Gli statunitensi Wilbur e Orville Wright saranno ricordati come gli inventori del primo aereo. Si apre l’era degli “angeli meccanici”: nasce l’aviazione moderna che presto si darà battaglia nei cieli della Grande Guerra

Quando ancora si guardava al cielo come a un regno inaccessibile, un pugno di pionieri visionari tracciava le prime rotte di quella che sarebbe diventata la più grande rivoluzione nei trasporti e nella strategia militare del XX secolo: il volo. Tra loro, gli statunitensi Wilbur e Orville Wright saranno ricordati come i primi a riuscire nell’impresa di sollevare un velivolo a motore da terra e mantenerlo in aria. Il 17 dicembre 1903, a Kitty Hawk, nella Carolina del Nord, il loro biplano Flyer I compì un volo di 266 metri, inaugurando di fatto l’era dell’aviazione.
L’evento segnò una svolta epocale: non bastava un motore potente, come dimostravano le prove condotte fino ad allora con alianti – spesso fallimentari – da inventori come l’inglese George Cayley; era necessario sfruttare l’azione aerodinamica prodotta dal movimento sulle ali. Su questo principio, i fratelli Wright svilupparono e perfezionarono i loro velivoli, arrivando nel 1908 a raggiungere un’altitudine di 110 metri.
Intanto, anche in Europa si sperimentava. Nello stesso anno, il francese Léon Delagrange stabiliva un record impressionante: quasi quattro chilometri percorsi in volo in sei minuti e mezzo. Era solo l’inizio. La corsa ai cieli attirava sempre più “pazzi volanti”, come venivano ironicamente chiamati questi audaci sperimentatori, protagonisti di una serie crescente di imprese estreme: nel 1913 si raggiunsero i 204 km/h, e già l’anno successivo si toccarono i 7.850 metri di altitudine.
Ma sarà con lo scoppio della Prima guerra mondiale che l’aeroplano, fino ad allora curiosità ingegneristica e strumento di spettacolo, assumerà un ruolo strategico decisivo. Più agile e veloce del dirigibile – lento, ingombrante e vulnerabile – l’aereo si rivelerà un’arma formidabile, capace di sorvolare il fronte e rientrare alla base, dando vita a una nuova dimensione del conflitto: la guerra nei cieli.
Nel giro di pochi anni, l’industria aeronautica si trasforma in un colosso bellico. Le nazioni coinvolte nel conflitto producono in massa modelli diversificati per tipologia e impiego: caccia, bombardieri, ricognitori. In questo contesto emerge il biplano progettato dall’italiano Francesco Baracca, maneggevole e preciso, che diventerà uno dei simboli della partecipazione italiana alla guerra aerea. Ma la scena è dominata da due modelli leggendari: il britannico Sopwith Camel e il tedesco Fokker, protagonisti assoluti delle acrobazie e dei duelli tra assi dell’aviazione.
Il Sopwith Camel, introdotto sul fronte occidentale nel 1917, fu sviluppato dalla Sopwith Aviation Company come successore del Pup. Caccia biplano monoposto, divenne l’aereo alleato più efficace della guerra: ai suoi piloti fu attribuito l’abbattimento di ben 1.294 velivoli nemici. Alimentato da un motore rotativo e armato con due mitragliatrici Vickers da 7,7 mm, era notoriamente difficile da pilotare, a causa della distribuzione del peso concentrata quasi interamente sulla parte anteriore. Ma, nelle mani di un pilota esperto, il Camel si rivelava estremamente manovrabile, una qualità essenziale nei combattimenti aerei dell’epoca, condotti a bassa quota e a velocità relativamente contenute.
Non a caso, gli stessi piloti del Camel ironizzavano sul loro destino, spesso in bilico tra “una croce di legno, la Croce Rossa o la Croce della Vittoria”. Con il proseguire del conflitto e l’evoluzione delle tattiche, il Camel perse progressivamente efficacia come caccia e venne impiegato anche in missioni di attacco al suolo.
Sul fronte opposto, la Germania puntava su un nome destinato a entrare nella leggenda aeronautica: Anthony Fokker. Nato nei Paesi Bassi, Fokker costruì a soli vent’anni il suo primo aereo, lo Spin (“Ragno”), il primo velivolo olandese a volare nei cieli della sua terra natale. Fiutando le opportunità offerte dall’industria tedesca, si trasferì a Berlino e nel 1912 fondò la sua prima azienda, la Fokker Aeroplanbau, spostata poi a Görries, nei pressi di Schwerin. Durante la guerra, divenne il principale fornitore di velivoli per l’esercito tedesco.
Il suo primo progetto di successo fu il Fokker M.5, costruito con una fusoliera in tubi d’acciaio – anziché in legno – e modifiche strutturali che ne migliorarono stabilità e resistenza. Ma la vera innovazione fu l’introduzione di un meccanismo di sincronizzazione per le mitragliatrici, che permetteva di sparare attraverso l’elica senza danneggiarla. Questo sistema, simile a quello brevettato dal francese Franz Schneider, diede ai caccia tedeschi un vantaggio tattico cruciale nella prima fase del conflitto.
Il più celebre tra i piloti tedeschi fu Manfred von Richthofen, passato alla storia come il “Barone Rosso”, capace di trasformare il suo caccia Fokker in uno strumento di precisione letale. I suoi duelli aerei sono ancora oggi celebrati come il simbolo di un’epoca in cui la guerra nei cieli conservava un alone quasi cavalleresco.
Terminata la guerra, l’aeroplano avrebbe trovato una nuova vita come mezzo di trasporto e simbolo della modernità, rivoluzionando le comunicazioni e la mobilità internazionale. Ma è nei cieli insanguinati del primo conflitto mondiale che ha conquistato il suo posto nella storia, trasformandosi da sogno visionario in realtà concreta, spesso mortale, ma capace di spingere l’uomo sempre più in alto.

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