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Stazione d'aeroplani e treni ferroviari con funicolari e ascensori su tre piani stradali.

Foto da Wikimedia Commons

     
 
PRIMO PIANO
La città dei
futuristi
 

LL'idea di velocità e di movimento caratterizzò, in Italia, l’intero gruppo futurista, dell’inizio del Novecento. Se la corrente artistica venne fondata da Filippo Tommaso Marinetti, firmatario del manifesto futurista del 1909, all’interno di esso operarono personalità ancora oggi molto conosciute, come Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Fortunato Depero ed Enrico Prampolini. Essendo l’azione degli artisti anche molto attiva nel campo architettonico, tra gli architetti possiamo ricordare il più noto di essi: Antonio Sant'Elia.

I Manifesti futuristi
Nel 1909 venne pubblicato il manifesto futurista e, nel 1912, Antonio Sant'Elia e Mario Chiattone parteciparono alla mostra milanese sulle Nuove Tendenze. Gli architetti futuristi organizzarono, due anni dopo, la loro prima esposizione. In occasione della manifestazione, Sant’Elia pubblicò un documento, che successivamente fu trasformato da Marinetti nel Manifesto dell’architettura futurista. Nel 1920 uscì il il Manifesto dell’Architettura Futurista–Dinamica, ad opera di Virgilio Marchi. Nel 1931, ecco il Manifesto dell'Arte Sacra Futurista scritto da Luigi Colombo e Filippo Tommaso Marinetti. L’ultimo manifesto futurista di architettura venne pubblicato nel 1934, il Manifesto dell'Architettura Aerea. Fu redatto da Marinetti, Angiolo Mazzoni e Mino Somenzi. In esso si ha uno scatto in avanti, dall’architettura all’urbanistica, mantenendo sostanzialmente, l’impostazione visionaria delle proposte iniziali. Con la morte di Marinetti, avvenuta nel1944, e la fine del secondo conflitto mondiale, il movimento si sciolse.
Anche Umberto Boccioni compose un manifesto futurista, simile a quello del 1914, che però non venne mai pubblicato, rimanendo fra le carte di Marinetti e poi ritrovato.

Antonio Sant'Elia
L'architetto Antonio Sant'Elia operò un grande lavoro, non solo creativo, ma anche organizzativo. Partendo dal testo del Manifesto del futurismo di Filippo Marinetti, del 1909, redasse un primo "Messaggio" per il catalogo della mostra "Nuove Tendenze"., che poi confluì nel suo Manifesto dell'architettura futurista, del 1914. Allegate al Manifesto egli presentò una serie di tavole sulla "Città Nuova", in cui materialmente le sue nuove proposte architettoniche possono essere capite ed apprezzate, sia nella loro bellezza, che per le novità funzionali di un’architettura d’avanguardia.
Allegate alle tavole, a conclusione del suo manifesto, Sant’Elia precisa le caratteristiche proprie della "Città Nuova".
In primis, i materiali consoni a delle composizioni elastiche e leggere, che attraverso le nuove tecniche di costruzione (del cemento armato, del ferro e del vetro), unitamente ad altri materiali di finitura che possono alleggerire la scatola architettonica (tra questi: il cartone, il legno, la pietra, il mattone e la fibra tessile). Anticipando correnti ed architetti successivi, i futuristi non amano la decorazione. Essi la vedono come un elemento sovrapposto inutilmente. La bellezza deve provenire, invece secondo loro, dai materiali nudi o dal colore acceso.

Questo, però, non vuole dire che l’architettura futurista è piattamente utilitaristica, ma , anzi, è arte (espressione) e dinamismo, con l’utilizzo compositivo di linee oblique ed ellittiche (oltre l’ortogonale), che danno movimento e dinamicità alla costruzione. Se, infatti, l’architettura precedente si ispirava al rapporto dell’uomo con la natura, il nuovo mondo, essendo meccanico, deve rifarsi al concetto di artificialità, cioè di piena ed esclusiva creazione umana.
La libertà deve entrare nell’arte, cancellando ogni metodologia scontata e precostituita. Questa libertà deve armonizzare, con coraggio e audacia, l’ambiente progettato, opera artificiale dell’uomo, ma che sia anche una proiezione del suo mondo interiore e spirituale.
L’architettura futurista non pone obblighi, né vuole rappresentare un nuovo testo sacro da rispettare. Le loro idee sono transitorie (concepite quasi come fosse una moda) nella misura d’essere elastiche ed evolutive. Ogni generazione avrà la sua architettura. Il concetto alla base del movimento futurista è il dinamismo plastico, ma anche il rinnovamento continuo dell'ambiente urbano e della stessa architettura che lo compone. La “ricetta” futurista è ancora valida nel mondo veloce e mutevole dei nostri tempi.

Le speranze della Belle Epoque
All’inizio del Novecento, le nuove nascenti tecnologie, come la meccanizzazione, l’automobile, l’ascensore o l’aereo, sostanziarono le speranze della Belle Epoque. Il manifesto del futurismo, del 1909, prefigura il cambiamento, la velocità e la modernità (le luci e i rumori). Già in esso si parla  di "città futurista", cioè di una città visionaria dal taglio utopico. E’ il futuro quasi raggiunto, a portata di mano.
Sant’Elia contrappone la visione del movimento e della velocità all’architettura del passato, ferma, pesante e monumentale. La sua “casa futurista simile ad una macchina gigantesca”, tumultuosamente dialoga con quelle vicine, proiettandosi, al tempo stesso, verso l’alto (veri grattacieli), e circondata  da strade divenute carrabili, percorse da auto rumorose, Altre innovazioni del futurismo furono le stazioni multiuso e multilivello, o l’attenzione rivolta al novello settore del trasporto aereo.

Tuttavia fu proprio la forza innovativa a costituire il limite del movimento stesso, mai veramente accolto dai crici o dai potenti. Sant’Elia, nonostante i numerosi progetti cartacei, non realizzò molto, morendo molto giovane. Il razionalismo insito, sin dall’inizio, nei manifesti, non sfociò mai nel movimento razionalista, vero e proprio, né il futurismo divenne, come desiderato da Marinetti,  espressione del regime fascista.
L’intuizione di Sant’Elia della stretta connessione tra architettura ed urbanistica, che gli permise un’ottica così avanzata, venne poi ripresa e sviluppata dal De Stijl e da architetti successivi, quali Le Corbusier (cosa facilmente dimostrabile), è tutt’ora alla base della professione di progettista edile. La fiducia nella tecnologia, portatrice di sviluppo, così intrinseco nel futurismo, venne poi ripresa dall’architetto Richard Buckminster Fuller, che, lavorando con essa, ha proposto molte soluzioni a basso costo ed impatto limitato, applicabili nell’ottica di una società sempre più avanzata.
In conclusione, il merito del movimento futurista è di avere collegato la realtà storica con una visione utopistica, che troverà applicazione concreta alcuni decenni dopo.

 
 
 
 
 
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