Mille anni di storia d’Europa raccontati da Focus attraverso lo spostamento dei confini

FOCUS

Mille anni di storia d’Europa raccontati da Focus attraverso lo spostamento dei confini

Focus è una rivista, nonché un canale televisivo, di taglio divulgativo, che si propone di “mettere a fuoco” il mondo della scienza e l’attualità. Periodicamente realizza servizi giornalistici, esplicitando i temi trattati con un ricco apparato di foto, disegni e tavole grafiche, per “Scoprire e capire il mondo”, come recita lo slogan della rivista. Su You Tube ha pubblicato un servizio su mille anni di storia d’Europa, raccontati focalizzando l’attenzione sullo spostamento dei confini nazionali. Sono la conseguenza di accordi politici, spesso di conflitti. È quanto mostra l’animazione in time lapse realizzata con Centennia, software che permette di analizzare la storia dell’Europa e del Medio Oriente attraverso le mappe. In poco più di 3 minuti, possiamo seguire i differenti assetti degli Stati dall’anno 1000 al 2003.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di OpenClipart-Vectors e fevzizirhlioglu da Pixabay

Incipit: Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga

Dall’incipit del libro:

Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto, nel silenzio, s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando:
― Terremoto! San Gregorio Magno!
Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Alìa, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano; quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre.
― No! no! È il fuoco!… Fuoco in casa Trao!… San Giovanni Battista!
Gli uomini accorrevano vociando, colle brache in mano. Le donne mettevano il lume alla finestra: tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi, come fosse il giovedì sera, quando suonano le due ore di notte: una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da lontano.

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Mastro don Gesualdo

Mastro-don Gesualdo è un romanzo di Giovanni Verga, pubblicato nel 1889. Narra la vicenda dell’omonimo protagonista ed è ambientato a Vizzini, in Sicilia, nella prima metà dell’Ottocento in periodo risorgimentale.

Secondo romanzo del ciclo dei vinti, è il frutto di un lungo lavoro di stesura durato otto anni. I primi abbozzi risalgono al 1881-1882, subito dopo la pubblicazione de I Malavoglia. Mastro-don Gesualdo uscì a puntate sulla Nuova Antologia dal 1º luglio al 16 dicembre 1888 e poi in volume presso l’editore Treves, nel 1889, ma datato 1890. A differenza de I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo fu accolto in modo positivo.

L’operazione linguistica condotta dallo scrittore risulta in questo romanzo particolarmente complessa a causa dell’eterogeneità delle classi sociali rappresentate, ognuna portatrice di un lessico proprio.

L’elaborazione dell’opera è stata ricostruita filologicamente da Carla Riccardi, curatrice anche dell’Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Verga. La filologa ha accolto come definitivo il testo così come appare nel manoscritto inviato in tipografia e lo ha corredato di un ricco apparato genetico nel quale sono però anche presenti alcune varianti evolutive.

Nota bibliografica tratta da Wikipedia

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Museum collection puzzle: La zattera della Medusa di Théodore Géricault

La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) è un dipinto a olio su tela (491×716 cm) di Théodore Géricault. Questo dipinto è stato realizzato nel 1818-19 e conservato nel Museo del Louvre di Parigi.

Completato quando l’artista aveva soltanto 29 anni, il dipinto rappresenta un momento degli avvenimenti successivi al naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 2 luglio 1816 davanti alle coste dell’attuale Mauritania, a causa di negligenze e decisioni affrettate da parte del comandante Hugues Duroy de Chaumareys che, oltre a non navigare da circa venticinque anni, non aveva una buona conoscenza di quelle acque, cosa che portò la fregata ad incagliarsi sul fondale sabbioso. Oltre 250 persone si salvarono grazie alle scialuppe, le rimanenti 150, la ciurma, dovettero essere imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 20 metri e larga 7,[1] e di queste soltanto 15 fecero ritorno a casa.

