Dall’8 al 10 settembre si è svolta la 13ª edizione del Congresso Multidisciplinare “Mandanici 2023”, organizzato dal neurologo Giuseppe Mento, presidente dell’Osservatorio “Archetipi e Territorio”, dal Comune di Mandanici e dall’Associazione “il Centauro Onlus” e patrocinato dall’Università degli Studi di Messina, dall’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Messina e dall’ARPA in collaborazione col MuMe (Museo Regionale Interdisciplinare di Messina). Silvana Paratore, legale esperto in politiche sociali, ha presentato il programma ricco di spunti di riflessione, che ha visto la partecipazione di oltre 50 studiosi di varie discipline umanistiche e scientifiche, i quali si sono confrontati su temi interessanti e articolati.

Filippo Romeo
Mediterraneo area di incontro di civiltà:
verso un nuovo modello di “umanesimo civile”

Ringrazio il Dott. Pino Mento per avermi invitato a partecipare a questo evento che pone l’accento sull’importanza della memoria e della storia, in un frangente in cui le tendenze attuali sono orientate verso il livellamento e l’omologazione, annullando così anche l’importanza e il potere che la storia e il mito hanno avuto nella lettura degli eventi del presente, essenziale per  trarre dal passato i segni del futuro.

Rimanendo in tema di miti, visto che la cornice lo consente, e per pormi in continuità con alcuni dei relatori che mi hanno preceduto, ripropongo le parole del Prof. Caracciolo apparse nell’editoriale di Limes, “il Potere del Mito” del 2/ 2020.

Scrive, infatti, Caracciolo, “Non c’è geopolitica senza mito. E non c’è mito senza rito. Ogni comunità che aspiri alla potenza ha bisogno di una radice storica. Di una credenza coltivata e condivisa dalle élite. Le quali provvederanno a organizzarne il culto di massa.

Ho voluto proporvi questo passo che inquadra bene la relazione che intercorre fra mito, rito e storia. e da cui si deduce che è la storia che disegna la geopolitica. Per delineare la nostra postura nel Mediterraneo, anche al fine di ripensarsi come Paese posto al suo centro, diventa pertanto essenziale ragionare sull’evoluzione storica dell’Italia all’interno del bacino. Difatti – fa notare il Professore Egidio Ivetic- la comprensione storica dell’Italia nel Mediterraneo costituisce l’unica vera premessa di un pensiero mediterranista che scaturisca dalla prospettiva Italiana. Diversamente, continueremo a vivere “spalle al mare” (per come ha constato l’amico Primo Mario Cavaleri).

Purtroppo, come mette bene in evidenza Ivetic nel suo volume il Mediterraneo e l’Italia, nella storiografia Italiana il Mediterraneo non ha riscosso grande interesse, se non come sfondo o cornice per temi prettamente italiani. Si pensi che negli Annali tematici della Storia d’Italia, ben 27 grossi volumi, non ne troviamo uno solo dedicato al Mediterraneo. In buona sostanza, mancano visioni e interpretazioni storiche e, pertanto, carenza di rappresentazione che, condividendo il pensiero di Caracciolo, in geopolitica sono di importanza cruciale.

Per prendere coscienza della nostra centralità nel Mediterraneo occorre, dunque, riscoprire la nostra storia. Rimanere su posizioni di passività sul piano culturale di certo non aiuta l’azione politica, condannandoci a subire le iniziative di altri attori.

Occorre sviluppare una cultura del mare di cui il Paese, avendo perso memoria, è privo. Diversamente, rimarremo al centro solo geograficamente perdendo le migliori qualità che la posizione al momento potrebbe offrirci.  L’Italia, infatti, pur essendo circondata per tre quarti dal mare, con circa 8.000 km di coste, ha maturato negli ultimi secoli una “cultura terragna” che ci ha resi miopi sotto il profilo strategico. Nonostante ciò, vantiamo eccellenze nell’ambito della cantieristica, della traffico ro ro e della pesca.

Ripensare la nostra storia in termini mediterranei, riscoprire e sviluppare la cultura del mare, con i suoi riti e i suoi simboli, risulta ancor più importante in questa fase storica in cui il Mediterraneo sta subendo una rapida evoluzione.

