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Dopo la sua nascita, il padre e la famiglia si trasferirono da Bruxelles a Parigi. Qui il genitore, di religione ebraica, svolgeva la mansione di ritrattista. Il giovane Claude poté, quindi, crescere in un ambiente propositivo e culturalmente elevato. Alla Sorbona di Parigi svolse studi sia di legge che di filosofia. E’ in quest’ultima che si laurea nel 1931.
Tuttavia, Claude Lévi-Strauss non si riconosceva appieno nelle correnti filosofiche del periodo, idealiste e spiritualistiche, avvertendo, piuttosto in se una tendenza rivolta al concreto. Nell’intenso mondo culturale di Parigi, ad un'esposizione di Jacques Soustelle al Museo Etnografico, ebbe il modo di conoscere Paul Rivet e Marcel Mauss, diventando allievo di quest’ultimo. Era letteralmente attratto dal senso di concretezza che scaturiva dal metodo che Mauss applicava analizzando i riti e i miti primitivi. Ai suoi occhi, il settore della sociologia e dell'etnologia, presentavano forti possibilità di innovazione, sempre nell’indagine reale sul campo.
Nel 1935, a Claude Lévi-Strauss si propose l’insegnamento in una cattedra di sociologia a San Paolo in Brasile. Fu un’occasione straordinaria, non tanto per l’insegnamento, quanto per la conoscenza di un mondo culturalmente diverso da quello europeo. Egli ebbe il modo, così, di incontrare le popolazioni indie del Brasile. Tra il 1935 e il 1938, egli organizza due spedizioni etnologiche: una tra i Bororo e l’altra nel Mato Grosso e nella foresta amazzonica. Da studioso europeo (quindi civilizzato) ha il modo di entrare in contatto con "i veri selvaggi".
Ricco di informazioni, Lévi-Strauss tornò, nel 1939, in Francia. Il tempo di essere mobilitato per lo scoppio della guerra. Dopo la sconfitta e l’armistizio, nel 1941, a causa delle persecuzioni razziali, riuscì ad imbarcarsi e a rifugiarsi negli Stati Uniti. Negli anni della guerra, a New York, lo troviamo molto attivo. Insegna presso la "New School for Social Research"; e nella École Libre des Hautes Études, una università francese in esilio, di cui è considerato uno dei fondatori. La conoscenza del linguista Roman Jakobson, lo porta a studiare l’antropologia americana, che gli farà guadagnare una cattedra presso la Columbia University di New York, oltre al visto per la residenza in America.

Tornato a Parigi nel 1948, ottenne il suo dottorato alla Sorbona. La sua tesi, pubblicata l’anno successivo, "Le strutture elementari della parentela", fu accolto tra gli esperti con grande consenso. Se sul tema erano già stati editati altri saggi, come quello di Emile Durkheim e quello dell’inglese Alfred Reginald Radcliffe-Brown, il suo punto di bista risultò innovatore. L’antropologo inglese, infatti, sosteneva che il rapporto di parentela si doveva alla discendenza. Lévi-Strauss, invece lo addebitava ad una specie di tacita alleanza tra la famiglia dello sposo e della sposa.
Nel decennio successivo alla guerra, Lévi-Strauss ottenne degli ottimi risultati. Svolse l’incarico di amministratore del CNRS, presso il "Musée de l'Homme". Ottenne la conduzione della sezione di "Sciences religieuses", rinominata "Religions comparées des peuples sans écriture", della scuola "École Pratique des Hautes Études", già aperta da Marcel Mauss.

Conosciutissimo nel mondo accademico, egli divenne maggiormente famoso con la pubblicazione di "Tristes Tropiques", nel 1955. Questo è un vero e proprio diario della sua esperienza brasiliana, nella realtà indigena della foresta amazzonica. Nel 1959, divenne professore della cattedra di Antropologia sociale presso il Collège de France. Ma egli si afferma soprattutto con l’edizione del trattato "Anthropologie structurale", dove presenta la sua visione strutturalista, cioè di un nuovo metodo di indagine strutturalista applicato agli studi di antropologici culturale. Questo, per Lévi-Strauss, fu un periodo di grande attività, dove proporre la costituzione di un’organizzazione e di un nuovo giornale (l'Homme). In un crescendo lento ma progressivo, nel 1962, egli pubblica "Pensée Sauvage"., ritenuto da molti il suo testo più importante. In esso espone la teoria della cultura della mente, per poi, nella seconda parte, esporre la teoria del cambiamento sociale, incentrata sulla natura della libertà umana. Questo “sconfinamento”, gli valse una intensa polemica con il filosofo Jean-Paul Sartre.
Alla fine degli anni sessanta, Lévi-Strauss si mise all’opera su un vasto trattato, Mythologiques, che verrà pubblicato in quattro volumi. In esso egli analizza mito per mito, le sue similitudini e diversità in gruppi sociali che vanno dal Sud America all’America Settentrionale, fino al Circolo Polare Artico. La disamina non si limita alle singole storie, ma si rende complessa nell’analisi dei rapporti sociali e di parentela tra i diversi gruppi presi in esame. Il metodo adottato da Lévi-Strauss fu rigidamente strutturalista. Ciononostante, la vastità dell’opera, molti studiosi ritengono tuttora il saggio Pensiero Selvaggio, come il suo lavoro migliore.

Già a partire dagli anni settanta, ma in genere nella parte finale della sua vita, Claude Lévi-Strauss ha ricevuto onori, premi e riconoscimenti. Basti pensare alle laurea ad honorem ricevute dalle Università di Oxford, della Harvard University e dalla Columbia University.
Sempre attivo, anche dopo il ritiro, egli non ha mancato di pubblicare libri e trattati di vario genere. Lévi-Strauss è morto nel 2009, a più di cent’anni.

 
 
 
 
 

 
 
 
 

   
 
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