La lavorazione, rigorosamente manuale per il prodotto di lusso, era tuttavia facilitata per i prodotti più richiesti dall’impiego di macchine che facilitavano le operazioni.
L’affermazione dello stile Liberty in Italia ha coinvolto diversi materiali, tra cui vetro, ferro e ceramica, ciascuno con gradi variabili di sperimentazione e capacità produttiva. Tuttavia, l’evoluzione di questa estetica innovativa si è trovata spesso ostacolata dalla persistenza della tradizione, radicata nella riproduzione di modelli storici. Ancora nel pieno di questa trasformazione, si continuavano a realizzare vetri smaltati ispirati al Quattrocento, ceramiche che riecheggiavano le creazioni di Luca della Robbia e cancellate in ferro battuto di gusto ottocentesco.
Questa inerzia non era soltanto il riflesso di un gusto conservatore del pubblico, ma era anche alimentata da precise scelte politiche e culturali. Il protezionismo artistico limitava l’influenza dei modelli esteri, mentre la scarsa lungimiranza dei direttori artistici contribuiva a frenare l’adozione di nuove tendenze. Il settore della ceramica ne fu un esempio emblematico: all’Esposizione di Torino del 1898, importanti manifatture come Ginori, Cantagalli e Salvini rimasero ancorate alla produzione di oggetti in stile classico. Soltanto l’Arte della Ceramica di Galileo Chini, nata appena un anno prima, osò sperimentare con motivi floreali e animali stilizzati, introducendo le tecniche del “gran fuoco”. Tuttavia, mentre la ceramica si stava affermando come alternativa ai tradizionali manufatti in ghisa o pietra, il suo linguaggio formale continuava a riflettere le estetiche settecentesche.
Il Ruolo delle Innovazioni Tecniche
Se la produzione di ceramica di lusso restava profondamente legata alla lavorazione manuale, quella destinata al consumo più ampio beneficiò invece dell’introduzione di processi meccanizzati. Macchine innovative permisero di velocizzare le fasi di modellazione delle paste ceramiche, eliminando la necessità della tornitura e della calibratura manuali. Tuttavia, il processo di stampa degli stampi in gesso restava ancora artigianale, creando una chiara segmentazione del mercato. Da un lato, si sviluppò un’industria ceramica di fascia medio-alta, destinata a una clientela raffinata (come la Richard di Milano e la Ginori di Doccia); dall’altro, si consolidò una produzione più accessibile, con marchi come Laveno, Quaglino & Foggi di Albisola e la Floria di Palermo, che mantennero una distribuzione prevalentemente regionale.
L’eccezione fu rappresentata dalla Richard Ginori, nata nel 1896 dalla fusione degli stabilimenti di Milano e Firenze, che adottò una strategia produttiva diversificata. Milano si specializzò nella terraglia forte, nei materiali isolanti per l’elettricità e nei sanitari, mentre Firenze preservò la tradizione della maiolica di lusso. La differenza non si limitava alla gamma di prodotti, ma riguardava anche l’organizzazione del lavoro: a Milano, l’uso intensivo dei macchinari ridusse la forza lavoro a 260 operai, mentre Firenze, sfruttando il minor costo della manodopera, impiegava oltre 1.400 addetti. Qui, la manifattura si affiancava a una scuola industriale dotata di laboratori di incisione, cromolitografia e pittura, oltre a una galleria dedicata alla conservazione dei modelli e due musei aziendali, uno storico e uno dedicato alla produzione corrente.
Le Avanguardie e l’Industria del Vetro e del Ferro
Le sperimentazioni più audaci, però, non si limitarono alle grandi manifatture. Piccole realtà come L’Arte della Ceramica di Firenze, sotto la direzione artistica di Galileo Chini, furono protagoniste di innovazioni tecniche di grande rilievo. Chini introdusse l’uso dei lustri metallici e il trattamento del grès con la tecnica della “salaturas”, che prevedeva l’immissione di sale marino nei forni di cottura, conferendo ai manufatti una traslucidità e una malleabilità inedite.
Nel settore del vetro, invece, si continuava a respirare un clima eclettico. Nel 1898, la Salvini & C. di Venezia creò un monopolio che raggruppava le principali industrie locali di mobili, menagli, filature di perle e vetri. Nonostante l’apertura di punti vendita a Londra e Parigi, il mercato privilegiava ancora i vetri di ispirazione antica, come quelli paleocristiani o i cosiddetti “fenici”, ottenuti avvolgendo a caldi filamenti vitrei intorno a un sacchetto di sabbia.
Infine, un ponte tra oggetto domestico e arredo urbano fu creato dalla lavorazione artigianale del ferro battuto, smaltato, cesellato, nichelato o ossidato. Elementi come cancelli, inferriate e maniglie diventarono alcuni dei più pregevoli esempi dell’arte Liberty in Italia, rappresentando l’incontro perfetto tra maestria artigianale e visione estetica innovativa.
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