Lo scenario globale, per come abbiamo avuto modo di conoscerlo nel corso di questo trentennio, è in una fase di inesorabile cambiamento i cui effetti sono riscontrabili nelle perturbazioni in ambito geopolitico che interessano i vari scacchieri (vedi Ucraina, Shael, Mar Cinese ecc). Tale cambio di paradigma sta anche ridisegnando le catene del valore che tendono ad accorciarsi in un’ottica di tutela e contenimento dei rischi.

Il Mar Mediterraneo, all’interno di questo nuovo contesto, continua ad acquisire una sempre maggiore centralità geo-economica, oltre che geopolitica, dettata dalla crescita delle potenze asiatiche, delle economie del golfo e di alcuni Paesi del continente africano. Tale area, peraltro, divenuta un centro di interessi delle maggiori potenze mondiali, è anche caratterizzata da forti instabilità la cui minaccia rappresenta un rischio concreto per il continente europeo i cui Paesi sono oggi più che mai chiamati a giocare un ruolo attivo.

Ma “Che cos’è il Mediterraneo?” – si chiedeva Braudel – “Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà”.

La risposta a tale quesito diventa, oggi, la cartina di tornasole per comprendere la peculiarità dell’area in questione, divenuta tanto cruciale quanto instabile.

La sua conformazione geografica di mare chiuso, che lo rende simile ad un vero e proprio lago, fa di esso un naturale continuum geopolitico tra le tre grandi masse terrestri che lo limitano – Europa, Africa ed Asia – e delle quali è funzionale cerniera. Per il geografo triestino Ernesto Massi il Mediterraneo è il “mare delle civiltà”, centro geografico ed insieme geopolitico, che può avere una sua funzione solo se capace di tenere insieme i tre continenti che fin dall’antichità, sfruttando la loro ubicazione, ne hanno fatto un polo di incontro e scontro tra popoli e culture diverse, determinando la nascita e la fioritura delle grandi civiltà di cui il Mediterraneo è stata la culla e che oggi assume nuovamente centralità sotto il profilo economico e di scambi.

A ben vedere, infatti, i sommovimenti prodottosi sotto il profilo economico nella parte afro-asiatica del globo nell’ultimo ventennio hanno causato lo spostamento dell’asse geopolitico nella regione dell’Asia-Pacifico, dell’Oceano indiano e dei Paesi del Golfo, sui cui quadranti si sono trasferiti e concentrati gli interessi dei maggiori attori internazionali che hanno determinato l’incremento di investimenti per la realizzazione e l’ammodernamento di infrastrutture di trasporto, tra cui l’ampliamento del Canale di Suez rappresenta l’esempio più significativo. Ciò ha dato un forte impulso allo sviluppo di tutto il sistema portuale dell’area con importanti progetti in cui si intrecciano capitali statali e di gruppi privati, alcuni dei quali provenienti proprio dai Paesi di nuova emersione (Cina, Russia, India), con ciò evidenziando in maniera ancora più nitida il valore strategico del Mediterraneo e la necessità di una tempestiva e mirata proiezione europea nell’area.

Attori come la Turchia, la Cina, la Russia e, più recentemente, l’India, si stanno affacciando per creare una presenza più stabile costruendo e/o assumendo la gestione di infrastrutture strategiche. I paesi della sponda sud del Mediterraneo, dal canto loro, si stanno adoperando per l’implementazione dei collegamenti terra-mare, con lo sviluppo della linea ferroviaria, infrastruttura necessaria per la realizzazione delle catene di valore regionale e, quindi, per l’interconnessione tra le varie aree, nonché per la creazione di una comune piattaforma logistica. Contemporaneamente all’avvio di questi ambiziosi progetti, i paesi nord africani e del vicino oriente si trovano, tuttavia, a gestire le gravi crisi interne di carattere economico e di sicurezza. Oggi, infatti, nel bacino del Mediterraneo e, più in generale, nel Mediterraneo Allargato, si assiste ad una delle partite più decisive legate alla sicurezza, fattore che connette a doppio filo gli interessi economico-sociali dell’intero pianeta. Questo rende il bacino un confine liquido in cui si interconnettono in modo fluido le instabilità esplose anche a migliaia di chilometri dalle sue coste. Un’area in cui convergono – per evidenti ragioni di speculazione economica – le maggiori potenze mondiali. Ciò genera l’affievolimento di alcuni attori statuali a favore di quelli non statuali il cui potere è alimentato dalla erosione della sovranità degli Stati deboli e falliti.

