Narrazioni  
 
Experiences     Catalogo     Azienda     Mission     Condizioni     Area Clienti      Prodotti Preferiti     Account   
 
   
      
 
 
 
   
  eBooks
   
  Brossure
   
  Stampe Fine Art
   
  Education
   
  Free
   
   
   
   
   
   
   

Lo scenografico Maschio Angioino, l'antico Castrum napoletano

Foto da Wikimedia Commons

     
 
IL SEGRETO DEL MAGO
da "Leggende napoletane", di Matilde Serao
2/4

La scoperta
del mago Cicho
 

Si dicea che spesso Cicho passava ore intere curvato sopra un pentolino che bolliva, bolliva e dove sicuramente danzavano le maledette erbe infernali che cagionano malsania, follìa e morte, sebbene il servo non comperasse in piazza che le erbe di cucina, come maggiorana, pomidoro, basilico, prezzemolo, cipolle, agli ed altro. Ma si sa che gli stregoni vanno sui prati, nella notte del sabato, incantano la luna, chiamano il diavolo e colgono le erbacce malefiche. Si diceva altresì che Cicho venisse fuori sul suo piccolo terrazzino, scuotendo dalle mani e dall'abito una polvere bianca che certo doveva avvelenare l'aria; che spesso andasse a lavarsi le mani macchiate di rosso in un tinello di cui l'acqua si corrompeva. Quelle mani macchiate di rosso davano autorità a orribili sospetti; tanto più che si soggiungeva esservi spesso, nel laboratorio di Cicho, sul pavimento, larghe macchie di rossobruno, simili a pozze di sangue e che quello sciagurato stregone di Cicho si occupasse, nella notte, a tagliare coi sottili coltelli, sopra una grande tavola di marmo bianco, non so che di delicato. Membra di bambini, o gambe di rana, o pelli di serpentelli – ripeteva la gente. E quando camminava nella via, le comari ammiccavano e si davano delle gomitate nei fianchi, dicendo:

– Cicho il mago, Cicho il mago!

– Cerca il modo di ridiventare giovane, il secchione!

– Vuol trovar l’oro, forse.

– O quella pietra per cui s’ha virtù, saggezza e lunga vita.

– Che!! Chiama il diavolo per diventare Gran Turco.

Cicho ascoltava e tirava via sorridendo. In fondo le comari, avendone paura, non osavano maledirlo che sottovoce; a ammonivano i bimbi ad usargli rispetto. lo stregone, malgrado le voci temerarie, aveva rispetto di galantuomo e quella tale aria di soddisfatto raccoglimento di chi medita una bella e feconda idea. Parea dicesse: verrà, verrà il giorno mio, o gente ingrata.

A chiarirvi un poco il mistero ed a denudare la sua vita di quella parte sovrumana che Dio non permette più sulla terra, poiché Dio fa miracoli solamente per l’anima e non più per il corpo, vi dirò quanto segue. Cicho era stato a suo tempo ricco e gagliardo e bel giovanotto: aveva saputo goder bene della salute, della gioventù e della ricchezza; amante, era stato amato; aveva avuto palazzi, corridori di nobil sangue, pietre preziose, vestimenta intessute d’oro; aveva goduto feste, conviti, balli, tormenti, giostre; aveva assaporato col più vivo piacere baci di donne, colpi di spada di cavaliere e vini poderosi. Quando la sua ricchezza cominciò a dileguare, come sempre accade, si allontanarono donne ed amici; ma Cicho che aveva fatta sugli scrittori antichi buona e larga provvista di filosofia , non se ne accorò. Sibbene rimasto solo, con niuna opera da compiere, gli venne vaghezza di rendersi utile agli uomini. E dopo aver escogitato tutti i mezzi, ricordando i suoi godimenti ed i suoi piaceri, entrò nella persuasione dover lui ritrovare qualche cosa che concorresse specialmente alla felicità del suo simile, felicità instabile e passeggera a cui egli voleva dare un qualche solido fondamento. Raffermato in questa intenzione comperò pergamene e volumi, studiò lungamente, tentando e ritentando ogni giorno prove novelle, sbagliando, ricominciando da capo, consumando le sue notti, il suo denaro ed il carbone dei suoi fornelli. Per molto tempo la mala fortuna lo perseguitò e le sue esperienze riuscirono sempre fallaci, ma non per questo venne meno la sua costanza. Ei lavorava per la felicità dell’uomo e cotale altissimo scopo gli era innanzi agli occhi come visione animatrice; alla fine, dopo molti anni di travaglio, si poté dire di aver raggiunto la sua meta, gridando anche lui la parola del greco Archimede, di fronte a tanta scoperta. Poi, come usano gli inventori, s’occupò a vezzeggiare al sua scoperta, a carezzarla , a darle forme variate e seducenti, a perfezionarla, in modo da poter dire agli uomini: Eccola qui; io ve la dono bella e completa.

 
 
 
 
 
Indietro
 
 

 
   
HOME  
   
Informativa sulla Privacy    Credits    Contattaci    Registrazione    Experiences-plus    Biblioteche  
shop.experiences.it  
   
Registrati My Account HOME Chi siamo  Prodotti

Carrello

Contatti Privacy Condizioni Area partner Biblioteche