Capovolgere il concetto di confine

ANDREA PIRAINO

Il Mediterraneo costituisce uno spazio debolmente strutturato che invoca interventi di cooperazione ed interconnessione sotto ogni punto di vista: economico, sociale, politico, ecologico, culturale. Lo sviluppo delle sue popolazioni è infatti una necessità non soltanto per sé stesso ma anche per l’Europa -che conquisterebbe così una maggiore sicurezza, un controllo più sostenibile dei flussi di immigrazione e la partecipazione diretta ad un’area in crescita- e per gli Stati europei che sanno bene che dal Mediterraneo deriva il futuro dei propri rapporti con un’area strategica per la pace ed il benessere dei propri popoli. Ancora di più. La sua rinascita costituirebbe una occasione unica per invertire quello che, viceversa, sarà un declino inesorabile delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia e della Sicilia, in particolare. Insomma, senza un processo di riconsiderazione del valore strategico del bacino del Mediterraneo, è difficile pensare oggi al rilancio dell’Europa, degli Stati e delle Regioni che in esso si affacciano, registrando benefici in ordine alla lotta alla povertà, alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio ambientale, alla coesione territoriale, alla sicurezza ed, infine, anche al dramma delle migrazioni che non sono un fenomeno emergenziale ma strutturale.
Ma se così è, bisogna allora avere l’intelligenza e la lungimiranza di pensare e fare del Mediterraneo una narrazione secondo altre categorie. A partire dall’idea della costruzione di una nuova organizzazione di governo in cui i principi di sussidiarietà e di cooperazione si sostituiscano a quelli di sovranità e di autonomia invocati spesso per difendere grandi e piccoli interessi che sempre più declinano verso insostenibili privilegi. Di questa nuova prospettiva, la parola-chiave è macroregione. Termine rilanciato dall’Unione Europea nell’ambito del potenziamento della politica di coesione che con il Trattato di Lisbona del 2007 ha di fatto assunto, accanto ai profili sociale ed economico già delineati dall’Atto Unico Europeo del 1986, una nuova dimensione: quella territoriale, il cui obbiettivo di fondo è il miglior coordinamento delle istituzioni e delle risorse. Ora, se si fa un attimo mente locale a quanto appena cennato, ci si rende subito conto che l’efficacia di tale prospettiva finisce per essere definita dalla circostanza che il miglior coordinamento che essa assicura nasce dall’abbattimento e dal superamento dei confini politico-amministrativi entro cui, ad oggi, restano costretti Stati, Regioni ed Enti territoriali vari. Il che significa che la Macroregione è una forma di aggregazione dei territori non più determinata da retaggi e vincoli storici ma dalla capacità di capovolgere il concetto di confine da luogo del limite, della delimitazione, del divieto dell’oltrepassamento in sede dell’incontro, della cooperazione, dell’integrazione. Ma se questo è vero -e lo confermano le Macroregioni Baltica, Danubiana, Adriatico-Jonica ed Alpina, già costituite- le conseguenze dell’adozione di questa strategia nell’ordinamento comunitario dell’Unione non saranno limitati agli specifici obbiettivi intorno ai quali essa è stata costruita ma, pur non costituendo un nuovo soggetto istituzionale, investiranno le vecchie aggregazioni territoriali degli Stati nazionali esistenti e dimostreranno come sono proprio questi ultimi con le loro delimitazioni insuperabili ad impedire la costruzione dell’Europa comunitaria dei Padri fondatori. Non solo. Ma questa attitudine al coordinamento, alla cooperazione ed, addirittura, all’integrazione le Macroregioni la mostrerebbero ancora di più, se possibile, con riferimento agli ordinamenti regionali che in Italia, come negli altri Paesi europei, sono sottoposti ad un ‘ritorno’ di centralismo statalistico che tende ad esautorarli sia dal potere legislativo che dal potere amministrativo, mortificandoli oltre tutto con tagli finanziari sempre più pesanti.
Naturalmente qui non si vuol disconoscere che le Regioni, almeno in Italia, siano oggi diventate in larga misura centri di potere fine a sé stesso. Ciò che invece si intende sottolineare è che, se si punta ad una loro nuova configurazione nell’ambito della Repubblica, altra deve essere la pista da battere. E, precisamente, quella del riordino territoriale delle attuali venti Regioni previste dall’art. 131 della Costituzione, come peraltro segnalano le diverse proposte di leggi costituzionali presentate nella scorsa legislatura per “ridisegnare la cartina d’Italia”. Del resto, l’ipotesi di modificare le attuali Regioni per costruire un inedito sistema di Macroregioni non rappresenta altro che il riemergere di un’antica idea la cui nascita, all’indomani della seconda guerra