C’è una parte di testimonianze storiche che sta scomparendo, perché si sta consumando lentamente, in modo naturale, mentre invece varrebbe la pena di afferrala per tempo, prima che se ne verifichi la perdita irreparabile. Questa parte di testimonianze storiche è costituita da tessuti urbani, architetture, giardini, manufatti pittorici e scultorei, libri, disegni o immagini fotografiche, tradizioni popolari: in altre parole, una miriade di segni del nostro recente passato scarsamente considerati. Sono beni che abbiamo veduto sin da ragazzi, sono familiari e perciò non li riteniamo scarsamente d’interesse. Chi presta attenzione ad un graffito ornamentale di primi anni del Novecento sulla facciata di uno stabile, agli infissi di legno, alle coloriture originarie, a una vecchia targa commemorativa? Chi si preoccupa per un busto marmoreo in un giardino, per una pavimentazione in pietra di una strada cittadina, per un vecchio chiosco in stile Liberty? Alla maggior parte di persone piace parlare delle cose “fuor di memoria”,  quelle chesi leggono nei libri, sospirando per le bellezze di un epoca passata, quelle appartenute ad un “tempo immemorabile” così distante e contrapposto ai cosiddetti  “tempi moderni”.  

È su questi cosiddetti tempi moderni, che vorrei soffermarmi. Circoscrivono pressappoco un arco di memoria di cento anni, ossia il nuovo secolo che stiamo vivendo e quello del Novecento appena trascorso. È un pensiero che ha interessato differenti età. Ad esempio alla fine del XII secolo un inglese, Gautier Map, scriveva di «ciò ha avuto inizio nella nostra epoca. Per “nostra epoca” io intendo il periodo che per noi è moderno, cioè la distesa di questi cento anni dei quali vediamo adesso il termine, e dei quali tutti gli eventi rilevanti sono ancora abbastanza freschi e presenti nelle nostre memorie, anzitutto perché alcuni centenari sono ancora in vita, ma anche perché una quantità innumerevole di figli hanno, trasmessi loro dalla bocca dei loro padri e dei loro nonni, racconti certissimi di ciò che essi non han visto di persona».

Di questo paesaggio contemporaneo legato ai ricordi personali, uno storico britannico scomparso da poco più di dieci anni, Eric J. Hobsbawm, dà un’interpretazione ricca di stimoli di riflessione. Scrive, infatti, Hobsbawm:  «Per noi tutti esiste una “zona crepuscolare” fra storia e memoria; fra il passato come ar­chivio generale aperto a un’indagine relativamente spassionata, e il passato come parte o sfondo dei propri ricordi personali». I limiti di questa zona, afferma,  si estendono, più o meno percepibili o confusi,  dal  più lontano momento di cui abbiamo un ricordo ancora vivo delle tradizioni familiari fino al termine dell’infanzia, quando le vicende pubbliche e quelle private si confondono in un tutt’uno e divengono inseparabili. È il caso della solita foto sbiadita, raffigurante  una persona od un luogo, che qualche  anziano è ancora in grado d’individuare e spiegare. «Ma questa “terra di nessuno” temporale c’è sempre ed è la parte di storia di gran lunga più difficile da afferrare, per gli storici e per chiunque».

Continua Hobsbawm: «Quando ci occupiamo di epoche lontane, sappiamo di porci di fronte ad esse essenzialmente da estranei, dal di fuori; un po’ come antropologi occidentali che si accingono a studiare i montanari papua della Nuova Guinea. Se sono abbastanza lontani, geograficamente, cro­nologicamente o emotivamente, questi periodi sopravvivono a volte solo grazie alle inanimate reliquie dei morti: parole e simboli, manoscritti, stampati o intagliati; oggetti materiali, immagini».

Più guardiamo indietro nel tempo, più molte cose sono difficili da percepire, cosicché, per i più inesperti, il tempo presente influenza la lettura di quello passato, giacché spesso si tentati di rimodellare quanto accaduto in epoche lontane alla luce degli attuali termini di giudizio. In questo caso, indubbiamente, ne scaturisce una prospettiva di lettura limitata, piena d’alterazioni ed insidie.  Per meglio comprendere il passato facciamo ricorso ai consueti strumenti e materiali degli storici: le fonti cartacee di un archivio o di una biblioteca, ma anche molte altre fonti primarie. Letture ed analisi si moltiplicano, la letteratura scientifica ci viene in aiuto con il suo cumulo di dibattiti e divergenze, scaturite in virtù delle mode di una società, degli interessi degli studiosi, dei criteri interpretativi.  Una cosa è certa: anche per coloro, che leggono o giudicano i nostri  studi, il passato remoto «è terra straniera».

