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Si può dire che il concetto di città
ideale sia sorto sin dall’inizio, quando
gli uomini cominciarono a creare le prime
città. Tuttavia, se nella classicità i
modelli si erano sviluppati in una ben
definita soluzione architettonica, con la
caduta dell’impero romano e l’inizio del
lungo e freddo medioevo, tale “purezza”
compositiva si perse. Così pure scomparve
la polis a vantaggio della feudalità, i
monasteri e la campagna. Ciononostante,
con il rilancio delle città, dei comuni e
dell’urbanizzazione si ricompose il quadro
precedente. Solo in periodo
rinascimentale si tentò di recuperare un
ideale di perfezione urbanistica. A tale
idea venne legato il concetto di
perfezione del pensiero umano. L’intento,
riacquisito, fu di dare vita ad un
ambiente urbano geometrico e in quanto
tale, razionale (e rappresentabile con una
prospettiva). Il nuovo ideale venne
applicato in molti campi, a partire dalla
filosofia, e, alla fine del XVI secolo,
esso porterà alla razionalità di
un'impostazione scientifica e alla
scienza. Parallelamente nacque
un’aspirazione alla purezza utopistica.
Il tema di una città ideale divenne
proprio del periodo rinascimentale e
condurrà a ricerche e studi nei campi
dell’arte, dell’architettura e
dell’urbanistica, anche se mancheranno
vere e proprie applicazioni e costruzioni.
Realtà ed utopia
Può l’architettura possedere un afflato
ideale, tale che questo confluisca nella
ricerca programmatica delle funzioni e la
realizzazione progettuale, essere cioè
astrattamente concettuale? La risposta
sarebbe negativa, in quanto i dati
concreti e sensibili la rendono campo
della mediazione. Oltretutto la gestione
dello spazio pubblico appartiene alle
specifiche amministrazioni, e la stessa
localizzazione, detta al progettista
condizioni specifiche d’intervento. E se
ciò è evidente nella realtà attuale, a
maggior ragione è vera quando il potere è
in mano ad un despota o principe
qualsivoglia. Ad esempio di ciò basti
pensare al panorama urbano delle città
dell’antico Egitto. Da un lato le povere e
piccole abitazioni di mattoni di fango
essiccato al sole del popolo, w dall’altro
i grandi palazzi e statue, espressioni del
potere faraonico e sacerdotale. E’
tutt’altro che la raffigurazione di una
città ideale. Ciononostante, sempre
nell’antichità, vi è la descrizione
dell’aspirazione umana di costruire
edifici dal forte impatto significativo ed
ideale. E’ il caso della torre di Babele,
narrata nella Bibbia. Il sogno di
raggiungere il cielo contiene in sé tutta
la carica simbolica di un’utopia.
Successivamente, il rapporto tra idealità
ed espressione architettonica entrò nelle
riflessioni filosofiche e politiche
dell’antica Grecia. Platone in due
dialoghi (nella Repubblica e nelle Leggi),
esprime i suoi concetti politici
rapportati a forme utopistiche di governo,
ma evita di descrivere la sua città ideale
materialmente. Unico giudizio, il rifiuto
urbanistico di una regolarità eccessiva, a
suo avviso sgradevole. L’idea astratta
rimase profondamente inserita sia nel
pensiero etrusco, ma soprattutto greco.
L’intento seguente fu applicare un
progetto politico ideale su una
architettura urbana. Su indicazione di
Pericle, vennero fondate in Italia città
coloniali perfette, quali le polis di
Marzabotto e Gonfienti (del VI secolo
a.C.), e la città di Thurii, vicino Sibari
(del 444 a.C.). L’opera maggiore,
tuttavia, l’abbiamo dall'architetto
Ippodamo di Mileto, che espresse, nella
propria città, un modello urbanistico
ortogonale di grande fortuna, ripreso ad
ispirazione da molti progettisti nel corso
della storia (l’impianto, infatti, è detto
ippodameo). Alla base di questo, gli
storici annotano influenze culturali del
sofista Protagora e della corrente
pitagorica, fonte di un’organizzazione
numerica delle dimensioni e dei rapporti,
che ricadevano sulla struttura sociale e
sulle prerogative e potenzialità dei
cittadini. |
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