Si dicea che spesso Cicho passava
ore intere curvato sopra un
pentolino che bolliva, bolliva e
dove sicuramente danzavano le
maledette erbe infernali che
cagionano malsania, follìa e
morte, sebbene il servo non
comperasse in piazza che le erbe
di cucina, come maggiorana,
pomidoro, basilico, prezzemolo,
cipolle, agli ed altro. Ma si sa
che gli stregoni vanno sui prati,
nella notte del sabato, incantano
la luna, chiamano il diavolo e
colgono le erbacce malefiche. Si
diceva altresì che Cicho venisse
fuori sul suo piccolo terrazzino,
scuotendo dalle mani e dall'abito
una polvere bianca che certo
doveva avvelenare l'aria; che
spesso andasse a lavarsi le mani
macchiate di rosso in un tinello
di cui l'acqua si corrompeva.
Quelle mani macchiate di rosso
davano autorità a orribili
sospetti; tanto più che si
soggiungeva esservi spesso, nel
laboratorio di Cicho, sul
pavimento, larghe macchie di
rossobruno, simili a pozze di
sangue e che quello sciagurato
stregone di Cicho si occupasse,
nella notte, a tagliare coi
sottili coltelli, sopra una grande
tavola di marmo bianco, non so che
di delicato. Membra di bambini, o
gambe di rana, o pelli di
serpentelli – ripeteva la gente. E
quando camminava nella via, le
comari ammiccavano e si davano
delle gomitate nei fianchi,
dicendo:
– Cicho il mago, Cicho il mago!
– Cerca il modo di ridiventare
giovane, il secchione!
– Vuol trovar l’oro, forse.
– O quella pietra per cui s’ha
virtù, saggezza e lunga vita.
– Che!! Chiama il diavolo per
diventare Gran Turco.
Cicho ascoltava e tirava via
sorridendo. In fondo le comari,
avendone paura, non osavano
maledirlo che sottovoce; a
ammonivano i bimbi ad usargli
rispetto. lo stregone, malgrado le
voci temerarie, aveva rispetto di
galantuomo e quella tale aria di
soddisfatto raccoglimento di chi
medita una bella e feconda idea.
Parea dicesse: verrà, verrà il
giorno mio, o gente ingrata.
A chiarirvi un poco il mistero ed
a denudare la sua vita di quella
parte sovrumana che Dio non
permette più sulla terra, poiché
Dio fa miracoli solamente per
l’anima e non più per il corpo, vi
dirò quanto segue. Cicho era stato
a suo tempo ricco e gagliardo e
bel giovanotto: aveva saputo goder
bene della salute, della gioventù
e della ricchezza; amante, era
stato amato; aveva avuto palazzi,
corridori di nobil sangue, pietre
preziose, vestimenta intessute
d’oro; aveva goduto feste,
conviti, balli, tormenti, giostre;
aveva assaporato col più vivo
piacere baci di donne, colpi di
spada di cavaliere e vini
poderosi. Quando la sua ricchezza
cominciò a dileguare, come sempre
accade, si allontanarono donne ed
amici; ma Cicho che aveva fatta
sugli scrittori antichi buona e
larga provvista di filosofia , non
se ne accorò. Sibbene rimasto
solo, con niuna opera da compiere,
gli venne vaghezza di rendersi
utile agli uomini. E dopo aver
escogitato tutti i mezzi,
ricordando i suoi godimenti ed i
suoi piaceri, entrò nella
persuasione dover lui ritrovare
qualche cosa che concorresse
specialmente alla felicità del suo
simile, felicità instabile e
passeggera a cui egli voleva dare
un qualche solido fondamento.
Raffermato in questa intenzione
comperò pergamene e volumi, studiò
lungamente, tentando e ritentando
ogni giorno prove novelle,
sbagliando, ricominciando da capo,
consumando le sue notti, il suo
denaro ed il carbone dei suoi
fornelli. Per molto tempo la mala
fortuna lo perseguitò e le sue
esperienze riuscirono sempre
fallaci, ma non per questo venne
meno la sua costanza. Ei lavorava
per la felicità dell’uomo e cotale
altissimo scopo gli era innanzi
agli occhi come visione
animatrice; alla fine, dopo molti
anni di travaglio, si poté dire di
aver raggiunto la sua meta,
gridando anche lui la parola del
greco Archimede, di fronte a tanta
scoperta. Poi, come usano gli
inventori, s’occupò a vezzeggiare
al sua scoperta, a carezzarla , a
darle forme variate e seducenti, a
perfezionarla, in modo da poter
dire agli uomini: Eccola qui; io
ve la dono bella e completa.
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