Quando gli storici si occupano invece di quella parte di storia che abbiamo chiamato “crepuscolare” essi affrontano un’epoca di cui sopravvivono testimoni oculari. Entrano in gioco – si scontrano o si integrano – pertanto, due visioni storiche molto diverse fra loro: quella dello studioso, e quella esistenziale; la memoria d’archivio e quella personale.

Consideriamo, infatti, che ognuno di noi è uno “storico” – le virgolette mi paiono d’obbligo – del proprio vissuto cosciente, legato al personale percorso esistenziale. Siamo tuttavia “storici poco attendibili”. Un esempio evidente è quello della “ricerca orale”: l’intervistatore, generalmente, possiede più informazioni – tratte da pubblicazioni e documenti d’archivio – di quante la “fonte viva”, cioè l’intervistato, sia in grado di attingere dalla propria memoria, sempre più labile ogni giorno che passa. Ciò nonostante, il rischio per il ricercatore è di fraintendere le informazioni, scritte od orali, reperite. A differenza dello storico del medioevo, lo storico dell’età contemporanea può essere corretto da chi, ricordando, scuote la testa e gli dice: «Ma non era mica così».

Commenta Hobsbawm: «Entrambe le versioni storiche, che in questo caso si con­trappongono sono, ognuna a suo modo, ricostruzioni coerenti del passato, consapevolmente ritenute tali e almeno potenzial­mente suscettibili di definizione». La storia desunta dalla “zona crepuscolare” è, comprensibilmente, diversa. «È di per sé un immagine incoerente, solo parzialmente percepita del passato; a volte confusa, a volte apparentemente precisa, sempre trasmessa grazie a un misto di cose apprese sui libri e di memoria di seconda mano modellata dalla tradizione pubblica e privata. Perché è ancora parte di noi, ma non più interamente alla nostra portata. Somiglia in certo modo a quelle antiche mappe variopinte, piene di dubbi confini territoriali e di spazi bianchi, con ai margini segni simbolici e mostri».

La storia crepuscolare è diffusamente manipolata, costruita senza documenti attendibili, ma solo grazie ad immagini frammentarie, che spesso assumono un valore permanente, ben lontano da una ponderata interpretazione critica. Il maggiore rischio è la visione che abbiamo del passato recente, che esige di essere sovente corretta, quando non addirittura demistificata, soprattutto perché se è vero che non ci siamo più dentro, è altrettanto vero che non sappiamo quanta parte del passato – interpretato in modo distorto – è ancora dentro di noi, così da influenzare erroneamente il nostro futuro.

Ben vengano, tuttavia, i rischi che paventa Hobsbawm, se per contro possiamo conservare la testimonianza diretta di chi, essendo stato presente, scuote la testa e dice: «Le cose non stavano affatto così». In verità, chi si occupa di recuperare l’anima del passato, e non solo gli oggetti, sa bene che ci si trova sovente di fronte ad asserzioni non documentabili, perché di molti avvenimenti nessuno ne ha mai scritto una parola, cosicché si disconoscono resoconti dettagliati, relazioni fondamentali, ma soprattutto s’ignora come questi avvenimenti furono al tempo vissuti o giudicati, giacché è cambiata la concezione della vita, la “forma mentis”. Per fornire un esempio mi piace citare Carmelo Trasselli, quando trattava del Cinquecento siciliano: “Carlo V aveva ben altri pensieri e preoccupazioni, ed aveva bisogno di denaro, di navi e di soldati: eppure distolse alcune centinaia di uomini a piedi ed a cavallo ed alcune navi per riportare una apparente tranquillità in Sicilia. Dunque in Sicilia accadevano fatti di cui ignoriamo la cronaca e dei quali comunque ignore­remo sempre il come furono giudicati allora: fatti gravissimi dai quali il potere di Carlo V poteva essere compromesso alla vigilia della coronazione imperiale”.

Il gran vantaggio di questo “paesaggio crepuscolare” rispetto alla storia remota – di cui i pensieri e le preoccupazioni di Carlo V è solo un esempio fra i tanti – è poter conservare della memoria recente la capacità di percezione dei fatti, degli elementi, simbolici e  immateriali, nonché di quelli materiali di cui accennavo in apertura.  In altri termini è possibile comprendere appieno la società e gli “oggetti” che ne rappresentano la cristallizzazione conseguente: il buon governo di una città, influenza la qualità della vita dei cittadini che vi risiedono, i servizi, l’ambiente urbano storico e quello di nuova edificazione. Ecco perché crediamo occorra costruire una nuova, moderna,  sensibilità: conservare la memoria recente è altrettanto importante di conservare la memoria remota.