mondiale, fu prospettata dal leader del Movimento Indipendentista Siciliano (MIS), Andrea Finocchiaro Aprile, e poi ripresa, nella prima metà degli anni settanta del secolo scorso, da un lato, da Guido Fanti, primo presidente della Regione Emilia-Romagna, e, dall’altro, da Piersanti Mattarella, allora semplice deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana. Da allora, per una quindicina di anni, la prospettiva macroregionale sembrò scomparire dall’agenda politico-istituzionale per riemergere nel 1992 con la famosa ricerca della Fondazione Agnelli, che rilanciava l’idea di macro aree geo-economiche a vocazione europeista come alternativa al regionalismo burocratico-amministrativo dell’esperienza attuata in Italia, e con la proposta federalista della Lega Nord e per essa di Gianfranco Miglio che riprendeva una sua vecchia convinzione e sosteneva una rinnovata architettura istituzionale del Paese in tre Macroregioni (o “Italie”). Per arrivare, così, ad oggi quando la riforma dell’impalcatura della Repubblica in chiave macroregionale non servirebbe soltanto a ridisegnare l’organizzazione territoriale del nostro Paese ma anche a superare i muri costituiti dai confini dei vari Paese europei e così ricomporre nuove Comunità geo-politiche di dimensione continentale. Ma come? In che modo? Attraverso una aggregazione di aree regionali omogenee per territori, storia, cultura, sensibilità politiche ed interessi socio-economici che superino le diversità di appartenenza nazionale e si collochino nella prospettiva europea. Di quella Europa politica, però, che non può che essere dei Popoli e dei Territori. Non certo degli Stati.
Evidentemente, fare questa affermazione nel bel mezzo del boom della logica intergovernativa che tende a spazzare via tutte le istanze comunitarie può sembrare temerario. Ma è proprio così. Se infatti non si accantona il pensiero centralista e tecnocratico che ha dato vita all’attuale struttura burocratica, priva di anima, per ritornare all’idea originaria di Europa, l’attuale impronta prettamente economicistica, assunta a seguito del Trattato di Maastricht, non sarà superata mai e la moneta unica sostituirà quella unità culturale, politica, sociale ed economica che dovrebbe costituire l’unica ragion d’essere dell’Unione Europea. Confermando, come si sostiene da più parti, che il processo di unificazione è un clamoroso fallimento che ha determinato un appiattimento delle culture storiche ed ha ridotto l’Europa ad una entità senza identità, scarsamente democratica e spesso incomprensibile per i suoi stessi cittadini, costretti ad assistere allo scempio dei respingimenti dei migranti chiedenti asilo da parte di Paesi che devono la loro attuale esistenza proprio alla generosa accoglienza della (vera) Comunità Europea.
Ora, se si vuole evitare questa deriva, non c’è dubbio che l’unica possibilità è quella di costruire una nuova unità politica del vecchio Continente fondata su queste Macroregioni che, come nel caso di quella del Mediterraneo occidentale, potrebbero costituire anche l’occasione per realizzare quella cooperazione territoriale indispensabile allo sviluppo equilibrato e sostenibile dei Territori dei vari Paesi che in esso si specchiano.
Come è noto, allo stato attuale, la Macroregione mediterranea non presenta elementi definiti e non sarebbe altro che un “piano” volto ad affrontare le problematiche e le sfide comuni dei soggetti nazionali, regionali e locali che si affacciano nell’area. In prospettiva, però, potrebbe configurarsi come una modalità di governance multilevel che garantisce la partecipazione delle Autorità regionali e locali alle politiche di cooperazione europea, ad esempio, per i sistemi energetici, la ricerca scientifica e l’innovazione, la cultura, la tutela ambientale, etc. Insomma, potrebbe diventare una rete dove annodare tutte le materie che costituiscono i settori portanti per una crescita economica intelligente e sostenibile che, non solo, sarebbe in linea con la strategia dell’UE ma avrebbe anche la capacità di dare un apporto significativo allo sviluppo del nostro Paese ed, in particolare, a quello del Mezzogiorno e della Sicilia che di questa Macroregione del Mediterraneo occidentale potrebbero costituire i motori propulsori assieme a Regioni come la Corsica, la Costa Azzurra, la Catalogna, l’Andalusia, Malta.

Andrea Piraino è ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università degli studi di Palermo. Consulente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani. Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Siciliana degli ex-parlamentari regionali e nazionali. Già Assessore della Regione Siciliana con delega alla Famiglia, Politiche Sociali e Lavoro.

 

L’ARTICOLO È PUBBLICATO NEL PRIMO NUMERO DI ESPERIENZE MEDITERRANEE