Géricault scelse accuratamente il soggetto del suo primo grande lavoro, una tragedia che stava avendo risonanza internazionale, per alimentare l’interesse di un pubblico quanto più vasto possibile e per lanciare la sua carriera. Scrupoloso e attento ai dettagli, l’artista si sottopose ad un intenso periodo di studio sul corpo umano e sulla luce, producendo moltissimi disegni preparatori, intervistando due dei sopravvissuti e costruendo un modellino del naufragio. Come aveva previsto, il dipinto una volta esposto al Salon di Parigi del 1819 generò diverse controversie, attirando in misura uguale commenti positivi e feroci condanne.[4] Solo, in seguito, venne rivalutato dalla critica, che lo riconobbe come uno dei lavori destinati ad incidere di più sulle tendenze romantiche all’interno della pittura francese.

Acquistata dal Louvre subito dopo la prematura morte dell’autore a trentatré anni, La zattera della Medusa, nelle sue scelte formali (la teatralità e l’intensa emotività della scena) e di contenuto (l’episodio vicino ai contemporanei dell’autore) rappresenta uno spartiacque e un punto di rottura con l’allora preponderante scuola neoclassica, tesa al perseguimento dell’ideale di emotività contenuta e catalizzata dall’arte greca, e un’icona del Romanticismo,[5] arrivando a influenzare i lavori di artisti come Eugène Delacroix, William Turner, Gustave Courbet e Édouard Manet.

Nota tratta da Wikipedia

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COMPONI IL PUZZLE

Proviamo a realizzare una galleria con opere d’arte famose. Facciamolo però in modo divertente. Rilassiamoci mentre guardiamo i particolari attraverso le minuscole tessere di un puzzle da montare. Quanti minuti impiegheremo per comporre il dipinto? Naturalmente, dipenderà dal numero dei pezzi, perché ogni giocatore potrà scegliere il livello di difficoltà. Buon divertimento.

Museum collection puzzle: La Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix

La Libertà che guida il popolo (La Liberté guidant le peuple) è un dipinto a olio su tela (260 x 325 cm) del pittore francese Eugène Delacroix, realizzato nel 1830 e conservato nel museo del Louvre a Parigi.

La Libertà che guida il popolo raffigura tutte le classi sociali unite in lotta contro l’oppressore, guidate dalla personificazione speciale della Francia, Marianne, che in quest’opera assurge anche a simbolo della Libertà. Marianne è colta nell’attimo in cui avanza sicura sulla barricata, sventolando con la mano destra il Tricolore francese (richiamando con evidenza i valori della rivoluzione del 1789) e impugnando con la sinistra un fucile con baionetta, a suggerire la sua diretta partecipazione alla battaglia. Indossa abiti contemporanei e anche un berretto frigio, assunto come simbolo dell’idea repubblicana dai rivoluzionari già nel 1789, ha il seno scoperto e i piedi nudi ed è realistica sino alla peluria sotto le ascelle, particolare che non fu apprezzato dai contemporanei. Nella sua posa monumentale e impetuosa la Libertà esorta il popolo a seguirla e a ribellarsi contro la politica reazionaria di Carlo X.

La Libertà è circondata da una folla tumultuosa, dove Delacroix ha riunito persone di tutte le età e le classi sociali. A destra della donna troviamo un ragazzino armato di pistole, simbolo del coraggio e della lotta dei giovani contro l’ingiustizia della monarchia assoluta. A sinistra, invece, è visibile un intellettuale borghese con un elegante cilindro in testa e una doppietta da caccia in mano (tradizionalmente ritenuto un autoritratto dell’artista, ma forse si tratta di un ritratto di un suo amico d’infanzia, Félix Guillemardet). Ai piedi della Libertà, invece, troviamo una giovane manovale con un grembiule di cuoio, che guarda la fanciulla piena di speranza, come se fosse l’unica in grado di restituire la dignità alla nazione francese.

Dietro questi personaggi iconici si dispiega una massa indistinta di uomini, fucili, e spade: la battaglia, tra l’altro, non è priva di vittime. Alla base del quadro, infatti, giacciono tre cadaveri: a sinistra vi è un insorto dal corpo seminudo, con il macabro particolare del calzino sfilato, mentre a destra troviamo un corazziere e una guardia svizzera, appartenenti alla guardia reale che combatté la rivoluzione di quei giorni. Dietro il fumo degli incendi e degli spari e la coltre di polvere sollevata dai rivoluzionari, inoltre, si intravedono le torri gemelle della cattedrale di Notre-Dame, che stanno a suggerire l’esatta collocazione geografica dell’episodio, ovvero Parigi.

