolosa». Solo che ora Éléonore sapeva bene che quella casa Vivienne l’avrebbe abitata col suo Émile. L’importante è che rimanesse vicina a lei.
Per ingannare l’attesa del ritorno, aveva raccolto una serie di ritagli dai giornali: La Mode Illustrée soprattutto, con consigli per la moda e la casa o L’Illustration con sparute incisioni d’interni. Niente di che, qualche Fond tricoté pour foauteuil o Bande en tapisserie. Insomma, ricami per mantovane e poltrone o scorci con spunti per l’arredamento. Qualche cosa era ancora conservata nella scatola che mi aveva mostrato il nonno di Marcel. Mi sono soffermato su alcuni tentativi di disegno tracciati con molte incertezze.
Quando la coppia vide la sua piccola raccolta Émile – sempre sottile e sincero com’era – non dissimulò affatto la sua ironia. «Manca solo di mettere mano all’esecuzione! Ecco il salone…il vestibolo… Non capisco troppo bene su dove poggia lo scalone, ma è un dettaglio. E le facciate? Questo è un palazzo: ha colonne e cornicioni». Non fu che il primo approccio, perché, senza offese per nessuno e molto rispetto per la fatica di Éléonore, nel dopocena, tutti riuniti in salotto difronte a un bicchiere di Calvados o di Armagnac, Émile chiarì con esperienza cosa dovesse farsi. «Dal momento che abbiamo fretta, la scelta non è molto ampia. Non possiamo pensare ad alzare una casa in pietra da taglio da cima a fondo: sarebbe troppo lungo e costoso. Occorre limitarci a un fabbricato semplice e di rapida esecuzione».
Non mancava ogni tanto di chiedere con garbo: «Sono in sintonia con le vostre idee? – e continuava spedito – «Sulla facciata Éléonore prospetta delle colonne; per farci cosa? Se formano un portico questo renderà gli appartamenti tristi e in ombra; se sono incassate nel muro, saranno una inutile decorazione. I cornicioni, poi, servono a farci passeggiare i gatti. Dal vestibolo è necessario entrare nella sala da pranzo per andare nel salone. Questo non va per niente bene. Immaginiamo di essere a tavola, mentre si presentano dei visitatori. Bisognerà pregarli di aspettare alla porta. La cucina si apre sulla sala da biliardo… Vi pare corretto? Insomma, dobbiamo lavorarci con cura».
Ho colorito un poco gli appunti dal diario di Éléonore e così continuerò nel proseguo. La sostanza, però, è che da quel momento partiva l’ideazione della casa e che quindi una casa per Vivienne ed Émile si sarebbe costruita proprio a Creil, dove desiderava Éléonore. Non a Bourges o a Parigi. Si sarebbe costruita sul poggio, in prossimità del castagno. E questo premiava il suo appassionato desiderio. >>> Segue >>>
Maison de campagne – 6
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