Breve Storia del Teatro
Il mondo mitologico
non era concepito dai greci come esterno alla loro realtà, ma,
al contrario, faceva parte della loro storia. Spesso i loro capi
venivano, in linea genealogica, collegati a questo o quello
degli dei. Le stesse differenze culturali o politiche tra polis
erano motivate dal differente protettore divino. Inoltre le
opere omeriche erano credute del tutto reali, assolutamente
vere, anche per la parte riguardante l’intervento mitico. Omero
veniva considerato "l’istruzione della Grecia", e la sua
opera veniva definita "Il Libro". Eppure, già a
partire dal VI secolo a.C. iniziano a nascere le prime voci
contrarie.
Senofane di Colofone scrive in quel
periodo:
"tutto
ciò che è vergognoso e riprovevole tra gli uomini: rubano,
commettono adulterio e si ingannano l'un l'altro”.
Quando il pensiero
razionale prese piede nella cultura greca, verso
la fine del V
secolo a.C.,
e si impose il metodo storico di
Tucidide, la distanza tra mitologia
e uomo iniziò lentamente ad aumentare. Lo storico, per esempio,
eliminò ogni rapporto genealogico tra dei e uomini, confutando
qualsiasi
discendenza sovrannaturale. E se da una parte i tragediografi
rivoluzionavano il Mito, costruendone uno nuovo nei loro drammi,
i filosofi iniziarono a contestare l’antica religione. Primo fra
tutti Platone che avversò le leggende tradizionali e il loro uso
smodato nella stessa letteratura greca, sfidando apertamente
l’opera omerica e tutto il Ciclo Troiano, anche se le teorie di
Platone non incisero gran che sul pensiero dei suoi
contemporanei.
Il suo discepolo Aristotele, all’interno della critica ai
Presocratici (che facevano ampio uso della Mitologia), scrisse:
"Esiodo e i compositori di Teogonie si occupavano solo di ciò
che sembrava vero a loro stessi, senza avere rispetto per noi
[…] Ma non vale la pena prendere sul serio scrittori che si
basano sulla mitologia; da buoni studiosi che si preoccupano di
provare le loro affermazioni, dobbiamo mettere le loro teorie
alle strette". Anche Euripide, della stessa opinione di
Senofane di Colofone, fa trasparire
nelle sue tragedie una certa critica alla tradizione, portata
avanti, però, da suoi personaggi, senza, quindi, esporsi
dichiaratamente. In
epoca ellenistica
la conoscenza del Mito è considerata “di moda”: chi ne faceva
uso era ritenuto una persona colta e appartenente ad una classe
sociale elevata.
In epoca imperiale romana, la razionalizzazione
dell’ermeneutica
fu portata avanti dal pensiero dei filosofi
della Scuola Stoica ed Epicureista. E se la mitologia
appariva ai loro occhi
come spiegazione bizzarra dei fenomeni naturali, ciononostante,
ne lodavano il senso morale in essa contenuto. Lucrezio ci
riporta delle paure che
scaturivano dalla superstizione legata alle vecchie credenze.
Marco Terenzio Varrone
sosteneva che
le persone superstiziose temevano gli dei, mentre chi aveva
senso religioso li venerava quasi come fossero i propri genitori
(in Antiquitates rerum divinarum,
opera andata perduta,
ma riportata da Sant’Agosino ne La Città di Dio).
Anche Cicerone deplorava il carattere superstizioso e ingenuo
del popolo, e ironizzava sui mostri dell’Ade, su
Scilla e i
centauri o
altre creature strampalate. Naturalmente sia Cicerone che
Varrone sottolinearono sempre la grande importanza della
religione per lo Stato, le istituzioni e la convivenza civile.
La mitologia greca in epoca romana si era fusa con quella
originaria latina, ma le continue espansioni dell’Impero portò
ad un continuo arricchimento di dei e leggende varie dando luogo
ad processo costante di
sincretizzazione, tra le varie religioni e la mitologia romana,
sempre più “internazionale” e ampia di dei. Il culto, ad
esempio, importato a Roma dalla Siria (con la conquista di
Aureliano) delle divinità asiatiche Mitra (ovvero il sole) e
Baal portarono ad un loro inglobamento con Apollo ed Helios.
Gli Inni Orfici e i Saturnali di Macrobio, del
II secolo, attribuiti ad Orfeo, sono raccolte di liriche
spurie di vari autori con riferimenti mitologici risalenti ad
epoca preistorica. Anch’essi
sono dominati dalle teorie razionaliste e dal
sincretismo. L’espandersi dell’Impero con le relative
migrazioni, portò ad un aumento del numero delle religioni
presenti a Roma. Con l’adozione come religione di Stato del
Cristianesimo da parte dell’Imperatore Costantino, termina,
almeno ufficialmente, il riferimento religioso alla Mitologia.
Il Cristianesimo bolla il Mito come un insieme di favole o
bugie. Alla fine del XVIII secolo, si riapre lo studio sulla
mitologia: Johann Matthias Gesner, a Göttingen nel 1795,
sviluppa ricerche e analisi dell’argomento. Gli seguiranno
Christian Gottlob Heyne e Johann Joachim Winckelmann, poi
l’Europa intera. In piena epoca romantica si effettuarono i
primi studi comparativi della materia mitologica, dovuti anche
allo sviluppo della filologia comparativa. Nel 1871 Edward
Burnett Tylor pubblicò il trattato Primitive Culture, sul
l’origine e lo sviluppo del concetto religioso. Tra le tante
forme religiose di epoca arcaica di molti popoli, erano
compresi, anche, i miti greci. L’opera interessò studiosi come
Carl Jung e Joseph Campbell. Nelle ricerche di Max Müller
all’interno del Mito viene individuata la traccia di un
panteismo di origine Ariana. Altri studi, anche di carattere
comparativo fra i Miti di tutto il mondo, da Bronislaw
Malinowski e Claude Lévi-Strauss.
|
|