Sarei rimasto al tepore delle coperte: fuori ci sono sei gradi e io sono un habitué delle temperature mediterranee. Ma non possiamo lasciare attendere Eulalie e Alizée che verranno a prenderci per recarci insieme a Creil. Marcel cercherà di avvicinare sul tardi. Lilli è l’unica che non conosce la casa e io ci tengo a mostrargliela. Se non incontriamo traffico, tre quarti d’ora e siamo sul posto. Forse. Uso questo avverbio, perché la mia incertezza non è dettata tanto dal traffico, quanto perché le nostre due nuove amiche esprimono, in ogni occasione, un non so che di spumeggiante, più vicino all’esprit de finesse che al mio radicato esprit de geometrie. Io misuro tutto: per me la distanza è dettata dai chilometri. Dal nostro albergo di Courbevoie alla casa di Creil di chilometri ce ne sono una sessantina. Via autostrada non è lontano.

Il fatto è che questa mattina Eulalie e Alizée avrebbero sorpreso persino un collezionista, figurarsi noi, che di automobili non conosciamo nulla: proprio nulla. Eulalie, la fidanzata di Claude, s’è presentata alla guida di una R4 Parisienne originale del 1963. Chi fra noi non ha mai viaggiato su una Renault 4? Noi che gli anni Sessanta li abbiamo vissuti direttamente, perché all’epoca eravamo bambini. Ma quanti fra noi conoscono la versione speciale de “La Parisienne”? Eulalie, strada facendo, è stata più chiara ed esplicativa. Nel Sessantatré, su richiesta della rivista femminile “Elle”, la Renault lanciò l’operazione “Elle prend le volant”, e lo fece mettendo sul mercato un modello vezzoso destinato in prevalenza a un pubblico femminile. Verniciatura lucida, con applicazioni decorative sulle fiancate e sul portellone. Tipo “tartan”, il famoso tessuto scozzese che impazzava in quel periodo, o tipo paglia di Vienna. Quest’ultima è la versione dell’auto di Eulalie, rilucente come uno specchio, tanto da sembrare appena uscita da una Concessionaria di automobili.

Giusto il tempo di offrire la colazione a questo mio smagliante gruppo di donne, e ci siamo messi in viaggio. Abbiamo parlato della passione di Eulalie per le auto storiche, le gare, le mostre e i raduni d’epoca. Il suo interesse, quasi maniacale, per i dettagli storici di una produzione industriale recente, a conti fatti, mi rassicura sul lavoro che condurremo insieme. Alizée, questo interesse, lo condivide pienamente. C’è una storia antica che si studia a scuola, ma anche una recente come quella del Novecento. Le due ragazze sembrano amare l’una e l’altra.

In men che non si dica siamo giunti a Creil. Ci ha aperto il cancello e ci ha accolto con familiarità e cortesia Monsieur Jacques, un anziano signore che si occupa stabilmente delle riparazioni ordinarie: qualche guasto all’impianto elettrico o idraulico, saliscendi e cerniere inceppate, cura del giardino e potatura della siepe che per la sua altezza occlude alla vista la corte rustica sulla destra di chi, come noi, parcheggia nello spiazzo davanti alla casa. Con Monsieur Jacques ho scambiato qualche battuta di spirito, su come a primavera le fioriture riempiranno di colori le aiuole, per non parlare del giardino. Con il cielo coperto, oggi sembrano spenti. Per questo di prima mattina, Monsieur Jacques, visto che non poteva farlo con l’esterno, ha provveduto ravvivare quantomeno gli ambienti interni della casa, aprendoli all’aria e alla luce.

Non mi ha sorpreso lo stupore espresso da Lilli di fronte al prospetto lineare della casa. Privo di qualsiasi decorazione da sembrare quasi spoglio, se non fosse per le coperture mansardate. La casa sembra quasi un castello medievale stilizzato. Chi non ha dimestichezza con il linguaggio dell’architettura, non può afferrare pienamente la contrarietà di Émile verso colonne, paraste, lesene, modanature marcapiano e cornicioni. Nasconde qualcosa di più che non una critica senza malizia agli schizzi che Eleonore aveva loro mostrati al rientro dal viaggio di nozze. Per una casa edificata negli anni Settanta dell’Ottocento, Lilli si sarebbe aspettata di trovare nei prospetti l’espressione sontuosa del Secondo Impero, cioè quello stile pot-pourri di neobarocco e neoclassico caratterizzante lo stile Napoleone III. Qui si trova, invece, al cospetto di un poco conosciuto Revival Neogotico francese.

A lei che mi fa domande con la sua consueta grazia, rispondo con una delle mie battute tranchant: «L’Accademia aveva il fiato corto». Émile, in qualche modo, tentava di anticipare il cambiamento. L’osservazione di Lilli, però, mi offre l’occasione per chiarire – soprattutto a Eulalie e Alizée – il lavoro iniziale da me condotto venti anni fa sulla casa. Eliminare ogni superfetazione architettonica e portare allo stato pristino l’arredo delle stanze. Un modo come un altro per “fare pulizia”. Pertanto, all’interno, non troveranno mobili ornati di bronzi cesellati e dorati, usualmente ispirati agli stili Luigi XV o Luigi XVI.

Questo perché la prima regola che mi sono imposto, già d’allora, è stata rimuovere l’infinità di cose disparate, raccolte senza metodo, accostate casualmente nel corso degli anni. Anche se quelli erano anni – non bisogna avere timore di porlo in evidenza – in cui l’eclettismo dominava. Perciò, non vedranno ammassati in uno stesso ambiente un pezzo di oreficeria di Germain, un bronzo di Catlieri, una figurina rustica di Bernard Palissy, uno smalto su rame di Jean Penicaud I, un piatto di Gubbio, una pasta tenera di Sèvres, una terracotta di Clodion o una statuetta imitazione di quelle rinvenute negli scavi di Tanagra.

Salendo la scala d’accesso, preciso più di ogni altra cosa che – nel corso di questa, che intendo come una semplice visita, anziché un sopralluogo – di tutto ciò oggi non parleremo affatto. Piuttosto che sull’arredo, sarebbe mio desiderio che concentrassimo l’attenzione esclusivamente sull’articolarsi degli spazi, sulle loro relazioni. Potremo desumere una cultura di progetto ormai lontana dalla nostra. Forse troppo lontana, soprattutto dopo il percorso intrapreso nel Novecento dal movimento moderno. >>> Segue >>>