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Se i ceti popolari hanno avuto un ruolo minimo e subalterno rispetto la cultura dominante, con le ricerche etnografiche, forse i ruoli si sono invertiti. L’enorme bagaglio “folclorico” ha rivelato valori e tradizioni molto più complessi di quanto si sospettava. Orale o scritta la cultura popolare ha dimostrato tutta la sua complessità e ricchezza. Per fare solo qualche esempio di uso folcloristico, pensiamo a: le conoscenze, tutte le credenze popolari, gli usi ed i costumi, i miti, le fiabe e le leggende, le filastrocche e i proverbi, come anche la musica, il canto e le danze, come tutto il mondo fisico del popolo, dall’architettura, gli arredi, gli strumenti di lavoro  e l’oggettistica. Tutto questo relazionato ad un gruppo sociale o ad un’area geografica specifica. Ma è proprio partendo da questa base, le tradizioni di un determinato gruppo sociale, che accrescendo il nostro spazio visivo, si scopre un enorme puzzle culturale, molto variegato e molto significativo. Un vero e proprio tesoro di livello mondiale.

Il termine folclore deriva dall'inglese folk, "popolo", e lore, "sapere". Fu coniato, infatti, dall’antiquario e scrittore inglese William Thoms, che, nel 1846, lo propose in una lettera inviata al giornale londinese Athenaeum. Lo scopo era di avere un termine che indicasse le ricerche che andavano facendosi sulla classe popolare. La sua proposta fu accettata, però, solo nel 1878, dalla comunità scientifica internazionale. Da quel momento tutte le "tradizioni popolari", gli usi e quant’altro, ricaddero sotto il termine di “folclore”.
Il “risveglio etnografico” è legato agli inizi del XIX secolo. In Italia fu Napoleone per primo a comandare un’inchiesta sulle tradizioni popolari italiane, da lui conquistate. Lo scopo era quello di modernizzare la popolazione, estirpandone usi e superstizioni di stampo medievale. L’inchiesta napoleonica si svolse dal 1809 al 1811. Il valore della ricerca è dimostrato da quella effettuata, in epoca post-napoleonica, sul territorio del Trentino e dell'Alto Adige, voluta da don Francesco Lunelli. L’area era rimasta fuori dalla ricerca francese in quanto sotto il dominio austriaco.
Rimanendo nell’ottica napoleonica, il forlivese Michele Placucci, pubblicò, nel 1818, il saggio intitolato Usi e pregiudizj de' contadini della Romagna. Il Placucci, pur basandosi su del materiale prodotto nella ricerca francese, anticipò di 50 anni il vero periodo etnografico, facendo da punto di riferimento dei vari ricercatori successivi del folclore regionale. .
In effetti, lo studio sistematico, su base scientifica, del settore etnografico, è proprio della seconda metà dell’Ottocento. In Italia è legata al medico palermitano Giuseppe Pitrè. Egli pubblicò l’enorme serie Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, realizzata tra il 1871 e il 1913. L’opera si componeva di ben venticinque volumi. Pitrè diede vita anche alla rivista Rivista Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, edita dal 1882 al 1909 a Palermo.
L’incredibile opera innovativa del Pitrè, diede origine, rigore e perfetta catalogazione, alle ricerche etnografiche, tanto che, nel 19011, fu creata, appositamente per lui, la prima cattedra in Italia di demopsicologia, cioè per lo studio delle tradizioni popolari.

Che la strada fosse giusta lo dimostra la tematica folcloristica, elevata, oggi, proprio a livello universitario. Ciononostante, questo revival della cultura popolare del passato, rischia non già una nuova identificazione, ma, viceversa, una nuova subalternità in un’ottica di mercificazione e di svalutazione a livello culturale.

 
 
 
 
 

 
 
 
 

   
 
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