Umberto Boccioni, nel 1910 presenta a Torino il manifesto della pittura futurista, rivolgendosi ai giovani artisti con un grido di ribellione contro il «culto fanatico, irresponsabile e snob del passato».

Nel cuore del fermento artistico del primo Novecento, il Futurismo emerse come una delle avanguardie più radicali, decisa a frantumare ogni legame con la tradizione per dare voce alla velocità, al dinamismo e alla modernità. Nato ufficialmente nel 1909 con la pubblicazione del manifesto fondativo di Filippo Tommaso Marinetti, il movimento trovò nella pittura uno dei suoi linguaggi più esplosivi e controversi.
La pittura futurista prese forma l’anno seguente, nel 1910, con due manifesti destinati a lasciare il segno: il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista. Entrambi firmati da Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Gino Severini, i testi delineavano una poetica nuova e dirompente, fondata sul rifiuto del passato e sulla celebrazione della vita moderna, intesa come flusso continuo e tumultuoso. Si trattava di un’aperta dichiarazione di guerra alla musealizzazione dell’arte, al formalismo accademico, al culto snobistico della tradizione. “Distruggere Venezia” e “abbattere i musei” non erano semplici provocazioni, ma slogan programmatici di una rivoluzione estetica.
Il “dinamismo universale”, concetto chiave della visione futurista, imponeva agli artisti di abbandonare la staticità della forma per rappresentare il movimento come essenza vitale della realtà. La luce, la velocità, il rumore, la simultaneità degli eventi: tutto doveva confluire sulla tela in una nuova “sensazione dinamica”. A questo scopo, i pittori futuristi si appropriarono di tecniche ereditate dal Neoimpressionismo e dal Cubismo — come il puntinismo di Seurat o la scomposizione geometrica di Picasso — per tradurle in una grammatica visuale originale e irrequieta. Le loro opere, caratterizzate da colori brillanti, forme sovrapposte e composizioni caleidoscopiche, rifiutavano le tinte piatte e la centralità del corpo umano, che veniva spesso frammentato o annullato nel vortice del movimento.
Umberto Boccioni fu il teorico e l’anima del gruppo. Nei suoi scritti, non esitava a denunciare il provincialismo della pittura italiana, colpevole di aver ignorato le grandi rivoluzioni artistiche del secolo precedente. Con quadri come Stati d’animo (1911), tentò una sintesi tra Cubismo e Futurismo, dando forma visiva all’esperienza emotiva e percettiva del soggetto. Carlo Carrà, più incline a una ricerca formale, si avvicinò anch’egli al Cubismo prima di approdare, attraverso la metafisica di de Chirico, a una pittura più limpida e contemplativa. Giacomo Balla, invece, si lanciò nello studio delle vibrazioni luminose e del moto, cercando di rappresentare visivamente la corsa, il volo, l’energia pura.
Il Futurismo attirò numerosi artisti, tra cui Fortunato Depero, Ottone Rosai, Mario Sironi, Ardengo Soffici, Enrico Prampolini e persino Giorgio Morandi, anche se quest’ultimo vi aderì solo brevemente. Alcuni, come Soffici, lasciarono il movimento dopo aspre polemiche. Altri, come Prampolini, cercarono di mettere in dialogo il Futurismo italiano con le avanguardie europee.
Ma la parabola del Futurismo pittorico fu breve e turbolenta. Se da un lato fu animato da un impulso autentico alla sperimentazione, dall’altro non seppe sottrarsi a certe ambiguità ideologiche. Marinetti, in seguito, fu nominato Accademico d’Italia da Mussolini, segnando il controverso avvicinamento del movimento al fascismo. Questo compromesso politico contribuì allo smembramento del gruppo: molti degli artisti presero le distanze dal Futurismo, trovando ciascuno un proprio percorso autonomo. Boccioni morì prematuramente nel 1916; Carrà intraprese un cammino verso una pittura più classica; Russolo abbandonò la tela per dedicarsi alla musica sperimentale con i suoi intonarumori; Anton Giulio Bragaglia, regista e teorico del teatro futurista, fondò a Roma il Teatro degli Indipendenti, dove mise in scena per la prima volta in Italia un’opera di Antonin Artaud.
Oggi, a più di un secolo di distanza, il Futurismo continua a esercitare un’influenza profonda sull’immaginario contemporaneo. Fu un movimento breve, talvolta contraddittorio, ma capace di cogliere e rappresentare con lucidità l’ansia, l’euforia e l’ambizione di un’epoca lanciata a tutta velocità verso il futuro.
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