Una
festa molto diffusa in Sicilia è
quella di San Martino che com’è
noto si celebra l’11 novembre,
questa celebrazione sembra
riconnettersi alle antiche
Antestèrie, feste popolari il cui
primo giorno era detto dal greci
pitoighia, perché proprio in quel
giorno si spillavano le botti e si
assaggiava il primo mosto. Questo
avviene ancora oggi e il vino
appena spillato viene accompagnato
da li "muffaletta" pani di forma
tondeggianti che si mangiano
conditi con olio, formaggio, pepe
e sale, la preparazione e il
consumo di quest’ultimi ha un
carattere strettamente privato ed
individuale e non è legato a
particolari cerimonie In questa
stessa occasione si consuma "
viscottu i San Martino", il
biscotto di Sali Martino, che si
suole mangiare inzuppato nel vino,
già descritto dal Pitrè come "un
piccolo pane convesso e con de'
ghirigori a forma di roccocò al di
sopra, piano al di sotto".
Il
Pìtrè ci riferisce anche che per
la festa di San Nicola preparano
dei pani detti appunto "panuzzi di
San Nicola" questi sono dei pani
votivi ricavati dall’unione di tre
piccole forme rotonde che
rappresentano la trinità, e sono
eseguiti in modo che risultino più
duri di quelli normali, questo
probabilmente perché alcuni di
essi sono conservati contro le
calamità naturali. La celebrazione
del santo è particolare a Palermo
dove le donne per la preparazione
dei panuzzi sono solite chiedere
in prestito alla parrocchia i
"bbulla" antichi punzoni di legno
con i quali vengono incisi questi
panini, che spennellati d'uovo,
alla cottura del forno acquistano
il colore dell'oro antico. In filo
di questi punzoni è rappresentato
l’emblema in greco: IE/XE/NI/KA
cioè Gesìi Cristo vince,
nell’altro è raffigurata
l’immagine di San Nicola
benedicente che reca il pastorale
della liturgia greca e tre
panini,infatti secondo una
leggenda popolare il santo sfamò
con soli tre panini una città
afflitta dalla carestia. Ogni anno
durante la funzione religiosa dei
6 Dicembre nella statua del santo
vengono tre panini con quelli
nuovi eseguiti per l'occasione,
gli altri panini distribuiti ai
fedeli vengono mangiati o come
suddetto conservati in casa perché
si crede che essi abbiano il
potere di allontanare tempeste e
calamità naturali.
Per la
ricorrenza di Santa Lucia il 13
dicembre quasi in tutta la Sicilia
è ancora osservata la tradizionale
penitenza secondo la quale bisogna
astenersi dal mangiare, pane e
pasta. per l'occasione infatti si
consuma la "cuccìa" una sorta di
zuppa di grano bollito condito con
vino cotto o crem. Unica eccezione
a questa prescrizione sono dei
pani votivi detti "uocci o
uccialeddi di Santa Lucia", cioè
occhi di Santa Lucia, essi sono
preparati a Siracusa di cui la
santa è patrona, ma anche in altri
luoghi, e riproducono degli occhi
in quanto si crede che la santa
protegga la vista, questi pani
infatti non vengono solo
consumati, ma anche conservati o
appesi alla parete a lato del
letto con chiaro valore
apotropaico. Questo legame della
santa con la luce risale al fatto
che prima della riforma del
calendario gregoriano, avvenuta
alla fine del cinquecento, il
giorno dedicatole coincideva con
il solstizio d’inverno cioè il
giorno più corto dell'anno, quindi
proprio perché dopo la ricorrenza
di Santa Lucia i giorni
riprendevano ad allungarsi, la
santa fu investita del ruolo di
portatrice di luce.
Sempre
con valore apotropaico e quasi
taumaturgico si preparano nel
catanese dei pani votivi per San
Mauro che viene festeggiato il 15
gennaio i cosiddetti "vastunedda i
San Mauro" e per Sant'Agata
festeggiata il 5 febbraio "i
minuzzi i Sant’Aita". I primi
hanno forma di bastoncini, sono
infatti piuttosto sottili e
durante la preparazione
all'estremità di ognuno di essi
viene praticato un taglio e una
delle due punte si ricurva
leggermente formando così un
bastone a stampella, questi pani
votivi vengono infatti offerti a
San Mauro per propiziare la
guarigione dei dolori in genere ma
soprattutto di quelli reumatici e
artritici . I "minnuzzi i
Sant'Aita" invece sono dei
pani-dolci votivi che come si
ricava dallo stesso nome
preservano le donne dalle malattie
del seno, infatti in un immagine
popolare la santa patrona di
Catania è rappresentato con due
carnefici che con grandi tenaglie
le strappano il seno, che è
infatti il martirio che secondo la
Passio Sanctae questa subì.
Per San
Vito patrono di Mazara del Vallo
soprattutto in passato si
preparavano dei piccoli pani a
forma di ciambella detti "panitti
i San Vitu" che si solevano
offrire al santo contro il morso
dei cani e per fare guarire i
pazzi, il santo infatti divenne
popolare in tutto il meridione per
le sue qualità taumaturgiche. Lo
speciale patrocinio del santo
comunque parrebbe risalire al
fatto che gli antichi ritenevano
che alcune razze canine fossero la
reincarnazione degli spiriti
irrequieti dei morti, e in
particolare che i morsi dei cani
idrofobi fossero in grado di
trasformare in demoni gli uomini
morsicati, questo concetto si
stendeva a tutte quelle malattie
che si manifestavano con
contrazioni nervose, come
l’epilessia comunemente chiamata
"ballo di San Vito".