All’osservatore attento non sfugge che tale instabilità costituisce un lungo arco di fuoco che tende a mantenere separati i tre grandi blocchi continentali, europeo-asiatico e africano, facendo perdere così al Mediterraneo quella che, richiamando le parole del geografo Massi, costituiva la funzione principale di tale mare, ovvero di unificazione. Tale situazione sta mettendo fortemente in discussione l’unità di base e quindi di “incontro di civiltà”, costruita e modellata nel corso dei secoli che faceva di questo spazio una regione marittima.

È di tutta evidenza che all’interno di questo quadro l’Italia non può esimersi dall’agire, anche per promuovere nuovi processi di stabilizzazione e rinascita economica dell’area, essendo il proprio destino ad essa strettamente legato sia per ragioni geografiche che culturali. La leva del comparto marittimo e infrastrutturale e la riconfigurazione delle catene del valore potrebbe senz’altro far conoscere una nuova fioritura determinata dallo sviluppo dei rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. Ciò attraverso la costruzione di solidi partenariati capaci di fornire tutto il necessario know how utile a costruire sviluppo e una ritrovata cooperazione edificata sulla reciprocità e sull’equa distribuzione, nonché finalizzata a costruire una nuova visione comune in uno spazio le cui radici affondano nella civiltà nata dalle sue coste, ma anche in quella comunità di popoli che si è formata nel corso di un paio di millenni

Il tutto agevolato dalla ricca tradizione di “umanesimo civile”, che per anni ha tenuto insieme il valore della persona e della socialità (elementi che purtroppo nel suo sviluppo successivo la scienza economica non è più riuscita a coniugare), e che noi ci portiamo in dote sia dallo sviluppo della cultura monacale che da secoli di mercati successivi, concependo l’economia in vista del bene comune. A tal riguardo, e per come mette bene in evidenza il Prof. Luigino Bruni, mi preme ricordare che proprio le abbazie furono le prime strutture economiche complesse che richiedevano forme adeguate di contabilità e di gestione. Esse fecero da apripista a quella che fu la storia dei distretti industriali, del welfare state, ma anche alla rivoluzione commerciale europea, rappresentando la culla nella quale si formò anche il primo lessico economico e commerciale che informerà di sé l’Europa del basso Medioevo.

Questo capitale culturale, impresso nel nostro DNA, non può essere disperso, tantomeno depauperato. Esso, viceversa, potrebbe supportarci nel gettare le basi per una ritrovata cooperazione mediterranea dove vive una comunità di popoli che, nonostante le differenze religiose e culturali, si è formata nel corso di un paio di millenni e che, per dirla alla Braudel, ha dato vita a quel quel sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in ununità originale” qual è appunto il Mediterraneo.

Lo sviluppo di tale nuova visione, agevolato dai collegamenti infrastrutturali, potrebbe scardinare quell’idea di competizione che, in parte, alimenta le attuali tensioni, gettando le basi per la convivenza pacifica, lo sviluppo economico l’incontro di civiltà.

Nel 2003 l’ENEA ha elaborato un progetto di tunnel sottomarino ferroviario di circa 136 chilometri che dovrebbe attraversare il canale di Sicilia nel punto più stretto tra l’isola e la Tunisia – collegando Pizzolato (nei pressi Mazara del Vallo) e Capo Bon – dove i fondali più profondi raggiungono i 230 metri sotto il livello del mare. Oggi si potrebbe ripartire da questo progetto per elaborare una nuova strategia di sviluppo che, oltre a conferire all’Italia un primato in ambito ingegneristico, potrebbe rappresentare un primo strumento di stabilizzazione e sviluppo per la Tunisia elevandola a futuro hub di scambio per il resto dei paesi del nord Africa. Risulta evidente che le complessità tecnologiche e risorse finanziarie necessarie per un’opera di così elevata portata richiederebbero il coinvolgimento di istituzioni sia europee che internazionali, nonché strumenti finanziari capaci di coinvolgere attivamente i principali attori tunisini all’interno di una logica cooperativa e di compartecipazione.