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Palazzo Reale su piazza Plebiscito

Foto da Wikimedia Commons

     
 
IL SEGRETO DEL MAGO
da "Leggende napoletane", di Matilde Serao
3/4

L'astuta Jovannella
spia il mago Cicho
 

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Ora accade che sul terrazzino di Cicho il mago sporgesse anche una porticina di una stanzuccia dove abitava con suo marito Jovannella di Canzio. Era costei maliziosa, astuta e linguacciuta quanto mai femmina possa essere; e sua dilettosa occupazione era conoscere i fatti del vicinato o per trarne personale vantaggio o per malignarvi su. non è a dire se la malvagia Jovannella spiasse continuamente Cicho il mago; ché anzi s’arrovellava di giorno e non aveva tregua nelle lenzuola alla notte, per la inappagata curiosità; e più non riusciva a saper nulla , più, per dispetto, lacerava la riputazione delle vicine e tormentava il marito Giacomo, guattero di cucina al real palazzo. Ma non senza saviezza corrono dettami popolari esprimenti che la donna ottiene sempre quello che vuole fortemente – e malgrado le precauzioni di segretezza adoperate da Cicho il mago, malgrado le porte chiuse, le finestre sbarrate, la Jovannella seppe il segreto dello stregone. Fosse stato per buco di serratura, per fessura di porta, per foro nel muro, o per altro, io non so. Ma è certo che un giorno la trionfante Jovannella disse al guattero marito:

– Giacomo, se hai ardire di uomo, la fortuna nostra è fatta.

– Sei tu diventata strega? Io mel sapeva.

– Malann’aggia la tua bocca sconsacrata! Ascolta. Vuoi tu dire al cuoco di palazzo che io conosco una vivanda di così nuova e tanto squisita fattura da meritare l’assaggio del re?

– Femmina, tu sei pazza?

– Dio mi sradichi questa lingua che ho tanto cara, s’io mento!

E con molte sue persuasioni lo indusse a parlarne col cuoco, che a sia volta ne discusse col maggiordomo, il quale ne tenne parola con un conte, che osò dirne al re.

Piacque al re la novella e dette ordine che la moglie del sguattero si recasse nelle reali cucine e componesse la prelibata vivanda: infatti la Jovannella accorse prontamente e in tre ore ebbe tutto fatto. Ecco come: prese prima fior di farina, lo impastò con poca acqua, sale e uova, maneggiando la pasta lungamente per raffinarla e per ridurla sottile sottile come una tela; poi la tagliò con un suo coltellaccio in piccole strisce, queste arrotolò a forma di piccoli cannelli e fattane un a grande quantità, essendo morbidi ed umidicci, li mise a rasciugare al sole. Poi mise in tegame strutto di porco, cipolla tagliuzzata finissima e sale; quando la cipolla fu soffritta vi mise un grosso pezzo di carne; quando questa si fu crogiolata bene ed ebbe acquistato un colore bruno-dorato, ella vi versò dentro il succo denso e rosso dei pomidoro che aveva spremuti in uno straccio; coprì il tegame e lasciò cuocere, a fuoco lento, carne e salsa.

Quando l’ora del pranzo fu venuta, ella tenne preparata una caldaia di acqua bollente dove rovesciò i cannelli di pasta: intanto che cuocevano, ella grattugiò una grande quantità di quel dolce formaggio che ha nome da Parma e si fabbrica a lodi. Cotta a punto la pasta, la separò dall’acqua ed in bacile di maiolica la condì mano mano con una cucchiaiata di formaggio ed un cucchiaio di salsa. Così fu la vivanda famosa che andò innanzi al grande Federigo, il quale ne rimase meravigliato e compiaciuto; e chiamata a sé la Jovannella di Canzio, le chiese come avesse potuto immaginare un connubio così armonioso e stupendo. La rea femmina disse che ne aveva avuto rivelazione in sogno, da un angelo: il gran re volle che il suo cuoco apprendesse la ricetta e donò alla Jovannella cento monete d’oro dicendo che era molto da ricompensarsi colei che per una così grande parte aveva concorso alla felicità dell’uomo. Ma non fu questa solamente la fortuna di Jovannella, poiché ogni conte ed ogni dignitario volle avere la ricetta e mandò il proprio cuoco ad imparare da lei, dandole grosso premio; e dopo i dignitarii vennero i ricchi borghesi e poi i mercati e poi i lavoratori di giornata e poi i poveri dando ognuno alla donna quel che poteva. Nel corso di sei mesi tutta Napoli si cibava dei deliziosi maccheroni – da macarus, cibo divino – e la Jovannella era ricca.

 
 
 
 
 
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