Nota tratta da Wikipedia

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COMPONI IL PUZZLE

Proviamo a realizzare una galleria con opere d’arte famose. Facciamolo però in modo divertente. Rilassiamoci mentre guardiamo i particolari attraverso le minuscole tessere di un puzzle da montare. Quanti minuti impiegheremo per comporre il dipinto? Naturalmente, dipenderà dal numero dei pezzi, perché ogni giocatore potrà scegliere il livello di difficoltà. Buon divertimento.

Incipit: I Viceré di Federico De Roberto

Dall’incipit del libro:

Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pareva fosse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui cavallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte con assordante fracasso. Dall’arco del secondo cortile affacciaronsi servi e famigli: Baldassarre, il maestro di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo piano intanto che Salvatore Cerra precipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.

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I Vicerè

I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto, ambientato sullo sfondo delle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V.

De Roberto ebbe l’idea del romanzo nel 1891, mentre si trovava a Milano per seguire la pubblicazione de L’Illusione.

La stesura del romanzo, iniziata a Catania nel settembre 1891, fu lunga e difficoltosa, e fu completata nel novembre 1892; De Roberto sottopose poi il testo a un lungo lavoro di revisione, terminato verso la fine del 1893. L’opera fu finalmente pubblicata dall’editore Galli di Milano nell’agosto 1894.

Questa “storia di famiglia” s’ispira al principio positivistico e naturalistico della “razza” (l’ereditarietà), con tutte le sue conseguenze.

I componenti della famiglia degli Uzeda sono accomunati dalla razza e dal sangue vecchio e corrotto, dovuto anche ai numerosi matrimoni tra consanguinei. Quanto emerge da questa famiglia è la spiccata avidità, la sete di potere, le meschinità e gli odi che i componenti nutrono l’uno per l’altro alimentando in ciascuno una diversa patologica monomania. Ogni membro della famiglia ha una storia segnata dalla corruzione morale e biologica, che si evidenzia anche nella loro fisionomia e nelle deformità fisiche che verranno riassunte dall’autore nell’episodio di Chiara che, dopo aver partorito un feto mostruoso lo conserva sotto spirito in un boccione di vetro.

La storia della famiglia è in parte ispirata al Casato nobiliare dei Paternò e in particolare alla figura di Antonino Paternò Castello, marchese di San Giuliano, che fu sindaco di Catania, ambasciatore e ministro degli Esteri e che nel romanzo è identificato con il giovane Consalvo Uzeda.

Ma I Viceré sono, oltre che una storia di famiglia, anche una rappresentazione dagli accenti forti e disillusi della storia italiana tra il Risorgimento e l’unificazione (il romanzo è infatti ambientato negli anni tra il 1855 e il 1882, nella quale si svolgono le vicende e le fortune degli Uzeda).

Nota bibliografica tratta da Wikipedia

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Scrivere senza annoiare secondo il principio dell’iceberg di Ernest Hemingway

IL LIBRAIO.IT

Il principio dell’iceberg enunciato da Ernest Hemingway

Quando un lettore si rivolge ad un romanzo dovrebbe avere sempre l’impressione che i suoi contenuti siano più pregnanti di quanto appaia. Un eccellente scrittore dovrebbe eliminare tutte le parti superflue e trasmettere al lettore un’esperienza che possa entrare a far parte della sua. È il mistero dell’incognito ad affascinare. Dire di più di quanto sia necessario farebbe correre il rischio di annoiare mortalmente.

Nel maggio del 1954 George Plimpton intervistò Hemingway in un caffè di Madrid. Alla domanda «Secondo lei qual è la migliore preparazione intellettuale per un aspirante scrittore?», Ernest Hemingway rispose enunciando uno dei suoi precetti: il principio dell’iceberg.

In cosa consiste? Lo spiega il romanziere stesso: «Io cerco sempre di scrivere secondo il principio dell’iceberg. I sette ottavi di ogni parte visibile sono sempre sommersi. Tutto quel che conosco è materiale che posso eliminare, lasciare sott’acqua, così il mio iceberg sarà sempre più solido. L’importante è quel che non si vede». In questo articolo, ripreso dal sito letterario Il Libraio, è spiegato il fascino di una narrazione legata all’uso di un tale precetto di scrittura.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di OpenClipart-Vectors e fevzizirhlioglu da Pixabay