LL'idea
di velocità e di movimento
caratterizzò, in Italia, l’intero
gruppo futurista, dell’inizio del
Novecento. Se la corrente
artistica venne fondata da Filippo
Tommaso Marinetti, firmatario del
manifesto futurista del 1909,
all’interno di esso operarono
personalità ancora oggi molto
conosciute, come Umberto Boccioni,
Giacomo Balla, Fortunato Depero ed
Enrico Prampolini. Essendo
l’azione degli artisti anche molto
attiva nel campo architettonico,
tra gli architetti possiamo
ricordare il più noto di essi:
Antonio Sant'Elia.
I Manifesti futuristi
Nel 1909 venne pubblicato il
manifesto futurista e, nel 1912,
Antonio Sant'Elia e Mario
Chiattone parteciparono alla
mostra milanese sulle Nuove
Tendenze. Gli architetti futuristi
organizzarono, due anni dopo, la
loro prima esposizione. In
occasione della manifestazione,
Sant’Elia pubblicò un documento,
che successivamente fu trasformato
da Marinetti nel Manifesto
dell’architettura futurista. Nel
1920 uscì il il Manifesto
dell’Architettura
Futurista–Dinamica, ad opera di
Virgilio Marchi. Nel 1931, ecco il
Manifesto dell'Arte Sacra
Futurista scritto da Luigi Colombo
e Filippo Tommaso Marinetti.
L’ultimo manifesto futurista di
architettura venne pubblicato nel
1934, il Manifesto
dell'Architettura Aerea. Fu
redatto da Marinetti, Angiolo
Mazzoni e Mino Somenzi. In esso si
ha uno scatto in avanti,
dall’architettura all’urbanistica,
mantenendo sostanzialmente,
l’impostazione visionaria delle
proposte iniziali. Con la morte di
Marinetti, avvenuta nel1944, e la
fine del secondo conflitto
mondiale, il movimento si sciolse.
Anche Umberto Boccioni compose
un manifesto futurista, simile a
quello del 1914, che però non
venne mai pubblicato, rimanendo
fra le carte di Marinetti e poi
ritrovato.
Antonio Sant'Elia
L'architetto Antonio Sant'Elia
operò un grande lavoro, non solo
creativo, ma anche organizzativo.
Partendo dal testo del Manifesto
del futurismo di Filippo
Marinetti, del 1909, redasse un
primo "Messaggio" per il catalogo
della mostra "Nuove Tendenze".,
che poi confluì nel suo Manifesto
dell'architettura futurista, del
1914. Allegate al Manifesto egli
presentò una serie di tavole sulla
"Città Nuova", in cui
materialmente le sue nuove
proposte architettoniche possono
essere capite ed apprezzate, sia
nella loro bellezza, che per le
novità funzionali di
un’architettura d’avanguardia.
Allegate alle tavole, a
conclusione del suo manifesto,
Sant’Elia precisa le
caratteristiche proprie della
"Città Nuova". In primis, i
materiali consoni a delle
composizioni elastiche e leggere,
che attraverso le nuove tecniche
di costruzione (del cemento
armato, del ferro e del vetro),
unitamente ad altri materiali di
finitura che possono alleggerire
la scatola architettonica (tra
questi: il cartone, il legno, la
pietra, il mattone e la fibra
tessile). Anticipando correnti ed
architetti successivi, i futuristi
non amano la decorazione. Essi la
vedono come un elemento
sovrapposto inutilmente. La
bellezza deve provenire, invece
secondo loro, dai materiali nudi o
dal colore acceso.
Questo,
però, non vuole dire che
l’architettura futurista è
piattamente utilitaristica, ma ,
anzi, è arte (espressione) e
dinamismo, con l’utilizzo
compositivo di linee oblique ed
ellittiche (oltre l’ortogonale),
che danno movimento e dinamicità
alla costruzione. Se, infatti,
l’architettura precedente si
ispirava al rapporto dell’uomo con
la natura, il nuovo mondo, essendo
meccanico, deve rifarsi al
concetto di artificialità, cioè di
piena ed esclusiva creazione
umana. La libertà deve entrare
nell’arte, cancellando ogni
metodologia scontata e
precostituita. Questa libertà deve
armonizzare, con coraggio e
audacia, l’ambiente progettato,
opera artificiale dell’uomo, ma
che sia anche una proiezione del
suo mondo interiore e spirituale.
L’architettura futurista non pone
obblighi, né vuole rappresentare
un nuovo testo sacro da
rispettare. Le loro idee sono
transitorie (concepite quasi come
fosse una moda) nella misura
d’essere elastiche ed evolutive.
Ogni generazione avrà la sua
architettura. Il concetto alla
base del movimento futurista è il
dinamismo plastico, ma anche il
rinnovamento continuo
dell'ambiente urbano e della
stessa architettura che lo
compone. La “ricetta” futurista è
ancora valida nel mondo veloce e
mutevole dei nostri tempi.
Le speranze della Belle Epoque
All’inizio del Novecento, le nuove
nascenti tecnologie, come la
meccanizzazione, l’automobile,
l’ascensore o l’aereo,
sostanziarono le speranze della
Belle Epoque. Il manifesto del
futurismo, del 1909, prefigura il
cambiamento, la velocità e la
modernità (le luci e i rumori).
Già in esso si parla di "città
futurista", cioè di una città
visionaria dal taglio utopico. E’
il futuro quasi raggiunto, a
portata di mano. Sant’Elia
contrappone la visione del
movimento e della velocità
all’architettura del passato,
ferma, pesante e monumentale. La
sua “casa futurista simile ad una
macchina gigantesca”,
tumultuosamente dialoga con quelle
vicine, proiettandosi, al tempo
stesso, verso l’alto (veri
grattacieli), e circondata da
strade divenute carrabili,
percorse da auto rumorose, Altre
innovazioni del futurismo furono
le stazioni multiuso e
multilivello, o l’attenzione
rivolta al novello settore del
trasporto aereo.
Tuttavia
fu proprio la forza innovativa a
costituire il limite del movimento
stesso, mai veramente accolto dai
crici o dai potenti. Sant’Elia,
nonostante i numerosi progetti
cartacei, non realizzò molto,
morendo molto giovane. Il
razionalismo insito, sin
dall’inizio, nei manifesti, non
sfociò mai nel movimento
razionalista, vero e proprio, né
il futurismo divenne, come
desiderato da Marinetti,
espressione del regime fascista.
L’intuizione di Sant’Elia
della stretta connessione tra
architettura ed urbanistica, che
gli permise un’ottica così
avanzata, venne poi ripresa e
sviluppata dal De Stijl e da
architetti successivi, quali Le
Corbusier (cosa facilmente
dimostrabile), è tutt’ora alla
base della professione di
progettista edile. La fiducia
nella tecnologia, portatrice di
sviluppo, così intrinseco nel
futurismo, venne poi ripresa
dall’architetto Richard
Buckminster Fuller, che, lavorando
con essa, ha proposto molte
soluzioni a basso costo ed impatto
limitato, applicabili nell’ottica
di una società sempre più
avanzata. In conclusione, il
merito del movimento futurista è
di avere collegato la realtà
storica con una visione
utopistica, che troverà
applicazione concreta alcuni
decenni dopo.
|
|