Apertura del Canale di Panama, 1916

Per secoli, l’istmo di Panama ha rappresentato uno dei più grandi ostacoli alla navigazione interoceanica. Chiunque volesse passare dall’Atlantico al Pacifico era costretto ad affrontare il lungo e insidioso periplo del continente sudamericano, doppiando Capo Horn e risalendo la costa fino a raggiungere le rotte commerciali del Perù o della Colombia. Migliaia di chilometri su mari spesso burrascosi. Una sfida logistica, economica e umana che sembrava insormontabile, fino a quando, all’inizio del Novecento, gli Stati Uniti decisero di trasformare quel sottile lembo di terra in un varco strategico tra due oceani.

L’idea di aprire un passaggio artificiale attraverso l’istmo centroamericano non era nuova. Già nel 1829, su iniziativa di Simón Bolívar, l’ingegnere britannico John Lloyd ne aveva studiato la fattibilità. Nei decenni successivi la Repubblica della Nuova Granada – da cui sarebbe poi nata la Colombia – cercò più volte di attrarre capitali e competenze per realizzare un canale, o almeno una ferrovia. Ma né il progetto affidato al colonnello americano Charles Biddle nel 1836, né quello della compagnia “Salomon & Co” nel 1839 riuscirono a concretizzarsi.

Fu solo nel 1879, sotto l’egida del Congresso internazionale di Parigi, che l’idea tornò alla ribalta in modo ambizioso. A sostenerla fu Ferdinand de Lesseps, l’artefice del canale di Suez, che godette di grande credito presso la comunità internazionale. Lesseps lanciò una sottoscrizione popolare e avviò i lavori nel 1881, ma il progetto – privo di chiuse e quindi inadatto alla geografia montuosa dell’istmo – si rivelò presto un disastro tecnico e finanziario. Le difficoltà di scavo, la giungla impenetrabile, le malattie tropicali e la corruzione portarono al tracollo dell’impresa. Gustave Eiffel subentrò alla guida nel 1885, ma nemmeno la sua esperienza bastò a salvarla: nel 1889 la compagnia dichiarò bancarotta.

Lo scandalo che seguì fu di proporzioni storiche. Nel 1892 emerse che la società di Lesseps aveva corrotto centinaia di parlamentari e giornalisti francesi per evitare controlli e ottenere leggi favorevoli. La cosiddetta “affaire de Panama” coinvolse oltre cinquecento figure pubbliche e minò profondamente la fiducia nella Terza Repubblica, segnando uno dei momenti più oscuri della politica francese di fine Ottocento.

Il sogno del canale sembrava destinato a rimanere tale, almeno fino a quando non entrò in scena la potenza emergente del XX secolo: gli Stati Uniti. Dopo aver osservato il disastro francese e imparato dai suoi errori, Washington avviò una lunga operazione diplomatica – e non solo – per impadronirsi del progetto. Nel 1901 ottenne dal governo colombiano l’autorizzazione a costruire e gestire il canale per un secolo. Ma quando la Colombia rifiutò di ratificare l’accordo, gli USA reagirono con una mossa decisa: sostennero attivamente una sommossa indipendentista a Panama, minacciando l’intervento militare in caso di reazione da Bogotá.

Nel novembre 1903, Panama proclamò l’indipendenza con il sostegno americano e, pochi giorni dopo, stipulò con Washington un trattato che concedeva agli Stati Uniti la sovranità sulla cosiddetta “Canal Zone”, una striscia di terra larga circa 16 chilometri lungo il tracciato del futuro canale.

I lavori veri e propri iniziarono nel 1907 sotto la direzione del colonnello George Washington Goethals, del genio militare statunitense. Forte di una struttura organizzativa collaudata e di mezzi all’avanguardia, l’impresa americana si rivelò efficace fin dalle prime fasi. Il progetto fu modificato rispetto alla versione francese: furono introdotte imponenti chiuse per superare le variazioni altimetriche e si procedette a una sistematica bonifica sanitaria per contrastare malaria e febbre gialla, due piaghe che avevano decimato i lavoratori del tentativo precedente.

Il 3 settembre 1913 le ultime barriere di terra vennero abbattute, sancendo il completamento dell’opera. L’inaugurazione ufficiale avvenne l’anno successivo, il 15 agosto 1914, proprio mentre l’Europa precipitava nella Prima guerra mondiale. Tuttavia, l’apertura solenne fu rinviata al 1920, quando il mondo poté finalmente rendere omaggio a un progetto che aveva ridisegnato le geografie della navigazione globale.

Il Canale di Panama, lungo 81 chilometri, ha una larghezza variabile tra i 90 e i 350 metri e una profondità compresa tra i 12 e i 14 metri. Da allora, collega Atlantico e Pacifico, riducendo drasticamente i tempi e i costi delle rotte marittime. Ma la sua esistenza non fu mai priva di controversie. La presenza americana nella Canal Zone suscitò fin da subito le proteste della nuova Repubblica di Panama, che vedeva nella concessione una forma di sovranità limitata. E le grandi potenze commerciali, dal canto loro, non accettarono di buon grado l’egemonia statunitense su un nodo strategico tanto cruciale, costrette a sottostare a tariffe e tempistiche decise unilateralmente da Washington.

Nel corso del Novecento, il Canale di Panama non fu soltanto un’infrastruttura monumentale, ma anche il simbolo di un nuovo ordine geopolitico, in cui l’ingegneria civile si intrecciava a doppio filo con l’imperialismo economico. Solo nel 1999, al termine di un lungo processo di negoziazione, il controllo del canale è finalmente tornato al governo panamense.

Oggi, mentre il traffico mondiale continua a crescere e nuove vie marittime si aprono all’orizzonte, il canale resta un monumento alla volontà umana di piegare la natura a fini strategici. Un taglio nella terra, capace di riscrivere le rotte della storia.


A chiarimento delle problematiche relative al copyright delle immagini.
Le immagini eventualmente riprodotte in pagina sono coperte da copyright (diritto d’autore). Tali immagini non possono essere acquisite in alcun modo, come ad esempio download o screenshot. Qualunque indebito utilizzo è perseguibile ai sensi di Legge, per iniziativa di ogni avente diritto, e pertanto Experiences S.r.l. è sollevata da qualsiasi tipo di responsabilità.