Incipit: I Viceré di Federico De Roberto

Dall’incipit del libro:

Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pareva fosse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui cavallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte con assordante fracasso. Dall’arco del secondo cortile affacciaronsi servi e famigli: Baldassarre, il maestro di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo piano intanto che Salvatore Cerra precipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.

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I Vicerè

I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto, ambientato sullo sfondo delle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V.

De Roberto ebbe l’idea del romanzo nel 1891, mentre si trovava a Milano per seguire la pubblicazione de L’Illusione.

La stesura del romanzo, iniziata a Catania nel settembre 1891, fu lunga e difficoltosa, e fu completata nel novembre 1892; De Roberto sottopose poi il testo a un lungo lavoro di revisione, terminato verso la fine del 1893. L’opera fu finalmente pubblicata dall’editore Galli di Milano nell’agosto 1894.

Questa “storia di famiglia” s’ispira al principio positivistico e naturalistico della “razza” (l’ereditarietà), con tutte le sue conseguenze.

I componenti della famiglia degli Uzeda sono accomunati dalla razza e dal sangue vecchio e corrotto, dovuto anche ai numerosi matrimoni tra consanguinei. Quanto emerge da questa famiglia è la spiccata avidità, la sete di potere, le meschinità e gli odi che i componenti nutrono l’uno per l’altro alimentando in ciascuno una diversa patologica monomania. Ogni membro della famiglia ha una storia segnata dalla corruzione morale e biologica, che si evidenzia anche nella loro fisionomia e nelle deformità fisiche che verranno riassunte dall’autore nell’episodio di Chiara che, dopo aver partorito un feto mostruoso lo conserva sotto spirito in un boccione di vetro.

La storia della famiglia è in parte ispirata al Casato nobiliare dei Paternò e in particolare alla figura di Antonino Paternò Castello, marchese di San Giuliano, che fu sindaco di Catania, ambasciatore e ministro degli Esteri e che nel romanzo è identificato con il giovane Consalvo Uzeda.

Ma I Viceré sono, oltre che una storia di famiglia, anche una rappresentazione dagli accenti forti e disillusi della storia italiana tra il Risorgimento e l’unificazione (il romanzo è infatti ambientato negli anni tra il 1855 e il 1882, nella quale si svolgono le vicende e le fortune degli Uzeda).

Nota bibliografica tratta da Wikipedia

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