A San
Biagio festeggiato il 3 febbraio
si offrono per grazia ricevuta dei
piccoli pani che hanno forme e
nomi diversi: "panuzzi",
"miliddi", "cannaruzzedda", di
quest’ultimi piuttosto piccoli che
hanno forma di gola il Pitrè ci
riferisce che "sono soliti
attaccarsi al collo come
preservativo di angine semplici di
angine crupali", infatti uno dei
miracoli più noti del santo risale
a quando salvò un bambino che
stava rischiando di morire
soffocato a causa di una lisca di
pesce conficcataglisi in gola, e
questo ha dato origine al suo
patrocinio particolare per le
malattie della gola. In
particolare a Salemi di cui il
santo è patrono si preparano per
l'occasione i "cavadduzzi i San
Brasi" nel ricordo di un miracolo
compiuto dal santo che liberò il
paese dall'invasione delle
cavallette, quest'ultimi
rappresentano un raro esempio
dell'arte di cesellare la pasta in
maniera altamente stilizzata,
l'impasto composto da farina di
grano tenero e senza lievito si
lavora con aghi, e le figure
lavorate sono curate nei
particolari come preziosi cammei.
A
Palazzolo Acreide, il 29 Giugno
giorno in cui ricorre la festa di
Sali Paolo i pani sono ancora come
ai tempi del Pitrè, offerti al
santo e venduti all'asta nella
sacrestia, si tratta delle
"cudduri di San Paulu", grosse
ciambelle decorate a rilievo sulla
superficie con serpenti di pasta e
guarnite con un vistoso nastro
rosso. Il devoto che acquista
questa cuddura ritiene che in
questo pane ci sia qualcosa di
misteriosamente soprannaturale e
perciò lo distribuisce tra i
familiari e gli amici, che ne
mangiano un pezzo o lo conservano
per devozione. Il richiamo
figurativo al rettile allude alla
tradizione agiografica che assegna
al Santo la protezione dal morsi
velenosi, infatti secondo gli Atti
degli Apostoli mentre San Paolo si
trovava nell’isola di Malta fu
morso da una vipera rimanendone
immune.
In
alcune feste patronali comunque i
pani votivi sono modellati in
maniera sobria ed essenziale in
questo caso quello che conta è la
loro quantità, a Vita ad esempio
in occasione dei festeggiamenti
per la Madonna di Tagliavia
vengono preparati dai dieci ai
quindici quintali di pani i
"cucciddati di carrozza," per la
loro preparazione infatti si
mobilitano più di cinquanta donne
che per tre giorni di seguito
prestano la loro opera senza alcun
compenso. Così accade anche in
molti altri centri della Sicilia
ad Agrigento e a Naro, dov'è
ancora vivo il culto per San
Calogero particolarmente amato
nella cultura contadina in quanto
protettore del raccolto estivo,
qui nel giorno della celebrazione
del santo, una pioggia di piccole
fette di pagnotte "muffuletti"
vengono lanciate dai fedeli sul
fercolo del santo portato in
processione, i pezzetti di pane
vengono poi raccolti e conservati
per devozione, ma anche mangiati
come cibi benedetti. Lo stesso
avviene ad Avola e Melilli dove
esiste la tradizione di preparare
per la ricorrenza di San
Sebastiano un enorme numero di
piccoli pani azzimi i "cuddureddi"
decorati con nastrini rossi e
gettati al passaggio della statua.
Altri
pani assumono l'aspetto di veri e
propri ex voto e riproducono
pertanto le parti del corpo
guarite per grazia ricevuta, nel
Nisseno sono diffusi infatti i
pani a forma di mani e braccia
portati in dono dai fedeli presso
il santuario di San Calogero; a
Palagonia si usa preparare per
devozione a Santa Febronia un pane
votivo che riproduce il reliquario
raffigurante la mano della Santa,
che si conserva nella Chiesa madre
locale.
Altro
pane con significato devozionale e
quello che si prepara ancora oggi,
in molti paesi della valle del
Belice, per la "triricina di
Sant'Antuninu" ovvero durante i
primi tredici giorni di giugno
dedicati al santo. Si tratta di
"lu panuzzu i Sant'Antuninu", un
piccolo pane rotondeggiante di
circa 100 grammi talvolta
ricoperto di "giuggiulena"
(sesamo) che portato in chiesa si
fa benedire e si distribuisce poi
ai vicini. Scomparsa è invece la
tradizione un tempo assai diffusa
a Castelvetrano di preparare dei
pani per il patrono San Giovanni
detti "panuzzi o squarateddi i San
Giuvanni", questi piccoli pani
fatti di semola senza lievito a
detta dal Pitrè "s'inghiottono
durante i fulmini, i terremoti, ed
altri rivolgimenti meteorologici e
tellurici per restare incolumi";
come pure scomparsa é l’usanza di
confezionare per la festa
dell'Assunta a Messina dei pani
che rappresentavano i "giganti"
ritenuti primi progenitori della
città.
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